|
|
| << | < | > | >> |IndicePremessa 9 1. Prima di Archimede 11 2. Archimede di Siracusa 23 3. La matematica (e π) nella Grecia classica 27 4. La scienza ellenistica 43 5. Dopo Archimede 57 6. Anche l'Europa, finalmente, scopre π 77 7. Oltre Archimede, François Viète 91 8. Il calcolo differenziale 99 9. π diventa π 109 10. La natura di π 115 11. π superstar 119 Conclusioni 123 Bibliografia 125 Indice dei nomi 127 |
| << | < | > | >> |Pagina 9PremessaC'è un numero che da anni mi perseguita. È una persecuzione dolce, che mi rende complice felice più che vittima indifesa, eppure quella presenza è continua, incombente, assillante. Chissà perché, ma è da quando andavo alle elementari che tutti mi associano a un rapporto, C/d, tra la circonferenza e il suo diametro; a un simbolo, π; e a una cifra: 3,14. È da allora, da quando avevo 6 anni e i calzoni corti, che studenti e docenti, amici e conoscenti, colleghi e perfetti sconosciuti mi chiamano pi greco. I più bravi in matematica, tre e quattordici. | << | < | > | >> |Pagina 111
Prima di Archimede
In Mesopotamia I Babilonesi conoscevano il valore di π o, meglio, tra tutti i popoli dell'antichità sono quelli che hanno calcolato il valore più preciso di π, prima che in Sicilia arrivasse un certo Archimede (287 ca.-212 a.C.). Eccolo: π = 3,125 Un valore davvero non molto diverso da quello che conosciamo oggi, se lo approssimiamo alla terza cifra decimale: π = 3,142 Ma c'è di più. I Babilonesi possedevano anche una regola per calcolare π. | << | < | > | >> |Pagina 12Intorno al 4000 a.C. i Sumeri si sono insediati nella parte meridionale della Mesopotamia e hanno fondato un regno che aveva per capitale la città di Ur, uno dei più antichi insediamenti urbani del mondo. L'agricoltura non fu una loro invenzione, perché nella terra tra i due fiumi l'arte di coltivare le piante era praticata da almeno tre millenni (dal 7000 a.C. o giù di lì). Hanno realizzato, però, un autentico salto di qualità nella tecnica della coltivazione, grazie a una serie di innovazioni: dall'aratro trainato da animali ai nuovi e più avanzati sistemi di irrigazione e di costruzione di canali.I Sumeri hanno invece fondato in Mesopotamia la civiltà urbana: città con case, templi, edifici pubblici; uno Stato e la sua amministrazione; un'economia molto complessa, costituita anche da commerci e botteghe di artigiani. Ora si dà il caso che la civiltà urbana richieda, proprio come il complesso sistema di irrigazione in campagna, ingegneri e geometri – oltre a una serie di altre figure professionali, dai mercanti agli agenti delle tasse – capaci di utilizzare i numeri. Si badi bene: a chi contribuisce a fondare una città o, addirittura, una civiltà urbana non si richiede semplicemente di far di conto, perché a contare, ci dicono gli psicobiologi, son capaci anche i pulcini. Chi costruisce case, templi e reti di canali di irrigazione, chi produce e vende beni e servizi, ha bisogno di utilizzare i numeri e le forme in maniera molto più sofisticata. Insomma ha bisogno di una matematica e di una geometria piuttosto avanzate. Superiori a quella dei pulcini. Anche far vivere (e convivere) esseri umani in una città è più complesso che far vivere e convivere pulcini in un pollaio. Ed è anche più complicato che far vivere sapiens cacciatori e raccoglitori in una savana o in una foresta. Vivere in città – anzi, far funzionare una città – richiede tra l'altro un metodo per registrare e ricordare quanto vi accade. Richiede, in altri termini, la scrittura. Insomma con l'inaugurazione della vita in città emerge un'esigenza