Copertina
Autore Brian Green
Titolo La realtà nascosta
SottotitoloUniversi paralleli e leggi profonde del cosmo
EdizioneEinaudi, Torino, 2012, Saggi 929 , pag. 432, cop.ril.sov., dim. 155x215x34 , Isbn 978-88-06-18613-5
OriginaleThe Hidden Reality. Parallel Universe and the Deep Laws of the Cosmos [2011]
TraduttoreSimonetta Frediani
LettorePiergiorgio Siena, 2012
Classe fisica , cosmologia
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Indice


 IX Prefazione

    La realtà nascosta

  3 I.      I limiti della realtà
            Mondi paralleli

  4     Universo e universi
  5     Varietà di universi paralleli
 10     L'ordine cosmico

 12 II.     Un numero infinito di doppelganger
            Il multiverso patchwork

 13     Il padre del Big Bang
 14     La relatività generale
 18     L'universo e la teiera
 21     Tassare la gravità
 23     L'atomo primordiale
 24     I modelli e i dati
 27     Il nostro universo
 30     La realtà in un universo infinito
 32     Lo spazio infinito e la coperta patchwork
 35     Un numero finito di possibilità
 39     Ripetizione cosmica
 41     Nullaltro che fisica
 43     Come interpretare tutto ciò?

 48 III.    Eternità e infinito
            Il multiverso inflazionato

 48     Residui di un inizio rovente
 52     La misteriosa uniformità degli antichi fotoni
 54     Più veloci della luce
 56     Allargare gli orizzonti
 61     Campi quantisticì
 63     Campi quantistici e inflazione
 68     Inflazione eterna
 71     Il gruviera e l'universo
 73     Cambiano le prospettive
 77     Nel multiverso inflazionato
 82     Universi in un guscio di noce
 85     Lo spazio in un universo-bolla

 93 IV.     Unificare le leggi della natura
            In cammino verso la teoria delle stringhe

 94     Una breve storia dell'unificazione
 97     Ancora i campi quantistici
101     La teoria delle stringhe
103     Stringhe, punti e gravità quantistica
106     Le dimensioni dello spazio
112     Grandi speranze
113     La teoria delle stringhe e le proprietà delle particelle
117     La teoria delle stringhe e gli esperimenti
121     Teoria delle stringhe, singolarità e buchi neri
124     La teoria delle stringhe e la matematica
127     Una valutazione dello stato della teoria delle stringhe

134 V.      Universi sospesi in dimensioni vicine
            Il multiverso a brane e il multiverso ciclico

136     Al dì là delle approssimazioni
140     La dualità
143     Le brane
145     Brane e mondi paralleli
149     Brane appiccicose e tentacoli gravitazionali
152     Tempo, cicli e multiverso
154     Il passato e il futuro degli universi ciclici
158     Flussi

164 VI.     Un nuovo modo di pensare a una vecchia costante
            Il multiverso paesaggio

165     I ritorno della costante cosmologica
166     Il destino dell'universo
167     Distanza e luminosità
170     Ma di quale distanza si tratta?
173     I colori della cosmologia
177     Accelerazione cosmica
178     La costante cosmologica
181     Spiegare lo zero
186     Cosmologia antropica
191     La vita, le galassìe e i numeri della natura
195     Il difetto diventa una virtù
196     L'ultimo passo, in breve
197     Il paesaggio delle stringhe
199     Tunneling quantistico nel paesaggio
204     E il resto della fisica?
206     Ma questa è scienza?

209 VII.    La scienza e il multiverso
            Inferenze, spiegazioni e previsioni

210     L'anima della scienza
211     Multiversi accessibili
212     La scienza e l'inaccessibile, parte prima
217     La scienza e l'inaccessibile, parte seconda
218     Previsioni in un multiverso, parte prima
222     Previsioni in un multiverso, parte seconda
224     Previsioni in un multiverso, parte terza
228     Previsioni in un multiverso, parte quarta
229     Suddividere l'infinito
233     Un'ulteriore preoccupazione degli oppositori
235     Misteri e multiversi

241 VIII.   I molti mondi della misurazione quantistica
            Il multiverso quantistico

241     La realtà quantistica
245     L'enigma delle alternative
249     Onde quantistiche
252     Non così veloce
257     La linearità e i suoi oppositori
264     Molti mondi
267     Le storie sono due
280     Quando un'alternativa è un universo?
282     Incertezza nell'avanguardia
283     Un problema probabile
286     Probabilità e molti mondi
295     Prevedere e comprendere

