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| << | < | > | >> |IndiceIX Prefazione La realtà nascosta 3 I. I limiti della realtà Mondi paralleli 4 Universo e universi 5 Varietà di universi paralleli 10 L'ordine cosmico 12 II. Un numero infinito di doppelganger Il multiverso patchwork 13 Il padre del Big Bang 14 La relatività generale 18 L'universo e la teiera 21 Tassare la gravità 23 L'atomo primordiale 24 I modelli e i dati 27 Il nostro universo 30 La realtà in un universo infinito 32 Lo spazio infinito e la coperta patchwork 35 Un numero finito di possibilità 39 Ripetizione cosmica 41 Nullaltro che fisica 43 Come interpretare tutto ciò? 48 III. Eternità e infinito Il multiverso inflazionato 48 Residui di un inizio rovente 52 La misteriosa uniformità degli antichi fotoni 54 Più veloci della luce 56 Allargare gli orizzonti 61 Campi quantisticì 63 Campi quantistici e inflazione 68 Inflazione eterna 71 Il gruviera e l'universo 73 Cambiano le prospettive 77 Nel multiverso inflazionato 82 Universi in un guscio di noce 85 Lo spazio in un universo-bolla 93 IV. Unificare le leggi della natura In cammino verso la teoria delle stringhe 94 Una breve storia dell'unificazione 97 Ancora i campi quantistici 101 La teoria delle stringhe 103 Stringhe, punti e gravità quantistica 106 Le dimensioni dello spazio 112 Grandi speranze 113 La teoria delle stringhe e le proprietà delle particelle 117 La teoria delle stringhe e gli esperimenti 121 Teoria delle stringhe, singolarità e buchi neri 124 La teoria delle stringhe e la matematica 127 Una valutazione dello stato della teoria delle stringhe 134 V. Universi sospesi in dimensioni vicine Il multiverso a brane e il multiverso ciclico 136 Al dì là delle approssimazioni 140 La dualità 143 Le brane 145 Brane e mondi paralleli 149 Brane appiccicose e tentacoli gravitazionali 152 Tempo, cicli e multiverso 154 Il passato e il futuro degli universi ciclici 158 Flussi 164 VI. Un nuovo modo di pensare a una vecchia costante Il multiverso paesaggio 165 I ritorno della costante cosmologica 166 Il destino dell'universo 167 Distanza e luminosità 170 Ma di quale distanza si tratta? 173 I colori della cosmologia 177 Accelerazione cosmica 178 La costante cosmologica 181 Spiegare lo zero 186 Cosmologia antropica 191 La vita, le galassìe e i numeri della natura 195 Il difetto diventa una virtù 196 L'ultimo passo, in breve 197 Il paesaggio delle stringhe 199 Tunneling quantistico nel paesaggio 204 E il resto della fisica? 206 Ma questa è scienza? 209 VII. La scienza e il multiverso Inferenze, spiegazioni e previsioni 210 L'anima della scienza 211 Multiversi accessibili 212 La scienza e l'inaccessibile, parte prima 217 La scienza e l'inaccessibile, parte seconda 218 Previsioni in un multiverso, parte prima 222 Previsioni in un multiverso, parte seconda 224 Previsioni in un multiverso, parte terza 228 Previsioni in un multiverso, parte quarta 229 Suddividere l'infinito 233 Un'ulteriore preoccupazione degli oppositori 235 Misteri e multiversi 241 VIII. I molti mondi della misurazione quantistica Il multiverso quantistico 241 La realtà quantistica 245 L'enigma delle alternative 249 Onde quantistiche 252 Non così veloce 257 La linearità e i suoi oppositori 264 Molti mondi 267 Le storie sono due 280 Quando un'alternativa è un universo? 282 Incertezza nell'avanguardia 283 Un problema probabile 286 Probabilità e molti mondi 295 Prevedere e comprendere 303 IX. Buchi neri e ologrammi Il multiverso olografico 304 Informazione 305 Buchi neri 307 La seconda legge 312 La seconda legge e i buchi neri 315 La radiazione di Hawking 319 Entropia e informazione nascosta 322 Entropia, informazione nascosta e buchi neri 324 Localizzare l'informazione nascosta di un buco nero 328 Al di là dei buchi neri 331 I dettagli minuti 333 Teoria delle stringhe e olografia 341 Universi paralleli o matematiche parallele? 344 Coda: il futuro della teoria delle stringhe 349 X. Universi, computer e realtà matematica Il multìverso simulato e il multiverso estremo 350 Creare un universo 357 La materia di cui è fatto il pensiero 363 Universi simulati 365 Viviamo in una simulazione? 368 Vedere al di là di una simulazione 372 La biblioteca di Babele 378 Giustificazione del multiverso 382 Simulare Babele 387 Le radici della realtà 391 XI. I limiti dell'indagine Multiversi e il futuro 394 Lo schema copernicano è fondamentale? 395 Le teorie scientìfiche che contemplano un multiverso possono essere verificate? 397 Possiamo verificare le teorie del multiverso che abbiamo incontrato? 402 Quali effetti ha il multiverso sulla natura della spiegazione scientifica? 405 Dovremmo credere alla matematica? 411 Suggerimenti per ulteriori letture 415 Indice analitico |
