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| << | < | > | >> |IndiceIndice Introduzione IX PARTE PRIMA LA TELEVISIONE PRIMA DELLA TELEVISIONE La televisione prima della televisione 3 PARTE SECONDA LA TV ITALIANA DALLE ORIGINI A OGGI 1954 19 1955 29 1956 39 1957 53 1958 63 [...] 1999 665 2000 688 2001 705 2002 723 2003 742 3 gennaio 2004. La tv italiana compie cinquant'anni 763 APPENDICE I presidenti della RAI 769 I direttori generali della RAI 770 Gli amministratori delegati della RAI 771 Il consiglio di Amministrazione della RAI dal 1975 al 2004 772 I dirigenti delle reti Fininvest 774 INDICI Indice dei nomi 775 Indice dei programmi 836 |
| << | < | > | >> |Pagina IXNon si dà infatti una storia, un mestiere di storico bensì dei mestieri, delle storie, un complesso di curiosità, di punti di vista, di possibilità cui altri si aggiungeranno ancora domani. Fernand Braudel, Scritti sulla storia Quando nel 1954 la televisione italiana iniziò le sue trasmissioni regolari, «La Domenica del Corriere» le dedicò una copertina di Walter Molino secondo lo stile tipico di quel settimanale popolare che consisteva nel catturare un frammento di realtà e, con una coloritura romanzesca, elevarlo a dignità allegorica. È un disegno di sconcertante lungimiranza. Ritrae una tipica famiglia italiana appartenente al ceto medio-alto; lo si intuisce dall'arredo del tinello, dal quadro appeso alla parete, da un libro e da un pipa sparsi sul pavimento, dall'abito del padre. Da pochi giorni il televisore dev'essere entrato in quella casa sconvolgendo le tranquille consuetudini di vita, prima fra tutte quella della collocazione dell'apparecchio (è troppo vicino rispetto a chi guarda). È una scena di stupore: al centro i due maschi che si abbandonano all'esultanza più incontrollata per un atleta - un portiere di calcio, che plasticamente afferra un tiro insidioso; ai lati le donne, curiose e appena distratte da altri compiti (la madre, protetta da un grembiule, ha un forchettone in mano e sullo sfondo bolle una pentola; la figlia sembra aver abbandonato momentaneamente un libro). All'inizio dell'anno (dopo un periodo sperimentale) questa scena va moltiplicata per 24.000 (tanti sono gli abbonati); alla fine per circa 90.000. Dieci anni dopo il numero degli abbonati supera abbondantemente i 5 milioni. Ma è anche una scena illuminata da una serena gioia. Niente a che vedere con la letteratura «apocalittica» che di lì a poco si sarebbe scatenata contro il nuovo mezzo ritenuto, quanto meno, funesto strumento di perdizione (una eco di quella diffidenza si riscontra ancora oggi fra gli storici che continuano, stranamente, a ritenere la televisione uno strumento non sufficientemente rappresentativo delle sorti del paese). Affrontare una storia della televisione italiana non è impresa facile. Intanto perché la materia si presta a molteplici e non agevoli letture, e poi perché in Italia esiste una radicata tradizione storiografica, in materia televisiva, che da sempre avvantaggia l'aspetto politico e che di fatto riconosce alla televisione un potere smisurato nel determinare gli assetti istituzionali e sociali del paese. La maggior parte degli scritti finora dedicati alla televisione ha quasi sempre privilegiato gli aspetti amministrativi, economici, istituzionali: serrate analisi sui partiti al potere, stringenti interrogatori sui «modi di produzione», minuziosi atti d'accusa sul ruolo della programmazione. Testi interessanti, documentati, ben argomentati ma prigionieri di una dimenticanza: i programmi. Si può scrivere una Storia della Letteratura senza parlare di romanzi? E una Storia del Cinema senza film? Ebbene, in Italia si ha come la sensazione che in molti abbiano voluto offrirci una ricostruzione dei fatti televisivi alla cavezza dell'astratto, se non dell'ideologia. La messa in onda è il trascurabile. Il sintomo linguistico più evidente