Copertina
Autore Nikolaj Gogol'
Titolo Due storie pietroburghesi
EdizioneVoland, Roma, 2012, sírin classica 6 , pag. 134, cop.fle., dim. 10,5x15,4x1 cm , Isbn 978-88-6243-110-1
OriginaleNevskij prospekt - Kločki iz zapisok sumasšedšego
EdizioneNauka, Moskva, 2009 [1896]
TraduttoreCesare G. De Michelis
LettoreGiovanna Bacci, 2012
Classe classici russi
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Indice


Nota alla traduzione                         7

Prefazione                                   9


Corso Nevskij                               11

Brandelli dal memoriale d'un matto          63


Postfazione di Cesare G. De Michelis        99

Poesie allegate                            111

Note                                       117


 

 

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Pagina 11

CORSO NEVSKIJ

Narrazione


Non c'è niente di meglio del Corso Nevskij, almeno a Pietroburgo; per la città è tutto. Di cos'è che non brilla, questa strada-maliarda della nostra capitale? Lo so bene, neppure uno dei suoi abitanti, smunti e impiegatizi, darebbe il Corso Nevskij per qualsiasi altra cosa al mondo. Non solo chi ha venticinque anni d'età, splendidi baffi e una finanziera cucita a meraviglia, ma anche chi ha i peli bianchi che gli spuntano dal mento e la testa liscia come un piatto d'argento, anche lui va in estasi per il Corso Nevskij. Le signore poi! Oh, alle signore il Corso Nevskij piace anche di più. E a chi non piacerebbe? Non appena sbuchi sul Corso Nevskij si sente odore solo di struscio. Anche se si ha da sbrigare qualcosa di necessario, di indispensabile, appena ci si sbuca ci si scorda proprio di tutto. Questo è l'unico posto dove la gente si fa vedere non per necessità, dove non è spinta dal bisogno e dal tornaconto bottegaio che permea tutta Pietroburgo. Č come se uno, incontrato sul Corso Nevskij, sia meno egoista che sulla via Morskaja, sulla Gorochovaja, la Litejnaja, la Meščanskaja, o in altre strade dove la cupidigia, l'interesse e il bisogno si rivelano nei pedoni e in quelli che sfrecciano in carrozze e calessi. Il Corso Nevskij è il luogo d'incontro collettivo di Pietroburgo. Chi abita in contrada Peterburgskaja o Vyborgskaja e che non è stato da anni da un suo amico ai Peski o vicino a Porta Moskovskaja, può star certo che qui l'incontrerà di sicuro. Nessuno stradario e nessun ufficio informazioni forniranno notizie tanto attendibili quanto il Corso Nevskij. L'onnipotente Corso Nevskij! Unico svago del poveraccio tra gli spassi di Pietroburgo! Come sono ben spazzati i suoi marciapiedi e quanti piedi, Dio mio, vi hanno lasciato le loro orme! Lo stivale scassato e sporco del soldato in congedo, sotto il cui peso diresti che s'incrini perfino il granito, la scarpetta in miniatura, lieve come fumo, della giovane signora che ha rivolto la testolina alle vetrine scintillanti d'un negozio, come un elianto verso il sole, o la sciabola tintinnante dell'alfiere di belle speranze che vi ha segnato uno sgraffio netto — tutto riversa qui la potenza della forza o la potenza della debolezza. Che rapido caleidoscopio vi avviene nell'arco d'un sol giorno! Quanti mutamenti subisce nell'arco di sole ventiquattr'ore! A muovere dal primissimo mattino, quando tutta Pietroburgo odora di panini caldi appena sfornati e brulica di vecchiette dalle vesti e mantelline lacere che compiono le loro incursioni su chiese e passanti di buon cuore. Allora il Corso Nevskij è vuoto: i solidi titolari di negozio e i loro commessi stanno ancora dormendo nei loro camicioni di tela d'Olanda, ovvero insaponano le loro nobili guance e bevono il caffè; i poveracci si radunano alle porte delle pasticcerie dove un assonnato ganimede, che ieri svolazzava col cioccolato come una mosca, scivola fuori senza cravatta con la ramazza in mano e getta loro pasticcini e rimasugli. Per strada si trascina la gente di servizio: talora l'attraversano dei bifolchi russi che si affrettano al lavoro, con stivali inzaccherati di calce che neanche il Canale Ekaterinskij, ben noto per il suo lindore, sarebbe in grado di ripulire. Di solito non sta bene che le signore vadano in giro a quest'ora, perché il popolo russo ama esprimersi con espressioni così crude che probabilmente loro non sentono nemmeno a teatro. A volte, se la sua strada per l'ufficio passa per il Corso Nevskij, arranca un impiegato assonnato con la borsa sottobraccio. Si può proprio dire che a quest'ora, cioè prima delle 12, il Corso Nevskij non rappresenta un fine per nessuno, serve solo come mezzo: si riempie gradualmente di individui che hanno i loro affari, le loro grane, le loro preoccupazioni, ma che al Corso non ci pensano proprio. Il bifolco russo discute di una moneta d'argento da dieci copeche o sette di rame da due, vecchietti e vecchiette gesticolano o parlano tra sé con gesti talora abbastanza sorprendenti, ma nessuno li ascolta né li deride, salvo magari solo ragazzi dai camici di grezza tela a strisce che corrono come fulmini per il Corso Nevskij, tenendo in mano fiaschette vuote o stivali riparati. A quest'ora qualunque cosa abbiate indosso, anche se aveste in testa un berretto con la visiera invece d'un cappello, anche se le punte del colletto spuntassero troppo dalla vostra cravatta, nessuno lo noterebbe.

