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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 1. Il ragazzo sulla montagna 11 2. L'uomo che vide oltre la Via Lattea 25 3. Dal pianeta rosso agli spostamenti verso il rosso 37 4. L'Universo in espansione 47 5. Il Big Bang 53 6. Un continente fra le isole 59 7. L'Universo raddoppia 69 8. L'erede di Hubble 79 9. Alla scoperta dell'Universo 87 Conclusioni 93 Letture consigliate 95 Le pietre miliari dell'astronornia 97 Glossario 101 Indice analitico 109 |
| << | < | > | >> |Pagina 7IntroduzioneRecita un indovinello: «Fino a quale distanza è possibile vedere in una giornata di sole?». La risposta è semplice: 150 milioni di chilometri, ovvero la distanza dalla Terra al Sole! In genere siamo portati a ragionare in termini di distanze percorribili sulla Terra, dove se anche volassimo tutt'intorno al pianeta compiremmo un percorso di appena 40.000 chilometri. Non siamo invece abituati a pensare in termini di distanze astrali. Pochi hanno un'idea di quanta strada si possa percorrere quando si sale verso l'alto e si è dovuto attendere il XX secolo perché gli astronomi cominciassero a comprendere l'incredibile vastità dell'Universo. Nell'antichità si credeva che stelle e pianeti fossero piccole luci incastonate sulla superficie di sfere di cristallo che, l'una dentro l'altra, ruotavano intorno alla Terra. Secondo le teorie dell'epoca, tali sfere erano misurabili secondo parametri terrestri e avevano un diametro di poche migliaia di chilometri. Anche in seguito alla straordinaria intuizione di Copernico (1543), secondo cui era la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa, furono in molti a non voler abbandonare le antiche convinzioni. I più preferivano credere che le stelle fossero incastonate su un'unica sfera di cristallo esterna all'orbita del pianeta più distante dal Sole e che, a sua volta, ogni pianeta fosse attaccato alla propria sfera. Quando, agli inizi del XVII secolo, Galileo Galilei puntò il telescopio verso il cielo e scoprì che la striscia luminosa che attraversava lo spazio, meglio nota come Via Lattea, era in realtà costituita da una miriade di stelle indistinguibili ad occhio nudo, divenne chiaro – a quanti potevano e volevano comprendere – che l'Universo doveva essere molto più vasto del Sistema Solare, e che le stelle altro non erano che soli, milioni di volte più lontani dalla Terra di quanto non lo fosse il Sole stesso. Si trattava di idee rivoluzionarie, accessibili solo a un'élite di studiosi e scienziati. La teoria delle sfere di cristallo fu definitivamente superata solo nel XVII e nel XVIII secolo, quando il lavoro di astronomi come Edmund Halley dimostrò per la prima volta che le orbite delle comete attraversavano proprio la regione in cui si pensava si trovassero le sfere di cristallo planetarie e che le stesse stelle si muovevano in modo autonomo, senza essere fissate ad alcunché. All'epoca, gli astronomi già sapevano di avere a che fare con distanze molto maggiori della circonferenza terrestre. Nel 1671, utilizzando la tecnica della triangolazione, due équipe di osservatori francesi – rispettivamente una a Parigi e l'altra a Caienna nella Guiana francese – calcolarono la distanza del Sole dalla Terra ottenendo un risultato di 140 milioni di chilometri, solo del 10% inferiore rispetto alle più accreditate stime attuali. Ma allora, quanto dista dalla Terra la stella più vicina? Si è dovuto attendere il XIX secolo perché l'astronomia sviluppasse tecniche abbastanza accurate da misurare con precisione la distanza tra la Terra e le stelle (anche le più vicine). Anche in questo caso, la soluzione del problema fu il metodo della triangolazione. Se per misurare la distanza del Sole dalla Terra era stato necessario utilizzare come base del triangolo la distanza tra Parigi e Caienna, per calcolare la distanza delle stelle più vicine la base doveva estendersi oltre l'ampiezza dell'orbita della Terra intorno al Sole, pari a 300 milioni di chilometri, sfruttando le osservazioni dell'oggetto celeste effettuate a distanza di sei mesi, quando la Terra si trova alle due opposte estremità del proprio moto orbitale. I risultati delle misurazioni furono sorprendenti. Se l'uomo è riuscito a percorrere una distanza di 384.400 chilometri per camminare sulla Luna, non basterebbe un'esistenza umana per raggiungere le stelle visibili più lontane. Per comprendere simili distanze, è necessario innanzi tutto una nuova unità di misura: cercare di esprimerle in chilometri è semplicemente ridicolo! Ebbene, il nuovo sistema di misurazione dell'Universo ha a che vedere con la luce, che viaggia a una velocità costante di 300.000 