Copertina
Autore Bear Grylls
Titolo Avventure estreme
SottotitoloLa guida completa alle attività outdoor
EdizioneElecta, Milano, 2012 , pag. 288, ill., cop.fle., dim. 16,4x23,5x2,5 cm , Isbn 978-88-370-8975-7
OriginaleGreat Outdoor Adventures. The Ultimate Guide to the Best Outdoor Pursuits [2008]
TraduttoreMilena Archetti
LettoreGiovanna Bacci, 2012
Classe sport , giochi , salute , natura , mare , montagna
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Indice


Capitolo  1   VOLO E LANCIO                       8

Capitolo  2   SCI E SLITTINO                     26

Capitolo  3   AQUILONI E KITESURFING             42

Capitolo  4   TREE CLIMBING E RIFUGI SOSPESI     58

Capitolo  5   GIOCHI ALL'APERTO                  74

Capitolo  6   ESCURSIONI E TREKKING              88

Capitolo  7   ORIENTAMENTO                      104

Capitolo  8   SCRAMBLING                        118

Capitolo  9   PROCURARSI IL CIBO                134

Capitolo 10   ALLESTIRE IL CAMPO                150

Capitolo 11   PESCA                             166

Capitolo 12   SPELEOLOGIA                       180

Capitolo 13   NUOTO E SURF                      198

Capitolo 14   IMMERSIONI SUBACQUEE              214

Capitolo 15   RAFTING E ZATTERE                 230

Capitolo 16   ARRAMPICATA IN FALESIA            246

Capitolo 17   ALPINISMO                         262


Appendice 1   NODI                              278

Appendice 2   MIMETIZZAZIONE                    281

Indice                                          283



 

 

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Capitolo 1

VOLO E LANCIO

Volteggiando nel cielo


Qualsiasi libro dedicato all'avventura non può trascurare l'esplorazione del cielo, un regno quasi infinito. Anzi, si può dire che quello che abbiamo sopra la testa è il più grande, straordinario e divertente parco del mondo. Come dico sempre, il pericolo principale in tutti gli sport aerei è la forza di gravità, che si può sfruttare e governare, ma non si può sconfiggere.

Prima di accostarvi a una qualsiasi avventura aerea ricordatevi questo: considerate la forza di gravità e calcolate sempre un margine d'errore del dieci per cento in più rispetto a qualsiasi altra attività descritta in questo libro, perché quando la gravità gioca a vostro sfavore vi lascia molto poco tempo per rimediare all'errore.

Ma, prima di valutare i pericoli, occupiamoci brevemente del motivo per cui volare o fare lanci può essere tanto liberatorio ed esaltante, e come si può sfruttare al meglio la possibilità di essere letteralmente liberi come un uccello.

Quando ero piccolo non vedevo l'ora di avere sedici anni per poter fare un lancio con il paracadute e, da che ho memoria, il pensiero di saltare da un aereo e poter volare per me è sempre stato irresistibile. Ricordo benissimo la mia prima volta, ero in visita ai Royal Marines e avevo deciso di fare un lancio con apertura automatica a Dunkeswell, nel Devon, vicino al loro quartier generale. L'istruttore che ci aveva seguito durante la formazione ci riunì intorno a sé per le indicazioni finali, ci disse che se il paracadute d'emergenza non avesse funzionato ci restava un'unica possibilità. A quel punto ero tutto orecchi. "Alzate le braccia di 90° e poi riabbassatele lungo il fianco, poi rifatelo più velocemente e poi ancora, sempre più veloci". Ero lì che agitavo le braccia come un pollo impazzito, senza rendermi conto che stava scherzando e lui deve aver pensato che fossi un po' ritardato!

Ma ero anche il più giovane del gruppo e si decise che sarei stato il primo a lanciarsi. Nella mezz'ora successiva ho provato tutte le emozioni possibili: mentre l'aereo prendeva lentamente quota per prima cosa mi sono sentito male, poi ho sentito il vuoto, mi girava la testa, mi sentivo svenire, mi tremavano le gambe fino a che, dopo un tempo che sembrò eterno, si aprì il portellone, l'istruttore fece un sorriso e con un grosso calcio mi lanciò nello spazio. Fu davvero incredibile! Atterrai come un sacco di patate, senza mai guardare indietro.