| << | < | > | >> |Pagina 93Capitolo quarto
Unificare le leggi della natura
In cammino verso la teoria delle stringhe Dal Big Bang all'inflazione, la cosmologia moderna affonda le radici in un'unica teoria scientifica: la relatività generale di Einstein. Con la sua nuova teoria della gravita, Einstein demolì l'idea comunemente accettata di spazio e tempo rigidi e immutabili; la scienza si trovò ad affrontare un cosmo dinamico. Contributi di questa importanza sono rari. Ma Einstein sognava di raggiungere vette ancora più alte. Con l'arsenale matematico e le intuizioni geometriche che era arrivato ad accumulare negli anni Venti, si propose di sviluppare una teorìa unificata dei campi. Con ciò, Einstein intendeva un modello capace di riunire tutte le forze della natura in un solo arazzo matematico privo di cuciture. Invece di avere un certo insieme di leggi per certi fenomeni fisici e un insieme diverso per altri fenomeni, Einstein voleva fondere tutte le leggi in un unico insieme coerente. Il verdetto della storia è che i decenni di intenso lavoro di Einstein per ottenere l'unificazione non hanno avuto un grande effetto duraturo - era un nobile sogno, ma i tempi non erano maturi; tuttavia altri scienziati hanno portato avanti la sua impresa, realizzando progressi importanti. La proposta più perfezionata che ne è emersa è la teoria delle stringhe.
I miei libri precedenti,
L'universo elegante
e
La trama del cosmo,
hanno trattato la storia della teoria delle stringhe e le
sue caratteristiche essenziali. Negli anni trascorsi dalla
loro pubblicazione, le condizioni generali di salute e il
prestigio della teoria sono stati messi in dubbio più e più
volte pubblicamente. E del tutto ragionevole: nonostante
tutti i suoi progressi, la teoria delle stringhe deve ancora
formulare previsioni definitive la cui verifica sperimentale
possa dimostrare che la teoria è giusta o sbagliata. Poiché
le prossime tre varietà di multiverso che incontreremo {nei
capitoli V e VI) emergono dalla prospettiva di questa
teoria, è importante considerarne tanto lo stato attuale
quanto le prospettive di stabilire un collegamento con i
dati osservativi e sperimentali.
Una breve storia dell'unificazione. All'epoca in cui Einstein inseguiva l'obiettivo dell'unificazione, le forze conosciute erano la gravità, descritta dalla relatività generale, e l'elettromagnetismo, descritto dalle equazioni di Maxwell. Einstein immaginò di fonderle in un'unica frase matematica che descrivesse chiaramente il funzionamento di tutte le forze della natura. Einstein aveva grandi speranze di arrivare alla teoria unificata. Considerava il lavoro di Maxwell sull'unificazione come l'esempio ideale di contributo al pensiero umano - e aveva ragione. Prima di Maxwell, la corrente elettrica che scorre in un filo, la forza generata dalla calamita di un bambino e la luce che arriva sulla Terra dal Sole erano visti come fenomeni distinti e non collegati. Maxwell rivelò che, in realtà, formano una trinità scientifica; le correnti elettriche producono campi magnetici; i magneti che si muovono nelle vicinanze di un filo producono campi elettrici; le perturbazioni di tipo ondulatorio che increspano i campi elettrici e magnetici producono luce. Con le sue ricerche, Einstein si aspettava di far progredire il programma di unificazione di Maxwell compiendo la mossa successiva, forse l'ultima, sulla via per arrivare a una descrizione pienamente unificata delle leggi della natura - una descrizione che avrebbe unito l'elettromagnetismo e la gravità. Non era un obiettivo modesto, e Einstein non lo prese alla leggera. Aveva l'impareggiabile capacità di concentrarsi con grande determinazione sui problemi che decideva di risolvere e negli ultimi trent'anni della sua vita il problema dell'unificazione divenne la sua ossessione principale. Secondo quanto ha raccontato la sua segretaria personale e governante Helen Dukas, che era insieme a lui al Princeton Hospital, il 17 aprile 1955, il giorno prima di morire, Einstein, che era costretto a letto ma quel giorno si sentiva un po' più forte, le chiese le pagine di equazioni che aveva continuato a modificare senza sosta nella speranza sempre più fievole che la teoria unificata dei campi si materializzasse. Einstein morì prima dell'alba. Questi ultimi appunti scribacchiati non gettarono altra luce sull'unificazione. Pochi contemporanei di Einstein condividevano questa sua