Copertina
Autore Nadine Gordimer
Titolo Un'arma in casa
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1998, I Narratori , Isbn 978-88-07-01544-1
OriginaleThe House Gun [1998]
TraduttoreGrazia Gatti
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa sudafricana
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Pagina 11 [ inizio libro ]

E' successa una cosa terribile.

Seguono la notizia alla televisione dopo cena, con una tazza di caffè appoggiata lì accanto. Bosnia, Somalia o il terremoto che come un mastino scuote tra fauci apocalittiche un'isola giapponese: uno qualsiasi dei disastri di quel periodo. Quando suona il citofono si guardano con amichevole riluttanza; vai tu, tocca a te. Fa parte del patto che si stringe vivendo insieme. La decisione di lasciare la loro casa e trasferirsi in questo complesso residenziale con giardiniere e ingresso sorvegliato è recente e non sono ancora abituati, o piuttosto tendono momentaneamente a dimenticare che adesso a convocarli non è l'abbaiare di Robbie o l'antiquato squillo del campanello della porta d'ingresso. Nel complesso residenziale non sono ammessi animali domestici, ma loro fortunatamente hanno potuto mandare il cane dal figlio, che abita in un villino.

Lui, lei... il balenio di un sorriso, lui si è alzato con un'espressione pigra ed è andato a sollevare il ricevitore più vicino. Chi? lo ha distrattamente sentito dire lei, ascoltando distrattamente il commento alle immagini. Chi? Poteva essere qualcuno che voleva convertirli a una qualche setta religiosa, o che doveva consegnare un'ingiunzione di pagamento per una multa, c'era chi lo faceva, come secondo lavoro. Lui ha detto qualcos'altro che lei non ha capito, seguito dal ronzio elettronico del tasto che fa scattare la serratura.

Dopo di che lui le ha chiesto: Hai idea di chi sia un certo Julian qualcosa? Amico di Duncan?

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Pagina 27

"Può dirci qualcosa di quell'amicizia, praticamente condividono la proprietà, dovevano andare d'accordo per decidere di fare una cosa del genere, di vivere cosi vicini... Cosa può aver portato Duncan a essere accusato di un tale orrore? Lei deve capire, noi - mia moglie e io, genitori e figlio - siamo tre adulti indipendenti, siamo legati ma non ci aspettiamo di essere al corrente di tutto quello che succede nella sua vita. Sono rapporti diversi. Noi abbiamo il nostro rapporto con lui, lui ha i suoi con tutti gli altri. E' sempre andato tutto bene. Ma quando ti piomba addosso una cosa del genere... ci ha fatto capire quali possono essere le conseguenze di questo... rispetto, credo si possa chiamare. Non sappiamo niente di quello che abbiamo bisogno di sapere. Chi era quest'uomo? Cosa aveva a che fare con Duncan? Lei sicuramente lo sa! Non possiamo andarlo a trovare domani e chiederlo a lui, le pare? Nel parlatorio di un carcere? Davanti alle guardie, e a chissà chi altro... "

"E' un'amicizia di vecchia data, be' di sicuro con Dave, che ha fatto architettura con Duncan, come me... io lavoro con Duncan, per lo stesso studio. Però non sono andato a stare con loro quando hanno preso in affitto insieme la casa e il cillino. Khulu fa il giornalista, mi pare che il primo a incontrarlo sia stato Duncan, quando Khulu aveva deciso di trasferirsi in città da Tembisa. Carl, Carl Jespersen" (è difficile parlare, o sentir parlare, di un uomo che giace in obitorio nel tono con cui si scambiano informazioni qualsiasi) «Jespersen è arrivato due anni fa, credo, con una troupe cinematografìca danese - o forse erano norvegesi - e per un motivo o per l'altro non se n'è più andato. Lavora... lavorava in un'agenzia di pubblicità. Loro tre hanno preso ìa casa e Duncan il villino. Però in pratica è una gestione comune. Cioè, io ci vado spesso ed è sostanzialmente casa aperta, ci abbiamo passato dei bei momenti."

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Pagina 72

Quando ti è stato dato un disastro che sembra oltrepassare ogni misura, non deve essere recitato, detto?