sociale ed economica importante e insopprimibile: esprimere in maniera esatta e condivisa lunghezze e pesi; scambiare denaro e manufatti; dividere le eredità e i campi; distribuire le quote dei raccolti tra contadini, religiosi e Stato; calcolare le tasse da pagare; calcolare interessi e anche gli interessi composti. Non sorprende, dunque, che i Sumeri per registrare tutto questo e altro ancora si servano dei pittogrammi, il prototipo della scrittura cuneiforme, e per far di conto utilizzino un sistema matematico complesso che va ben oltre l'uso di numeri elementari: un sistema a base sessagesimale, con una numerazione posizionale. Insomma, i Sumeri inventano e la scrittura e la matematica. | << | < | > | >> |Pagina 18Gli EgiziLa storia è bella perché non si ripete mai uguale a se stessa. Neppure quella di π. Il problema 50 del papiro rinvenuto nei resti dell'antica Tebe dallo scozzese Henry Rhind (1833-1863) nel 1858 sostiene che l'area, A, di un cerchio con un diametro di 9 unità (d = 9) è pari a quella di un quadrato con un lato, l, di 8 unità (l = 8). A = 1/4 π d^2 = l^2 Poiché d = 9 e l = 8, si ricava che: A = 1/4 π 9^2 = 8^2 Con un minimo di passaggi elementari si ha il valore di π: π = 4 x 8^2/9^2 = 4 x 64/81 = 3,160 Un valore che, come nota Petr Beckmann (192.4-1993), uno dei migliori biografi di π, è solo un po' peggiore di quello ottenuto dai Babilonesi. L'errore del papiro di Tebe rispetto al valore di π che conosciamo oggi è, infatti, del 5,7 per mille; mentre quello della tavoletta di Susa è del 4,8 per mille. Ma come e quando, in riva al Nilo, è stato ottenuto questo valore? | << | < | > | >> |Pagina 20Egizi e Mesopotami, dunque, utilizzano un metodo analogo — ma non omologo — per calcolare π: un metodo fondato sulla comparazione tra figure geometriche. Il che è reso possibile dalla conoscenza dei principi elementari della geometria, compreso il calcolo di perimetri e aree. Entrambi i popoli giungono a un valore di π molto vicino a quello "vero". Ed entrambi sanno che è un valore approssimato: quindi non è quello "vero".Ecco, dunque, che π distilla goccia a goccia il suo valore, ma nasconde la sua natura. A entrambi i popoli π appare fondamentale e insieme sfuggente: è una costante universale, è un rapporto tra enti geometrici elementari, la circonferenza e il diametro della figura più simmetrica, il cerchio, eppure non si riesce a esprimerlo con un valore numerico definito. Questa difficoltà nasconde qualcosa di profondo? | << | < | > | >> |Pagina 273
La matematica (e π) nella Grecia classica
La scuola ionica La "civiltà greca" è più recente di quella della Mesopotamia e di quella egizia, ma risale pur sempre a 3.000 o forse 3.100 anni a.C., e dunque proprio giovanissima non è. Si afferma nelle terre continentali e nelle isole che chiamiamo Grecia, oltre che lungo le coste dell'Asia Minore, portata da popolazioni provenienti dal Vicino Oriente e, più specificatamente, dall'Anatolia. Non entriamo nei dettagli di questa ennesima storia di migranti, perché il periodo che a noi interessa è molto più recente e circoscritto: va dal 600 al 300 a.C. Diciamo solo che quella iniziata nel IV millennio a.C. è la prima "civiltà avanzata" in quella piccola appendice dell'Eurasia che oggi chiamiamo Europa. Che i protagonisti, i primi Greci, sapevano coltivare le piante, allevare gli animali e lavorare i metalli, compreso il ferro. Che erano in stretto contatto sia con i Mesopotami sia con gli Egizi. Che furono il primo popolo di lingua indoeuropea a scrivere. Che per scrivere, all'inizio del VIII secolo