Copertina
Autore Daniele Gouthier
CoautoreElena Ioli
Titolo Le parole di Einstein
SottotitoloComunicare scienza fra rigore e poesia
EdizioneDedalo, Bari, 2006, La scienza nuova 129 , pag. 218, cop.fle.sov., dim. 139x210x15 mm , Isbn 978-88-220-0229-7
PrefazioneTullio De Mauro
LettoreRenato di Stefano, 2006
Classe scienze naturali , storia della scienza , comunicazione , epistemologia
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Indice

Prefazione
di Tullio De Mauro                                         5


STORIE

Capitolo primo
Lavoisier e la grammatica della materia                   13

Capitolo secondo
Fibonacci e l'armonia dei numeri                          25

Capitolo terzo
Homo sapiens e l'evoluzione del gruppo sociale            35

Capitolo quarto
Gell-Mann e la ricerca di un ordine nella natura          45

Capitolo quinto
Wiles e la risposta a Fermat                              55

Capitolo sesto
Shannon e una teoria della comunicazione                  63

Capitolo settimo
Thom e le forme del mondo                                 75


INTERMEZZO

Capitolo ottavo
Lo specchio e la maschera                                 85


ARGOMENTI

Capitolo nono

Il metro della conoscenza                                 91

Raccontare tra rigore e inesattezza                       91
Trifogli, modelli e rappresentazioni                      93
Riconoscere la bellezza e comprendere la natura           96
Una guida per la conoscenza scientifica                  100

Capitolo decimo

Scienza e società                                        103

Scienza, téchne, tecnologia                              103
Tecnologia e analfabetismo scientifico                   106
Alla ricerca del consenso critico                        108
L'imprevedibilità del progresso scientifico              110

Capitolo undicesimo

Informazione e struttura                                 113

Trasformare i dati in informazione                       113
Linguaggio, forma, poesia                                115
C'è forza e forza                                        118
I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo          121
Parole nuove per descrivere realtà nuove                 123
Nell'occhio di chi guarda                                126

Capitolo dodicesimo

La lingua tira la scienza                                129

I tempi del testo scientifico                            129
Acculturazione linguistica e perdita dell'informazione   133
Ciò che conta è chi comanda                              136
Un ambizioso progetto irrealizzabile                     137

Capitolo tredicesimo

Termini, definizioni, ambiguità                          143

La nascita dei termini e la registrazione delle scoperte 143
I1 principio di indeterminazione della definizione       145
Il caso dei diagrammi di Feynman                         148
Linguaggio figurato e rigore scientifico                 151

Capitolo quattordicesimo

Uno strumento potente ma pericoloso                      155

Vicino al cuore della scienza                            155
Immagini dall'esperienza                                 158
I concetti che si possono visualizzare                   160
Un buco nero non è un buco                               164
Un inaspettato cespuglio fossile                         166
Le metafore sono ombre del mondo                         169

Capitolo quindicesimo

Un diritto del cittadino, uno strumento dello scienziato 173

La necessità della comunicazione                         173
Alla radice del rigore                                   176
A difesa della struttura emotiva dell'uomo               179
Convertire per chiarire                                  180
L'importanza sociale della comunicazione della scienza   184

Capitolo sedicesimo

Pubblici, pubblici e ancora pubblici                     187

La diffusione della cultura scientifica                  187
Parlare a un pubblico                                    189
Un microlinguaggio parlato da pochi                      192
Esempi di patologia della comunicazione                  193
C'è qualcuno là fuori!                                   195


Bibliografia                                             203


Indice dei nomi                                          207

Quelli che fanno scienza                                 207
Quelli che pensano sulla scienza                         209
Quelli che non c'entrano con la scienza                  212

 

 