Alle 12, sul Corso Nevskij fanno scorribanda precettori d'ogni nazionalità e i loro pupilli con i loro colletti di batista. Dei Johns inglesi e dei Coqs francesi vanno sottobraccio con i pupilli affidati alle loro cure paterne, spiegando con appropriata gravità che le insegne dei negozi sono fatte apposta per poter sapere, grazie a esse, che cosa si trova nei negozi stessi. Le istitutrici, slavate misses e rosee slave, vanno solenni dietro alle loro fanciulle snelle e irrequiete, ordinando di tenere la spalla un po' più su, di stare più erette; a farla breve, a quest'ora il Corso Nevskij è un Corso pedagogico. Ma più si avvicinano le due, più diminuisce il numero di istitutori, pedagoghi e figli: che vengono infine sostituiti dai loro amorevoli genitori che vanno a braccetto con le loro variegate, variopinte e nevrasteniche amiche. A poco a poco s'uniscono alla compagnia tutti quelli che hanno ultimato i loro impegni privati d'una certa gravità, come: chiacchierare col proprio dottore del tempo o del foruncoletto che gli è venuto sul naso, informarsi della salute dei propri cavalli e dei propri figli — che mostrano peraltro doti notevoli — ovvero leggere un manifesto o l'importante articolo di giornale su chi arriva e chi parte, infine bere una tazza di caffè e di tè; vi s'uniscono anche coloro cui un'invidiabile sorte ha conferito il beato titolo di funzionari con incarichi speciali. Vi si uniscono anche coloro che prestano servizio al Collegio degli Esteri e si segnalano per la nobiltà dei loro compiti e delle loro abitudini. Dio mio! Che impieghi e incarichi splendidi ci sono! come elevano e allietano gli animi! ma, ahimè, io non ci lavoro e sono privato della soddisfazione di vedere il tratto squisito con me dei superiori. Tutto quanto troverete sul Corso Nevskij, è tutto pieno di decoro: uomini in lunghe finanziere con le mani infilate nelle tasche, signore in redingotes di raso e cappelli color rosa, bianco, celeste pallido. Qui troverete dei favoriti unici, lasciati crescere con arte singolare e meravigliosa fin sotto la cravatta, dei favoriti vellutati, di raso, neri come lo zibellino o il carbone, ma che, ahimè, spettano solo e unicamente al Collegio degli Esteri. A quelli che prestano servizio in altri uffici, la Provvidenza ha negato per loro somma sventura i favoriti neri, li devono portare fulvi. Qui incontrerete dei baffi straordinari, che nessuna penna e nessun pennello potrà mai raffigurare; dei baffi cui viene dedicata la metà migliore della vita, oggetto di lunghe veglie diurne e notturne, baffi sui quali son stati ver- sati i profumi e gli aromi più incantevoli e che hanno unto le qualità più care e rare di pomate, baffi che di notte vengono avvolti con una sottile carta velina, baffi sui quali si riversa la più toccante devozione dei loro possesseurs e che sono invidiati dai passanti. Mille e mille fogge di cappellini, di vestiti, di foulards variopinti e leggeri, che alle volte serbano l'attaccamento delle loro proprietarie per due interi giorni, folgoreranno chiunque sul Corso Nevskij. Si direbbe che una marea di farfalle si sia alzata d'improvviso dagli steli e si agiti come una nube scintillante su neri scarabei di sesso maschile. Qui troverete dei vitini di vespa che non avete mai neanche sognato: esilini, sottilini, dei vitini non più grossi d'un collo di bottiglia, incontrando i quali vi farete rispettosamente da