303 IX.     Buchi neri e ologrammi
            Il multiverso olografico

304     Informazione
305     Buchi neri
307     La seconda legge
312     La seconda legge e i buchi neri
315     La radiazione di Hawking
319     Entropia e informazione nascosta
322     Entropia, informazione nascosta e buchi neri
324     Localizzare l'informazione nascosta di un buco nero
328     Al di là dei buchi neri
331     I dettagli minuti
333     Teoria delle stringhe e olografia
341     Universi paralleli o matematiche parallele?
344     Coda: il futuro della teoria delle stringhe

349 X.      Universi, computer e realtà matematica
            Il multìverso simulato e il multiverso estremo

350     Creare un universo
357     La materia di cui è fatto il pensiero
363     Universi simulati
365     Viviamo in una simulazione?
368     Vedere al di là di una simulazione
372     La biblioteca di Babele
378     Giustificazione del multiverso
382     Simulare Babele
387     Le radici della realtà

391 XI.     I limiti dell'indagine
            Multiversi e il futuro

394     Lo schema copernicano è fondamentale?
395     Le teorie scientìfiche che contemplano un multiverso
        possono essere verificate?
397     Possiamo verificare le teorie del multiverso che abbiamo
        incontrato?
402     Quali effetti ha il multiverso sulla natura della
        spiegazione scientifica?
405     Dovremmo credere alla matematica?


411     Suggerimenti per ulteriori letture
415     Indice analitico


 

 

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Pagina 93

Capitolo quarto

Unificare le leggi della natura


In cammino verso la teoria delle stringhe

Dal Big Bang all'inflazione, la cosmologia moderna affonda le radici in un'unica teoria scientifica: la relatività generale di Einstein. Con la sua nuova teoria della gravita, Einstein demolì l'idea comunemente accettata di spazio e tempo rigidi e immutabili; la scienza si trovò ad affrontare un cosmo dinamico. Contributi di questa importanza sono rari. Ma Einstein sognava di raggiungere vette ancora più alte. Con l'arsenale matematico e le intuizioni geometriche che era arrivato ad accumulare negli anni Venti, si propose di sviluppare una teorìa unificata dei campi.

Con ciò, Einstein intendeva un modello capace di riunire tutte le forze della natura in un solo arazzo matematico privo di cuciture. Invece di avere un certo insieme di leggi per certi fenomeni fisici e un insieme diverso per altri fenomeni, Einstein voleva fondere tutte le leggi in un unico insieme coerente. Il verdetto della storia è che i decenni di intenso lavoro di Einstein per ottenere l'unificazione non hanno avuto un grande effetto duraturo - era un nobile sogno, ma i tempi non erano maturi; tuttavia altri scienziati hanno portato avanti la sua impresa, realizzando progressi importanti. La proposta più perfezionata che ne è emersa è la teoria delle stringhe.

I miei libri precedenti, L'universo elegante e La trama del cosmo, hanno trattato la storia della teoria delle stringhe e le sue caratteristiche essenziali. Negli anni trascorsi dalla loro pubblicazione, le condizioni generali di salute e il prestigio della teoria sono stati messi in dubbio più e più volte pubblicamente. E del tutto ragionevole: nonostante tutti i suoi progressi, la teoria delle stringhe deve ancora formulare previsioni definitive la cui verifica sperimentale possa dimostrare che la teoria è giusta o sbagliata. Poiché le prossime tre varietà di multiverso che incontreremo {nei capitoli V e VI) emergono dalla prospettiva di questa teoria, è importante considerarne tanto lo stato attuale quanto le prospettive di stabilire un collegamento con i dati osservativi e sperimentali.


Una breve storia dell'unificazione.

All'epoca in cui Einstein inseguiva l'obiettivo dell'unificazione, le forze conosciute erano la gravità, descritta dalla relatività generale, e l'elettromagnetismo, descritto dalle equazioni di Maxwell. Einstein immaginò di fonderle in un'unica frase matematica che descrivesse chiaramente il funzionamento di tutte le forze della natura. Einstein aveva grandi speranze di arrivare alla teoria unificata. Considerava il lavoro di Maxwell sull'unificazione come l'esempio ideale di contributo al pensiero umano - e aveva ragione. Prima di Maxwell, la corrente elettrica che scorre in un filo, la forza generata dalla calamita di un bambino e la luce che arriva sulla Terra dal Sole erano visti come fenomeni distinti e non collegati. Maxwell rivelò che, in realtà, formano una trinità scientifica; le correnti elettriche producono campi magnetici; i magneti che si muovono nelle vicinanze di un filo producono campi elettrici; le perturbazioni di tipo ondulatorio che increspano i campi elettrici e magnetici producono luce. Con le sue ricerche, Einstein si aspettava di far progredire il programma di unificazione di Maxwell compiendo la mossa successiva, forse l'ultima, sulla via per arrivare a una descrizione pienamente unificata delle leggi della natura - una descrizione che avrebbe unito l'elettromagnetismo e la gravità.

