Copertina
Autore John Grisham
Titolo I confratelli
EdizioneMondadori, Milano, 2000, Omnibus , pag. 398, dim. 150x223x36 mm , Isbn 978-88-04-47806-5
OriginaleThe Brethren
TraduttoreTullio Dobner
LettoreAngela Razzini, 2000
Classe gialli
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Pagina 7

Per la sessione settimanale il giullare di corte indossava come sempre il vecchio pigiama un tempo color vinaccia e un paio di pantofole di spugna color lavanda, senza calze. Non era il solo detenuto a svolgere in pigiama le sue occupazioni quotidiane, ma nessun altro aveva il coraggio di infilare pantofole di quella tinta. Si chiamava T. Karl e in passato era stato banchiere a Boston.

Pigiama e pantofole sconcertavano assai meno della parrucca. Con la riga al centro, ricadeva in una cascata di boccoli, coprendogli le orecchie e pesandogli sulle spalle. Era grigio chiara, quasi bianca, nello stile di quelle dei magistrati inglesi di secoli addietro. Un amico gliel'aveva trovata in un negozio di costumi teatrali di seconda mano al Village di Manhattan.

T. Karl la indossava con fierezza e, per quanto strano possa apparire, con il tempo la parrucca era stata assimilata nella scenografia. Gli altri detenuti mantenevano comunque le distanze da T. Karl, con o senza parrucca.

Nella mensa della prigione, si fermò dietro al suo traballante tavolino pieghevole, lo batté con un martelletto di plastica che gli serviva da mazzuolo, si schiari la gola cigolante e in gran pompa annunciò: «Udite, udite, udite. La Corte federale inferiore della Florida del Nord è ora in sessione. In piedi, prego».

Nessuno si mosse, e in ogni caso nessuno diede l'impressione di volersi alzare. Trenta detenuti occupavano scomposti altrettante sedie di plastica. Alcuni di loro guardavano il giullare di corte, altri chiacchieravano come se non esistesse neppure.

T. Karl continuò: «Che tutti coloro che cercano giustizia si facciano avanti e si facciano fottere».

Nessuno rise. Era stato divertente mesi addietro, la prima volta che T. Karl se n'era uscito con quella battuta. Ora era solo un altro elemento scenografico. Si sedette con attenzione assicurandosi che la cascata di riccioli che gli oscillavano sulle spalle fosse bene in mostra, poi aprì il voluminoso libro rilegato in pelle rossa che fungeva da registro ufficiale. T. Karl prendeva il suo incarico con molta serietà.

Dalla cucina entrarono tre uomini. Due avevano le scarpe ai piedi, uno sgranocchiava un salatino. Quello senza scarpe aveva anche le gambe nude fino alle ginocchia, dove arrivava l'orlo della tunica. Erano gambe lunghe e magre, le sue, con la pelle liscia e glabra, e molto abbronzate. Sul polpaccio sinistro aveva un vistoso tatuaggio. L'uomo era californiano.

Tutti e tre indossavano vecchie tuniche ecclesiastiche appartenute al medesimo coro, tutte e tre di color verde chiaro con passamaneria d'oro. Le tuniche arrivavano dallo stesso negozio della parrucca di T. Karl e gli erano state regalate per Natale. Anche per questo, T. Karl conservava il suo posto di cancelliere ufficiale.

Salutati da qualche fischio e lazzo, i giudici in alta uniforme andarono a prendere i loro posti dietro un lungo tavolo pieghevole, vicino ma non troppo a T. Karl. Quello basso e rotondo sedeva al centro. Era Joe Roy Spicer e d'ufficio gli toccava il ruolo di presidente del collegio giudicante. Nella sua vita precedente, Spicer era stato giudice di pace nel Mississippi, regolarmente eletto dalla popolazione della sua piccola contea e spedito in gattabuia quando i federali lo avevano sorpreso a scremare gli incassi delle serate di tombola a uno Shriners Club.

«Comodi, prego» invitò il pubblico. Ma nessuno si era scomodato.

I giudici sistemarono meglio le loro sedie pieghevoli e sprimacciarono le tuniche perché il loro panneggio ricadesse con la dovuta eleganza. Appartato e ignorato dai detenuti, seguiva le operazioni il vicedirettore, affiancato da un agente in divisa. I Confratelli si riunivano una volta alla settimana con il beneplacito della direzione. Ascoltavano le lagnanze dei detenuti, componevano dispute e conflitti e, in generale, avevano dato prova di essere un elemento stabilizzante nei rapporti che s'intrecciavano all'interno della popolazione carceraria.

«La sessione è aperta» dichiarò Spicer dando un'occhiata alle cause a ruolo elencate con mano sicura da T. Karl su un semplice foglio di carta.

Alla sua destra sedeva il californiano, il giudice Finn Yarber, sessantenne, dentro da due anni per evasione fiscale, con ancora un quinquennio da scontare. Una vendetta, si ostinava a ripetere a chiunque gli porgesse orecchio. Una crociata di un governatore Repubblicano che era riuscito a indurre gli elettori a revocargli il mandato di giudice capo alla Corte suprema della California. Il cavallo di battaglia del governatore erano state l'opposizione del giudice alla pena di morte e l'arbitrarietà con cui rinviava tutte le esecuzioni. Il popolo chiedeva sangue, Yarber non glielo dava, i Repubblicani avevano aizzato gli animi e la domanda di revoca aveva avuto un successo schiacciante. Lo avevano sbattuto in mezzo a una strada, dove si era dibattuto per qualche tempo prima che gli ispettori fiscali cominciassero a far domande in giro. Educato a Stanford, incriminato a Sacramento, condannato a San Francisco, scontava ora la sua pena in una prigione federale della Florida.

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