parte per non rischiare di urtarli imprudentemente, con un gomito sgarbato; soggezione e timore prenderanno il vostro cuore, perché nemmeno un vostro sospiro imprudente infranga in qualche modo l'opera più incantevole della natura e dell'arte. E le maniche delle signore che troverete sul Corso Nevskij! Ah, che fascino! Assomigliano un po' a due palloni aerostatici, talché la signora si leverebbe d'improvviso per aria se non ci fosse l'uomo a trattenerla; perché è facile e piacevole sollevare una signora in aria come un calice pieno di champagne portato alla bocca. Quando ci si incontra, non ci si saluta da nessuna parte con tanta distinzione e disinvoltura come sul Corso Nevskij. Qui troverete un sorriso unico, un sorriso d'arte così sopraffina che talora ci si può sciogliere dal piacere, talatra vi sentite di colpo al di sotto dell'erba e chinate la testa, altre volte ancora vi sentite più in alto della guglia dell'Ammiragliato e la sollevate. Qui incontrerete persone che parlano d'un concerto, o del tempo che fa, con una nobiltà d'animo e un senso della propria dignità straordinario. V'incontrerete mille tipi e scene inarrivabili. Dio dell'Universo! che strani tipi s'incontrano sul Corso Nevskij! C'è una moltitudine di persone che, quando v'incontrano, di sicuro vi osservano gli stivali e, se passate oltre, si voltano per guardarvi le falde. Non riesco ancora a capire il perché di questo fatto. Dapprima pensavo che fossero calzolai, tuttavia però non era affatto così: per la maggior parte sono impiegati di vari dipartimenti, molti di loro sono capaci di scrivere in modo eccellente un rapporto da un ufficio demaniale all'altro, oppure sono individui dediti al passeggio o alla lettura dei giornali nelle pasticcerie, insomma per la maggior parte è tutta gente dabbene. Dalle 2 alle 3 del pomeriggio, l'ora beata che si può definire quella del Corso Nevskij come capitale in movimento, ha luogo la più vasta esposizione di tutti i migliori prodotti umani. Uno esibisce un soprabito da gagà col miglior castoro, un altro uno splendido naso greco, un terzo porta dei magnifici favoriti, una quarta — una coppia di occhi deliziosi e un cappellino mirabile, un quinto ha sul mignolo da elegantone un anello col talismano, una sesta — un piedino con una scarpetta incantevole, un settimo — una cravatta che desta meraviglia, un ottavo — dei baffi da sbalordire. Ma battono le tre, l'esposizione termina, la folla si dirada... Alle tre c'è un nuovo cambiamento. Sul Corso Nevskij arriva d'improvviso la primavera: si copre tutto di funzionari in verdi uniformi civili. Affamati Consiglieri Titolari, di Corte e via dicendo, cercano di accelerare il passo con tutte le forze. I giovani Protocollisti di Collegio, i Segretari di Governatorato e di Collegio si dànno da fare per godere ancora d'un po' di tempo e andare a zonzo sul Corso Nevskij, con un incedere che vuol far mostra di non essere stati affatto a disposizione per 6 ore. Ma i Segretari di Collegio anziani, i Consiglieri Titolari e di Corte vanno di fretta a testa china: hanno ben altro da fare che osservare i passanti; non hanno ancora staccato del tutto dalle loro incombenze; nella loro testa c'è un gran guazzabuglio e un intero archivio di pratiche iniziate e non definite; anziché un'insegna, davanti ai loro occhi resta a lungo la cartella con le pratiche e il volto pienotto del direttore della cancelleria.

