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| << | < | > | >> |Pagina 11Un branco di predatori intorno alla vittima. È un'utilitaria con a bordo una giovane donna. La batteria l'ha mollata e, taxi, automobili varie, pulmini, furgoni e motociclette cercano di avanzare ostacolandosi a vicenda, mentre la coprono di invettive, un ingorgo che si autoalimenta. E muoviti. Maledetta scema. Idikazana lomlungo, le! Lei alza le mani, i palmi aperti, in segno di resa. Gli altri continuano a strombazare la propria impazienza. La ragazza scende dalla macchina, li affronta. Uno dei disoccupati di colore che segnalano agli automobilisti i parcheggi liberi in cambio di un'elemosina si avvicina sgusciando tra i paraurti, le fa cenno con la testa, "Oka-ay, Oka-ay salga in macchina, avanti!", e mima i movimenti delle mani sul volante. Ne appare un altro, e insieme la spingono in una piazzola di carico merci. Intanto riprende la circolazione. I due restano a osservare la strada mentre la ragazza armeggia in cerca del portafoglio. Il boss della strada dà una rapida occhiata ai soldi che gli ha messo in mano, la cifra è più che adeguata. La ragazza non sa proprio come ringraziarli ecc. ecc. L'uomo sembra quasi contorcersi per infilare i soldi in un paio di pantaloni tagliati per qualcun altro e sorride, già occupato ad avvistare la prossima vettura a caccia di un parcheggio. Una donna con un asciugamano a mo' di scialle che troneggia su una cassetta della frutta davanti al suo assortimento di pettini, lamette, pietre pomici, berretti di lana e polverine contro il mal di testa gli grida qualcosa che dev'essere una presa in giro in una lingua che la ragazza non capisce.Ecco: avete visto. Ho visto. Quel gesto. Una donna in uno dei tanti ingorghi che sono all'ordine del giorno in città, in qualsiasi città. Non ricorderete l'episodio, né saprete chi è la ragazza. Io si, invece, perché a partire da quell'immagine scoprirò - nella forma del racconto - le conseguenze di quella banale disavventura della strada; dove l'avrebbero portata, e come. Le sue mani alzate, aperte. | << | < | > | >> |Pagina 47Per poter partire con il piede giusto in casa del padre, è una buona idea osservare qualche convenzione per gli invitati: anche se lei non dovrebbe essere un'ospite in casa del padre, il suo "qualcuno" lo è. Perciò, sulla strada, gli chiede di fermare la macchina a un angolo dove c'è un fioraio ambulante, e compra un mazzo di rose. Scaricale in mano a Danielle, in modo che non le possa alzare, per così dire, contro di te. Questo non è un pensiero da condividere con il giovanotto che le siede accanto. Un'altra allusione che, pensa - spera -, verrà colta da chiunque veda la sua macchina varcare il cancello di sicurezza e procedere fino alla casa, è che al volante c'è lui, il "qualcuno", e non lei.Non siate troppo sicuri di sapere il seguito, quel set viene abbattuto e ricostruito per la stessa scena ogni domenica da un capo all'altro delle Zone Residenziali. Questi ospiti non sono esposti, in ogni senso, al sole mezzi svestiti su sedie di plastica intorno a una piscina, il padre non se ne sta con la trippa piegata sopra la carne che cuoce sulla griglia. Qui abbiamo a che fare con ben altri livelli di intrattenimento. Gli ospiti sono raccolti su una fresca terrazza davanti a un soggiorno che, attraverso una serie di arcate, conduce ad altre sale di ricevimento dalla funzione imprecisata (ospitare feste?), e le sdraio imbottite e le composizioni fioreali sono un prolungamento più che un'interruzione dei comfort convenzionali, dei bouquet riflessi e dei dipinti nelle stanze. Le pietanze, già disposte quando arriva la figlia di casa, sono salmone norvegese accompagnato da salse e insalate sgargianti come caleidoscopi che Danielle ha insegnato alla cuoca a realizzare alla perfezione. I margarita (specialità del padrone di casa) hanno il bordo di sale d'ordinanza, e i boccali da birra in peltro e i bicchieri da vino sono appannati dal contrasto di temperature tra la giornata calda e il contenuto fresco. Tutto questo, la prospettiva di una domenica dal padre, è molto piacevole, non fraintendete. Julie reagisce come sempre: sprofondando in uno sgomento familiare. Ma al suo fianco c'è "lui", uno di quegli scudi invisibili che respingono le frecce e provvedono all'incolumità di chi li porta. Quando presentò il suo «qualcuno" al padre, la faccia di quest'ultimo fu attraversata da un fugace momento di incomprensione del nome, rapidamente salvato dalle buone maniere e da una stretta di mano. Come collocarlo, lì per lì? Nero, o una specie. Ma l'interpretazione di Julie fu ben presto confusa da quello che non aveva notato: tra gli ospiti c'era già una coppia di neri. Questa novità dimostrava quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva partecipato a uno di quei pranzi domenicali nella casa che Nigel Ackroyd Summers