Quella di Harald dai libri è diventata una vera dipendenza, in senso patologico: l'essenza delle spiegazioni fantastiche che gli scrittori danno del mistero della condizione umana gli permetteva, dopo aver letto fino a notte fonda, di alzarsi al mattino e presentarsi alle riunioni del consiglio di amministrazione. Ricorreva a vecchi libri, li rileggeva: il contesto dell'epoca in cui erano ambientati lo strappava al presente in cui suo figlio era in attesa di processo per omicidio. Ma come suo figlio, anche lui trovava i propri brani, parole onnipresenti per lui anche senza bisogno di copiarle insieme alle altre citazioni nel quaderno custodito sotto chiave nel suo ufficio. "... L'uomo è come ha voluto essere e come fino alla sua estinzione non cesserà di voler essere; ha avuto piacere di uccidere e non paga quindi un prezzo troppo alto dando la vita. Muoia, dunque, e sconti la sua più intima voglia."

"La sua più intima voglia?"

"La sua più intima voglia."

"E' assurdo che l'assassino sopravviva all'assassinato. A quattr'occhi, senza testimoni, come due esseri fanno soltanto in un'altra affine occasione, l'uno passivo, l'altro attivo, hanno avuto in comune un segreto che li lega per sempre. Devono stare uniti."

Il Naphta di Thomas Mann parlava a Harald nei silenzi che lo accompagnavano ovunque: i silenzi accusatori tra lui e la moglie, difensivamente ostili; i silenzi che abitava anche mentre sottolineava le irregolarità nelle decisioni discusse durante riunioni di affari o mentre dibatteva gli effetti delle nuove politiche fiscalí sul finanziamento delle obbligazioni ipotecarie; un sussurro nella mente come un canto nelle orecchie. I modi disinvolti della ragazza nello studio dell'avvocato, quando Motsamai aveva detto: Aveva paura di lui. E lei, quasi come vantandosene: Era lui ad avere paura di me. Avevano paura l'uno dell'altra? Ma nell'esperienza della paura non deve sempre esserci da una parte chi spaventa e dall'altra chi teme? Come è possibile che il pericolo si equivalga? Stretti in una morsa letale: ed è proprio quello che diventa, letale. Quindi se la vittima di suo figlio fosse stata Natalie/Nastàs'ja sarebbe esistita una spiegazione: dovevano stare uniti. L'altra faccia del concetto di amore sessuale, romanticamente definito come un perfetto stato di unione che la sana, antiquata cerimonia del matrimonio dichiara, con la benedizione divina, un corpo solo.

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Pagina 76

Sto cercando di capire, Harald. Tu non sei mai stato innamorato?

Che domanda idiota. Proprio tu me lo chiedi. Sono stato innamorato di te. Ero pronto a morire per te, anche se doveva essere una comoda illusione giovanile perché sapevo che molto probabilmente non sarebbe mai stato necessario. Ma immaginare che sarei stato pronto a uccidere... anche solo me stesso. No. L'amore è vita, è la forza procreatrice, non può uccidere. E se lo fa non è amore. Mi è impossibile, impossibile immaginare cosa provasse per quella donna.

Allora forse la odia. L'ha punita togliendole l'uomo che voleva. Uccidendo lei le avrebbe risparmiato la sofferenza.

Non stiamo parlando di un dibattito medico sull'eutanasia. Come non sapesse che se anche lei perde un uomo ne troverà presto un altro.

Noi siamo stati innamorati, tu sei stato innamorato di me, follemente, a quanto dici... cosa avresti fatto se mi avessi trovata come come lui ha trovato lei?

Claudia. Come faccio a saperlo. Non posso provare quello che avrei provato allora. Ti avrei lasciata, adesso non saremmo qui, Duncan non esisterebbe... questo è quello che dico ora. Oh, ma forse invece ti avrei rivoluta per scoparti io, come faccio a sapere cosa avrei fatto, innamorato. Bambino viziato o no, quel genere, di amore non l'ha imparato da me. Io non avrei tolto la vita a nessuno.

Lo dici perché adesso sappiamo che bisogna sopravvivere a qualsiasi tragedia.

Tu ne saresti stata capace? Ci sono donne che dicono di aver ucciso "per amore"... che domanda da fare a te che passi i tuoi giorni a tenere in vita le persone. Che insulto, anche solo chiedere.

Ma il tono era di schemo.