Dalle quattro il Corso Nevskij è vuoto e ben difficilmente v'incontrerete anche un solo impiegato. Giusto qualche sartina che, uscendo da un negozio, lo attraversa di corsa con una scatola in mano; qualche povera preda d'un cancelliere filantropo, messa in mezzo a una strada con una mantella di lanetta; qualche strampalato di passaggio per il quale tutte le ore fanno lo stesso; qualche spilungona inglese, allampanata, con la borsettina e un libretto in mano; qualche facchino, un russo col soprabito di cotonella dalla vita che gli sale sulla schiena e una barba striminzita, che vive tutta la vita in fretta e furia e, quando passa educatamente per il marciapiede, s'agita tutto: schiena, mani, gambe, testa; alle volte, un vile artigiano: sul Corso Nevskij non incontrerete nessun altro.

Ma non appena il crepuscolo cala sulle case, sulle strade, e il vigile, copertosi con una stuoia, s'arrampica sulla scala per accendere il lampione, e dalle vetrine basse dei negozi fanno capolino quelle stampe che non osano mostrarsi durante il giorno, allora il Corso Nevskij si ravviva e comincia a rianimarsi. Sopraggiunge allora quel momento misterioso in cui i lampioni conferiscono a ogni cosa come una luce attraente, fantastica. Incontrerete moltissimi giovanotti, per lo più scapoli, con soprabiti e mantelle confortevoli. In quel momento si avverte come uno scopo ben preciso, o meglio, qualcosa come uno scopo. Qualcosa d'estremamente istintivo, i passi di tutti si accelerano e in genere divengono molto capricciosi. Lunghe ombre balenano per i muri e sul selciato e quasi raggiungono con la testa il ponte Policejskij. Giovani Protocollisti di Governatorato, Segretari di Governatorato e di Collegio vanno su e giù molto a lungo; ma i Protocollisti di Collegio anziani, i Consiglieri Titolari e di Corte stanno per lo più a casa, o perché si tratta di gente sposata, o perché le cuoche tedesche che stanno a casa loro preparano ottimi pranzi. Adesso troverete i rispettabili vecchi che alle due passeggiavano per il Nevskij con tanto sussiego e con tanta stupefacente nobiltà. Li vedrete che corrono come i giovani Protocollisti di Collegio, con lo scopo di sbirciare sotto il cappellino d'una signora intravista da lontano, le cui labbra pronunciate e le gote stuccate di rossetto piacciono tanto a molti perdigiorno, ma soprattutto ai commessi, ai facchini, ai commercianti che vanno sempre a spasso con soprabiti alla tedesca, tutti intruppati e di solito sottobraccio.

— Altolà! — gridò in quel momento il tenente Pirogov, trattenendo il giovanotto in frac e mantello che camminava con lui. — L'hai vista?

— L'ho vista, meravigliosa, proprio una Bianca del Perugino.

— Ma tu, di chi stai parlando?

— Di lei, di quella con i capelli scuri, e che occhi, Dio mio, che occhi! Il portamento, il profilo e l'ovale del viso, tutto, splendidi!

— Io ti sto dicendo della biondina che le è passata dietro, nell'altra direzione. Ma perché non vai dietro alla brunetta, se t'è piaciuta tanto?