Non era un obiettivo modesto, e Einstein non lo prese alla leggera. Aveva l'impareggiabile capacità di concentrarsi con grande determinazione sui problemi che decideva di risolvere e negli ultimi trent'anni della sua vita il problema dell'unificazione divenne la sua ossessione principale. Secondo quanto ha raccontato la sua segretaria personale e governante Helen Dukas, che era insieme a lui al Princeton Hospital, il 17 aprile 1955, il giorno prima di morire, Einstein, che era costretto a letto ma quel giorno si sentiva un po' più forte, le chiese le pagine di equazioni che aveva continuato a modificare senza sosta nella speranza sempre più fievole che la teoria unificata dei campi si materializzasse. Einstein morì prima dell'alba. Questi ultimi appunti scribacchiati non gettarono altra luce sull'unificazione.

Pochi contemporanei di Einstein condividevano questa sua passione. Dalla metà degli anni Venti alla metà degli anni Sessanta, i fisici, guidati dalla meccanica quantistica, si dedicarono a svelare i segreti dell'atomo e a imparare come sfruttarne i poteri nascosti. L'idea di distinguere i costituenti della materia esercitava un fascino immediato e potente. In un'epoca in cui i teorici e gli sperimentatori lavoravano sodo in stretto contatto per rivelare le leggi del regno microscopico, l'unificazione, seppur giudicata da molti come un obiettivo lodevole, suscitò soltanto un interesse passeggero e superficiale. Con la morte di Einstein, le ricerche sull'unificazione si fermarono di colpo.

Il fallimento di Einstein apparve più grave quando ricerche posteriori mostrarono che la sua ricerca dell'unità aveva avuto un orizzonte troppo ristretto. Einstein aveva sottovalutato il ruolo della fisica quantistica (era convinto che la teoria unificata avrebbe soppiantato la meccanica quantistica e quindi che non fosse necessario incorporarla sin dall'inizio) e in più il suo lavoro non teneva conto di altre due forze rivelate dagli esperimenti: l'interazione nucleare forte e l'interazione nucleare debole. La prima offre un potente collante che tiene insieme i nuclei degli atomi, mentre la seconda è responsabile, tra le altre cose, del decadimento radioattivo. L'unificazione dovrebbe combinare non due forze, ma quattro. L'obiettivo sognato da Einstein sembrò ancora più remoto.

Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, la marea cambiò. I fisici si resero conto che i metodi della teoria quantistica dei campi, che erano stati applicati con successo alla forza elettromagnetica, fornivano anche la descrizione delle interazioni nucleari deboli e forti. Le tre forze non gravitazionali potevano quindi essere descritte usando lo stesso linguaggio matematico. Per di più, lo studio approfondito di queste teorie quantistiche dei campi - soprattutto il lavoro di Sheldon Glashow, Steven Weinberg e Abdus Salam, che fu premiato con il Nobel, e in seguito le intuizioni di Glashow e del collega di Harvard Howard Georgi - rivelò relazioni che suggerivano una potenziale unità tra la forza elettromagnetica e le due interazioni nucleari. Seguendo l'esempio di Einstein di quasi mezzo secolo prima, i teorici ipotizzarono che queste tre forze appatentemente distinte potessero essere in realtà manifestazioni di un'unica, monolitica, forza della natura.

Erano progressi straordinari verso l'unificazione, ma l'atmosfera incoraggiante era rovinata da un fastidioso problema: se applicati alla quarta forza della natura, la gravità, i metodi della teoria quantistica dei campi non funzionavano affatto. I calcoli che avevano a che fare con la meccanica quantistica e la descrizione del campo gravitazionale nella relatività generale producevano risultati contrastanti, matematicamente insensati. Nonostante il grande successo della relatività generale e della meccanica quantistica nei loro domini originari del grande e del piccolo, i risultati privi di senso che si ottenevano tentando di combinarle indicavano una crepa profonda nella comprensione delle leggi della natura. Se le leggi a disposizione si dimostrano incompatibili, è chiaro che non sono le leggi giuste. L'unificazione era stata un obiettivo estetico; ora si era trasformata in un imperativo logico.

Il successivo passo avanti fondamentale arrivò a metà degli anni Ottanta. Fu allora che un nuovo approccio, la teorìa delle super-stringhe, [...]

