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| << | < | > | >> |Pagina 13Era rimasta vedova da due mesi quando la studentessa italiana era entrata per la prima volta nella casa di Merode, tra la Forêt des Soignes e il Parc du Cinquantenaire. Maddalena aveva biascicato un buenos días per salutare Madame Isabel, la proprietaria della palazzina dove aveva preso una stanza in affitto. «Buenos días Madalena, ti stavo aspettando». La padrona di casa le aveva risposto con un filo di voce, facendole strada per i tre piani di gradini rossi che portavano alla mansarda. «Questa è la tua stanza», le aveva detto aprendo la porta con una grande chiave di ferro, «qui accanto a te c'è Simon, uno spagnolo di Toledo, sotto Ana di Porto e Aspasia, la griega, di Atene. Al primo piano e a pian terreno ci sono io. Questo è il bagno, proprio di fronte alla tua camera, e di qua c'è la cucina. Questi sono solo per voi, ma potrai utilizzare anche i servizi degli altri piani. Per qualsiasi cosa rivolgiti pure a me, sono sempre in casa e non mi disturba un po' di compagnia». Nemmeno il tempo di mostrarle il resto della casa, e Madame Isabel aveva ridisceso le scale per rimettersi a pregare davanti alla foto di suo marito, al pian terreno. Maddalena si era fermata con lo sguardo nel vuoto, a seguire i movimenti di quella donna magra, vestita di nero. Nella sua piccola camera c'erano un letto, una scrivania, un armadio e una finestra incastrata nella diagonale del soffitto, osservatorio sui tetti di Bruxelles. Con il naso appoggiato al vetro, Maddalena se ne stava lì a pensare. Tutto intorno, il grigio dell'inverno. Si era seduta sul letto ancora da fare e si era tolta le scarpe, lasciando scivolare in terra lo zaino. I piedi le facevano male. Dalla valigia aveva tirato fuori le lenzuola appena comprate. Le aveva distese sul letto. Poi aveva sentito una voce dalla tromba delle scale. Le ci era voluto qualche secondo per capire che era diretta proprio a lei, giusto il tempo di trovarsi Madame Isabel davanti alla porta, in una mano l'imbottita e nell'altra la biancheria pulita. «Ho le mie lenzuola, la ringrazio per il pensiero... Però la coperta la prendo volentieri...». «Vuoi bere qualcosa per scaldarti? Che so, vuoi un caffè?». «No grazie, non bevo caffè». Madame Isabel aveva snocciolato una lista di alternative possibili che le avevano fatto tornare in bocca il sapore dei tè bevuti nello studio di Luca, al Dipartimento di Studi Storici, dove aveva passato la maggior parte del suo tempo negli ultimi due anni. Una fitta dolorosa subito sotto le spalle le aveva tolto il respiro per qualche secondo. Si era appoggiata allo stipite della porta aspettando che le tornasse il fiato. «Va tutto bene?», le aveva chiesto Isabel. «Scusi, è stato solo un attimo di cedimento. Dev'essere la stanchezza del viaggio», aveva risposto lei, cercando di riprendere il controllo. Prima di scendere le scale per raggiungere il soggiorno aveva aperto e richiuso la porta: la chiave di ferro funzionava bene nonostante la serratura fosse del 1912, come tutto il resto del palazzo. Si trattava di un bell'edificio, una casa grande e accogliente e quella donna le aveva fatto da subito un'ottima impressione. «Il tè è pronto». Più che un invito, quelle parole erano suonate come un'ingiunzione. Maddalena aveva saltato a passi rapidi sugli ultimi gradini ed era entrata nella sala, attraversando una grande porta in legno scuro. Aveva fatto appena in tempo a salutare Madame Isabel che la signora si era infilata fra il tavolo e la cassettiera fino a raggiungere una porticina bianca. L'aveva seguita sino a un patio coperto da un tetto in plexiglas che dava su una piccola cucina piena di foto, disegni di bambini, candele e fiori per il lutto recente. Su tutto, il profumo forte di un tè appena fatto. Le due donne si erano sedute in silenzio. Poi Madame Isabel aveva cominciato a raccontare. «Es que mi Pablo a muerto hace dos meses», qualche lacrima le solcava il volto mentre mostrava a Maddalena una delle ultime foto scattate in spiaggia, nelle Fiandre, alle spalle il Mar del Nord. «Siamo stati sposati quasi quarant'anni e ora è dura, molto dura». Si era fermata, aveva appoggiato le labbra sulla tazza senza bere, guardando fissa negli occhi la nuova arrivata e i suoi capelli ricci chiusi in una coda disordinata. «Noi siamo migranti, sai, non è stata facile la vita in Belgio e mio marito era tutta la mia famiglia. Ora sono sola». Un lungo momento di silenzio, poi Madame Isabel si era risvegliata con il suono del telefono.