Ci sono anche donne che quando hanno da dire qualcosa che non si dovrebbe dire mai si mettono a gridare. Scagliano le parole, e altre che invece abbassano la voce come se volessero parlare tra sé e sé e le si sentisse solo per caso. Claudia è una di loro.

Adesso capisco che io non sono mai stata innamorata così... follemente, come dici tu. Mai.

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Pagina 126

I pilastri che sostengono il soffitto vanno evitati; Harald esita prima di fare una seconda scelta e adesso è come se si trovasse in una specie di teatro e volesse essere sicuro di poter seguire la rappresentazione senza ostacoli. Un funzionario porta le caraffe d'acqua e le dispone lungo il semicerchio del tavolo davanti alle sedie dei giudici; un microfono acceso per prova gorgoglia e fischia; i funzionari si impartiscono a vicenda ordini amichevoli in un misto di inglese e afrikaans... la mente vaga... così questo livello dell'impiego pubblico (e quello dei secondini che stanno in piedi ai lati del prigioniero nel parlatorio) è ancora appannaggio di questi bianchi, uomini e donne, un tempo il popolo eletto, vecchi che ansimano i loro ultimi giorni da portieri, giovani uomini e donne che appartengono all'ultima generazione per cui un posto statale dopo la scuola è una sinecura dei bianchi. Si affrettano su e giù, davanti e dietro a Harald; le giovani donne sembrano portare tutte un'uniforme scelta per tacito consenso, un completo che varia a seconda dei gusti e delle attrattive sessuali da mettere in risalto. Bianco e nero, come le figure nelle scene di tribunale riprodotte dalle litografie di Daumier che lui e Claudia un anno avevano comprato sulle bancarelle dei libri a Parigi, dovevano darle a Hamilton, un'aggiunta appropriata alle icone del prestigio legale in quella stanza con la sua distesa scintillante - la scrivania - e l'armadietto del pronto soccorso da cui con gentilezza, al momento giusto, il brandy veniva dispensato a chi affogava nelle rivelazioni che gli erano state fatte. Harald si riscuote; guarda l'orologio. E la gente comincia ad arrivare e a prendere posto intorno a lui.

Non conosce nessuna di quelle persone, tranne il paio di espressioni che ricorda dalle fotografie sui giornali o dai dibattiti in televisione - è un pubblico venuto per principio, individui che appartengono a organizzazioni per i diritti umani o sono politicamente impegnati, a favore o contro, su temi come quello che sta per essere affrontato. Lui e sua moglie non hanno mai preso parte all'espressione pubblica delle opinioni private, processo tramite il quale - gli pare di capire - le opinioni si trasformano in convinzioni: eccolo lì ora, tra quegli uomini e quelle donne. Alla sua destra giunge all'improvviso una fragranza di gigli, una donna profumata si sistema rivolgendo un cortese cenno di saluto a un vicino che dev'essere sicuramente un alleato, altrimenti perché sarebbe lì? Lei ha lunghi capelli rossi della cui eccezionale abbondanza è consapevole e continua a sollevarseli dalla nuca con un gesto aggraziato mentre fruga nella cartelletta che tiene in grembo. Alla sinistra di Harald si siede per qualche minuto un nero che ora tiene lo sguardo abbassato sulle braccia conserte, ora gira la testa a destra e a sinistra; quando lui si alza, un anziano signore bianco prende il suo posto e lo riempie con la sua mole e i vestiti ingombranti. Se sia povero o se i jeans taglia forte, lisi sulle ginocchia e sulle curve esagerate, la camicia a scacchi da operaio e il gilè di pelle consumato siano espressione di un disinteresse per le cose materiali, Harald - estraneo all'ambiente in cui quel codice di abbigliamento si colloca - non può saperlo. Si scansa un tantino, comunque, per non imbarazzare l'uomo. E', cosi che trascorre i minuti; per non pensare, per non pensare alla ragione per cui lui, Harald, si trova lì. E' intensamente consapevole di quanto la sua presenza sia straordinaria nel motivo, ignoto a tutti loro, che lo ha condotto in quell'aula.

E' solo come non è mai stato in vita sua.

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Pagina 229

Non c'è mai stato, non c'è silenzio come quello che regna in tribunale quando il giudice solleva la testa per pronunciare il verdetto. Ogni altra forma di comunicazione, interna ed esterna, si quieta. Tutto è giunto al termine.

Questa è l'ultima parola.