a.C., iniziarono ad adottare, con opportune modifiche, l'alfabeto dei Fenici, il popolo di navigatori che abitava lungo le coste del Libano. La "coppa di Nestore" nella villa Arbusto a Ischia è il primo esempio assoluto dell'acquisita scrittura alfabetica da parte dei Greci. E poiché l'iscrizione è in versi, costituisce anche il primo esempio noto di una poesia scritta con le lettere di un alfabeto. I versi alludono in maniera chiara alla coppa di Nestore descritta da Omero (vissuto probabilmente nel IX secolo a.C.) nell' Iliade. Ed è significativo che la coppa sia stata trovata lontano dalla madrepatria, nella prima colonia fondata dai Greci nel Tirreno e nell'intero Mediterraneo occidentale. Il fatto indica che i Greci hanno interessi culturali diffusi, grande dinamismo e grande capacità di innovazione. E infatti, non a caso, nel VII secolo iniziano a scrivere su un nuovo, comodo supporto importato dall'Egitto: il papiro. Questi sono, alla grossa, i presupposti che hanno fatto sì che, non molto tempo dopo, nel VI secolo a.C. per la precisione, sulle sponde dell'Egeo si pongano le solide fondamenta della matematica e della filosofia moderna. Ovvero della matematica e della filosofia che ancora oggi studiamo. E, anche se oggi (colpevolmente) consideriamo la matematica e la filosofia due discipline separate, in Grecia i primi matematici moderni sono anche i primi filosofi moderni. E viceversa: i primi filosofi sanno anche di matematica. Talete di Mileto (640-547 a.C.) nella Ionia, per esempio, è il primo nome che incontriamo sia nei testi di storia della filosofia quanto in quelli di storia della matematica. Questi primi filosofi e matematici greci sono persone di cultura eclettica e unitaria: non pensano, come molti oggi, che esistano due culture. Pensano, al contrario, che la cultura dell'uomo è una sola. Fondata sulla ragione. E che l'universo è un cosmo: un tutto armoniosamente ordinato. Anzi, un tutto armoniosamente ordinato comprensibile alla ragione dell'uomo. Matematica e filosofia – e, dunque, la ragione – sono, perciò, gli strumenti necessari e sufficienti per comprendere l'ordine cosmico. Ecco perché si dice che fu allora, tra il VI e il V secolo a.C., in Grecia, nella Ionia, a Mileto che l'umanità scopre "la potenza della ragione". In realtà una medesima brezza spira lungo tutta quella cintura che dalla Grecia porta all'Estremo Oriente. E, infatti, se Talete è vissuto all'incirca tra il 640 e il 546 a.C., in India il Gautama Buddha, il Buddha storico, è vissuto tra il 566 e il 486 a.C. È dunque quasi contemporaneo di quel Confucio, vissuto tra il 551 e il 479 a.C., che informa del suo pensiero la cultura e la storia della Cina. Insomma tra il X e il V secolo a.C. sono le grandi civiltà dei tre continenti connessi a scoprire, sia pure ciascuno a suo modo, "la potenza della ragione". A riprova che Asia, Africa ed Europa già in quei tempi non erano solo fisicamente, ma anche culturalmente collegati. Non stiamo uscendo fuori tema. Perché questa constatazione è, lo vedremo da qui a qualche pagina, davvero importante per la storia della matematica e, anche, per la storia di π. | << | < | > | >> |Pagina 45Eratostene è certamente una figura straordinaria, ma non è il solo ad Alessandria. Presso il Museo e la Biblioteca giunge infatti un'intera costellazione di matematici e astronomi e scienziati naturali, che realizzano una vera e propria rivoluzione culturale: le loro attività correlate producono in maniera rigorosa e sistematica quella rete inestricabile di teorie, osservazioni, scoperte e applicazioni