«Qué hija?».
Maddalena non aveva ancora conosciuto gli altri inquilini. Era curiosa soprattutto del vicino di stanza, uno spagnolo su cui Madame Isabel aveva speso poche ma intriganti parole. «Un tipo allegro, pieno di donne, che balla salsa e cucina pasta alla maniera degli americani: scotta e con sugo di maionese e mais dolce», le aveva detto. Distesa sul suo letto, aspettando il sonno, cercava di immaginarne il viso quando sentì dei passi arrivare vicino alla porta, per poi passare oltre e fermarsi poco più in là. Il rumore di una chiave di ferro e di una piccola discussione con la serratura. "Dev'essere lui!". Si era alzata dal letto e aveva infilato la testa fuori dalla camera salutando Simon con un sorriso. «Buenas noches, io sono Maddalena, la nuova inquilina, ossia la tua vicina di stanza. Piacere di conoscerti». Simon si era avvicinato, le aveva stretto la mano ricambiando il saluto. Era un ragazzo abbastanza alto, piuttosto carino, i capelli tagliati corti e le labbra carnose. «Parli spagnolo?» le aveva chiesto meravigliato. «Solo un pochino. L'ho imparato da autodidatta. Faccio molti errori ma diciamo che me la cavo, per le cose semplici...». Prima che riuscissero ad augurarsi la buona notte era arrivata dalle scale una voce squillante. «Non potete fare tutto questo rumore alle undici di sera! C'è gente che cerca di dormire in questa casa! Andatevene in una delle vostre stanze se avete voglia di fare conversazione!». Simon aveva riso e risposto in tono canzonatorio, poi aveva preso Maddalena per un braccio e l'aveva trascinata in cucina, toccandosi la tempia con l'indice destro.
«È Ana, la portoghese, non darle retta, è tutta matta».
Il primo giorno nella sua nuova casa era cominciato all'alba,
con il sole che si alzava fra le nuvole e i raggi che entravano
dritti negli occhi. L'orologio segnava le sei e mezza e il cielo
grigio non faceva venire voglia di uscire. In piedi sul letto e con
la finestra mezza aperta che le dondolava sulla testa, guardava i
tetti e le case vicine. Una mansarda alla francese, "una specie di
bohème", pensava, mentre le arrivava sul naso la prima goccia
di pioggia. Il tempo cambia in fretta, in Belgio, glielo avevano
detto. Si era fatta una doccia, aveva messo un litro d'acqua nel
bollitore elettrico e tirato fuori le bustine di tè nero. "Dai, non
pensarci, cerca di concentrarti sul lavoro da fare", si era detta
guardando fissa contro il muro bianco della parete di fronte a lei.