Da bambino mi piacevano anche le acrobazie e pure adesso adoro le capriole all'indietro e i flic-flac, ma il problema è che la terra ti viene sempre incontro molto velocemente. La grande gioia del paracadutismo sportivo deriva dalla possibilità di volteggiare liberamente nel cielo, completamente privi di ostacoli.

Ci vuole un po' di pratica, ma non importa se il salto mortale all'indietro non è perfetto: si rimane sospesi a 3000 metri d'altezza, in caduta libera a una velocità di quasi 200 km all'ora, volteggiando nelle posizioni più divertenti sempre sostenuti dal flusso dell'aria. Credo che sia la sensazione più liberatoria che esista. Si è da soli e si vola e ogni movimento della testa o di mani e piedi ha un effetto immediato sulla caduta, è l'arte più pura che si possa sperimentare.

Qualche anno dopo ebbi un piccolo problema con un paracadute che scoppiò durante un lancio in Sudafrica e mi lasciò con tre vertebre rotte e un lungo periodo di riabilitazione nell'esercito prima di ricominciare a camminare, ma a parte quell'incidente di percorso che durò diciotto mesi e un altro piccolo inconveniente, la mia esperienza di volo è stata davvero privilegiata. Secondo me i brutti colpi nella vita ci offrono l'opportunità di mostrare il nostro coraggio e rimetterci in piedi più forti e più in forma di prima.

Ho provato anche il parapendio, che offre lo stesso tipo di libertà ma il movimento è più lento, si vola e si plana come un uccello, volteggiando con grazia tra le correnti termiche e sfiorando i crinali delle montagne.

Poi naturalmente c'è il paramotore (che permette di volare con un parapendio individuale dotato di propulsore) con un controllo di movimento ancora maggiore. Ricordo una bella sera d'estate tranquilla di poco tempo fa, ero scalzo e in pantaloncini corti e stavo seduto ad ammirare il tramonto sulla valle; c'erano un po' di nuvole basse ma erano attraversate dai raggi del sole, così presi il mio paramotore, me lo legai sulla schiena, feci una corsa di venti metri sull'erba e spiccai il volo.

Sulla valle stava facendo quasi buio ma appena attraversate le nuvole sbucai nella piena luce del sole. Per un'ora ho seguito il contorno delle nuvole, sfiorando con i piedi quei cuscini soffici come il cotone, cantavo a squarciagola sorvolando tutto il mondo. Era un paradiso e non riesco a capire perché non lo facciano tutti, è così divertente lassù.

Uno dei più grandi privilegi che ho avuto è stato quello di volare con un paramotore sopra la cima dell'Everest in Himalaya. È stato un volo strabiliante ma, a dire la verità, un po'troppo pericoloso per raccomandarlo, anche se - a parte la temperatura di -55 °C e i venti molto forti - i fattori da considerare erano gli stessi di tutti i voli: controllare le condizioni atmosferiche, il rotore, il terreno e l'acqua.

[...]

PARACADUTISMO

Quanto ad adrenalina, niente è meglio della caduta libera. Se aprire il portellone di un aereo a 4000 metri di quota e lanciarvi fuori non vi dà il brivido, non esiste nulla che possa darvelo. Nel giro di sei o sette secondi raggiungete la massima velocità (circa 200 km orari) e viaggiate a 60 metri al secondo, ovvero più dell'altezza della torre Eiffel ogni cinque secondi.

Si resta in caduta libera per circa un minuto, anche se sembra molto di più, e pensare in maniera lucida in queste condizioni all'inizio può essere difficile. Dopo un po', comunque, tutto - dai lanci acrobatici allo skysurfing al volo in formazione - diventerà possibile.

[...]