tecnologiche che chiamiamo "scienza".Lucio Russo, nel suo La rivoluzione dimenticata , dimostra che è proprio in epoca ellenistica e in particolare ad Alessandria che è nata la scienza moderna, ovvero qualcosa che ha tutti i caratteri epistemologici che attribuiamo oggi a un certo tipo di attività di ricerca sulla matematica e sulla natura. Già, ma perché in epoca ellenistica e in particolare ad Alessandria nasce la scienza? Perché, sostiene Lucio Russo, è qui e ora, nella Alessandria dei Tolomei, che il pensiero razionale e la filosofia naturale dei Greci incontrano l'elevata tecnologia egizia. È questa contaminazione di ragion pura e tecnica, di ricerca per curiosità e di ricerca per necessità, che produce la scienza. Un'attività fondata, per dirla con Galileo, su "certe dimostrazioni" (le teorie, possibilmente matematizzate) in corrispondenza stretta con "sensate esperienze", realizzate mediante i nostri cinque sensi, ma anche mediante strumenti costruiti con perizia ad hoc. È questo combinato disposto che costituisce la parte essenziale e non divisibile dell'attività scientifica. Ed è sempre con questo combinato disposto che, per la prima volta, la scienza diventa "madre di sua madre", la tecnologia; diventa cioè un'attività, razionale, di indagine sulla natura in grado di rispondere a una precisa domanda sociale ed economica: quella dell'innovazione tecnologica sistematica. Questa domanda è presente nella società ellenistica: ad Alessandria d'Egitto in particolare, ma non solo. | << | < | > | >> |Pagina 50Alessandria, scienza e tecnologiaNon sembri esagerata, in una storia dedicata a π, l'attenzione che stiamo riservando alla scienza ellenistica e ad Alessandria. Ci serve per comprendere meglio Archimede, ovvero la figura dell'uomo che, nella storia di π, ha avuto il ruolo maggiore. Sappiamo che Archimede è un grande teorico, fisico e matematico, anzi: fisico-matematico. A lui, infatti, più che a ogni altro dobbiamo l'idea che la conoscenza dell'universo fisico può arricchirsi attraverso l'uso della matematica. E a lui, forse più che a ogni altro, dobbiamo anche l'idea che la conoscenza dell'universo fisico può diventare molto profonda grazie alla tecnologia. La civiltà che genera la scienza moderna introietta l'idea che bisogna mettere a punto nuovi strumenti tecnologici per ottenere nuove conoscenze sul mondo e per aumentare la possibilità di "interrogare la natura". Pare, per esempio, che sia stato proprio lui, Archimede, ad aver messo a punto un planetario meccanico – una sorta di primitivo computer – in grado di descrivere il moto dei pianeti nei cieli e anche di prevedere con estrema precisione le date delle eclissi. Ma il rapporto tra scienza e tecnologia è biunivoco. L'una è madre dell'altra. E l'una è figlia dell'altra. La conoscenza fisica, infatti, produce a sua volta nuova tecnologia. E nessuno più di Archimede lo dimostra praticamente: con l'invenzione e l'uso degli specchi ustori (specchio di Archimede); della coclea, la vite per il sollevamento dell'acqua (vite di Archimede); della carrucola mobile e del sistema esteso delle leve per il sollevamento di carichi pesanti; con l'invenzione della vite senza fine, usata nel varo di una grande nave voluta da Gerone II (308-115 a.C.). Archimede vive in un periodo cruciale della storia, non solo della Sicilia e del Mediterraneo ma, forse, del mondo intero: quello dell'espansione di Roma. In breve, è a Siracusa quando i soldati dell'Urbe, nel corso della seconda guerra punica, giungono a cingere d'assedio la città. Archimede partecipa in maniera