Claudia siede con le mani intrappolate sotto le gambe, come per riconoscere l'irritazione che Harald ha dovuto sopportare lì nei giorni passati, avvertendo al proprio fianco il movimento incessante con cui lei si passava l'unghia del pollice sotto il bordo delle altre unghie. Khulu è con loro, seduto all'altro lato di Claudia.

E le tenebre sono calate sulla terra.

Sono tutti e tre immersi in quello stato di intensa concentrazione che - come lui, suo marito, una volta ha cercato di spiegarle - nella definizione di Simone Weil corrisponde alla preghiera. Harald non sa se sta pregando; dubita di tutto. Per cosa si prega in genere in un momento così? Dodici anni dovrebbero essere il massimo, dieci è più probabile, Hamilton dice sette, otto sono la clemenza che ci si aspetta - sarebbe implicito - per un trionfo della difesa.

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Pagina 259

Ovunque siano poi andati, in aereo o in macchina, il mondo che li chiamava era magnifico. Lui stava nella sua cella e un bambino indigente dormiva coprendosi la testa con le braccia nelle strade di Cape Town, sotto la montagna eterna che ti fa desiderare di vivere per sempre. Quella che dalla prospettiva di una macchina in movimento sembrava la discarica di rifiuti di una città era una bassa e sconfinata distesa di cartone, lamiera, tela di plastica ed esseri umani ridotti a detriti sotto un cielo, uccello cosmico, trionfantemente piumato di cirri tinti d'oro nella luce che splendeva da miliardi di chilometri di distanza. Una notte magnifica tremava di tuoni, con lampi scagliati in ogni direzione. Il mare placido copriva senza distinzione antichi relitti marcescenti e l'inquinamento del presente con una lucida superficie di colore luminoso su cui riposavano i gabbiani. Sembrava possibile camminare su quell'acqua, non c'era da meravigliarsi se Harald credeva davvero che un tempo fosse successo.

Segnali di vita, dappertutto, malgrado tutto. L'ombra dell'aereo una grande farfalla sopra la vegetazione, i raccolti quasi maturi e il deserto lilla. Di notte da una finestra, le luci tremule nella valle che chiamavano, chiamavano. Claudia cominciava ad avere la sensazione che lei e Harald aspettassero un segnale, il segnale che avrebbe rimesso in moto l'esistenza, che li avrebbe fatti uscire dalla regressione in cui si erano rifugiati agendo in automatico, riempiendo con l'eco delle loro voci il vuoto privo di significato. Cercava di pensarci in termini pratici: forse dovevano lasciare la villetta nel complesso residenziale cosi come di fatto già era, svuotata della loro vita. Forse dovevano cambiare casa.

Ma era possibile che una squadra di professionisti con le loro scatole da imballo e i loro furgoni portassero a termine un tale cambiamento? E le cose di Duncan dal villino, insieme a tutto il resto, non sarebbero state recapitate, scaricate e risistemate intorno a lei e Harald nella nuova abitazione?

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Pagina 264 [ fine libro ]

E Duncan?

Duncan ha ottenuto il permesso di lavorare nella biblioteca del carcere, oltre a proseguire gli studi in cella. Non è un granché di biblioteca, quanto al genere di libri che lui e Harald hanno bisogno di leggere: le opere pericolose e indispensabili che ti rivelano ciò che sei. Non è molto frequentata. I prigionieri destinati a occupare per anni le celle vicine alla sua sono in genere uomini per cui la vita è stata azione, non contemplazione; nella violenza, sua e loro, c'è la fuga da se stessi. Uccidendo l'altro si cerca di uccidere quella parte di sé che rende l'esistenza un tormento. Così sopravvive solo la bestia, in gabbia: i detenuti per lo più sono terribili, colmi di un odio biascicante, le mani strette a pugno, pronte a colpire ancora, mani così non possono stringere quegli oggetti fragili - carta e rilegatura - che potrebbero offrire loro l'unica libertà disponibile lì dentro, dietro a quelle mura.