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Pagina 45

Capitolo quarto

Gell-Mann e la ricerca di un ordine nella natura


Murray Gell-Mann è un ragazzo di appena ventisei anni quando viene assunto al California Institute of Technology. Prima di allora, consegue un PhD al MIT, è borsista a Princeton, presso l'Institute for Advanced Studies, poi all'Università di Chicago, presso le sedi più prestigiose della fisica. Ha un eloquio forbito, tagliente, incisivo. L'articolo Isotopic Spin and new unstable particles, scritto da Gell-Mann appena ventiduenne, parla con chiarezza di una nuova gerarchia delle interazioni in natura, e di un corrispondente ordinamento delle particelle su cui tali forze agiscono. A leggerlo, sembra di sentire risuonare una sinfonia familiare, eseguita però con un'interpretazione originale e pulita. Si potrebbero già trovare i segni della creazione di un nuovo linguaggio. O meglio della capacità di rivisitare le parole per dar vita a suoni nuovi e significati insoliti, informazioni prima d'allora nascoste nelle pieghe della lingua. Chi frequenta Gell-Mann, lo ricorda correggere con instancabile pignoleria gli errori di grammatica scovati nei menu francesi, spagnoli, italiani dei ristoranti americani. Scrive di lui un giornalista del «New York Times» subito dopo un'intervista: «Pronuncia "Chagas" come un brasiliano. È stato sorpreso a correggere la pronuncia ucraina di nativi del luogo e a denigrare lo Swahili dei kenyoti». È il padre, emigrato austriaco a New York e proprietario della Arthur Gell-Mann School of Languages, a iniziarlo allo studio delle lingue. Nella sua scuola cerca di trasmettere ad altri immigrati la padronanza di un inglese corretto. Lo stesso Gell-Mann dirà di suo padre, con l'ironia che lo contraddistingue: «l'unica cosa da cui si potesse sospettare un'origine straniera era che non faceva mai errori».

Anche Murray Gell-Mann pronuncia i nomi stranieri in maniera impeccabile. Poliglotta geniale, a quanto si dice, parla correttamente almeno quindici lingue, moderne e antiche. E parlare una lingua, per Gell-Mann, non vuol dire mettere in fila frasi ripetitive e stentate, con un accento marcato e riconoscibile, ma cercare di impadronirsi dei meccanismi sintattici e strutturali che la costituiscono, affinare l'orecchio per riprodurre alla perfezione i suoni, cercare una costante attenzione ai dettagli fonetici, grammaticali, morfologici. Anche la fisica diventa un'ulteriore lingua straniera, che ha in sé la precisione tecnica della matematica e le potenzialità di attingere alle altre lingue per formare un personalissimo vocabolario, che si è rapidamente esteso alla scienza moderna.

Il decennio che va dai primi anni '50 all'inizio degli anni '60 è stato fervido e instancabile per la comunità dei fisici teorici. La fisica delle particelle era alla ricerca di uno schema che permettesse di mettere ordine nel caos in cui era stata gettata dalla scoperta di una molteplicità sempre crescente di particelle subatomiche. Durante il secondo conflitto mondiale, si stavano eseguendo i primi esperimenti con gli acceleratori di nuova concezione. A Manchester, con un elettromagnete e una camera a nebbia, nel 1946 erano state trovate due serie di tracce che denunciavano la presenza di nuove particelle: l'una apparteneva al decadimento di una particella neutra, l'altra era prodotta invece da una particella carica, entrambe circa un migliaio di volte più massicce dell'elettrone. Furono chiamate particelle V, perché nella camera a nebbia lasciavano una traccia bifida.

Per spiegare il comportamento di alcune di queste nuove particelle V, che sembravano violare sia le leggi dell'interazione forte che quelle dell'interazione debole – che insieme all'elettromagnetismo e alla forza gravitazionale rappresentano le quattro forze fondamentali della natura – Gell-Mann introduce il concetto di «stranezza». Partendo dal concetto di «indipendenza dalla carica», innanzi tutto raggruppa particelle che hanno le stesse caratteristiche e differiscono solo per la carica elettrica. Per esempio il protone – che ha una carica pari a +1 – e il neutrone – che ha una carica pari a 0 – vengono considerati due varietà di una stessa particella, detta «nucleone», che ha una carica media (o «centro di carica») pari a +1/2. Secondo lo stesso principio, molte particelle possono essere riunite in coppie («doppietta»), in gruppi di tre («tripletti») o, più in generale, in «multipletti». Per far rientrare in questo schema di classificazione anche le particelle V – per lo più create in laboratorio dalla collisione ad altissima velocità di altre particelle – Gell-Mann identifica una loro proprietà comune, che definisce «stranezza». La stranezza viene conservata in tutte le interazioni governate dall'interazione forte, e ciò permette a Gell-Mann di predire l'esistenza di numerose altre particelle strane.

