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| << | < | > | >> |IndiceRacconto 4 Africa "on the road" sto arrivando 11 All'università con Leopardi e Max Pezzati 20 Un Paese a due velocità 31 Modou, Amed e gli altri: quando lo sviluppo arriva "dal basso" 39 Convivenza in nome di Dio 48 Sul treno per Tambacounda 61 Il mistero del leone senegalese 73 In viaggio tra "Médicos" e carcerati 84 Un tuffo nell'oceano e poi a casa Itinerari 98 Zaini in spalla! 105 A nord del Gambia 116 Casamance 125 Ecoturismo 132 Viaggi di conoscenza 138 Onits. Organizzazione nazionale per il turismo integrato in Senegal 139 Prezzi medi senegalesi |
| << | < | > | >> |Pagina 4Africa "on the road" Sto arrivando"Las Palmas? Come, Las Palmas? Questo aereo non andava a Dakar, Senegal?". Scoprire di aver sbagliato destinazione quando ormai non c'è più niente da fare è un brivido freddo lungo la schiena. Una cosa simile mi era già capitata qualche anno fa. Narcotizzato dal caldo estivo, alla stazione di Genova Brignole salgo su quello che credo essere il treno per Imperia e, solo dopo mezz'ora, mi rendo conto che sto inesorabilmente marciando in direzione opposta, verso La Spezia. Essere distratti è un vero guaio, ma accorgersene su di un treno locale italiano è una cosa, a bordo di un volo intercontinentale un'altra.
Dopo cinque tragici minuti di improperi a 6mila metri
d'altezza, mi rendo però conto dell'equivoco. In realtà è
tutto a posto, sono solo salito su un "torpedone del
cielo": senza alcun nreavvico ai viaggiatori il volo IB6970
della compagnia di bandiera spagnola, tratta Madrid-Dakar, si ferma a metà
strada per una sosta di servizio:
scarica a Las Palmas, Canarie, un po' di giocondi turisti
comunitari in bermuda, e carica altrettanti immigrati
extracomunitari, senegalesi, pieni di regali e voglia di
casa. L'aereo cambia colore, letteralmente. E io mi sento
già in Africa.
DESTINAZIONE SENEGAL, DUNQUE. OBIETTIVO: UN VIAGGIO DI TURISMO
RESPONSABILE CHE DIVENTERÀ UNA GUIDA—RACCONTO PER TURISTI CURIOSI,
E poi per me questo è un viaggio speciale, perché io con il
Senegal ho un debito personale: per più di dieci anni ho
lavorato come giornalista prima, e direttore poi, di "Terre di
mezzo", il giornale di strada, a stretto contatto con gli
"strilloni" senegalesi che preferivano vendere legalmente il
giornale in strada anziché borse contraffatte, cd o
accendini.
ALL'AEROPORTO DI MADRID ASPETTO TRE ORE LA COINCIDENZA.
Per ingannare l'attesa sfoglio le guide che mi sono portato appresso, da bravo turista; il Senegal, scopro, è come la Pianura Padana: piatto. Massimo picco, i 417 metri del monte Goumbati, nell'estremo sudest. I senegalesi sono pochi: 11 milioni su un territorio che è due terzi di quello italiano. Una cosa che ovviamente la guida non mi dice è che dal Senegal la forza lavoro, quella più giovane e valida, continua a scappare. Qui, come in molti altri Paesi dell'Africa occidentale, l'economia è asfittica, le arachidi e la pesca, prime fonti di reddito, non bastano a fare la ricchezza di tutti; la stagione delle piogge dura quattro mesi all'anno e l'agricoltura nei restanti otto è in ginocchio; il Paese non ha risorse naturali significative (niente petrolio, gas, diamanti, oro). Così per decine di migliaia di giovani l'unica speranza è l'emigrazione. Quella illegale. Perché le quote di quella legale per l'Europa bastano solo a soddisfare le attese di pochi eletti. "El País", il principale quotidiano spagnolo, dedica proprio oggi una pagina intera a "quelli delle piroghe": sono i senegalesi che tentano la sorte, si imbarcano clandestinamente su grandi e inadatti barconi da pesca, e sfidano l'oceano anche per 2mila chilometri di navigazione, sperando di approdare alle isole Canarie, che stanno vicine all'Africa ma sono territorio spagnolo. Al momento cinque navi delle marine militari europee (tra cui anche una della nostra Guardia di finanza) incrociano al largo delle Canarie per impedire gli sbarchi, ma possono fare ben poco, perché il territorio da pattugliare è troppo vasto. D'altra parte oggi, dopo la firma degli accordi bilaterali tra Paesi europei e magrebini che sanciscono controlli pressanti sulle coste, raggiungere l'Europa dal Mediterraneo diventa sempre più difficile. E così per molti africani il viaggio via mare dal Senegal sembra l'unica speranza per entrare nel Vecchio Continente. In Italia siamo ossessionati dall'invasione di Lampedusa. A me i 200 chilometri che separano la Tunisia dal suolo italico sono sempre parsi una distanza spaventosamente grande, ma rispetto a questi 2mila chilometri di oceano aperto, adesso mi sembrano un'inezia. Non riesco a immaginare quanta disperazione deve avere dentro uno che si mette su una piroga di legno per attraversare l'oceano. Partire, in questo caso, è una questione di coraggio o forse, in fondo, solo il fatto di non avere uno straccio di alternativa?