è che i libri sulla televisione italiana grondano di una fastidiosa e complottistica espressione: «non a caso»: «Il governo varava una legge su... e non a caso la RAI mandava in onda Lascia o raddoppia?; l'industria del Nord voleva imporre la motorizzazione di massa e non a caso la domenica sera Telematch...; la Sinistra veniva schiacciata all'opposizione e non a caso Duecento al secondo...». E se, per caso, le connessioni fossero di segno opposto? Se certe decisioni fossero state prese sulla suggestione collettiva delle domande poste il giovedì sera da Mike Bongiorno? La storia dei programmi, che qualcuno considera alla stregua del catalogo delle navi dell' Iliade, tende a essere messa in sottordine così come la descrizione di avvenimenti insoliti, le coincidenze, le reliquie, i gusci vuoti che fluttuano nel cielo dell'immaginario. Scrivono Dayan e Katz: Fino a poco tempo fa, e solo con rare eccezioni, gli studi sociali sulla televisione hanno trattato il mezzo nel suo complesso o in termini di singoli stimoli, senza dare molta attenzione alle sue forme... È sorprendente come sia diverso lo studio dei film. Le ricerche cinematografiche considerano i film secondo una prospettiva letteraria, come testi da classificare e interpretare da un punto di vista sociologico, politico, psicanalitico... In qualche modo il cinema è diventato l'oggetto di studio dell'umanista e il mondo televisivo del sociologo. L'ampia teorizzazione dell'umanista e l'accorto empirismo del sociologo solo ora si stanno unendo nell'analisi della televisione. In Italia, l'attenzione principale si è sempre fissata su un punto: su come la politica sia riuscita ad «addomesticare» la televisione; e solo più recentemente su come la televisione abbia reso la politica a sua immagine e somiglianza. Sono almeno tre le storie principali implementate dalla televisione. Una storia delle forme di consumo: riguarda principalmente l'impatto che il mezzo provoca nel sociale, le trasformazioni culturali, l'interpretazione e l'uso della TV nei contesti domestici, la condivisione o la creazione di un nuovo ambiente, le mutazioni della struttura spaziale e temporale all'interno della quale si diffondono i programmi stessi, le modalità con cui gli individui si rapportano a un sapere condiviso o, più semplicemente, a una forma di vita affettiva, i processi di costituzione dell'identità nazionale e, prima ancora, di un universo valoriale. Una storia delle forme di produzione: si occupa prevalentemente del vincolante rapporto che si instaura tra politica e televisione, l'ingerenza dei partiti nella vita istituzionale del mezzo, il potere della televisione nel determinare gli assetti sociali del paese. La televisione viene perciò considerata come un potente apparato discorsivo che contribuisce non poco a dare forma alla società ma in perenne oscillazione fra un rigido controllo cui viene sottoposta dal potere politico e un'altrettanto esasperata incidenza che essa stessa ha sulla vita del potere politico. Nel momento in cui la politica passa dal dominio dell'etica a quello dell'estetica, e ci passa grazie alle telecamere, la televisione non diventa soltanto uno strumento di comunicazione adottato dalla politica, usato bene o usato male, più efficace o meno efficace, ma si trasforma in un'istituzione che non disdegna di suggerire i modi con cui oggi si costruisce la vita politico-sociale. Una storia delle forme di rappresentazione, quella cui siamo più affezionati, chiama infine a riflettere sui singoli testi, sui generi e sotto-generi, sui vari dispositivi linguistici che formano nel loro insieme la programmazione. Nasce così un'idea di storia televisiva intesa come storia generale vista nella prospettiva dei singoli programmi e delle vicende spettacolari e culturali, con l'intento di offrire un panorama attendibile della produzione televisiva. Va da sé che la materia è