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Capitolo quinto

Universi sospesi in dimensioni vicine


Il multiverso a brane e il multiverso ciclico

[...]

A metà degli anni Novanta, gli stringhisti scoprirono qualcosa di simile a una goccia di pioggia: si resero conto che varie approssimazioni matematiche, usate comunemente per analizzare la teoria delle stringhe, trascuravano questioni fisiche importanti. Con lo sviluppo e l'applicazione di metodi matematici più precisi, alla fine gli stringhisti riuscirono ad andare al di là delle approssimazioni; il risultato mise a fuoco molte caratteristiche inattese della teoria, compresi alcuni nuovi tipi di universi paralleli; in particolare, una di queste varietà potrebbe essere la più accessibile sperimentalmente.

[...]

Al di là delle approssimazioni.

Ognuna delle più importanti discipline della fisica teorica - come la meccanica classica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica e la relatività generale - è definita da un'equazione fondamentale, o da un insieme di equazioni (non occorre che le conosciate, ma ne ho elencate alcune nelle note}. Il problema è che, in tutte le situazioni tranne le più semplici, le equazioni sono straordinariamente difficili da risolvere. Per questa ragione, i fisici usano regolarmente semplificazioni - come ignorare la gravità di Plutone o trattare il Sole come se fosse perfettamente sferico - che rendono più facili le equazioni e permettono di ottenere soluzioni approssimate.

Per molto tempo le ricerche sulla teoria delle stringhe hanno affrontato problemi ancora più gravi. Arrivare a scrivere le equazioni fondamentali si dimostrava così difficile che i fisici riuscivano a sviluppare soltanto versioni approssimate. E anche le equazioni approssimate erano così intricate da costringerli ad aggiungere assunti semplificativi per trovare qualche soluzione, basando in tal modo le ricerche su approssimazioni di approssimazioni. Ma negli anni Novanta la situazione migliorò di molto. Compiendo una serie di passi avanti, un certo numero di stringhisti mostrò come andare ben al di là delle approssimazioni, raggiungendo una chiarezza e una capacità di comprensione senza pari. Per capire questi progressi, immaginate che Ralph abbia in programma di giocare per due volte di seguito alla lotteria settimanale mondiale e sia tutto fiero di aver calcolato la probabilità di vincere. Parlando con Alice, afferma che, avendo ogni volta i probabilità su un miliardo di vincere, se gioca per due settimane la probabilità sarà pari a 2 su un miliardo, cioè 0,0000000002. Alice fa un sorrisetto compiaciuto. «Ci sei andato vicino, Ralph». «La solita saputella. Che cosa intendi con vicino?», replica Ralph. «È una stima per eccesso, - gli spiega Alice. - Se vincessi al primo giro, giocare di nuovo non farebbe aumentare la tua probabilità di vincere; sarebbe già successo. Se vinci due volte, guadagnerai di più, è chiaro, ma poiché vuoi calcolare la probabilità di vìncere e basta, una seconda vittoria non conta. Per ottenere la soluzione esatta devi quindi sottrarre la probabilità di vincere tutt'e due le volte - 1 su un miliardo moltipllcato per 1 su un miliardo, ovvero 0,000000000000000001. Il risultato finale è dunque 0,000000001999999999. Qualche domanda, Ralph?»

A parte l'autocompiacimento, il metodo di Alice è un esempio di ciò che i fisici chiamano approccio perturbativo. Eseguendo un calcolo, spesso è più facile procedere con un primo passaggio che comprende soltanto i contributi più evidenti - il punto di partenza di Ralph è questo - per poi farne un secondo che tiene conto dei dettagli più fini, modificando o «perturbando» il risultato del primo, come fa Alice. L'approccio può essere facilmente generalizzato. Se Ralph intendesse giocare per dieci volte di seguito, l'approccio basato sul primo passaggio indica che avrebbe una probabilità di vincere di circa 10 su un miliardo, cioè 0,0000000001. Ma, come nell'esempio precedente, questa approssimazione non tiene conto come si deve delle vincite multiple. Se invece si segue il metodo di Alice, il secondo passaggio terrebbe conto nel modo giusto dei casi in cui Ralph vince due volte - nella prima e nella seconda settimana, poniamo, o nella prima e nella terza, e così vìa. Queste correzioni, come fa notare Alice, sono proporzionali a 1 su un miliardo per 1 su un miliardo. Ma esiste anche una probabilità ancora più piccola che Ralph vinca tre volte; il terzo passaggio di Alice prende in considerazione anche questa possibilità, generando modifiche proporzionali a 1 su un miliardo moltiplicato per se stesso tre volte, cioè 0,000000000000000000000000001. Il quarto passaggio tiene conto in questo stesso modo della probabilità, ancora più piccola, di vincere quattro volte, e così via. Ogni nuovo contributo è molto più piccolo del precedente, quindi a un certo punto Alice giudica la soluzione abbastanza precisa e ritiene conclusa la questione.