Gell-Mann è severissimo, implacabile con se stesso: a differenza della gran parte dei teorici, è convinto che la pubblicazione di un'idea sbagliata lasci una macchia indelebile nella carriera di uno scienziato. Eppure, possiede un raro talento, quello di riconoscere strutture e simmetrie in ambiti intellettuali dove esse non risultano per nulla evidenti ai suoi colleghi. In più di un'occasione, alle prese con caotiche e oscure tabelle di dati relativi alle proprietà di nuove particelle, riesce a decodificare una sorta di linguaggio strutturale, trovando la chiave che permette di gettare un po' di luce sull'intera disciplina di ricerca. Le lingue straniere, i linguaggi scientifici, i linguaggi-macchina con cui sono scritti gli output della natura sono una sfida raccolta da Gell-Mann quasi sempre con straordinario successo.

Murray Gell-Mann è alla ricerca di un ordine il più possibile senza sbavature nella descrizione delle particelle della natura. Gli serve il formalismo pulito della matematica, la sua perfetta (e inutile) astrattezza piegata costruttivamente alla spiegazione del mondo. Spesso le buone idee in fisica nascono dall'intuizione, e quello che Gell-Mann intuisce nel 1961, utilizzando la teoria dei gruppi di simmetria, porta il prestigioso marchio della semplicità. Conciliare l'idea con i dati è questione di manipolazione algebrica, roba da manovali della scienza: Gell-Mann concepisce un sistema di classificazione delle particelle basato su un certo gruppo di simmetria, in cui le particelle vengono raggruppate in «famiglie», descritte da otto numeri che ne definiscono caratteristiche e proprietà comuni. Gell-Mann chiama questo schema «l'ottuplice sentiero», con esplicito e scherzoso riferimento alle otto virtù necessarie a raggiungere l'armonia secondo l'insegnamento del Buddha:

Ora questa, o monaci, è la nobile verità che conduce alla cessazione del dolore: questo è l'ottuplice nobile sentiero: ossia retta opinione, retta intenzione, retto discorso, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto intelletto e retta concentrazione.

Avrebbe potuto chiamarlo «ottetto perfetto», richiamando la celebre regola chimica dell'ottetto per la collocazione degli elettroni negli orbitali, oppure «gioco a otto», facendo il verso alla teoria dei giochi, ma Gell-Mann introduce Buddha nella scienza, e l'ingresso è di quelli che fanno calare il silenzio in sala, e tutti a guardare ammirati il nuovo arrivato. Forse l'allusione alle otto vie per raggiungere l'illuminazione, le otto nobili strade nel cammino dell'uomo mortale verso la verità, può sembrare derisoria, o pretenziosa – quasi a voler dire che solo la scienza può avvicinare l'uomo alla verità, alla saggezza, alla conoscenza illuminata. Probabilmente le cose sono più semplici, meno simboliche, e non alludono a metasignificati celati dietro a un nome scelto con naturalezza da uno spirito vivace ed eclettico. Non c'è nessun motivo scientifico perché questo nuovo schema di classificazione debba chiamarsi così. Gell-Mann ama scherzare, fare digressioni, è un uomo coltissimo, un lettore instancabile: così facendo, lascia aperto il canale di comunicazione che permette a contributi extra-scientifici di entrare a far parte della scienza, e di partecipare in modo determinante all'assegnazione dei nomi delle entità della fisica. Questo suo ironico richiamo ai precetti del buddismo offrì fra l'altro il fianco a illazioni su un presunto legame fra la fisica quantistica e i misteri del misticismo orientale, che Gell-Mann ovviamente accolse con una certa irritazione.

Dal punto di vista teorico, l'idea dell'ottuplice sentiero è bella, nel modo in cui si definisce bella, o elegante, una teoria scientifica: un gruppo, semplice perché determinato da otto generatori, origina ottetti (rappresentazioni con otto particelle) e decimetti (rappresentazioni con dieci particelle), che danno conto di tutte le particelle note e possono essere illustrati con semplici diagrammi. Tutti gli scienziati sanno però che se una teoria è valida deve permettere di fare previsioni verificabili sperimentalmente, e che la verifica sperimentale è la consacrazione della correttezza di un modello teorico. La teoria della relatività generale di Albert Einstein prevedeva la deflessione della luce di una stella a opera di un corpo massivo. Quando Arthur Eddington, nel 1919 durante un'eclisse di Sole, riuscì a misurare tale deviazione, la relatività rafforzò enormemente il suo credito agli occhi di una parte della comunità scientifica che nutriva un certo scetticismo. Allo stesso modo, Gell-Mann ipotizza l'esistenza dell'ultima particella del decimetto, la chiama omega minus e ne fornisce pure la massa, 1685 Mev. Nel 1964, quasi due anni dopo quell'annuncio, a coronamento di un grosso e non facile esperimento che aveva prodotto più di 300.000 metri di pellicola nella camera a bolle utilizzata, l'inequivocabile scoperta della particella omega minus sancisce il definitivo successo dello schema di Gell-Mann.