aveva costruito per la sua Danielle. Il padre, con la sua pragmatica sicurezza, non aveva dubbi su come cavarsela con i nomi afferrati a metà, ormai frequenti con l'infiltrazione nel mondo degli affari e dei professionisti da parte di coloro che li portavano. Ormai doveva essersi resa conto che il padre, titolare di una banca d'affari in quest'epoca di opportunità finanziarie internazionali in espansione e della rapidissirna scalata del potere politico nero al potere finanziario in patria, doveva aggiungere questo genere di nomi alle liste degli invitati, per dare equilibrio ai suoi contatti di lavoro. La lasciò completare le presentazioni: "Mia figlia Julie, e il suo amico...". Lui rispose al nome che non era il suo. | << | < | > | >> |Pagina 73Avrete senz'altro sentito parlare di lui, se siete una donna della borghesia, o un uomo che vive con quella donna, in questa città.Il dottor Archibald Charles Summers è ginecologo e ostetrico, laureato in medicina e chirurgia presso la Witwatersrand University, Membro del Royal College of Surgeons, St Mary's Londra, Membro dell'Istituto di Ostetricia, Boston, Massachusetts, con uno studio che è, per così dire, sempre sovraffollato. Chiamatelo pure alla moda, ma la definizione non gli renderebbe giustizia; è molto di più, offre più di quanto qualsiasi normale parcella specialistica potrebbe mai comprendere. Le donne ne parlano tra loro con un senso di riverente fiducia, eccezionale tra paziente e medico anche in questa branca della medicina, in cui il dottore è sacerdote, intermediario di una nuova vita che viene al mondo, e la donna la sua accolita attiva. Nelle vesti di ostetrico, è l'Arcangelo Gabriele di ogni donna, la sua annunciazione quando legge l'ecografia del suo grembo: è un maschietto. E quella lucida pelata, le orecchie a sventola e il sorriso adorante sono la prima cosa che la donna vede quando estrae una vita nascente dal suo corpo. Tra un parto e l'altro e dopo che la riproduzione non fa più parte della programmazione biologica delle sue pazienti, si prende cura, nel senso più coscienzioso del termine, del complicato sistema interno che caratterizza il sesso femminile e influenza - a volte perfino decide - il cruciale equilibrio delle reazioni, dell'emotività, da cui dipende la capacità di gestire gli altri rapporti uomo-donna, quelli riconosciuti con gli amanti e/o i mariti. | << | < | > | >> |Pagina 100Julie gli stava davanti con le mani intrecciate sulla schiena, come una scolaretta.E adesso, è arrivato il momento: finora questa Julie non è stata descritta, ci sono state pochissime indicazioni del suo aspetto, a meno che le azioni e le parole di un individuo non evochino un viso e un corpo. Comunque, non c'è una descrizione che valga per tutti. Tutti quelli che vedono un viso ne vedono uno diverso: il padre, Nigel Ackroyd Summers, sua moglie Danielle, la madre in California quando la ricorda, i coetanei del Tavolo, il vecchio poeta inedito; il suo amante. Il viso che vede quest'ultimo è quello decisivo per la situazione attuale. I due biglietti aerei che lui stringe nelle mani, gira, apre, controlla, materializzano un viso, il viso che ha per lui, che prima non esisteva, il viso di ciò che è impossibile, che non può essere. Perciò quello che era, e quello che è adesso, l'aspetto della donna Julie è descritto con gli occhi di lui. Vogliono sempre sentirsi dire che cosa hanno di bello - le donne, di ogni dove - ma immagino di non averlo fatto perché non trovavo le parole giuste, come sto pensando adesso nella mia lingua. Abbiamo anche i nostri poeti, che lei sicuramente non ha sentito nominare, Imru' al-Qays, Antara. Ora devo capire che cosa vedo, guardando questa ragazza, questa donna. Età: ventinove anni, uno più di me. Ma non sono i giorni e gli anni, è il modo di vivere che stabilisce l'età! È una bambina, sono tutti bambini, e ora si è messa in testa di fare una cosa che non è adatta per lei, è un'ingenua, non sa niente di un certo modo di vivere, non ha nessuna idea, ma l'ingenuità è ignoranza, per loro. È entrata nell'officina come una qualunque delle loro donne che hanno avuto una macchina dal marito o dal padre, e la libertà, di cui non sono nemmeno consapevoli, di andare dove vogliono e rivolgersi a uno sconosciuto, dà ordini mentre mi tiro fuori da sotto una macchina e mi alzo in piedi, uno scemo vestito con una tuta sporca, per seguirla in strada. Si rende conto che una ragazza come lei non potrebbe uscire da sola, là dove mi rispediscono? Non credo di averla guardata veramente. Quel giorno. Allora: europea, anche se non si fanno chiamare così, visto che non siamo in Europa, sono di qui. Quindi: bianca, giovane, non elegante ma vestita nel modo che secondo loro dovrebbe mascherare la differenza tra ricchi e poveri, così come la mia tuta avrebbe dovuto mascherare il clandestino in fuga. Ma lei mi ha guardato. Non