PARAPENDIO

Mentre le macchine volanti a struttura fissa nascono con la storia del volo, una tecnica che permetta di volare liberi nell'aria, stando comodamente seduti, esiste solo da qualche decennio e soltanto da pochi anni queste speciali macchine volanti sono diventate abbastanza sicure da permettere a chiunque di imparare a volare

Sorvolare con il parapendio paesaggi sublimi, dall'Himalaya alle Alpi alle Ande, è un'esperienza mozzafiato e regala la stessa emozione che devono aver provato i primi pionieri del volo. Il deltaplano, dotato di struttura rigida, esiste dagli anni Settanta ma in termini di popolarità è stato ampiamente superato dal parapendio, soprattutto per un motivo: è sufficiente uno zaino per portare con sé in giro per il mondo questa moderna macchina volante.

[...]

BUNGEE JUMPING

Poche attività scatenano una reazione del cervello umano tanto intensa quanto lanciarsi in una caduta a tutta velocità e, quanto più ci si avvicina a terra, tanto più forte è la scarica di adrenalina. Fino a non molto tempo fa una cosa del genere equivaleva a un biglietto di sola andata per l'altro mondo, ma a partire dagli anni Ottanta l'operazione fino ad allora suicida di gettarsi da un ponte o da un edificio alto è diventata un sport estremo... e senza lo svantaggio di morire.

Curiosamente, tutto è iniziato con un documentario di Sir David Attenborough, che all'inizio della sua carriera riprese un bizzarro rituale d'iniziazione ancora praticato dai nativi dell'isola di Pentecoste nel Sud Pacifico. I giovani uomini che partecipavano al rito dovevano gettarsi da torri di legno legati alle caviglie con tralci di vite per celebrare il raccolto di igname, il tubero locale. Di solito (ma non sempre) i tralci resistevano e il rito era superato.

Ispirandosi a questa pratica, i due neozelandesi A.J. Hackett ed Henry van Asch misero a punto una corda elastica formata da centinaia di fili di lattice, che non presentava l'inconveniente dei tralci usati dagli isolani, la chiamarono "bungee" e testarono la nuova invenzione con una serie di lanci da una cabina della funicolare di Tignes, località sciistica francese. Una volta perfezionata la fune, A.J. Hackett saltò dalla torre Eiffel balzando alla ribalta internazionale. Nacque così la leggenda del bungee jumping.

Il primo sito commerciale dedicato al bungee jumping fu aperto nel 1988 alle rive del fiume Kawarau, vicino a Queenstown, in Nuova Zelanda, luogo oggi considerato la patria spirituale di questo sport. Da allora il salto con l'elastico si è diffuso in tutto il mondo, con esibizioni a scopo commerciale organizzate da ponti, gru, funivie, mongolfiere ed elicotteri sui supporti più diversi, dalle biciclette, ai divani, alle tavole da surf, per non parlare dell'esibizione più sensazionale, ovvero saltare nudi.


BASE JUMPING

È folle ed è molto pericoloso, ma ci sono persone disposte a rischiare il tutto per tutto per un grande brivido. Se pensate che sia emozionante il bungee jumping, provate a immaginare cosa dev'essere saltare senza corda: questo è in sostanza il base jumping.

Chi pratica base jumping prova il brivido saltando col paracadute da altezze elativamente ridotte: invece dei 4000 m di un lancio dall'aereo, salta dai 150 m di un ponte. Il pericolo deriva dalla limitata quantità di tempo disponibile per correggere eventuali errori o malfunzionamenti. Gli appassionati che conosco tendono a essere pianificatori metodici ed è proprio l'accuratezza della preparazione per minimizzare il rischio che dà loro ebbrezza, oltre naturalmente al momento del salto vero e proprio, che spesso avviene illegalmente e di notte.


Non provate a casa vostra!

Il termine BASE è un acronimo che fa riferimento ai luoghi da cui si eseguono i lanci:

B buildings - edifici

A antennas - antenne, strutture aeree

S spans - (campate di) ponti

E earth - terra, ovvero luoghi naturali, di solito scogliere.

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Capitolo 3

AQUILONI E KITESURFING

L'arte di sfruttare il vento


I bambini sembrano sempre essere quelli che si divertono di più, ma chi ha detto che il divertimento deve finire quando si cresce oltre il metro e venti d'altezza? Da mio padre, che non c'è più, ho imparato una forte determinazione a non maturare più del necessario e dedicarsi agli aquiloni è uno dei tanti modi per rimanere bambini.