passione. Dalla metà degli anni Venti alla metà degli anni Sessanta, i fisici, guidati dalla meccanica quantistica, si dedicarono a svelare i segreti dell'atomo e a imparare come sfruttarne i poteri nascosti. L'idea di distinguere i costituenti della materia esercitava un fascino immediato e potente. In un'epoca in cui i teorici e gli sperimentatori lavoravano sodo in stretto contatto per rivelare le leggi del regno microscopico, l'unificazione, seppur giudicata da molti come un obiettivo lodevole, suscitò soltanto un interesse passeggero e superficiale. Con la morte di Einstein, le ricerche sull'unificazione si fermarono di colpo. Il fallimento di Einstein apparve più grave quando ricerche posteriori mostrarono che la sua ricerca dell'unità aveva avuto un orizzonte troppo ristretto. Einstein aveva sottovalutato il ruolo della fisica quantistica (era convinto che la teoria unificata avrebbe soppiantato la meccanica quantistica e quindi che non fosse necessario incorporarla sin dall'inizio) e in più il suo lavoro non teneva conto di altre due forze rivelate dagli esperimenti: l'interazione nucleare forte e l'interazione nucleare debole. La prima offre un potente collante che tiene insieme i nuclei degli atomi, mentre la seconda è responsabile, tra le altre cose, del decadimento radioattivo. L'unificazione dovrebbe combinare non due forze, ma quattro. L'obiettivo sognato da Einstein sembrò ancora più remoto. Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, la marea cambiò. I fisici si resero conto che i metodi della teoria quantistica dei campi, che erano stati applicati con successo alla forza elettromagnetica, fornivano anche la descrizione delle interazioni nucleari deboli e forti. Le tre forze non gravitazionali potevano quindi essere descritte usando lo stesso linguaggio matematico. Per di più, lo studio approfondito di queste teorie quantistiche dei campi - soprattutto il lavoro di Sheldon Glashow, Steven Weinberg e Abdus Salam, che fu premiato con il Nobel, e in seguito le intuizioni di Glashow e del collega di Harvard Howard Georgi - rivelò relazioni che suggerivano una potenziale unità tra la forza elettromagnetica e le due interazioni nucleari. Seguendo l'esempio di Einstein di quasi mezzo secolo prima, i teorici ipotizzarono che queste tre forze appatentemente distinte potessero essere in realtà manifestazioni di un'unica, monolitica, forza della natura. Erano progressi straordinari verso l'unificazione, ma l'atmosfera incoraggiante era rovinata da un fastidioso problema: se applicati alla quarta forza della natura, la gravità, i metodi della teoria quantistica dei campi non funzionavano affatto. I calcoli che avevano a che fare con la meccanica quantistica e la descrizione del campo gravitazionale nella relatività generale producevano risultati contrastanti, matematicamente insensati. Nonostante il grande successo della relatività generale e della meccanica quantistica nei loro domini originari del grande e del piccolo, i risultati privi di senso che si ottenevano tentando di combinarle indicavano una crepa profonda nella comprensione delle leggi della natura. Se le leggi a disposizione si dimostrano incompatibili, è chiaro che non sono le leggi giuste. L'unificazione era stata un obiettivo estetico; ora si era trasformata in un imperativo logico. Il successivo passo avanti fondamentale arrivò a metà degli anni Ottanta. Fu allora che un nuovo approccio, la teorìa delle super-stringhe, [...] | << | < | > | >> |Pagina 134Capitolo quinto
Universi sospesi in dimensioni vicine
Il multiverso a brane e il multiverso ciclico [...] A metà degli anni Novanta, gli stringhisti scoprirono qualcosa di simile a una goccia di pioggia: si resero conto che varie approssimazioni matematiche, usate comunemente per analizzare la teoria delle stringhe, trascuravano questioni fisiche importanti. Con lo sviluppo e l'applicazione di metodi matematici più precisi, alla fine gli stringhisti riuscirono ad andare al di là delle approssimazioni; il risultato mise a fuoco molte caratteristiche inattese della teoria, compresi alcuni nuovi tipi di universi paralleli; in particolare, una di queste varietà potrebbe essere la più accessibile sperimentalmente. [...] Al di là delle approssimazioni. Ognuna delle più importanti discipline della fisica teorica - come la meccanica classica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica e la relatività generale - è definita da un'equazione fondamentale, o da un insieme di equazioni (non occorre che le conosciate, ma ne ho elencate alcune nelle note}. Il