Il rumore dell'acqua corrente alle sei di mattina, così inusuale ai piani alti della palazzina di Madame Isabel, aveva preoccupato l'anziana signora che si era precipitata a controllare che non ci fosse nessun tubo rotto. In cima alle scale, Madame Isabel si era trovata faccia a faccia con Maddalena avvolta nel suo accappatoio blu. «Che sollievo, Madalena! Pensavo che si stesse allagando la casa!». Uno scambio di battute e le due donne si erano sedute sul letto, una a vestirsi, l'altra a raccontare. Madame Isabel parlava della portoghese loca del secondo piano, dei suoi sbalzi di umore e delle scenate agli altri inquilini, che malsopportavano le stranezze di questa trentenne disoccupata perennemente al telefono con il fidanzato. Diciannove anni appena compiuti, lui. Raccontava, Madame Isabel, di una sera in cui Ana era tornata a mezzanotte con la macchina piena di cd spezzati e aveva raccontato di averli presi in casa del fidanzato durante una lite e di averglieli distrutti in preda a una crisi di gelosia. «Quando Pablo se murió lei era già qui ed è stata molto gentile con me. È pazza, questo sì, ma in fondo non è cattiva». Pensando a Pablo il suo viso era tornato triste, del tono del cielo che si gonfiava d'acqua. Maddalena le aveva accarezzato la mano che Madame Isabel teneva appoggiata alle gambe. Si erano fermate un momento a guardarsi prima di rimettersi in movimento. Erano ormai le sette e mezza di una mattina grigia di febbraio, Madame Isabel si era asciugata le lacrime con l'avambraccio, come una bambina. La tazza di tè era vuota, Maddalena l'aveva presa e appoggiata sul suo tavolo. «Oggi pensavo di andare a fare un giro in centro ma con questo tempo non mi viene molta voglia. Se non ha altro da fare, potremmo organizzare qualcosa insieme per il pranzo» e mentre lo diceva aveva aperto il frigo e si era dovuta arrendere all'evidenza: le poche provviste che si era portata dall'Italia non permettevano un granché per il pasto. «Magari vado a fare un po' di spesa e prepariamo insieme, più tardi. Cosa ne pensa?». «Grazie, accetto volentieri. Sono dimagrita dieci chili dalla morte di Pablo. È che non mi piace mangiare sola». «Buenos dias, ragazze!». Simon, appena sveglio, le aveva raggiunte nella piccola cucina del terzo piano. «Che ci fate, qui? Vi preparate uno spuntino per mezzogiorno? E brava Maddalena che approfitta subito delle doti culinarie di Isabel!». Senza aspettare risposta, Simon le aveva dato due pacche sulla spalla, finendo l'ultimo sorso di tè rimasto nella teiera, e un attimo dopo era già tornato in camera. Madame Isabel aveva appoggiato la mano dietro la schiena di Maddalena, accompagnandola in direzione delle scale. Zaino in spalla e ombrello sotto braccio, Maddalena era uscita di casa in cerca di un supermercato. Una volta lì, comprò nuove scatole di tè, pane, cereali, lattine di piselli e fagioli, un po' di frutta. Osservò il carrello, "ci penserò un'altra volta", il respiro si fece corto e il pensiero di Luca le annebbiò la vista. Era tornata a casa completamente fradicia. Madame Isabel la aspettava sulla porta, le tolse di mano la spesa per sistemarla tra frigo e credenza, a pian terreno. «È solo per non mandarti su così bagnata!» le disse. «Quando sali in mansarda la prendi, se vuoi». Poi l'afferrò dolcemente per un braccio e la portò in cucina. «Vieni, ti asciugo i capelli». Senza discutere, Maddalena si era lasciata sfilare dalle spalle lo zaino. Aveva la sensazione che le sue provviste sarebbero rimaste a lungo in quella cucina. «Anche mia figlia, da ragazza, aveva i capelli come i tuoi: lunghi fino in fondo alla schiena. Però erano lisci e neri. Glieli pettinavo e poi facevamo due trecce, così... Io non li ho mai potuti avere lunghi, sai? Perché da giovane lavoravo e allora i capelli lunghi erano più un problema che altro. Non mi vergogno a dirtelo, anche se tu sei una che studia, una alfabeta. Io a scuola non ci sono andata. Non si poteva in quei tempi là, se venivi da una famiglia come la mia...». Maddalena si era voltata a guardarla. Madame Isabel doveva avere al massimo una settantina d'anni e facendo il conto all'indietro si arrivava proprio all'epoca della guerra civile. «C'era la guerra, e noi eravamo otto fratelli, mio padre lavorava nella mina e mia madre nel campo. Io