Nella fisica, e anche in molte altre branche della scienza, i calcoli procedono spesso in modo simile. Se siamo interessati alla probabilità che due particelle che procedono in direzioni opposte nell'LHC si scontrino, nel primo passaggio immaginiamo che entrino in collisione una volta e rimbalzino («entrare in collisione» non significa che si tocchino direttamente, piuttosto che un «proiettile» che media un'unica forza, come un fotone, voli via da una delle due e sia assorbito dall'altra). Nel secondo passaggio prendiamo in considerazione la possibilità che le particelle si scontrino due volte (due fotoni vengono sparati dall'una all'altra); il terzo passaggio modifica i primi due tenendo conto della possibilità che gli urti siano tre e così via.

[...]


Le brane.

Quando iniziai a studiare la teoria delle stringhe, posi la stessa domanda che poi molti negli anni hanno rivolto a me: perché le stringhe sono considerate tanto speciali? Perché concentrarsi esclusivamente su ingredienti fondamentali che hanno una sola dimensione? Dopo tutto, la teorìa richiede che lo spazio in cui esistono i suoi ingredienti - l'universo - abbia nove dimensioni, quindi perché non considerare entità simili a fogli bidimensionali, a grumi tridimensionali, o a qualche cugino a più dimensioni? La risposta che imparai da specializzando negli anni Ottanta, e poi spiegai tante volte dopo le conferenze che tenni fino a metà degli anni Novanta, era che le equazioni che descrivono i costituenti fondamentali con più di una dimensione spaziale generavano assurdità fatali (come un processo quantistico con una probabilità negativa, un risultato matematico privo di significato). Quando si applicavano le stesse equazioni alle stringhe, tuttavia, le assurdità sparivano, lasciando una descrizione convincente. Le stringhe costituivano senza dubbio una classe a sé stante. O almeno così sembrava.

Armati dei nuovi metodi di calcolo, i fisici iniziarono ad analizzare le equazioni in modo più preciso e produssero una schiera di risultati inaspettati. Uno dei più sorprendenti stabiliva che le ragioni per escludere tutto tranne le stringhe erano incerte. I teorici si resero conto che i problemi matematici incontrati studiando i gredienti a più dimensioni, come dischi e grumi, erano dovuti ad approssimazioni utilizzate. Usando i metodi più precisi, un piccolo esercito di teorici stabilì che in effetti nelle ombre matematiche della teoria delle stringhe si nascondono ingredienti con vari mumeri di dimensioni spaziali. Le tecniche perturbative erano troppo grossolane per svelare questi ingredienti, ma i nuovi metodi ne avevano finalmente la capacità. Alla fine degli anni Novanta, era ormai chiaro che la teoria delle stringhe non è semplicemente una teoria che contiene stringhe.

Le analisi rivelarono oggetti con due dimensioni spaziali, a forma di frisbee o di tappeto volante: membrane (uno dei significati della «M» della teoria M), dette anche 2-brane.

Ma c'era dell'altro. Le analisi svelarono anche oggetti con tre dimensioni spaziai le cosiddette 3-brane, con quattro dimensioni spaziali, le 4-brane così via fino alle n-brane. Le equazioni mostravano chiaramente che tutte queste entità potevano vibrare e contorcersi, come le stringhe; in effetti, in questo contesto, è bene pensare alle stringhe come a I-brane - un'unica voce per un elenco inaspettatamete lungo degli elementi fondamentali della teoria.

Un'altra rivelazione, altrettanto sbalorditiva per chi aveva dedicato quasi tutta la propria vita professionale all'argomento, fu che il numero delle dimensioni spaziali richieste dalla teoria in realtà non è nove. È 10. E se consideriamo la dimensione del tempo il numero totale di dimensioni spaziotemporali è 11.