problema è che, in tutte le situazioni tranne le più semplici, le equazioni sono straordinariamente difficili da risolvere. Per questa ragione, i fisici usano regolarmente semplificazioni - come ignorare la gravità di Plutone o trattare il Sole come se fosse perfettamente sferico - che rendono più facili le equazioni e permettono di ottenere soluzioni approssimate. Per molto tempo le ricerche sulla teoria delle stringhe hanno affrontato problemi ancora più gravi. Arrivare a scrivere le equazioni fondamentali si dimostrava così difficile che i fisici riuscivano a sviluppare soltanto versioni approssimate. E anche le equazioni approssimate erano così intricate da costringerli ad aggiungere assunti semplificativi per trovare qualche soluzione, basando in tal modo le ricerche su approssimazioni di approssimazioni. Ma negli anni Novanta la situazione migliorò di molto. Compiendo una serie di passi avanti, un certo numero di stringhisti mostrò come andare ben al di là delle approssimazioni, raggiungendo una chiarezza e una capacità di comprensione senza pari. Per capire questi progressi, immaginate che Ralph abbia in programma di giocare per due volte di seguito alla lotteria settimanale mondiale e sia tutto fiero di aver calcolato la probabilità di vincere. Parlando con Alice, afferma che, avendo ogni volta i probabilità su un miliardo di vincere, se gioca per due settimane la probabilità sarà pari a 2 su un miliardo, cioè 0,0000000002. Alice fa un sorrisetto compiaciuto. «Ci sei andato vicino, Ralph». «La solita saputella. Che cosa intendi con vicino?», replica Ralph. «È una stima per eccesso, - gli spiega Alice. - Se vincessi al primo giro, giocare di nuovo non farebbe aumentare la tua probabilità di vincere; sarebbe già successo. Se vinci due volte, guadagnerai di più, è chiaro, ma poiché vuoi calcolare la probabilità di vìncere e basta, una seconda vittoria non conta. Per ottenere la soluzione esatta devi quindi sottrarre la probabilità di vincere tutt'e due le volte - 1 su un miliardo moltipllcato per 1 su un miliardo, ovvero 0,000000000000000001. Il risultato finale è dunque 0,000000001999999999. Qualche domanda, Ralph?» A parte l'autocompiacimento, il metodo di Alice è un esempio di ciò che i fisici chiamano approccio perturbativo. Eseguendo un calcolo, spesso è più facile procedere con un primo passaggio che comprende soltanto i contributi più evidenti - il punto di partenza di Ralph è questo - per poi farne un secondo che tiene conto dei dettagli più fini, modificando o «perturbando» il risultato del primo, come fa Alice. L'approccio può essere facilmente generalizzato. Se Ralph intendesse giocare per dieci volte di seguito, l'approccio basato sul primo passaggio indica che avrebbe una probabilità di vincere di circa 10 su un miliardo, cioè 0,0000000001. Ma, come nell'esempio precedente, questa approssimazione non tiene conto come si deve delle vincite multiple. Se invece si segue il metodo di Alice, il secondo passaggio terrebbe conto nel modo giusto dei casi in cui Ralph vince due volte - nella prima e nella seconda settimana, poniamo, o nella prima e nella terza, e così vìa. Queste correzioni, come fa notare Alice, sono proporzionali a 1 su un miliardo per 1 su un miliardo. Ma esiste anche una probabilità ancora più piccola che Ralph vinca tre volte; il terzo passaggio di Alice prende in considerazione anche questa possibilità, generando modifiche proporzionali a 1 su un miliardo moltiplicato per se stesso tre volte, cioè 0,000000000000000000000000001. Il quarto passaggio tiene conto in questo stesso modo della probabilità, ancora più piccola, di vincere quattro volte, e così via. Ogni nuovo contributo è molto più piccolo del precedente, quindi a un certo punto Alice giudica la soluzione abbastanza precisa e ritiene conclusa la questione. Nella fisica, e anche in molte altre branche della scienza, i calcoli procedono spesso in modo simile. Se siamo interessati alla probabilità che due particelle che procedono in direzioni opposte nell'LHC si scontrino, nel primo passaggio immaginiamo che entrino in collisione una volta e rimbalzino («entrare in collisione» non significa che si tocchino direttamente, piuttosto che un «proiettile» che media un'unica forza, come un fotone, voli via da una delle due e sia assorbito dall'altra). Nel secondo passaggio prendiamo in considerazione la possibilità che le particelle si scontrino due volte (due fotoni vengono sparati dall'una all'altra); il terzo passaggio modifica i primi due tenendo conto della possibilità che gli urti siano tre e così via.