ho cominciato a lavorare presto e nel paese dove abitavamo la scuola non c'era neanche, figurati se potevo andare da sola fino a Portullano!». I capelli erano asciutti già da qualche minuto ma Madame Isabel continuava a pettinarli e a spruzzarci sopra un prodotto profumato per sciogliere i nodi. «Vuoi che smetta?». Maddalena aveva fatto segno di no con la testa, senza interrompere il suo racconto. «E così io non sono mai stata dietro un banco, come te, sono analfabeta, come si dice. Però leggo, sai, leggo anche i giornali e le lettere che mi arrivano dalla banca o dalla mutua. È che non ho avuto l'opportunità che avete voi, ma erano altri tempi quelli, tempi tristi». Le fotografie, la grande tavola in legno, i mobili, le piante, tutto rimandava ad un passato trascorso tra quelle mura come in una piccola Spagna. Madame Isabel aveva sciolto le due trecce per rifarne una unica in mezzo alla schiena. Erano rimaste in silenzio per qualche minuto, poi le aveva sorprese un rumore di nocche contro il legno e il cigolìo della grande porta che si apriva. «Vien Aspasia, ge suis issì». Madame Isabel, con il suo francese zoppicante, aveva interrotto la quiete per accogliere la griega. Aspasia era entrata in cucina sbuffando sulla pila di fogli che teneva in mano, una tuta da ginnastica ultimo modello addosso e i capelli neri sciolti sulle spalle. «Non mi fermo da stamattina! Ho avuto una giornataccia in ufficio, poi sono andata in palestra, devo lavorare anche stanotte perché domani ho una consegna! Isabel, mi perdoni, ma non posso restare nemmeno un min...», aveva interrotto un istante il suo monologo per riprendere fiato e si era voltata verso Maddalena. «Ah, tu devi essere la nuova, quella del terzo piano! Ana mi ha detto che ti ha sentito parlare con Simon ieri sera. Così so che hai già conosciuto il nostro cane che abbaia e a volte morde», aveva riso un poco e lanciato un'occhiata d'intesa a Madame Isabel. «Ciao, io sono Aspasia. Scusami se non resto qui con te ma vado di fretta e non posso proprio trattenermi, ci vediamo nei prossimi giorni, d'accordo?». Non le aveva lasciato neppure il tempo di presentarsi ed era sparita. «Aspasia non parla spagnolo come voi altri, ma è buena muchacha. Ha sempre la testa da un'altra parte però è simpatica e gentile. E poi è l'unica che mangia qui da me, ad orari un po' strani, ma almeno passa a trovarmi ed è già molto. Beh, adesso che ci sei anche tu... insomma, vieni quando vuoi, se ti fa piacere. Per esempio, adesso potresti fermarti un po' prima di tornare a fare le tue cose, no? Ti preparo un altro tè?». Gli avambracci poggiati sullo schienale della sedia, Maddalena pensava che avrebbe dovuto andare nella sua camera a togliere i vestiti dalla valigia e a disporre i libri sullo scaffale. L'acqua era sul fuoco, la spazzola di nuovo fra le mani di Isabel, e Maddalena aveva deciso di rimanere lì. «È che in quegli anni era tutto difficile, la guerra aveva lasciato un disastro e mio padre era repubblicano, aveva aiutato dei compagni che poi erano stati uccisi da Franco e dai suoi. Non eravamo benvisti e nella mina aveva la fama di essere socialista. Anche Pablo, mio marito, era socialista e lavorava nella mina con mio padre e i miei zii. Erano tempi difficili e non c'era lavoro, e non c'era da mangiare per tutti e figurati se potevo andare a scuola». «Nella mina?», le aveva fatto eco Maddalena. «Sì, erano minatori. Perché?». Maddalena aveva trattenuto il fiato per un attimo. "Non posso crederci...", aveva pensato ad alta voce, senza accorgesene. «Cosa hai detto?». Si era fermata, aveva lasciato la spazzola sul tavolo e mentre aspettava la risposta di Maddalena aveva aperto la credenza nel mezzo del soggiorno. Da un vaso di ceramica aveva tirato fuori una foto. «Ecco, questo è mio padre, e qui accanto sono due dei socialisti che poi furono uccisi dagli uomini di Franco. Vedi? Erano tutti repubblicani nella mia famiglia, anche mia madre che non sapeva nemmeno scrivere il suo nome aveva imparato a dipingere sui muri Viva la Repubblica, morte a Franco». Aveva l'espressione molto seria e lo sguardo fiero, mentre riappoggiava la foto sul tavolo e riprendeva la spazzola. «Tu che cosa studi, Madalena?».
«Storia, studio Storia».
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