— Oh, come si fa! — esclamò il giovanotto in frac, arrossendo. — Come se fosse una di quelle che la sera passeggiano per il Corso Nevskij; questa dev'essere una signora distinta, — proseguì sospirando — solo il mantello che indossa costerà ottanta rubli!

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BRANDELLI DAL MEMORIALE D'UN MATTO


3 ottobre


In data odierna è capitato un caso straordinario. La mattina mi sono alzato piuttosto tardi e quando Mavra mi ha portato gli stivali spazzolati, ho chiesto che ora fosse. Sentito che le dieci erano scoccate da un pezzo, mi sono sbrigato a vestirmi in fretta. Francamente, non ci sarei proprio andato al Dipartimento, già sapendo la faccia acida che avrebbe fatto il nostro Capo Divisione. Č ormai da un pezzo che mi dice: che c'hai, vecchio mio, sempre quel guazzabuglio in testa? Alle volte ti dimeni come un ossesso, talora imbrogli una pratica che non ci si raccapezzerebbe più manco satanasso, metti una minuscola nell'intestazione, non evidenzi la data né il numero di protocollo. Uccellaccio della malora! Si vede che è invidioso, perché lavoro nello studio privato del Direttore e faccio la punta alle penne di Sua Ecc-za. Insomma, non ci sarei proprio andato al Dipartimento, se non per la speranza d'incontrare il Tesoriere e, visto mai, di farmi dare da quel giudìo almeno un piccolo anticipo sullo stipendio. Ecco un altro bel tipo! Mai che molli quattrini in anticipo sulla mesata, Signore Dio mio, fa prima a venire il giudizio universale. Puoi implorare, crepare magari, avessi anche bisognissimo, ma lui non molla, quel vecchio diavolo canuto. Però dentro casa la cuoca lo piglia a ceffoni. Lo sanno tutti. Non capisco che tornaconto ci sia ad avere il posto in un Dipartimento. Di possibilità, neanche l'ombra. In una Direzione di Governatorato, magari, nell'Amministrazione Civile o Tributaria, lì sarebbe tutt'altro affare: guarda lì, uno rintanato in un angolino che scribacchia. Col suo frac lurido e striminzito, un muso che ti vien voglia di sputarci su, ma guarda tu la villetta che s'affitta in campagna! Neanche da portargliela, una tazza di porcellana dorata: questo, dice, è un presente da dottore; mentre a lui devi offrirgli una pariglia di sauri o un calesse, o una pelliccia di castoro sui trecento rubli. Così dimesso in apparenza, e con che garbo parla: favoritemi il temperino per appuntire la pennuccia, e lì ti ripulisce il postulante che gli resta solo la camicia. In compenso, vero, da noi il lavoro d'ufficio è di tutto rispetto, c'è ovunque una pulizia che una Direzione di Governatorato non vedrà mai e poi mai: tavoli di mogano e tutti i dirigenti che dànno del voi. Sì, francamente, se non fosse per la distinzione dell'ufficio, da un pezzo avrei lasciato il Dipartimento.