ancora così incandescente, specie quella relativa agli ultimi anni, che la contemplazione storica si trasforma necessariamente in critica militante, o almeno tende a farsi leggere come tale, con un corredo prevedibile di difficoltà. Tuttavia, l'attenzione a un'analisi testuale mira non solo a mettere in evidenza le modalità formali con cui un testo è costruito ma, nello stesso tempo, cerca di dare un senso complessivo ai singoli significati e alle forme di enunciazione del discorso stesso rapportandoli a un contesto più generale. Per una più completa comprensione del fenomeno televisivo le storie dovrebbero tra loro compenetrarsi, sostenersi, stabilire rimandi e attrazioni. Purtroppo si tende a privilegiare o l'una o l'altra prospettiva. Per questo, insieme con le schede dei programmi più importanti, raccolte secondo un ordine cronologico, abbiamo preferito inserire, nella terza parte del volume, una serie di voci «teoriche», o per meglio dire «storico-teoriche», «26 voci per un dizionario di televisione». Il loro compito è duplice: il primo è quello di «ancorare» le trasmissioni televisive ad alcune pratiche d'analisi che altrimenti vivrebbero solo nei cieli della speculazione accademica (è sorprendente come molte teorie sulla televisione ignorino la televisione!). Il secondo è quello di intrecciare la programmazione con un quadro storico dei mutamenti che lo sviluppo della televisione stessa ha portato nella vita sociale, senza tuttavia avere la pretesa di dare una sistematicità che il mezzo non conosce, ma preservandone il carattere frammentario. Le voci forniscono così degli spaccati della più ampia storia televisiva, indagando, per esempio, l'evoluzione del genere informazione dai primi telegiornali all'epoca di Internet, o il rapporto fra musica, cinema o teatro e programmazione TV. Offrono inoltre una panoramica preliminare al dibattito che, da qualche decennio, vede sempre più impegnati sociologi della comunicazione, semiotici, storici della TV, antropologi, studiosi di cultura e persino filosofi intorno alle forme e agli effetti della comunicazione elettronica. Vengono così illustrati concetti, solo apparentemente evidenti, come «testo», «generi», «palinsesto», «servizio pubblico», «audience», «fiction», «industria culturale» e si affrontano temi cruciali per capire la società contemporanea, come, per esempio, il controverso rapporto fra televisione e «costruzione dell'identità nazionale».
La televisione è insieme specchio e ànfora di un paese; riflette le
sue caratteristiche ma dà anche forma, con una forte propulsione, a un sistema
di relazioni sociali. Con i suoi palinsesti, infatti, la televisione raffigura
non solo i propri contenuti, i propri modelli, le proprie strategie ma disegna i
tratti di una comunità immateriale, simbolica: pescando nel grande serbatoio dei
«luoghi comuni» di una nazione («topoi», mitologie, apparati retorici, stili,
iconografie, tradizioni, personaggi, eventi) crea un'immagine «caratteristica»
di un paese. Nello stesso tempo, la televisione è una sorta di grande orologio
che scandisce, attraverso le sue rappresentazioni, i suoi ritmi, i suoi
appuntamenti forti, le abitudini di ascolto condivise dall'intera popolazione e
favorisce una sorta di unificazione all'interno di un tessuto sociale che non
disdegna di rivelare le sue trame. La televisione è una potente risorsa
simbolica che sa anche convertirsi in uno spazio di identificazione, rispecchia
i mutamenti della società
dopo aver alimentato le condizioni di questi mutamenti. Insomma, la televisione
è un bestiario fantastico, popolato non da Sirene e Onocentauri ma da molti
personaggi improbabili che pure ci pare di incontrare ogni giorno, ma anche un
enorme serbatoio di memoria: il materiale degli archivi televisivi costituisce
ormai una fonte storica di eccezionale rilevanza.
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