[...]
Le brane. Quando iniziai a studiare la teoria delle stringhe, posi la stessa domanda che poi molti negli anni hanno rivolto a me: perché le stringhe sono considerate tanto speciali? Perché concentrarsi esclusivamente su ingredienti fondamentali che hanno una sola dimensione? Dopo tutto, la teorìa richiede che lo spazio in cui esistono i suoi ingredienti - l'universo - abbia nove dimensioni, quindi perché non considerare entità simili a fogli bidimensionali, a grumi tridimensionali, o a qualche cugino a più dimensioni? La risposta che imparai da specializzando negli anni Ottanta, e poi spiegai tante volte dopo le conferenze che tenni fino a metà degli anni Novanta, era che le equazioni che descrivono i costituenti fondamentali con più di una dimensione spaziale generavano assurdità fatali (come un processo quantistico con una probabilità negativa, un risultato matematico privo di significato). Quando si applicavano le stesse equazioni alle stringhe, tuttavia, le assurdità sparivano, lasciando una descrizione convincente. Le stringhe costituivano senza dubbio una classe a sé stante. O almeno così sembrava. Armati dei nuovi metodi di calcolo, i fisici iniziarono ad analizzare le equazioni in modo più preciso e produssero una schiera di risultati inaspettati. Uno dei più sorprendenti stabiliva che le ragioni per escludere tutto tranne le stringhe erano incerte. I teorici si resero conto che i problemi matematici incontrati studiando i gredienti a più dimensioni, come dischi e grumi, erano dovuti ad approssimazioni utilizzate. Usando i metodi più precisi, un piccolo esercito di teorici stabilì che in effetti nelle ombre matematiche della teoria delle stringhe si nascondono ingredienti con vari mumeri di dimensioni spaziali. Le tecniche perturbative erano troppo grossolane per svelare questi ingredienti, ma i nuovi metodi ne avevano finalmente la capacità. Alla fine degli anni Novanta, era ormai chiaro che la teoria delle stringhe non è semplicemente una teoria che contiene stringhe. Le analisi rivelarono oggetti con due dimensioni spaziali, a forma di frisbee o di tappeto volante: membrane (uno dei significati della «M» della teoria M), dette anche 2-brane. Ma c'era dell'altro. Le analisi svelarono anche oggetti con tre dimensioni spaziai le cosiddette 3-brane, con quattro dimensioni spaziali, le 4-brane così via fino alle n-brane. Le equazioni mostravano chiaramente che tutte queste entità potevano vibrare e contorcersi, come le stringhe; in effetti, in questo contesto, è bene pensare alle stringhe come a I-brane - un'unica voce per un elenco inaspettatamete lungo degli elementi fondamentali della teoria. Un'altra rivelazione, altrettanto sbalorditiva per chi aveva dedicato quasi tutta la propria vita professionale all'argomento, fu che il numero delle dimensioni spaziali richieste dalla teoria in realtà non è nove. È 10. E se consideriamo la dimensione del tempo il numero totale di dimensioni spaziotemporali è 11. | << | < | > | >> |Pagina 241Capitolo ottavo
I molti mondi della misurazione quantistica
II multiverso quantistico La valutazione più ragionevole delle teorie degli universi paralleli finora incontrate è che il verdetto è ancora incerto. Una distesa spaziale infinita, l'inflazione eterna, i mondi-brana, la cosmologia ciclica, il paesaggio della teoria delle stringhe, sono tutte idee interessanti emerse da una serie di sviluppi scientifici. Ognuna, però, continua a essere provvisoria, come le proposte di multiverso che ciascuna ha generato. Anche se molti scienziati sono disposti a offrire le proprie opinioni, favorevoli o contrarie, riguardo a questi schemi di multiverso, la maggioranza riconosce che a determinare se qualcuna di queste idee entrerà a far parte del canone scientifico saranno intuizioni future, generate da teorie, esperimenti o osservazioni.