M'infilai la vecchia mantella e presi l'ombrello perché veniva giù una pioggerella battente. Per strada non c'era nessuno; mi capitarono sott'occhio solo delle donnette che si riparavano con i lembi della veste, poi dei russi che facevano acquisti sotto l'ombrello, e dei cocchieri. Di gente a modo, c'era solo un nostro collega impiegato che arrancava. Lo scorsi a un incrocio. E come lo scorsi, feci subito tra me e me: ehe! no, caro mio, tu non stai andando affatto in ufficio, tu corri dietro a quella lì che ti scappa davanti e le sbirci i piedini. Che briccone, il nostro collega impiegato! Giuro, non è secondo a nessun ufficiale: basta che passi una qualsiasi col cappellino, che di sicuro la rimorchia. Ci stavo pensando su, quando scorsi una carrozza che s'accostava al negozio davanti al quale stavo passando. La riconobbi subito. Era la carrozza del nostro Direttore. Ma che ci andrà a fare in un negozio, ho pensato, dev'essere sua figlia. Mi sono addossato al muro. Il valletto aprì lo sportello, e lei frullò giù dalla carrozza come un uccellino. Come occhieggiò a destra e a manca, come le brillarono le ciglia e gli occhi... Signore, Iddio mio! me la sono vista brutta, proprio brutta. E cosa sarà uscita a fare, con quella pioggia. Va' poi a sostenere che le donne non hanno una passionaccia per tutte quelle cianfrusaglie. Lei non mi riconobbe, e del resto io cercavo di imbacuccarmi apposta il più possibile; perché la mia mantella era molto sudicia e inoltre di vecchio taglio. Le mantelle, adesso, si portano con il bavero ampio, mentre i miei risvolti erano striminziti, sovrapposti; e poi il panno non era per niente ingualcibile. La sua cagnetta, che non era riuscita a saltare dentro la porta del negozio, era rimasta per strada. La conosco, io, questa cagnetta. Si chiama Maggie. Non stavo lì neanche da un minuto, che d'un tratto sento una vocina acuta: "Salve, Maggie!" Questa, poi! e chi starà parlando? Mi guardai attorno e vidi due signore con l'ombrello che stavano passando: una anzianotta, l'altra piuttosto giovane; ma erano già andate in là, che accanto a me si sentì di nuovo: "Ti sei comportata male, Maggie!" Che diavolo! vidi Maggie che si stava snasando con la cagnolina al seguito delle due signore. Ehe! feci tra me e me, ma non sarà che sono sbronzo? Solo che mi càpita di rado, direi. "No, Fidèle, non c'è ragione che lo pensi!" e vidi io stesso che era stata Maggie a profferirlo. "Sono stata, aw, aw, aw! molto malata." Ah, allora sei tu, cagnetta! Francamente mi sono davvero stupito a sentirla parlare in modo umano. Ma poi, quando ho riflettuto ben bene su tutto ciò, ho smesso immediatamente di stupirmi. Invero, sono già capitati molti precedenti del genere a questo mondo. Si dice che in Inghilterra sia venuto a galla un pesce che ha pronunciato un paio di parole in una lingua così strana che da tre anni gli studiosi cercano di identificarla e finora non hanno scoperto un bel niente. Sui giornali ho letto anche di due mucche entrate in una bottega a chiedere una libbra di tè. Ma francamente mi sono stupito molto di più quando Maggie ha fatto: "Fidèle, io ti avevo scritto; probabilmente Polkan non ti ha recapitato la mia lettera!" Mi ci gioco lo stipendio! In vita mia non avevo ancora mai sentito d'un cane che sapesse scrivere. Solo un nobiluomo sa scrivere correttamente. Be' certo, lo fanno anche alcuni bottegai-contabili e a volte scribacchia perfino la servitù del contado, ma la loro scrittura è per lo più meccanica, senza virgole, né punti, né stile. La faccenda mi ha stupito. Da un po' di tempo, francamente, talvolta comincio a sentire e a vedere cose che nessuno ha ancora mai visto né sentito. Le starò dietro a questa cagnetta, mi sono detto, così verrò a sapere quel che fa e quel che pensa. Mi sono aperto l'ombrello e ho seguito le due signore. Infilarono via Gorochovaja, girarono sulla Meščanskaja, di lì proseguirono sulla Stoljàrnaja, prendendo infine per il ponte Kokuškin e si fermarono davanti a un grande edificio. Questo edificio lo conosco, dissi tra me e me. Č Casa 'Zverkov'. Che marchingegno! E chi non ci campa: quanta gente, cuoche, forestieri! e molti del nostro giro di impiegati, uno sull'altro come cani. Ci sta anche un amico mio che suona bene la tromba. Le signore sono salite al quarto piano. Bene, ho pensato, adesso non ci vado, ma mi segno il posto e alla prima occasione non mancherò di farne buon uso.

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