chilometri al secondo. Per raggiungere la Luna, a questo punto, basta poco più di un secondo (1,28 secondi, per l'esattezza). Poiché le onde radio viaggiano alla velocità della luce, quando la base di controllo sulla Terra parla con gli astronauti che si trovano sulla Luna le risposte arrivano sempre con 2,5 secondi di ritardo, a causa del doppio percorso compiuto dalle onde radio. Si può pertanto affermare che la Luna si trova ad una distanza di 1,28 «secondi luce» dalla Terra. Analogamente, per anno luce si intende la distanza che la luce riesce a percorrere in un anno. Dal momento che la luce si sposta a una velocità di 300.000 chilometri al secondo, in un anno essa è in grado di percorrere una distanza di circa 9.500 miliardi di chilometri. La mente umana fatica a concepire simili distanze, ma resta il fatto che anche la stella più vicina al Sole dista ben 4,3 anni luce (ovvero poco meno di 41.000 miliardi di chilometri). Le stelle più lontane, invece, gli altri soli che l'occhio percepisce come piccole macchie di luce stagliate contro l'oscurità del cielo, distano decine – in alcuni casi centinaia – di anni luce dalla Terra. Ma questo non è che un assaggio. Nel corso del XX secolo, con la costruzione di telescopi più grandi e di apparecchi più sensibili da collegare all'estremità del telescopio, si scopri che tutto ciò che è visibile ad occhio nudo non è che una minima frazione dell'Universo. I primi fondamentali passi nella vastità del cosmo furono mossi da un astronomo americano presuntuoso e supponente, aiutato nelle sue ricerche da un uomo senza una vera formazione scientifica che si era guadagnato da vivere facendo il guardiano di muli. Verso la fine del XX secolo, a sistemare gli ultimi tasselli del mosaico furono squadre di astronomi che disponevano del più potente telescopio mai costruito fino ad allora: il telescopio spaziale orbitante che prendeva nome dal pioniere Edwin Hubble. Se, quando il cielo e sereno, di giorno si può vedere il Sole, di notte si può vedere molto di più. Certo, è sempre poco se paragonato a quanto permette di osservare il Telescopio Spaziale Hubble. Questo libro racconta gli sforzi compiuti dagli scienziati del XX secolo per esplorare l'Universo e per misurare con precisione la distanza tra la Terra e gli oggetti celesti più lontani visibili con il telescopio. Da sempre, alzando lo sguardo al cielo in una notte stellata, l'uomo desidera saperne di più sulla coltre di stelle che lo avvolge. Proprio questo desiderio lo ha portato a inventare mezzi e sistemi per scoprire i segreti dell'Universo e comprenderne le proporzioni. | << | < | > | >> |Pagina 111 • Il ragazzo sulla montagnaIl 1905 segnò una pietra miliare nella storia della scienza: fu l'anno in cui Albert Einstein pubblicò la teoria della relatività ristretta, spiegando il comportamento degli oggetti che si muovevano ad altissime velocità. Non che la cosa avesse particolare importanza per il quattordicenne Milton Humason, in viaggio per un campeggio estivo sul Monte Wilson vicino a Pasadena, subito a nord di Los Angeles, California. A Milton piaceva guardare le stelle, ma non possedeva nozioni accademiche al riguardo né intendeva acquisirne. Quell'estate sul Monte Wilson fu una delle esperienze più belle della sua vita e Milton temeva il momento in cui avrebbe dovuto fare ritorno a casa e, soprattutto, a scuola. Fu allora che accadde qualcosa di straordinario. Nel 1905, la legge consentiva ai ragazzi di 14 anni di lavorare a tempo pieno, e l'avversione di Milton per lo studio era talmente evidente che i genitori gli permisero di sospendere la scuola per un anno accettando un incarico come fattorino tuttofare presso il Mount Wilson Hotel. I genitori speravano che un anno di duro lavoro sulle montagne avrebbe convinto il giovane Milton a riprendere gli studi con rinnovato entusiasmo. Purtroppo il piano fallì: Milton amava a tal punto il Monte Wilson che non fece mai ritorno a scuola e non terminò gli studi. Le scoperte dipendono spesso dal fatto di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, e la decisione di restare sul Monte Wilson permise a Humason, nel giro di 25 anni, di contribuire in modo determinante alla dimostrazione che la teoria della relatività generale di Einstein (che va ben oltre la relatività ristretta, spiegando i princìpi del funzionamento della gravità) è una valida descrizione della realtà in cui viviamo. Humason lavorò anche con Edwin Hubble, cui si deve la teoria dell'Universo in espansione e che ha dato il nome al Telescopio Spaziale Hubble. Humason imparò così tanto dalle proprie osservazioni e da quelle degli scienziati che lavoravano con lui, che finì