Quando il vento è dolce e costante non c'è niente di meglio che volare con il parapendio o il paracadute e io ho trascorso molte ore della mia vita ad aspettare che si alzasse la brezza giusta per lanciarmi; quando c'è troppo vento per il parapendio, però, la condizione è ideale per far volare un aquilone. Per il primo ci vuole vento dolce, per il secondo vento forte. In natura non ci si annoia mai, aveva ragione mia madre: "Si annoia solo chi è noioso!".

Poco tempo fa ero con il mio migliore amico e dopo pranzo siamo usciti, siamo andati verso il fienile e ci siamo arrampicati sulle balle di paglia. Poiché c'era vento abbiamo deciso di tirare fuori l'aquilone e così siamo corsi in casa a indossare gli stivali e a prendere la vela.

Fuori il vento era più forte di quanto sembrasse, ma a quel punto eravamo già pronti a srotolare l'aquilone (e molto eccitati); si tratta di una vecchia vela grande, biposto, che si piega e diventa un normale aquilone, purché il vento non sia troppo impetuoso.

Il mio amico l'ha aperto, Jesse - il mio primogenito - stava aggrappato alla mia gamba, io ero lì pronto ad aspettare il vento e alla fine eccolo! È arrivato e un soffio particolarmente forte ha strappato l'aquilone dalle mani del mio amico e io sono partito, trascinato con gli stivali in mezzo al fango. Lottavo per mantenere stabile la vela sopra di me, con Jesse sempre disperatamente aggrappato alla mia gamba, quindi sono finito in un fosso in ginocchio e, senza accorgermene, ho piegato l'aquilone di alcuni gradi, sistemandolo involontariamente nella posizione giusta per farlo decollare. La vela si è sollevata in aria, mi è stata strappata dalle mani e dopo pochi secondi è stata catturata da una quercia gigante alta 20 metri: sventolava lassù come la bandiera di un castello. Io e Jesse eravamo pieni di fango e tutti quanti eravamo piegati in due dal ridere. Per Jesse è stata un'avventura fantastica!

Pilotare un aquilone da trazione che volteggia in cielo sfruttando la forza del vento è una sensazione magica: adoro riuscire a sfruttare le forze della natura e raramente essa si esprime in maniera così pura come con la forza del vento.

La storia dell'aquilone risale a migliaia di anni fa e ha saputo interessare re e bambini. Esistono gli aquiloni combattenti, governati da cavi e usati per battere gli avversari, e quelli che servono solo a far divertire schiere di bambini e genitori. Quando siamo a casa nostra, nel Galles, facciamo volare gli aquiloni quasi tutti i giorni, dato che lì c'è sempre vento, e una delle mie foto preferite è quella di mio figlio Marmaduke, a un anno, che trotterella in un prato aggrappato al filo di un aquilone, senza nemmeno guardarlo perché la vela sta dietro di lui.

Naturalmente far volare un grande aquilone è un'operazione complicata, perché una volta che la vela si gonfia d'aria l'aquilone sviluppa una certa forza, e il minimo movimento delle dita può avere un incredibile effetto sull'ala. Se non ci credete, provate il kitesurfing: è uno sport favoloso e chiunque si diverta a far volare un aquilone dovrebbe cimentarcisi.

Costruire un piccolo aquilone con le proprie mani è abbastanza facile e molto divertente: bastano un po' di spago, dei rametti sottili, un pezzo di stoffa o un vecchio sacchetto di plastica e la vostra opera volerà. Il segreto è legare la fune nel punto giusto, quello che si chiama "briglia", in modo da non farlo avvitare e cadere a terra. Provate a dare filo, pochi centimetri per volta, fino a quando la vela è stabile, quindi srotolate. Non sarà professionale quanto un aquilone da trazione o una vela da usare con la tavola da surf, ma sarà divertente veder volare in cielo la vostra creazione.