La teoria dell'ottuplice sentiero viene spesso paragonata per importanza alla tavola periodica degli elementi, con la quale il russo Dmitri Mendeleev rivoluzionò la chimica moderna raggruppando i singoli elementi in famiglie dotate di proprietà comuni. Così come Mendeleev aveva lasciato spazi vuoti nella sua tavola, prevedendo dettagliatamente le proprietà dei nuovi elementi ancora da scoprire, l'ottuplice sentiero di Gell-Mann non solo dispone le particelle secondo uno schema regolare, ma predice l'esistenza di un certo numero di particelle ancora sconosciute che godono delle proprietà necessarie a riempire gli spazi vuoti in alcune delle famiglie. In nome del rispetto di una simmetria superiore – un principio guida che abbraccia l'intero dominio della scienza, dalla chimica alla fisica alla matematica – Gell-Mann avanza predizioni che trovano la loro ragione nella ricostruzione, secondo criteri estetici, di un ordine nella struttura degli elementi e degli oggetti del mondo naturale. Gell-Mann è ben conscio, al di là delle illuminanti intuizioni, che la cosa importante nell'intera fisica teorica rimane capire quello che sta realmente accadendo. Raccomanda quindi la costruzione di acceleratori di particelle più potenti per ottenere le necessarie conferme in laboratorio. In ogni caso, come dice David Gross, direttore dell'Istituto di Fisica Teorica all'Università della California, «al livello fondamentale, la natura, quale che ne sia la ragione, preferisce la bellezza».

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Pagina 91

Capitolo nono

Il metro della conoscenza


Raccontare tra rigore e inesattezza

La scienza è un'attività sociale e, in quanto tale, deve essere resa pubblica. Con John Ziman possiamo dire che «ciò che è peculiare nella comunicazione scientifica formale non è né il mezzo né il messaggio: è il fatto che viene pubblicata».

Gli scienziati adottano il rigore – non solo nella scelta di un linguaggio specialistico, ma addirittura nella struttura del processo logico del pensiero – perché porta a una rappresentazione della realtà più facile da gestire e da far capire ai loro pari. È evidente però che il rigore è una possibile – e plausibile – traduzione di ciò che la realtà esprime allo scienziato in veste di osservatore; e come tutte le traduzioni, anche il rigore aggiunge e toglie qualcosa alla comprensione del fenomeno al quale si applica.

La realtà, in tutta la sua inesattezza, contiene molta più informazione della descrizione rigorosa che ne dà la scienza. Ma l'esattezza, la sistematicità e la possibilità di condivisione che la scienza aggiunge all'informazione naturale trasformano in qualcosa di molto prezioso la fruizione diretta di un fenomeno. In quest'ottica, scienza è ogni processo di trasformazione del sapere che propone una rappresentazione esatta, sistematica e condivisa dell'inesattezza.

Gli enunciati della scienza sono il risultato di un insieme di analisi il cui oggetto è sempre un complicato intreccio di dati ed elaborazioni teoriche. Quindi possiamo dire che riguardano non solo la realtà ma anche le costruzioni teoriche modellate in precedenza: in questo senso un'espressione quale trasformazione del sapere è più calzante di processo incrementale o di sviluppo per accumulazione. Scegliamo cioè di respingere l'idea di un modello deficitario nel quale la scienza progredisce aggiungendo novità positive a un sapere precedente, primitivo e abbozzato. Ciò corrisponderebbe a credere che la conoscenza procede in linea retta, a ignorare che di tanto in tanto la scienza ha bisogno di tornare sui propri passi, a negare che vi sono direzioni nelle quali un progresso si realizza e altre che possono invece produrre una momentanea regressione. Anche quando si propone di fornire soluzioni a problemi concreti, la scienza agisce fondamentalmente sul sapere per produrre nuova conoscenza, è imprescindibilmente teorica, non riguarda tanto oggetti reali (anche quando osserva una roccia, un rituale di accoppiamento, una cellula al microscopio), quanto l'informazione che questi contengono, ciò che è già stato elaborato su di essi.