Il multiverso che prenderemo in esame ora, quello che emerge
dalla meccanica quantistica, è considerato in modo del tutto
diverso. Molti fisici hanno già emesso un verdetto
definitivo su questo particolare multiverso. Il punto è che
non è lo stesso verdetto per tutti. Le differenze derivano
dal problema profondo e finora irrisolto del passaggio dal
modello probabilistico della meccanica quantistica alla
realtà ben precisa dell'esperienza comune.
La realtà quantistica. Nel 1954, quasi trent'anni dopo che luminari come Niels Bohr, Werner Heisenberg ed Erwin Schröedinger avevano gettato le basi della teoria quantistica, uno sconosciuto dottorando di Princeton, di nome Hugh Everett III, ebbe un'illuminazione. La sua analisi, che si concentrava su un'enorme lacuna attorno alla quale Bohr, il gran maestro della meccanica quantistica, aveva girato senza riuscire a colmarla, rivelò che forse una corretta comprensione della teoria richiedeva una vasta rete di universi paralleli. Quella di Everett fu una delle prime intuizioni motivate dalla matematica che suggeriscono la nostra possibile appartenenza a un multiverso. L'approccio di Everett, in seguito chiamato «interpretazione dei molti mondi della meccanica quantistica», ha avuto una storia movimentata. Nel gennaio 1956, avendo calcolato le conseguenze matematiche della sua proposta, Everett presentò una bozza della tesi a John Wheeler, il suo supervisore. Wheeler, uno dei pensatori più famosi della fisica del Novecento, ne fu profondamente colpito. Ma a maggio, quando Wheeler fece visita a Bohr a Copenaghen e discussero le idee di Everett, l'accoglienza fu gelida. Bohr e i suoi seguaci avevano passato decenni a perfezionare la loro concezione della meccanica quantistica. Ai loro occhi, i problemi sollevati da Everett, e i modi bizzarri in cui riteneva che andassero affrontati, avevano ben poco valore. Wheeler, che nutriva grande stima per Bohr, giudicò particolarmente importante non irritare il collega più anziano. In reazione a queste sue critiche, Wheeler rinviò il conferimento del Ph.D. a Everett e lo costrinse a modificare in modo sostanziale la sua tesi. Everett doveva eliminare tutte le parti manifestamente critiche nei confronti della metodologia di Bohr e sottolineare come i suoi risultati intendessero chiarire e ampliare la formulazione tradizionale della teoria quantistica. Everett oppose resistenza, ma aveva già accettato un lavoro al ministero della Difesa (dove di li a poco, restando dietro le quinte, ebbe un ruolo importante nella politica sugli armamenti nucleari delle amministrazioni Eisenhower e Kennedy) per cui era richiesto il dottorato, quindi dovette acconsentire. Nel marzo 1957, Everett consegnò una versione notevolmente ridotta della sua tesi originaria; ad aprile fu accettata da Princeton in quanto conforme ai requisiti formali e a luglio fu pubblicata da «Reviews of Modern Physics». Tuttavia, poiché l'approccio di Everett alla meccanica quantistica era già stato scartato da Bohr e dal suo entourage, e data la sordina messa alla visione più grandiosa descritta nella tesi originaria, l'articolo venne ignorato. Dieci anni dopo, il celebre fisico Bryce DeWitt fece emergere dall'oscurità il lavoro di Everett. DeWitt, ispirato dai risultati del suo dottorando Neil Graham, che sviluppavano ulteriormente le equazioni di Everett, divenne un aperto sostenitore della nuova visione everettiana della teoria quantistica. Oltre a pubblicare un certo numero di articoli tecnici che fecero conoscere le intuizioni di Everett a una piccola ma autorevole comunità di specialisti, nel 1970 DeWitt scrisse un compendio di livello generale per «Physics Today» che raggiunse un pubblico scientifico molto più ampio. A differenza di Everett, che nell'articolo del 1957 aveva evitato di parlare di altri mondi, DeWitt mise in risalto questa caratteristica, sottolineandola con una riflessione inusitatamente sincera sullo «shock» provato venendo a conoscenza della conclusione di Everett che apparteniamo a un enorme «multimondo». L'articolo suscitò grande interesse nella comunità dei fisici, diventata più aperta nei confronti della possibilità di modificare l'ortodossia quantistica, e accese un dibattito, tuttora in corso, sulla natura della realtà quando, come crediamo, dominano le leggi quantistiche. Per preparare il terreno, è opportuna qualche considerazione. Una delle conseguenze della rivoluzione concettuale avvenuta all'incirca tra il 1900 e il 1930 fu un