Il servizio di "El País" quest'oggi parla delle correnti
oceaniche: all'altezza di Cabo Bianco, Mauritania, 800
chilometri a nord di Dakar, le correnti equatoriali (calde)
provenienti da sud, si scontrano con le acque (fredde)
sospinte dai venti Alisei che soffiano da nord.
L'impatto tra le masse d'acqua provoca spaventose
correnti che portano le imbarcazioni violentemente al
largo, verso l'America. Risultato: soltanto nel 2006
almeno 1.035 giovani senegalesi sono annegati cercando
di raggiungere l'Europa, e 410 di questi non sono mai
stati ritrovati.
QUANDO IL "TORPEDONE DEL CIELO" RIPARTE DA LAS
PALMAS ALLA VOLTA DI DAKAR NON RIESCO A
DOPO MENO DI UN'ORA DI VOLO IL PILOTA PUNTA
DECISAMENTE VERSO TERRA E LE LUCI DI DAKAR NEL BUIO
DELLA SERA APPAIONO ALL'IMPROVVISO LÌ SOTTO.
La seconda buona notizia è il viso di Boutout che ho provato a immaginare per tutto il viaggio: sotto un sorriso interrogativo ("Sei tu?", mi chiede il suo sopracciglio alzato) tiene in mano un cartello con il mio cognome a lettere cubitali. Benvenuto in Africa, Carlo. E finalmente, usciti dall'aeroporto, inizia il viaggio. | << | < | > | >> |Pagina 61Il mistero del leone senegaleseMa ci stanno o no, questi benedetti leoni, in Senegal?!? Esotiche definizioni, ripetute dai locali: "Noi siamo il Paese dei leoni; i leoni della Teranga; la nazionale dei leoni..." La retorica senegalese è infarcita del re della foresta, ma la cosa è equivoca: dal punto di vista naturalistico il Senegal dovrebbe essere famoso per tutt'altro; le vere perle, davvero da non perdere se siete amanti della natura, sono i parchi ornitologici, dove vivono pellicani, pappagalli, volatili di tutte le taglie, forme e colori. Strepitosi sono il parco del Djoudj, a nord, al confine con la Mauritania, e il parco nazionale del delta del Saloum, 100 chilometri a sud di Dakar, vicino al Gambia. Enormi incontaminati autogrill per volatili, tappa forzata in occasione delle loro grandi migrazioni da e per l'Europa. Io, invece, in questo viaggio voglio risolvere il mistero del leone senegalese. Perché gli autoctoni ne sono ossessionati? Esiste? Non me ne vado via finché non ne vedo uno. Tambacounda, dove sono arrivato ieri con il treno, è a 70 chilometri dal parco del Niokolo Koba, dichiarato riserva della biosfera dall'Unesco. Qui, dicono, ci stanno i leoni. E io ci vado. Quando a Dakar raccontavo le tappe del mio viaggio, alla parola "Tambacounda" tutti si producevano nella stessa smorfia di paura, con gli angoli della bocca tirati e gli occhi sgranati, per poi avvisarmi: là fa caldo! Confermo: a Tambacounda incominci a sentire seriamente il forno dell'Africa continentale. Si superano in scioltezza i 40 gradi e il vento fresco dell'oceano è davvero un lontano ricordo. Crocevia stradale e stazione ferroviaria, provvista anche di un piccolo aeroporto, "Tamba", come la chiamano tutti, è però una città viva. La sua spina dorsale è Ave Léopold Senghor, una lunga brulicante via commerciale asfaltata. Strade sterrate si snodano come costole, a destra e a sinistra. Rido sotto i baffi guardando Babacar alle prese con i locali. Qui, in qualche modo, è straniero anche lui: la gente più semplice parla solo mandingo e non wolof, così anche Baba, quando gli rivolgono la parola, li guarda interdetto e chiede di ripetere. Mattinata di commissioni: mi fermo in un Internet café, finché non salta la luce, per mandare qualche mail; vado in banca (aria condizionata!); fotografo divertito uno striscione che annuncia per sabato sera l'elezione di Miss Tambacounda. Soprattutto, a Tamba, mi reco alla direzione del parco del Niokolo Koba: una caserma della guardia forestale affacciata su di un piazzale rovente, per chiedere a Samuel Dieme, ufficiale e direttore del parco, alcune informazioni utili.
