|
|
| << | < | > | >> |Indice1 Presentazione di Giuliano Poletti 6 Prefazione Attualità dell'idea e dei valori cooperativi di Pier Luigi Bersani 10 I motivi dell'indagine 16 Cooperazione e politica: appunti teorici 25 I casi di studio 25 Lo scorcio dell'Ottocento, le «ingiuste persecuzioni» 30 L'«assalto del fascismo alla cooperazione italiana» 43 Il secondo dopoguerra e la «violenza legale» 56 «Ammodernamento del sistema» o «fine della cooperazione»? Cronaca di un conflitto a lieto fine 77 Le simmetrie verticali 80 Postfazione Cooperazione e classi politiche: considerazioni impolitiche di Giulio Sapelli 85 Bibliografia 88 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 10I motivi dell'indagineLa cooperazione, come modello e qualunque ne sia la matrice, si trova al momento presente in una fase di netta trasformazione. Questo fatto è ormai generalmente condiviso, fatto proprio e promosso, in primis, dal sistema cooperativo stesso. I motivi dei mutamenti sono vari, noti, spesso analizzati e innanzitutto di ordine esogeno: si tratta dei fenomeni comunemente indicati come "globalizzazione", l'accelerazione nei cambiamenti tecnico-tecnologici, economici, che si trasferiscono alla società globale, con le sue strutture, abitudini, dinamiche, modellandola e influenzandola. Ma questi fenomeni sono anche endogeni, interni al sistema cooperativo, e riguardano le sue opportunità e i suoi limiti in questo momento storico; le modalità, in definitiva, con cui un modello di impresa, altro da quello classico, può esercitare la sua potente spinta ad agire e influenzare l'economia in cui è calato, secondo i valori di cui è storicamente portatore e che ne hanno determinato la nascita: i valori etici di democrazia, di partecipazione e responsabilità nell'agire economico della società. Le trasformazioni in atto hanno avuto la diretta conseguenza di provocare negli operatori della cooperazione, indipendentemente dalle varie anime che li differenziano, e negli studiosi delle più varie discipline, che hanno guardato spesso con occhi appassionati al fenomeno cooperativo, un'attenzione all'analisi, al dibattito, a volte alla discussione, sulle modalità di affrontare questi cambiamenti, adattandosi a essi, non solamente difendendosi dai rischi ma anche e soprattutto non perdendo alcuna opportunità di avallare il ruolo della cooperazione come forza in grado di contribuire idealmente e concretamente all'integrazione delle regole — spesso non regole — del mercato oggi dominante. Questo ha spinto e tutt'ora spinge al tentativo di individuare modalità di rinnovamento organizzativo e strutturale in grado di fare della cooperazione uno strumento il più efficace ed efficiente possibile nella elaborazione di strategie in linea con le necessità prospettate. Ovviamente, e il richiamo è venuto da più parti, ogni mutamento e rinnovamento, fossero anche i più epocali, non potranno che avvenire in una linea di continuità con l'ultracentenaria storia del movimento, con un'attenzione primaria e vigile ai valori storici sedimentati nel tempo, ai quali, sempre, dovrà essere attribuito un diritto di veto nei confronti di soluzioni che, pure se ottime dal punto di vista dell'efficienza economico finanziaria, dovessero rappresentare dei rischi per il mantenimento e il consolidamento costante della specifica identità cooperativa. Peraltro, almeno dal punto di vista teorico, la consapevolezza che la cooperativa è sia «impresa» che «movimento sociale», vero antidoto a ogni deriva in senso economicistico ovvero politico, pare ormai decisamente sedimentata nello spirito della cooperazione visto che questi temi riecheggiano frequentemente anche nei dibattiti delle Centrali cooperative. | << | < | > | >> |Pagina 16Cooperazione e politica: appunti teorici«Ma l'anticooperazione è apolitica?» Con questa domanda retorica, con questa doppia negazione Bruno Fortichiari, segretario della potente Federazione delle cooperative milanese, contraddiceva l'affermazione di chi stigmatizzava la politicizzazione del movimento cooperativo nei primi anni del secondo dopoguerra. In questo semplice ma acuto artificio dialettico sta il senso stesso del seguente scritto, e sta nella sua estrema evidenza e sintesi uno schema interpretativo necessario per comprendere e spiegare un aspetto non secondario, e anzi fondamentale, dell'agire cooperativo e della stessa teoria dell'impresa cooperativa. Perché un'impresa, sui generis certo ma pur sempre un'impresa, un'impresa economica a tutti gli effetti, attiva nei mercati in cui si producono e commerciano merci, prodotti, servizi, qual è l'impresa cooperativa, ha avuto, nel corso della sua storia, dei nemici altri dai suoi competitors? Questo è accaduto alla cooperazione, forza economica che, in alcuni momenti storici di particolare asprezza, è stata non solo messa a dura prova ma, addirittura, conquistata e annientata nel suo spirito. E perché questi nemici nei confronti e nei conflitti ingaggiati con il movimento cooperativo, hanno individuato proprio nel presunto comportamento "politico" di quest'ultimo l'elemento da attaccare tentando di affondare il proprio colpo definitivo? Anche nel tentativo di individuare le motivazioni alla base di questi presunti comportamenti, di tale presunto perverso rapporto con la politica, sta il senso di questa breve indagine. Se l'impresa cooperativa ha intrattenuto e intrattiene dei rapporti con la "politica", quali sono i confini della legittimità di questo rapporto, il confine tra la fisiologia e la patologia di essi? Solamente in questi termini può essere posta la questione osservando ambiti di libera rappresentanza degli interessi, quali sono per natura, indubbiamente, le democrazie poliarchiche in cui viviamo e in cui le società