assalto feroce all'intuizione, al senso comune e alle leggi generalmente accettate che la nuova avanguardia ben presto iniziò a definire «fisica classica» - un'espressione che trasmette i sentimenti di stima e di rispetto per un quadro della realtà nel contempo venerabile, immediato, soddisfacente e predittivo. Se so come stanno le cose adesso, posso usare le leggi della fisica classica per prevedere come saranno in un qualsiasi momento futuro, o com'erano in un qualsiasi momento del passato. Sottigliezze quali il caos (nel senso tecnico: le situazioni in cui lievi cambiamenti della situazione attuale possono portare a errori enormi nelle previsioni) e la complessità delle equazioni mettono in dubbio la praticità di questo programma in tutte le situazioni a parte le più semplici, ma in sé le leggi tengono saldamente in una morsa d'acciaio un passato e un futuro ben precisi. La rivoluzione quantistica impose l'abbandono della prospettiva classica poiché i nuovi risultati stabilirono che era dimostrabilmente sbagliata. Per il movimento di oggetti grandi come la Terra e la Luna, o di oggetti della vita quotidiana come una roccia o una palla, le leggi classiche fanno un ottimo lavoro di previsione e descrizione. Ma se si passa al micromondo delle molecole, degli atomi e delle particelle subatomiche, le leggi classiche non funzionano. In contrasto con l'essenza stessa del ragionamento classico, se si conducono esperimenti identici su particelle identiche preparate nello stesso identico modo, in generale non si ottengono risultati identici. Immaginate, per esempio, di avere 100 scatole identiche, ciascuna contenente un elettrone, e che tutti gli elettroni siano stati preparati seguendo la medesima procedura di laboratorio. Dopo 10 minuti esatti, insieme ai vostri 99 soci, misurate le posizioni di ciascuno dei 100 elettroni. Al contrario di ciò che avrebbero previsto Newton, Maxwell e persino il giovane Einstein (su cui probabilmente sarebbero stati disposti a scommettere la vita), le 100 misurazioni non produrranno lo stesso risultato. Di fatto, a prima vista i risultati sembreranno casuali, con qualche elettrone vicino all'angolo anteriore in basso a sinistra, altri sul quello posteriore in alto a destra, altri ancora nella zona centrale e così via. Le regolarità e gli schemi che fanno della fisica una disciplina rigorosa e predittiva diventano evidenti soltanto se ripetete questo stesso esperimento, con 100 scatole contenenti un elettrone, più e più volte. Quali sarebbero i risultati in questo caso? Se il primo gruppo di 100 misurazioni trova il 27 per cento degli elettroni vicino all'angolo in basso a sinistra, il 48 per cento vicino all'angolo in alto a destra e il 25 per cento nella zona centrale, il secondo gruppo produrrà una distribuzione molto simile. E cosi anche il terzo, il quarto e tutti quelli che seguono. La regolarità pertanto, non è evidente nelle singole misurazioni; non possiamo prevedere dove sarà un dato elettrone. La regolarità si trova invece nella distribuzione statistica di molte misurazioni. La regolarità, in altre parole, indica la verosimiglianza, o probabilità, di trovare un elettrone in una particolare posizione. La straordinaria conquista dei fondatori della meccanica quantistica fu lo sviluppo di un formalismo matematico che faceva a meno delle previsioni assolute della fisica classica e prevedeva invece queste probabilità. Sviluppando un'equazione pubblicata da Schröedinger nel 1926 (e l'equivalente, seppur meno elegante, equazione di Heisenberg), i fisici possono inserire i dettagli di come stanno le cose ora e poi calcolare la probabilità che siano in un certo modo o in un altro, in qualsiasi momento futuro. | << | < | > | >> |Pagina 295Le teorie scientifiche che contemplano un multiverso possono essere verificate?Anche se il concetto dì multiverso si inserisce alla perfezione nello schema copernicano, c'è una differenza qualitativa rispetto a tutte le altre volte in cui abbiamo abbandonato il centro della scena. Dipendendo da regni che potrebbero restare eternamente impossibili da esaminare (con qualche grado di precisione o, in alcuni casi, del tutto), apparentemente i multiversi pongono un ostacolo notevole alla conoscenza scientifica. Indipendentemente dalla concezione del posto dell'umanità nell'ordine cosmico, in generale si era sempre pensato che, grazie alla sperimentazione, all'osservazione e ai calcoli matematici, la capacità di approfondire la conoscenza