attiva alla difesa di Siracusa. Le sue macchine belliche (soprattutto le catapulte) sono l'arma più importante a disposizione degli assediati, ma non riescono a ribaltare l'esito della battaglia: Siracusa è sconfitta e nell'anno 212 a.C. il più grande scienziato dell'antichità viene ucciso da un soldato romano che non lo ha riconosciuto. Quel soldato è un po' l'emblema di Roma, che non sa riconoscere il valore della scienza ellenistica e, di fatto, la dimentica. Pare che Cicerone (106-43 a.C.), un secolo e mezzo dopo la caduta di Siracusa, trovi la tomba di Archimede e la faccia restaurare. Carl Boyer nota, con marcata ironia, che questo può essere considerato il massimo contributo dato da Roma alla matematica. | << | < | > | >> |Pagina 67Altro che impero chiuso in sé! La Cina è uno dei motori dello sviluppo delle civiltà nei tre continenti connessi.L'impressione di molti, tuttavia, è che la scienza così come l'abbiamo definita nasce nel mondo ellenistico e, come un incendio boschivo, si diffonde in tutto il mondo connesso (tranne che nell'Europa occidentale). Tutte le nazioni – la Persia, l'India, la Cina, il mondo islamico – ne fanno uso e contribuiscono, in vario modo, a svilupparla. Ma l'origine, molto probabilmente, è unica. E il suo centro originario è Alessandria d'Egitto. In ogni caso, due fatti sono certi. Primo: la complessità epistemica della scienza ellenistica non viene raggiunta né dalla scienza cinese né dalla scienza indiana. Segno che la diffusione della scienza nel mondo antico è tanto reale quanto frammentata. Manca di sufficiente organicità. Tranne, probabilmente, nel caso dell'Islam, che può accedere in maniera diretta e sistematica alle fonti ellenistiche. Secondo: mentre in Europa il medioevo coincide, per molti secoli, con il "periodo buio", in Cina, sia pure con molte fluttuazioni, coincide con uno sviluppo civile e culturale brillantissimo. Ed è probabilmente a causa di questa osmosi che il grande testo Hou Han Shu nell'anno 130 dell'era cristiana riporta un valore di π molto preciso, pari a: π = 3,1622 E che Liu Hui (220-280), con un metodo leggermente differente rispetto a quello di Archimede, usando prima un poligono con 192 lati calcola che: 3,141024 < π < 3,142704 Da segnalare che i matematici cinesi sono i primi a usare i decimali. E dunque questo modo di rappresentare π è molto simile a quello originale. Ma Liu Hui va oltre. E riesce – lo diciamo con grande ammirazione per la pazienza dei Cinesi! – a calcolare un valore ancora più preciso del nostro numero utilizzando un poligono regolare con 3.072 lati. Il valore è: π = 3,14159 Nel V secolo, infine, come riporta Petr Beckmann, altri due matematici, Tsu Chung-Chih (419-500) e suo figlio, Tsu Keng-Chih (vissuto tra V e VI secolo), ottengono un valore 3.1415926 < π < 3,1415927 la cui precisione sarà superata in Europa e nel mondo solo mille e cento anni dopo, nel XVI secolo. | << | < | > | >> |Pagina 76____________________________________________________________ TABELLA 1 Il valore di π in varie civiltà antiche (approssimato fino alla quarta cifra decimale) Anni dal presente Valore di π ____________________________________________________________ Mesopotamia —4.000 3,125 Egitto -4.000 3,1605 Palestina —2.500 3 Mondo ellenistico (Archimede) —2.300 3,1412 Cina —1.900 3,1416 India —1.600 3,1416 Mondo islamico —600 3,1415 Valore odierno 0 3,1415 ____________________________________________________________ | << | < | > | >> |Pagina 776
Anche l'Europa, finalmente, scopre π