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Capitolo ottavo

I molti mondi della misurazione quantistica


II multiverso quantistico

La valutazione più ragionevole delle teorie degli universi paralleli finora incontrate è che il verdetto è ancora incerto. Una distesa spaziale infinita, l'inflazione eterna, i mondi-brana, la cosmologia ciclica, il paesaggio della teoria delle stringhe, sono tutte idee interessanti emerse da una serie di sviluppi scientifici. Ognuna, però, continua a essere provvisoria, come le proposte di multiverso che ciascuna ha generato. Anche se molti scienziati sono disposti a offrire le proprie opinioni, favorevoli o contrarie, riguardo a questi schemi di multiverso, la maggioranza riconosce che a determinare se qualcuna di queste idee entrerà a far parte del canone scientifico saranno intuizioni future, generate da teorie, esperimenti o osservazioni.

Il multiverso che prenderemo in esame ora, quello che emerge dalla meccanica quantistica, è considerato in modo del tutto diverso. Molti fisici hanno già emesso un verdetto definitivo su questo particolare multiverso. Il punto è che non è lo stesso verdetto per tutti. Le differenze derivano dal problema profondo e finora irrisolto del passaggio dal modello probabilistico della meccanica quantistica alla realtà ben precisa dell'esperienza comune.


La realtà quantistica.

Nel 1954, quasi trent'anni dopo che luminari come Niels Bohr, Werner Heisenberg ed Erwin Schröedinger avevano gettato le basi della teoria quantistica, uno sconosciuto dottorando di Princeton, di nome Hugh Everett III, ebbe un'illuminazione. La sua analisi, che si concentrava su un'enorme lacuna attorno alla quale Bohr, il gran maestro della meccanica quantistica, aveva girato senza riuscire a colmarla, rivelò che forse una corretta comprensione della teoria richiedeva una vasta rete di universi paralleli. Quella di Everett fu una delle prime intuizioni motivate dalla matematica che suggeriscono la nostra possibile appartenenza a un multiverso.

L'approccio di Everett, in seguito chiamato «interpretazione dei molti mondi della meccanica quantistica», ha avuto una storia movimentata. Nel gennaio 1956, avendo calcolato le conseguenze matematiche della sua proposta, Everett presentò una bozza della tesi a John Wheeler, il suo supervisore. Wheeler, uno dei pensatori più famosi della fisica del Novecento, ne fu profondamente colpito. Ma a maggio, quando Wheeler fece visita a Bohr a Copenaghen e discussero le idee di Everett, l'accoglienza fu gelida. Bohr e i suoi seguaci avevano passato decenni a perfezionare la loro concezione della meccanica quantistica. Ai loro occhi, i problemi sollevati da Everett, e i modi bizzarri in cui riteneva che andassero affrontati, avevano ben poco valore.

Wheeler, che nutriva grande stima per Bohr, giudicò particolarmente importante non irritare il collega più anziano. In reazione a queste sue critiche, Wheeler rinviò il conferimento del Ph.D. a Everett e lo costrinse a modificare in modo sostanziale la sua tesi. Everett doveva eliminare tutte le parti manifestamente critiche nei confronti della metodologia di Bohr e sottolineare come i suoi risultati intendessero chiarire e ampliare la formulazione tradizionale della teoria quantistica. Everett oppose resistenza, ma aveva già accettato un lavoro al ministero della Difesa (dove di li a poco, restando dietro le quinte, ebbe un ruolo importante nella politica sugli armamenti nucleari delle amministrazioni Eisenhower e Kennedy) per cui era richiesto il dottorato, quindi dovette acconsentire. Nel marzo 1957, Everett consegnò una versione notevolmente ridotta della sua tesi originaria; ad aprile fu accettata da Princeton in quanto conforme ai requisiti formali e a luglio fu pubblicata da «Reviews of Modern Physics». Tuttavia, poiché l'approccio di Everett alla meccanica quantistica era già stato scartato da Bohr e dal suo entourage, e data la sordina messa alla visione più grandiosa descritta nella tesi originaria, l'articolo venne ignorato.

Dieci anni dopo, il celebre fisico Bryce DeWitt fece emergere dall'oscurità il lavoro di Everett. DeWitt, ispirato dai risultati del suo dottorando Neil Graham, che sviluppavano ulteriormente le equazioni di Everett, divenne un aperto sostenitore della nuova visione everettiana della teoria quantistica. Oltre a pubblicare un certo numero di articoli tecnici che fecero conoscere le intuizioni di Everett a una piccola ma autorevole comunità di specialisti, nel 1970 DeWitt scrisse un compendio di livello generale per «Physics Today» che raggiunse un pubblico scientifico molto più ampio. A differenza di Everett, che nell'articolo del 1957 aveva evitato di parlare di altri mondi, DeWitt mise in risalto questa caratteristica, sottolineandola con una riflessione inusitatamente sincera sullo «shock» provato venendo a conoscenza della conclusione di Everett che apparteniamo a un enorme «multimondo». L'articolo suscitò grande interesse nella comunità dei fisici, diventata più aperta nei confronti della possibilità di modificare l'ortodossia quantistica, e accese un dibattito, tuttora in corso, sulla natura della realtà quando, come crediamo, dominano le leggi quantistiche.