fosse infinita. Se facciamo parte di un multiverso, tuttavia, è ragionevole aspettarsi che al massimo potremo arrivare a conoscere il nostro universo, il nostro angolino del cosmo. Più angosciante è la preoccupazione che il ricorso a un multiverso ci faccia entrare nel dominio delle teorie che non possono essere verificate - le teorie che si basano su storie «proprio cosi», riducendo tutto ciò che osserviamo a «come capita che vadano le cose qui». Come ho detto, tuttavia, il concetto di multiverso ha più sfumature. Una teoria che comprende un multiverso può offrire previsioni verificabili, come abbiamo visto. Per esempio, i particolari universi che costituiscono un dato multiverso, benché possano differire in misura notevole, emergono da una stessa teoria e quindi potrebbero avere qualche caratteristica in comune. Il fatto di non riuscire a trovare queste caratteristiche, mediante misurazioni che effettuiamo qui nell'unico universo al quale abbiamo accesso, confuterebbe quella proposta di multiverso. La conferma di quelle caratteristiche, specie se fossero qualcosa di nuovo, rafforzerebbe la fiducia nella correttezza della proposta. Altrimenti, se non esistono caratteristiche comuni a tutti gli universi, possono fornire un'altra classe di previsioni verificabili le correlazioni tra caratteristiche fisiche. Abbiamo visto, per esempio, che se in tutti gli universi in cui esistono gli elettroni esiste anche una specie di particella ancora sconosciuta, il fatto di non riuscire a trovarla con gli esperimenti intrapresi qui nel nostro universo farebbe scartare quella proposta di multiverso, mentre invece una conferma accrescerebbe la nostra fiducia nella sua correttezza. In maniera simile, anche correlazioni più complicate - come, per esempio, i particolari universi che comprendono, poniamo,tutte le particelle note (elettroni, muoni, quark up, quark down eccetera) contengono necessariamente una nuova specie di particelle - produrrebbero previsioni verificabili, falsificabili. In mancanza di correlazioni strette di questo genere, anche le variazioni delle caratteristiche fisiche da un universo all'altro possono fornire previsioni. In un dato multiverso, per esempio, la costante cosmologica può assumere una vasta gamma di valori, ma se nella stragrande maggioranza degli universi il valore della costante cosmologica fosse in accordo con ciò che le misurazioni hanno trovato qui (come illustrato nella figura 7.1), la fiducia in quel multiverso giustamente si rafforzerebbe. Infine, anche se la maggior parte degli universi di un dato multiverso ha proprietà che differiscono dalle nostre, c'è ancora un'altra particolarità che possiamo tirare in ballo: possiamo fare appello al ragionamento antropico considerando soltanto gli universi le cui condizioni sono favorevoli alla nostra forma di vita. Se la vasta maggioranza di questo sottoinsieme di universi ha proprietà che sono in accordo con le nostre - se il nostro universo è tipico fra tutti quelli in cui potremmo vivere - la fiducia nel multiverso crescerebbe. Se invece siamo atipici, non possiamo scartare la teoria, ma questo è un famoso limite del ragionamento statistico. I risultati improbabili si possono realizzare e a volte infatti si realizzano. Ciò nonostante, quanto meno tipici siamo, tanto meno convincente sarebbe la proposta di multiverso in questione. Se in un dato multiverso il nostro universo spiccasse in maniera evidente fra tutti quelli favorevoli alla vita, sarebbe un motivo valido per considerare irrilevante quella proposta di multiverso. Per sondare quantitativamente una proposta di multiverso, dobbiamo quindi determinare le caratteristiche demografiche della popolazione di universi. Non basta sapere quali sono gli universi possibili in base alla proposta, dobbiamo determinare le caratteristiche dettagliate degli universi a cui la proposta da effettivamente origine. A tal fine occorre comprendere i processi cosmologici che danno vita ai vari universi. Dal modo in cui variano le caratteristiche fisiche da un universo all'altro possono poi emergere previsioni verificabili.
Il fatto che questa sequenza di valutazione produca
risultati chiari e netti può essere valutato soltanto
multiverso per multiverso. Ma la conclusione è che le teorie
che comprendono altri universi - regni per ora e forse
eternamente inaccessibili - possono comunque fornire
previsioni verificabili e quindi falsificabili.
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