per insegnare ad Allan Sandage (l'uomo che calcolò la velocità di espansione dell'Universo) l'uso dei telescopi astronomici. Il ragazzo che aveva scelto di lavorare sul Monte Wilson semplicemente perché amava la vita di montagna all'aperto si trovò quindi nel posto giusto al momento giusto, quando il Monte Wilson stava per diventare uno dei più importanti centri per la ricerca astronomica a livello mondiale. | << | < | > | >> |Pagina 93ConclusioniL'oggetto più lontano visibile ad occhio nudo dalla Terra, con un po' di fortuna, è la galassia di Andromeda, una macchia di luce sfocata che è in realtà un'intera galassia simile alla Via Lattea, a circa 2 milioni di anni luce di distanza. La distanza maggiore visibile con il telescopio, invece, è di 10 miliardi di anni luce, ben 5.000 volte più lontana della galassia di Andromeda. Edwin Hubble non seppe mai cosa avrebbe innescato la sua scoperta delle Cefeidi nella «nebulosa» della costellazione di Andromeda e la sua dimostrazione che l'Universo non si esaurisce con la Via Lattea. Hubble e i suoi successori non si limitarono a questo: la seconda metà del secolo vide il completamento della Rivoluzione copernicana, non da un punto di vista semplicemente fisico (per quanto tale aspetto sia rilevante), ma concettuale, allontanando definitivamente l'uomo dal centro dell'Universo. Anche ai tempi di Hubble, per quanto fosse ormai chiaro che la Terra non si trovava al centro dell'Universo, era ancora possibile credere che la Via Lattea fosse una galassia particolarmente vasta, e che il Sole e i suoi pianeti avessero in fondo qualcosa di speciale. Ora si sa che la Via Lattea e il Sole sono rispettivamente una galassia e una stella «nella media». Alla fine del XX secolo gli astronomi hanno cominciato a scoprire pianeti in orbita intorno ad altre stelle, tanto che ora non è nemmeno più possibile immaginare che sistemi planetari come il Sistema Solare siano rari, o che la Terra sia l'unico pianeta dell'Universo con acqua, nuvole e cieli blu. L'uomo vive su un pianeta normale, che orbita intorno ad una stella normale, sul bordo di una galassia normale in un Universo vasto e probabilmente infinito. Questo non è tutto: le parole più importanti della frase precedente sono «l'uomo vive». Giunti a questo punto, la grande domanda cui l'astronomia deve dare una risposta è se la vita, in particolare la vita intelligente, esista anche altrove nell'Universo. Lavorando insieme ai biologi nell'ambito della neo-nata astrobiologia, all'inizio del XXI secolo gli astronomi hanno cominciato a costruire i telescopi e a condurre gli esperimenti che un giorno (un giorno che forse alcuni lettori di questo libro riusciranno a vedere) permetteranno di rispondere anche a questo quesito, probabilmente l'interrogativo più importante che l'uomo possa porsi. Nei capitoli precedenti si è visto come l'uomo abbia sempre cercato di comprendere il proprio posto nell'Universo. Come disse Winston Churchill, però: «Questa non è la fine. Non è nemmeno l'inizio della fine. Ma è, forse, la fine dell'inizio». | << | < | > | >> |Pagina 97Le pietre miliari dell'astronomia1543 Niccolò Copernico dimostra che la Terra gira intorno al Sole. XVI secolo Leonard Digges sviluppa il primo telescopio a riflessione e, successivamente, il primo telescopio a rifrazione. 1609 Galileo Galilei costruisce il suo primo telescopio a rifrazione. 1668 Isaac Newton inventa a sua volta il telescopio a riflessione. 1671 Un'équipe di studiosi francesi stabilisce che la distanza della Terra dal Sole è pari a 140 milioni di chilometri (solo il 10% circa in meno rispetto alle più accurate stime odierne). 1783 John Michell teorizza l'esistenza dei buchi neri. 1796 Pierre Laplace formula l'ipotesi secondo cui il Sistema Solare si sarebbe formato a partire da una nube di gas e polveri in rotazione. [...] 1948 Sul Monte Palomar viene installato il telescopio Hale da 200 pollici. 1961 Il russo Jurij Alekseevic Gagarin è il primo uomo a volare nello spazio. 1969 Neil Armstrong e Buzz Aldrin atterrano sulla Luna. 1988 Gli scienziati registrano la stella più distante mai individuata: una supernova che si trova a oltre 5 miliardi di anni-luce dalla Terra. 1990 Viene mandato in orbita il Telescopio Spaziale Hubble. 1992 Il satellite COBE rileva l'eco del Big Bang. 1993 Diviene operativo il Telescopio Spaziale Hubble. 1994 Il Telescopio Spaziale Hubble rileva un buco nero al centro della galassia M87. 1998 L'osservazione delle supernovae fa ipotizzare che la velocità di espansione dell'Universo sia in aumento.
1999
Gli scienziati trovano il valore esatto della costante di Hubble.
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