In questo senso la scienza è una macchina che riduce l'inesattezza, e che ammette in ogni momento la possibilità di trasformazioni successive che offrano nuove rappresentazioni più esatte. Intendiamo dire, cioè, che la scienza si occupa di oggetti dei quali ignora la natura e che vuole capire; per capirli, deve darne una lettura che trascuri gli aspetti inessenziali e cristallizzi quelli significativi; che superi l'inesattezza del singolo fenomeno, della singola astrazione, del singolo fatto, e arrivi a una loro rappresentazione più esatta. Sia chiaro comunque che l'inesattezza è un elemento ineliminabile di ogni processo conoscitivo, di ogni sviluppo scientifico, di ogni nuova teoria; è una caratteristica essenziale dei fatti ai quali s'interessa la scienza, ma anche dei risultati che raggiunge.

Quando si trasmette informazione. l'inesattezza veste i panni dell'ambiguità. Infatti, la trasformazione del sapere che porta dai fatti ai risultati è in misura non trascurabile un'azione comunicativa, e quindi acquista concretezza l'affermazione di Tito Tonietti secondo il quale «la possibilità stessa della comunicazione riposa su tale ambiguità che ne rappresenta in un certo senso la stabilità strutturale».


Trifogli, modelli e rappresentazioni

La natura offre ogni giorno ai nostri occhi una delle sue meraviglie: tutti gli alberi contengono rami, foglie, tronchi in costante, lenta e progressiva crescita. Ma per quanto cerchiamo, non troveremo mai in un albero due foglie uguali, in un prato due trifogli identici, oppure durante una nevicata due fiocchi perfettamente sovrapponibili. Gli elementi della natura sono asintoticamente identici: tutte le foglie di una stessa specie tendono a essere le une uguali alle altre, tutti i trifogli in un prato sono per approssimazione sovrapponibili. Gli oggetti reali sono approssimazioni inesatte di un prototipo esatto, e vengono descritti dalla scienza sotto forma di modelli, che rappresentano la realtà e forniscono le relazioni tra questa e la teoria sviluppata.

La ricerca di un modello esatto (di un modello più esatto, per la precisione) ha lo scopo di garantire il rispetto del principio di riproducibilità di ogni osservazione scientifica.

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Pagina 121

I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo

Dio crea Adamo, lo conduce davanti agli animali della Terra e del Cielo – ma non a quelli che popolano il mare – affinché dia loro un nome. Il fatto che i pesci siano esclusi da questo atto creativo è una dimenticanza del creatore o il desiderio di mantenere un segreto?

Nella prospettiva di chi vuole creare una lingua, il significato è forse che nessuna lingua può essere perfetta, che non esiste una lingua universale: Dio dimentica i pesci perché non può non dimenticarsi dei pesci, in altre parole, non può non dimenticarsi di qualcosa. Ogni lingua è affetta dall'impossibilità intrinseca, connaturata, ineliminabile di parlare di tutto. Wittgenstein sosteneva che un linguaggio è una forma di vita, ed è per questo che i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo. Jean Paul Sartre affermava che le parole «creano» gli oggetti. Così, le parole nella scienza non descrivono tutto, ma vengono scelte per rappresentare un oggetto. È questa l'interpretazione di Lewis Carroll, secondo il quale nelle pieghe del linguaggio il potere – inteso sia come dominio che come possibilità – trova l' humus necessario al suo sostentamento: quando si stabilisce il significato delle parole, «bisognerebbe sapere chi ha da essere il padrone».

Le parole, di cui il linguaggio si compone, rappresentano un oggetto dal momento che proiettano un'ombra sull'oggetto. E ogni parola può proiettare ombre diverse, ognuna che enfatizza e dà risalto a una diversa rappresentazione. Ciascuna delle possibili ombre attualizza una delle possibili attribuzioni di potere, una delle possibili scelte linguistiche. Siamo cioè in presenza di più sistemi di linguaggio, di più rappresentazioni verbali. A parità di contenuto immutato, dobbiamo prevedere l'esistenza di un complesso di rappresentazioni possibili che descrivono gli oggetti rivolgendosi a chi ascolta quelle parole: non esistono copie più o meno perfette (più o meno approssimate) di una realtà data come verità scientifica matematicamente espressa, ma esistono invece diverse rappresentazioni, non classificate in base a criteri di fedeltà, ma rivolte a diversi tipi di interlocutore. Ecco l'importanza della contestualizzazione.