Per preparare il terreno, è opportuna qualche considerazione. Una delle conseguenze della rivoluzione concettuale avvenuta all'incirca tra il 1900 e il 1930 fu un assalto feroce all'intuizione, al senso comune e alle leggi generalmente accettate che la nuova avanguardia ben presto iniziò a definire «fisica classica» - un'espressione che trasmette i sentimenti di stima e di rispetto per un quadro della realtà nel contempo venerabile, immediato, soddisfacente e predittivo. Se so come stanno le cose adesso, posso usare le leggi della fisica classica per prevedere come saranno in un qualsiasi momento futuro, o com'erano in un qualsiasi momento del passato. Sottigliezze quali il caos (nel senso tecnico: le situazioni in cui lievi cambiamenti della situazione attuale possono portare a errori enormi nelle previsioni) e la complessità delle equazioni mettono in dubbio la praticità di questo programma in tutte le situazioni a parte le più semplici, ma in sé le leggi tengono saldamente in una morsa d'acciaio un passato e un futuro ben precisi.

La rivoluzione quantistica impose l'abbandono della prospettiva classica poiché i nuovi risultati stabilirono che era dimostrabilmente sbagliata. Per il movimento di oggetti grandi come la Terra e la Luna, o di oggetti della vita quotidiana come una roccia o una palla, le leggi classiche fanno un ottimo lavoro di previsione e descrizione. Ma se si passa al micromondo delle molecole, degli atomi e delle particelle subatomiche, le leggi classiche non funzionano. In contrasto con l'essenza stessa del ragionamento classico, se si conducono esperimenti identici su particelle identiche preparate nello stesso identico modo, in generale non si ottengono risultati identici.

Immaginate, per esempio, di avere 100 scatole identiche, ciascuna contenente un elettrone, e che tutti gli elettroni siano stati preparati seguendo la medesima procedura di laboratorio. Dopo 10 minuti esatti, insieme ai vostri 99 soci, misurate le posizioni di ciascuno dei 100 elettroni. Al contrario di ciò che avrebbero previsto Newton, Maxwell e persino il giovane Einstein (su cui probabilmente sarebbero stati disposti a scommettere la vita), le 100 misurazioni non produrranno lo stesso risultato. Di fatto, a prima vista i risultati sembreranno casuali, con qualche elettrone vicino all'angolo anteriore in basso a sinistra, altri sul quello posteriore in alto a destra, altri ancora nella zona centrale e così via.

Le regolarità e gli schemi che fanno della fisica una disciplina rigorosa e predittiva diventano evidenti soltanto se ripetete questo stesso esperimento, con 100 scatole contenenti un elettrone, più e più volte. Quali sarebbero i risultati in questo caso? Se il primo gruppo di 100 misurazioni trova il 27 per cento degli elettroni vicino all'angolo in basso a sinistra, il 48 per cento vicino all'angolo in alto a destra e il 25 per cento nella zona centrale, il secondo gruppo produrrà una distribuzione molto simile. E cosi anche il terzo, il quarto e tutti quelli che seguono. La regolarità pertanto, non è evidente nelle singole misurazioni; non possiamo prevedere dove sarà un dato elettrone. La regolarità si trova invece nella distribuzione statistica di molte misurazioni. La regolarità, in altre parole, indica la verosimiglianza, o probabilità, di trovare un elettrone in una particolare posizione.

La straordinaria conquista dei fondatori della meccanica quantistica fu lo sviluppo di un formalismo matematico che faceva a meno delle previsioni assolute della fisica classica e prevedeva invece queste probabilità. Sviluppando un'equazione pubblicata da Schröedinger nel 1926 (e l'equivalente, seppur meno elegante, equazione di Heisenberg), i fisici possono inserire i dettagli di come stanno le cose ora e poi calcolare la probabilità che siano in un certo modo o in un altro, in qualsiasi momento futuro.

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Le teorie scientifiche che contemplano un multiverso possono essere verificate?