Per terra, lungo il corridoio che porta al suo ufficio, una
processione di ossa tra cui, giganteschi, un teschio e un
femore di elefante, allineati e provvisti di cartellino scritto
a macchina. Il signor Dieme è gentile ma un po' troppo
burocratico per i miei gusti: prima mi chiede impassibile se
ho l'autorizzazione per entrare nel parco come giornalista
(autorizzazione che, ahimè, non ho!); quando, sudando e
arrampicandomi sugli specchi, gli spiego che, è vero che
sono un giornalista, ma in effetti nel parco ci entro da
turista, si rilassa e mi riempie di informazioni. Valli a
capire, 'sti burocrati.
USCITI DALLA CASERMA DELLA FORESTALE, FACCIO UNO
DEGLI INCONTRI PIÙ ASSURDI DEL MIO VIAGGIO:
PER UN TURISTA DA MEZZI PUBBLICI COME ME,
Dialokoto è un villaggio di 2mila anime, a 10 chilometri
dall'entrata del grande parco. Per un turista responsabile
che si attardi nel Senegal centrale è un posto da non
perdere, almeno per due motivi: per la vicinanza al
Niokolo Koba, ma, soprattutto, perché qui sorge un
campement
speciale, gestito dall'associazione ecologista
senegalese "Amici della natura". Questo
campement
funziona dalla metà del 2005, e nel 2006 ha contato un
centinaio di presenze turistiche. La struttura vanta una
decina di capanne, ciascuna con due letti provvisti di
zanzariera, per una abitabilità massima di 19 posti. Il sito
è davvero meraviglioso. Sorge su un lieve dosso, ai margini
del villaggio. Non c'è ancora l'energia elettrica e la sera,
sulla soglia di ogni capanna, viene posata una lampada a
olio accesa, ad uso di ciascun ospite. E poi se, come me,
viaggiate con una scheda telefonica Orange, non c'è
campo! Così passo due splendidi giorni senza nessun tipo
di comunicazione con il mondo. Se avete scelto Tigo,
antagonista di Orange, invece siete coperti e siete fregati.
Mentre ci ristoriamo dal viaggio con una birra ghiacciata,
incontriamo Mady Ndiaye, guida ufficiale del parco,
responsabile del
campement
nonché presidente degli "Amici della natura" locali: "L'associazione è stata
creata nell'83, nella città di Mbour - racconta Mady -. Poi nel '92
ho fondato la sezione di Tambacounda. I soci sono tutti
senegalesi e la quota d'iscrizione è di 500 cfa. In ogni
villaggio, nei paraggi del parco, ci sono piccoli gruppi di
volontari che animano attività di sensibilizzazione: di
solito si tratta di conferenze all'aperto, oppure proiezioni di
film sull'ambiente, in piazza, nei giorni di festa. Viene tutto
il paese a vederli". L'inquinamento a queste latitudini è un
problema relativo. Sono altri i fronti delle battaglie
ecologiche: "Innanzitutto il fuoco nella
brousse -
spiega Mady -: i cacciatori che bruciano il territorio, spesso per
incoscienza, causano disastri. Noi spieghiamo alla gente
come si può accendere un fuoco senza rischiare, e anche
come si spegne... E poi sensibilizziamo contro il
bracconaggio, spiegando che se i bracconieri uccidono
tutto, per gli altri non rimane più nulla. La prima domenica
di luglio invece è la giornata del rimboschimento: piccoli e
grandi sono impegnati a piantumare,
privilegiando gli alberi locali. Ogni anno
l'associazione 'Amici della natura' apre
nel parco decine di chilometri di nuove
piste, ma lo fa a proprie spese, perché lo
Stato non ha soldi". Per la
sensibilizzazione, uno strumento
fenomenale in Africa la radio. "Sulla
radio nazionale, tutti i martedì dalle 16 alle
17, conduco una trasmissione sulla protezione
e la conservazione della natura", spiega.
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