politiche esistono con il compito inevitabile di trasferire a un livello decisionale delle istanze che promanano dalla società. E, soprattutto, se l'impresa cooperativa ha intrattenuto e intrattiene rapporti con la politica, e se questi rapporti sono leciti, oltreché necessari, in che modo si sono comportati, e si comportano, i soggetti che in tempi di aperto scontro i cooperatori "politicizzati" chiamavano "avversari"? Hanno forse anch'essi intrattenuto rapporti con la politica o hanno agito in maniera anomala rispetto a qualsiasi concezione e condotta teoricamente ritenute legittime in sistemi di libera rappresentanza degli interessi, di democrazia? E se questi rapporti tra avversari della cooperazione e politica si sono realizzati, qual è stato il confine tra il loro fisiologico inveramento e l'eventuale patologia? Già in altre sedi, tentando di muovere nella direzione impostata da Giulio Sapelli, quando affermava che la cooperativa come impresa e la cooperazione come sistema di imprese sorgono e vivono al crocevia di sistemi economici e sistemi politico-culturali, all'incontro tra «sistemi di solidarietà e/o di subcultura politica e mercato economico», ho cercato di schematizzare ulteriormente il rapporto di cui si va parlando giungendo a indicare in questo stesso rapporto una chiave interpretativa fondamentale per la comprensione del fenomeno cooperativo in determinati periodi storici (e in particolare in quello definito della "minorità"). In queste fasi, ciò che effettivamente caratterizzava la cooperazione, qualunque ne fosse la matrice ideologica, era il suo rapporto con quei partiti che rappresentavano la proiezione del substrato ideologico e culturale più largamente diffuso nel movimento. La comprensione della natura di questo legame si presenta, quindi, come fondamentale: si tratta di un legame fisiologico nella cooperativa, aspetto proprio della sua costitutività, che agisce appunto in quanto questa è sia impresa economica che opera nel mercato, sia parte di un movimento sociale che persegue finalità non riconducibili unicamente all'economico. La politica agisce in due direzioni: innanzitutto orizzontalmente, sotto forma di ideale condiviso da più persone, in cui lo stimolo alla cooperazione si configura anche come scelta ideologica (che crea un vincolo interindividuale, elemento principale nella formazione della cultura politica della cooperazione, caratteristico e primario nella costitutività dell'impresa, il quale ne favorisce il legame e la coesione, e ne permette lo sviluppo nel tempo). In secondo luogo, verticalmente, ossia rispetto al rapporto che si instaura tra cooperazione e sistema politico-Stato, che agisce per via preferenziale nella relazione tra il movimento cooperativo e quei partiti a esso affini che rappresentano la proiezione degli ideali diffusi nel suo substrato culturale. In questo senso, oltre alla scelta culturale-politica individuale, si istituisce un meccanismo di scambio – detto senza il connotato negativo e utilitaristico assunto in genere dal termine – tra cooperazione e partiti, dove, in cambio della garanzia a questi ultimi del consenso da parte del movimento cooperativo, si ha l'impegno dei partiti di farsi portatori delle necessità avvertite dal mondo cooperativo in rapporto allo Stato. Questo scambio è del tutto fisiologico – sebbene in alcuni momenti storici sia degenerato in una vera e propria patologia – e fa parte della natura stessa della cooperazione – oltreché del sistema democratico -, di cui anzi rappresenta una piena realizzazione delle potenzialità: il cooperatore affida il suo voto a un determinato partito perché quello è il naturale rappresentante dei suoi interessi e dei suoi ideali; ne fa fede il fatto stesso che egli sia cooperatore, quindi portatore di una ben specifica cultura politica, non solo economica. | << | < | > | >> |Pagina 23La tesi che in questo scritto si sostiene è la necessità di analizzare questo intreccio di aspetti, scindere le motivazioni e i comportamenti di carattere economico da quelli di carattere politico e, infine, stabilire una prevalenza in occasione del conflitto.Sciogliere l'intreccio e individuare la prevalenza. Lo strumento a disposizione per effettuare una lettura di questo genere è ovviamente il prodotto della storiografia che abbia come oggetto i periodi nei quali si verificarono conflitti del genere sopra descritto. All'interno di ricostruzioni scelte fra quelle effettuate dagli storici di indubbia competenza e sensibilità si presenta come necessario isolare il momento esatto del conflitto cercando, nei giudizi espressi in sede storiografica, elementi comuni che rendano confrontabili vari casi tra loro evidentemente dissimili e lontani nel tempo. Questo implica che si indichino dei parametri schematici per affrontare ogni singolo caso. Tali parametri sono stati individuati nella registrazione: • della situazione precedente al manifestarsi del conflitto; • delle modalità di inverarsi del conflitto; • delle eventuali reazioni della cooperazione e delle conseguenze del conflitto medesimo; I casi di studio su cui soffermarsi sono individuati nei quattro più evidenti, anche se ovviamente dissimili per intensità e modalità, interventi lesivi, o denunciati come tali, della libertà di azione del movimento cooperativo nel panorama italiano e nel corso della sua storia, e in particolare: • nelle «ingiuste persecuzioni» iniziate nel periodo crispino nello scorcio del XIX secolo; • nell'«assalto del fascismo alla cooperazione italiana»; • nella «violenza legale» che la cooperazione denunciò di subire al principio degli anni cinquanta;
• nella tensione verificatasi tra cooperazione e forze di governo dalla
prima metà degli anni novanta del secolo ora trascorso.
|