In questo senso, deve essere inteso il ruolo della metafora, che, a seconda della rappresentazione che induce, attualizza uno dei possibili significati. L'uso della metafora, nell'elaborazione della scienza, può diventare espressione di un concetto, e quindi elemento che favorisce la comprensione attraverso l'immagine che ospita, ma su questo torneremo in un capitolo successivo.

In quest'ottica, la comunicazione della scienza è tenuta a interrogarsi sulla relazione fra la forma attraverso cui tale comunicazione si esprime – il linguaggio naturale – e il contenuto che si vuole veicolare e che viene concepito e strutturato in un linguaggio speciale quale quello scientifico. Quest'ultimo poi va sempre più articolandosi in una gran varietà di sottolinguaggi settoriali, ciascuno competente a uno specifico campo di attività scientifica, a uno specifico gruppo di specialisti. Gli esponenti di ognuna di queste corporazioni in cui si è parcellizzato il sapere scientifico parlano un proprio gergo per iniziati, modulato dall'intervento della matematica.

Nel libro Le parole, Jean Paul Sartre afferma che dare un nome alle cose è al tempo stesso crearle e prenderle. Nel processo scientifico di osservazione, interpretazione e spiegazione, è necessario, ancor prima di poter articolare una teoria e stabilire fra gli eventi le connessioni utili a innalzare ulteriormente l'edificio scientifico, munirsi dei nomi delle cose, se quelle cose prima non si conoscevano. La scoperta scientifica si specchia nel linguaggio. Si pensi, ad esempio, ai molti neologismi introdotti per dare nuovi nomi a oggetti dei quali prima si ignorava l'esistenza. Ricordiamo per tutti i quark introdotti da Gell-Mann, e le loro caratteristiche di «sapore» e di «colore». La fisica utilizza spesso nel suo vocabolario specifico (quello che serve per indicare concetti, oggetti, qualità astratte), parole dal preciso significato scientifico, ma dalla grande indeterminazione linguistica. Gli stessi attributi di sapore e colore non sono stati infatti adottati per trasmettere immagini cromatiche o gustative. Il sapore che distingue i quark gli uni dagli altri fa riferimento a differenze di massa e carica; in un secondo tempo, si è resa necessaria l'introduzione della qualità astratta di colore per rispettare il principio di esclusione di Pauli. È vero che la scelta del termine colore risulta in questo caso meno arbitraria, e frutto di un'analogia con i colori visibili, ma non allude certo a una colorazione delle particelle subatomiche. I quark di colori diversi si combinano infatti sempre per formare particelle incolori, qualunque cosa ciò voglia dire. Quanta strada è stata fatta dalla tradizione scientifica nel XIX secolo! Era quella un'epoca di designazione e inaugurazione di nuovi domìni, quali elettromagnetismo e termodinamica, che privilegiava creazioni terminologiche dotte, mutuate dal greco e dal latino, forse tacciabili di esoterismo, ma che sicuramente mettevano in guardia contro la confusione fra un ben determinato concetto teorico e una nozione ordinaria.

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Pagina 201

La scienza è un insieme di conoscenze, un metodo d'indagine, una comunità di studiosi, un modo per guardare le cose e molto altro. Per noi, è una relazione con il linguaggio.

La scienza però è anche l'immagine pubblica, i pregiudizi, le credenze, i miti — veri o falsi che siano, gli uomini e le donne che la impersonano.

Un uomo sopra tutto è la scienza. Di Albert Einstein i più ignorano i risultati e persino il campo d'azione, ma la sua faccia — nelle mille versioni che l'iconografia tramanda e produce — è quella della scienza. Il padre della relatività è allo stesso tempo così noto e così sconosciuto che, in una recente ricerca, è stato indicato da più di due terzi del campione come uno dei tre scienziati più famosi, ma molti non hanno saputo scrivere correttamente il suo nome, e lo hanno storpiato in ventinove modi diversi: Ainstain, Ainstein, Ainsten, Aistain, Aistein, Aistong, Alfred Einstein, Angela Einstein, Einchting, Eindtein, Einestine, Einstain, Eintain, Eintein, Eintstein, Eistain, Eistine, Hainsttin, Haintatin, Haistain, Haistein, Heigstain, Heinstain, Heinstein, Heinsteing, Heintein, Heistain, Heistein, Heisten.

Ecco perché, nel titolo di questo libro, le parole della scienza sono diventate Le parole di Einstein.

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