Leonardo Pisano, detto il Fibonacci Archimede è nato e vissuto in Sicilia, ma appartiene alla cultura ellenistica; non lo possiamo considerare un esponente della cultura europea. Cosicché quella che noi oggi chiamiamo Europa è l'ultimo dei continenti connessi a scoprire π. Il motivo è quello cui abbiamo già accennato. Dopo la caduta di Cartagine, nel 146 a.C. il Mediterraneo diventa un "lago romano". Ma né la Roma repubblicana né quella imperiale hanno alcun interesse per la scienza. Dopo quella data nel mondo romano — con la parziale eccezione di Alessandria e delle terre ancora influenzate dalla cultura ellenistica — non si produce nessuna significativa nuova conoscenza scientifica. E così in Europa la matematica come tutta la scienza viene ignorata e/o dimenticata. E viene ignorato e/o dimenticato anche π. Come abbiamo detto, le cause di questa rimozione sono probabilmente correlate all'economia di Roma: un'economia sostanzialmente rurale, in forma schiavistica, che non richiede innovazione tecnologica. Sta di fatto che per trovare un europeo capace di produrre nuova conoscenza matematica occorre attendere Leonardo Pisano detto il Fibonacci, che nel 1202 pubblica, a Pisa appunto, il Liber abaci e fa conoscere in Italia la numerazione posizionale degli Indiani ormai fatta propria dagli islamici, la sezione aurea, l'algebra più aggiornata. In realtà qualcuno potrebbe obiettare che, a rigore, Fibonacci non sia un rappresentante della cultura europea. Essendosi formato ed essendo diventato un matematico creativo nel Nord Africa, dove suo padre commerciava. Tuttavia è certo che, passati i 15 anni, Leonardo torna a Pisa e non si limita a trasferire in Italia e in Europa la conoscenza acquisita nel più avanzato mondo islamico, ma inizia a produrre nuova conoscenza matematica. È dunque il primo matematico creativo europeo che produce nuova conoscenza matematica in Europa. | << | < | > | >> |Pagina 917
Oltre Archimede, François Viète
[...] François Viète si interessa di teoria dei numeri. Pone virtualmente fine all'uso del sistema sessagesimale degli antichi e impone definitivamente l'uso di quello decimale. Si occupa molto di trigonometria e per trattarla introduce un metodo analitico generale noto come goniometria (scienza della misura degli angoli). Il francese considera la trigonometria una disciplina a sé stante e soprattutto di grande rilievo, perché universale. «La trigonometria – sostiene – è la massima gloria dei matematici perché abilita a sottomettere a un calcolo meraviglioso cielo, terra e mare» (citato da Morris Kline). Ma l'avvocato si impegna soprattutto nel tentativo di fondere geometria e algebra. Per questo dimostra che il concetto di equazione proposto da Diofanto altro non è che l'idea di proporzione in geometria. E su questa base tenta di costruire un'algebra che tratti di problemi generali. Per i risultati raggiunti il francese può essere considerato il fondatore dell'algebra simbolica. Ebbene, questo matematico dilettante, questo avvocato e politico, è il primo a introdurre, intorno al 1593, un metodo nuovo e alternativo a quello di Archimede nel calcolo del valore di π: un metodo analitico e non geometrico. Viète è il primo ad andare oltre Archimede. In realtà il francese inizia a interessarsi a π fin da giovane. Tanto che nel 1559, usando il metodo classico del Siracusano, giunge a stabilirne con correttezza le prime nove cifre decimali, calcolando l'area di un poligono con 393.116 lati ottenuto raddoppiando 16 volte i lati dell'esagono originario. Ne ricava che: 3,1415926535 < π < 3,1415926537 È il risultato più preciso ottenuto finora in Europa.