Chi mai sarà a decidere quali sono le letture adatte ai criminali? Presumibilmente il criterio è che non contengano nulla atto a riaccendere passioni che già hanno infuriato e distrutto. Riabilitazione. Religione in abbondanza; come se la religione non avesse mai infiammato passioni omicide e non lo facesse tuttora, oltre quelle mura. Manuali per autodidatti raramente consultati: Principi di ragioneria e contabilità, sistemi per una vita che non conosce caos. Ma tra le pile di gialli tascabili (perché mai i carcerati dovrebbero voler leggere di omicidi immaginari quando loro li hanno commessi realmente?) tra questi libri aperti fino al dorso come se contenessero qualcosa che si può trovare solo spaccandoli come una noce di cocco o aprendoli come un'ostrica, ci sono anche dei libri veri, Dio sa come sono arrivati lì. Forse quando ti lasciano uscire, quando hai fatto i tuoi anni, come diciamo qui, è abitudine lasciare i tuoi libri a chi sicuramente ti seguirà. A volte trovo qualcosa anche per me. C'è una traduzione dell'Odisea con i pesciolini d'argento morti tra le pagine. Non conoscevo questo libro - esaltato nel suo genere al pari della Bibbia - se non direttamente, dalle citazioni che altri autori ne fanno; Harald non è mai riuscito a farmelo sembrare interessante, ammesso che l'abbia letto. L'architettura dell'antica Grecía - sì, certo, quello era più il mio genere da studente e ho la consueta riserva di curiosità Mitologiche. Edipo si è cavato gli occhi per il suo crimine. Più o meno tutto qui. Adesso però ho trovato qualcosa che era destinato a me, qualcosa che mi aspettava in questo luogo, nei miei anni. Anni in cui leggere e rileggere. "Così disse, e indirizzò la freccia, / ficante, sulla testa di Antinoo. Ora costui / stava per accostarsi alle labbra una bella coppa / biconcava, d'oro, per bere; l'aveva già sollevata / in alto con ambedue le mani; non gli passava / nemmeno per la testa l'idea della morte. / E chi avrebbe pensato, lì tra la gnte seduta / a pranzo, che un uomo, uno solo, e fosse magari / anche di grande valore, ma uno solo in mezzo / a una folla, sarebbe riuscito a portare la mala / morte e il Dèmone funereo, fin lì? Ebbene Odisseo / mirò dritto e la freccia prese Antinoo alla carotide; / la cuspide traversò il tenerume del cervelletto / e gli usci fuori dall'altra parte. Quindi Antinoo / cascò giù all'indietro, e la tazza gli schizzò via / di mano. Abbattuto!" Ed ecco Odisseo che grida agli altri uomini intorno a Penelope: "Cani siete! ... / ... aspirate a sposare mia moglie / mentre io ero ancora vivo!".

Il momento in cui levi la mano - l'uomo in manicomio aveva ragione, non ricordo quel momento ma lo ricostruisco, ho dovuto farlo; ho trovato che sembra una scoperta, è una cosa che ti colpisce come se non l'avessi mai saputa prima. Eppure è sempre stata lì, da scoprire e riscoprire, per sempre. Una volta dopo l'altra, ciò che Odisseo ha fatto e ciò che Omero, chiunque fosse, sapeva. La violenza è una storia ripetuta a cui non sembriamo capaci di mettere fine: oh guardateli, i miei fratelli - Bra, hanno il diritto di chiamarmi, anch'io tra la folla di convitati intorno alla nostra stessa carcassa in questo luogo fortificato soltanto per noi - li guardo quando siamo nel cortile per l'ora d'aria, marciano e girano in tondo, percorrono sempre lo stesso cerchio. Non sono ancora arrivato alla fine del libro, non so come Odisseo abbia ricostruito quello che ha fatto, che modo abbia trovato per sé. Cavarsi gli occhi. Puntarsi la pistola alla testa.

O buttarla nel giardino. E' una scelta che è stata compiuta. Si può smettere di ripetere la storia rifiutandosi di usare violenza contro se stessi? Ho questa vita, qui dentro. Non l'ho data in cambio della sua. Uscirò persino di qui portandomela dietro, un anno o l'altro. Chi ha ucciso non è stato ucciso. Sono stato fortunato, la regola è stata abolita nei miei anni. Ma devo trovare un modo. La morte di Carl e il bambino di Natalie, penso all'una e poi all'altro, all'una e poi all'altro. Sono diventati una cosa sola, per me. Non importa se gli altri capiranno o no: Carl, Natalie/Nastàs'ja e io, noi tre. Ho dovuto trovare un modo per riunire la morte alla vita.

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