Anche se il concetto dì multiverso si inserisce alla perfezione nello schema copernicano, c'è una differenza qualitativa rispetto a tutte le altre volte in cui abbiamo abbandonato il centro della scena. Dipendendo da regni che potrebbero restare eternamente impossibili da esaminare (con qualche grado di precisione o, in alcuni casi, del tutto), apparentemente i multiversi pongono un ostacolo notevole alla conoscenza scientifica. Indipendentemente dalla concezione del posto dell'umanità nell'ordine cosmico, in generale si era sempre pensato che, grazie alla sperimentazione, all'osservazione e ai calcoli matematici, la capacità di approfondire la conoscenza fosse infinita. Se facciamo parte di un multiverso, tuttavia, è ragionevole aspettarsi che al massimo potremo arrivare a conoscere il nostro universo, il nostro angolino del cosmo. Più angosciante è la preoccupazione che il ricorso a un multiverso ci faccia entrare nel dominio delle teorie che non possono essere verificate - le teorie che si basano su storie «proprio cosi», riducendo tutto ciò che osserviamo a «come capita che vadano le cose qui».

Come ho detto, tuttavia, il concetto di multiverso ha più sfumature. Una teoria che comprende un multiverso può offrire previsioni verificabili, come abbiamo visto. Per esempio, i particolari universi che costituiscono un dato multiverso, benché possano differire in misura notevole, emergono da una stessa teoria e quindi potrebbero avere qualche caratteristica in comune. Il fatto di non riuscire a trovare queste caratteristiche, mediante misurazioni che effettuiamo qui nell'unico universo al quale abbiamo accesso, confuterebbe quella proposta di multiverso. La conferma di quelle caratteristiche, specie se fossero qualcosa di nuovo, rafforzerebbe la fiducia nella correttezza della proposta.

Altrimenti, se non esistono caratteristiche comuni a tutti gli universi, possono fornire un'altra classe di previsioni verificabili le correlazioni tra caratteristiche fisiche. Abbiamo visto, per esempio, che se in tutti gli universi in cui esistono gli elettroni esiste anche una specie di particella ancora sconosciuta, il fatto di non riuscire a trovarla con gli esperimenti intrapresi qui nel nostro universo farebbe scartare quella proposta di multiverso, mentre invece una conferma accrescerebbe la nostra fiducia nella sua correttezza. In maniera simile, anche correlazioni più complicate - come, per esempio, i particolari universi che comprendono, poniamo,tutte le particelle note (elettroni, muoni, quark up, quark down eccetera) contengono necessariamente una nuova specie di particelle - produrrebbero previsioni verificabili, falsificabili. In mancanza di correlazioni strette di questo genere, anche le variazioni delle caratteristiche fisiche da un universo all'altro possono fornire previsioni. In un dato multiverso, per esempio, la costante cosmologica può assumere una vasta gamma di valori, ma se nella stragrande maggioranza degli universi il valore della costante cosmologica fosse in accordo con ciò che le misurazioni hanno trovato qui (come illustrato nella figura 7.1), la fiducia in quel multiverso giustamente si rafforzerebbe.

Infine, anche se la maggior parte degli universi di un dato multiverso ha proprietà che differiscono dalle nostre, c'è ancora un'altra particolarità che possiamo tirare in ballo: possiamo fare appello al ragionamento antropico considerando soltanto gli universi le cui condizioni sono favorevoli alla nostra forma di vita. Se la vasta maggioranza di questo sottoinsieme di universi ha proprietà che sono in accordo con le nostre - se il nostro universo è tipico fra tutti quelli in cui potremmo vivere - la fiducia nel multiverso crescerebbe. Se invece siamo atipici, non possiamo scartare la teoria, ma questo è un famoso limite del ragionamento statistico. I risultati improbabili si possono realizzare e a volte infatti si realizzano. Ciò nonostante, quanto meno tipici siamo, tanto meno convincente sarebbe la proposta di multiverso in questione. Se in un dato multiverso il nostro universo spiccasse in maniera evidente fra tutti quelli favorevoli alla vita, sarebbe un motivo valido per considerare irrilevante quella proposta di multiverso.

Per sondare quantitativamente una proposta di multiverso, dobbiamo quindi determinare le caratteristiche demografiche della popolazione di universi. Non basta sapere quali sono gli universi possibili in base alla proposta, dobbiamo determinare le caratteristiche dettagliate degli universi a cui la proposta da effettivamente origine. A tal fine occorre comprendere i processi cosmologici che danno vita ai vari universi. Dal modo in cui variano le caratteristiche fisiche da un universo all'altro possono poi emergere previsioni verificabili.

Il fatto che questa sequenza di valutazione produca risultati chiari e netti può essere valutato soltanto multiverso per multiverso. Ma la conclusione è che le teorie che comprendono altri universi - regni per ora e forse eternamente inaccessibili - possono comunque fornire previsioni verificabili e quindi falsificabili.

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