Ma Viète non si accontenta di calcolare. Cerca un nuovo metodo per
farlo. Lo trova molti anni dopo, nel 1593, procedendo in questo modo: misura il
rapporto tra l'area
(A)
di un poligono con
n
lati e l'area del cerchio in cui è inscritto. Poi procede usando l'area di un
poligono con il doppio
(2n)
dei lati inscritto nel medesimo cerchio. Poi ancora con l'area di un
poligono di
4n
lati e così via, all'infinito. Col crescere del numero dei lati
l'area del poligono approssima sempre più quella del cerchio. Con l'uso
della trigonometria e con la nozione di limite che noi utilizziamo oggi, ma
che Viète ancora non conosceva, potremmo dimostrare che:
La notazione indica un prodotto reiterato e lungo a piacere. Un prodotto
da cui Viète ricava che:
Consigliamo al lettore di metterlo bene a fuoco, questo metodo analitico inventato da François Viète, per varie ragioni. Intanto perché, ripetiamo, è il primo metodo per calcolare π alternativo a quello di Archimede. E poi perché è il primo nella storia a utilizzare un'espressione analitica (una serie infinita di operazioni algebriche) per calcolare π. Perché, ancora, nel proporre questo nuovo metodo, Viète è il primo a usare il termine "analisi". Perché questa formula è la prima espressione nella storia della matematica di un prodotto infinito. E perché, infine, vi fa capolino un assaggio di calcolo infinitesimale. No, non è davvero un caso se tutto questo castello di novità sia costruito intorno al nostro numero, π. Con il suo nuovo metodo, Viète mostra di poter raggiungere risultati molto precisi, almeno in prima approssimazione. Ma la domanda è: la moltiplicazione di un numero infinito di termini converge realmente verso il "vero" valore di π? Il matematico politico non lo sa e non lo dimostra. La convergenza del prodotto di Viète sarà dimostrata solo tre secoli dopo. | << | < | > | >> |Pagina 94La caccia continua anche dopo il XVIII secolo, impegnando centinaia di matematici, a calcolare per mesi e mesi, talvolta per anni, riempiendo centinaia di pagine di somme, di prodotti, di radici, di appunti. Per brevità, diamo in tabella le tappe principali dell'"allungamento" di π. Quello raggiunto da Donald Fraser Ferguson (vissuto nel XX secolo) nel 1948 è il record assoluto prima dell'arrivo del computer.
È interessante notare — come fa Petr Beckmann — che tutti questi
digit hunters
si concentrano su π. Nessuno si sogna di calcolare la 72a, 440a o 808a
cifra di √2 o di √5. Ed è interessante notare che non c'è alcuna
ragione matematica e men che meno pratica per calcolare 72, 440 o 808 decimali
di π. A spingere a effettuare questi sforzi enormi con piglio sportivo è solo
il fascino di un numero.
| << | < | > | >> |Pagina 1099
π diventa π
Il Settecento Isaac Newton muore il 20 marzo 1727, salutato con tutti gli onori dal popolo inglese. Ma è mentre è ancora in vita che π diventa π, ovvero che il rapporto tra circonferenza e diametro di un cerchio viene designato con la lettera π dell'alfabeto greco. Fino al XVIII secolo non esiste un qualche simbolo usato in maniera universale per indicare quel rapporto. Non esiste π. Dai matematici europei il numero viene indicato con una serie di cangianti locuzioni latine: quantitas, in quam cum multiplicetur diameter, provenient circumferentia. All'inizio del Settecento è ancora una volta un inglese, William Jones (1675-1749), ad apportare una novità e a utilizzare il simbolo che legherà per sempre il mio nome a un oggetto matematico. Lo fa in un libro, Synopsis Palmariorum Matheseos: or, a New Introduction to the Mathematics, pubblicato nel 1706. William Jones, tuttavia, non è Isaac Newton. Nel senso che non è un personaggio famoso, neppure nella piccola comunità di coloro che studiano i numeri. Cosicché π diventa davvero π solo quando a utilizzare il simbolo sarà, nel suo Variae observationes circa serias infinites, pubblicato nel 1737, uno dei più grandi e famosi matematici del tempo: lo svizzero Leonhard Euler, noto dalle nostre parti con il nome di Eulero. | << | < | > | >> |Pagina 112π nell'era del computer
Donald Fraser Ferguson impiega un anno, presso il Royal Naval College in
Inghilterra, per calcolare π fino al decimale 808, usando la formula:
La sua fatica termina nel 1949. Ed è resa più lieve (si fa per dire)
dall'uso di una primitiva calcolatrice da tavolo. Per questo l'inglese è
considerato da alcuni l'ultimo dei "cacciatori di digitali" a mano, ma da altri
il primo (o uno dei primi) "cacciatori di digitali" col computer. Una macchina
calcolatrice da tavolo non è esattamente un computer, anche se costituisce uno
strumento automatico piuttosto potente. Possiamo dunque mettere tutti
d'accordo e dire che D. F. Ferguson è un classico personaggio di transizione.
L'anello di congiunzione tra il calcolo di π a mano e il calcolo con il
computer.
|