so che cosa ha creduto di vedere, comunque mi ha invitato a prendere un caffè. Ed eccola lì in quel locale chiassoso, con uno sconosciuto, un nessuno trovato se non proprio in strada in un posto poco migliore. Immagino di averla guardata come donna, allora. Non era bionda - mio zio e i miei cugini mi avevano raccontato quanto erano attraenti le bionde, per loro - aveva i capelli di un castano indefinito, che ricadevano lisci e dritti dietro le orecchie. Qualche volta, in seguito, mentre ero a letto con lei, ho notato che l'orecchio vicino a me sul cuscino era piccolo e attaccato alla testa. Grazioso. Gli occhi di un color grigio-acqua non grandi, che mi guardano sempre direttamente. Che altro? Sopracciglia molto più scure dei capelli, non ritoccate a formare una linea sottile, come quelle delle ragazze al mio paese, che le inarcano con civetteria verso di te, alzandole, abbassandole, aggrottandole. Un rossetto scuro sulla bocca, i cui muscoli si muovono sempre appena appena, inconsapevolmente, mentre segue ciò che qualcuno le sta dicendo. Come se stesse imparando una lingua. Si sforzasse di farlo. Come se sapesse, si, di non sapere niente. "Niente"! | << | < | > | >> |Pagina 123Julie Summers. Nella calca umana dell'aeroporto, negli occhi dell'uomo distinto con difficoltà nella sua caverna di negozio, nei visi voltati dalla curiosità per studiarla da vicino sulla corriera, si rese conto di essere in un certo senso altrettanto estranea a se stessa di quanto appariva a loro: era come la vedevano. Quella ragazza, quella donna aveva vissuto tutta la vita sotto gli occhi di persone di colore, nel suo paese d'origine, ma non le avevano mai suscitato una tale coscienza di sé; quindi, ecco cosa voleva dire essere a casa. Se ne rese conto con uno strano distacco. E ciò significava che quando, in questo stato, si sarebbe presentata ai parenti, insieme a lui, il figlio che apparteneva a loro, lo avrebbe potuto fare offrendosi a una conoscenza carica di emozioni: se era sorprendentemente nuova per loro, lo era anche per se stessa.Eccoli là. Al capolinea della corriera, gli uomini della famiglia; non potevano sapere l'ora esatta d'arrivo ma erano là. Le fotografie, che forse lui aveva - non ne era sicuro - in mezzo alle cose che aveva tenuto all'officina e non le aveva mai mostrato, si animarono. Il gruppo formale di uomini li rendeva riconoscibili, distinguendoli dall'anonima confusione della folla; in disparte, quelli appartenevano a lui, Abdu-Ibrahim, e l'ondata della loro allegria travolse la coppia. Gli uomini anziani del gruppo, facce piene di rughe, ma nessun dubbio riguardo a chi era il padre: ci fu un momento di immobilità in quella faccia - il momento di incredulità davanti alla tanto desiderata materializzazione che si offriva in carne e ossa - che rese l'uomo inconfondibile nonostante non ci fosse alcuna somiglianza fisica tra padre e figlio. Gli abbracci furono lunghi. Il trambusto e il brusio della gente al capolinea fecero da coro d'accompagnamento; lei si lasciò prendere dall'emozione di questi uomini, non sapeva se facesse parte del gruppo o del coro. Era come se avesse perso di vista Ibrahim. Lui la stava presentando al padre. L'uomo fece un discorso di benvenuto, tenendosi a una certa distanza, e Julie sentì su di sé la sua attenzione, si stava rivolgendo a lei e si aprì a quel discorso mentre il figlio, suo marito, traduceva stringendole il braccio con nervosi scatti di impazienza o disapprovazione. "Parla in inglese, parla in inglese." L'interruzione non fu ascoltata. Conosce qualche parola. Abbastanza per salutarti.
Julie scosse il braccio per liberarsi della mano che la
tratteneva, insofferente; il rauco flusso e il mormorio
gutturale di quella lingua la raggiunse su una lunghezza
d'onda di significato diversa da quella verbale. Le fu
presentato il secondo uomo anziano che, a braccia incrociate
con sicurezza sul petto, sorrideva dall'alto sulla cerimonia
da un'angolazione tutta sua: era lo Zio. Le fu impossibile
attribuire contemporaneamente i nomi degli altri ai singoli
fratelli di cui era a conoscenza, e per giunta rischiava di
confonderli con i cugini presenti. Alcuni indossavano
vestiti informali all'occidentale, altri le tradizionali
tuniche bianche che, ai suoi occhi, conferivano loro una
statura indefinita. Tutto il gruppo si allontanò dal
capolinea e si diresse verso quattro macchine discutendo con
fare teatrale su chi dovesse salire su quale, dove ognuno
trovò posto per sé. Julie si sedette accanto al posto di
guida, dividendo il sedile anteriore con il marito che
sedeva vicino allo Zio sull'auto di lui, la più bella. Gli
altri li scortarono in un corteo rumoroso fino a
destinazione: il posto, la strada, la casa che Ibrahim ibn
Musa aveva lasciato per arrivare fino all'officina dietro
l'angolo dell'EL-AY Café.
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