GLI AQUILONI NELLA STORIA

Gli aquiloni esistono da molto tempo, forse più di tremila anni e, sebbene tutti siano convinti che provengano dall'Estremo Oriente, la loro origine precisa si perde nella notte dei tempi, anche perché i primi esemplari erano fatti di materiali naturali, leggeri e deperibili - come bambù, legno e seta -, perciò non se ne sono conservate tracce.

Secondo alcune ipotesi i primi aquiloni erano fatti di foglie di palma, risalgono a molto prima dell'invenzione della carta e pare che venissero utilizzati dagli abitanti delle isole del Sud Pacifico per la pesca in mare. Secondo una leggenda popolare tramandata oralmente, invece, il primo a costruire un aquilone fu Lu Ban, vissuto in Cina tra il IV e il V secolo a.C.; si narra che i suoi aquiloni a forma di uccello fossero in grado di volare per molti giorni di seguito. I primi documenti scritti sugli aquiloni risalgono alla dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.) e si racconta che un generale cinese fece volare un aquilone lungo le mura della fortezza che stava assediando, per misurare la lunghezza del tunnel che i suoi uomini avrebbero dovuto scavare per penetrarvi. Nei secoli successivi l'uso dell'aquilone si diffuse lungo le rotte commerciali, dall'Asia alla Malesia, all'Indonesia, alla Thailandia, alla Corea e all'India, fino a raggiungere la cultura maori nella futura Nuova Zelanda.

Man mano che gli aquiloni diventavano più popolari, ogni civiltà andava sviluppando un proprio stile, un sistema costruttivo e un rituale di volo. I primi aquiloni arrivarono in Giappone con i monaci buddisti, che li usavano per allontanare gli spiriti maligni e garantire un buon raccolto. Nel corso dei secoli gli aquiloni sono stati usati per fini diversi, dalle cerimonie religiose alle ricognizioni militari, dall'edilizia alla ricerca scientifica.

In Europa i primi aquiloni arrivarono nel XIII secolo, grazie alle spedizioni di Marco Polo, e per lungo tempo furono usati principalmente a scopo scientifico e militare. Solo all'inizio del Settecento, in Francia, furono utilizzati anche per divertimento.

In seguito furono oggetto di numerose sperimentazioni e innovazioni, dall'aquilone scatolato inventato nel 1893 dall'inglese Lawrence Hargrave, emigrato in Australia, a quello a celle tetraedriche in grado di trasportare alcuni uomini, ideato da Alexander Graham Bell, l'inventore del telefono. Grazie all'osservazione delle caratteristiche aerodinamiche degli aquiloni scatolati di Hargrave i fratelli Wright svilupparono il progetto dei loro primi alianti.

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Kitesurfing

Pochi altri sport d'avventura offrono il brivido del kitesurfing - una sorta di combinazione tra surf, wakeboard (fusione tra sci nautico e snowboard), parapendio e aquilone - in cui si sfrutta l'energia del vento per spostarsi sull'acqua.

Come in tutte le discipline sportive a vela, l'aquilonismo da traino in acqua richiede una certa destrezza e la capacità di valutare la potenza del vento, oltre a quella di mantenere il controllo dell'aquilone in aria e della tavola sotto i piedi (confesso di essere un fanatico di questo sport). Grazie alle sue caratteristiche aerodinamiche il kitesurf può volare con venti inferiori ai 10 nodi e tuttavia generare una notevole potenza, cosa che i principianti ignorano, spesso a loro rischio e pericolo.

Il kitesurfing è decollato a livello internazionale negli anni Novanta, dopo il lancio del WIPIKA (Wind Powered Inflatable Kite Aircraft, ovvero un aeroaquilone gonfiabile azionato dal vento), progettato in Francia dai fratelli Legaignoux. Questo modello innovativo - con bordo d'attacco gonfiabile - ha reso possibile rilanciare la vela quando cade in acqua, un problema quasi inevitabile anche per il rider più esperto.

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Capitolo 12

SPELEOLOGIA Esplorare le viscere della terra


Entrare in una grotta è come aprire le porte di un nuovo mondo: si tratta di un ambiente ricco di sorprese nascoste, a tratti claustrofobico e poi vasto, vuoto e pieno, totalmente disabitato e improvvisamente affollato di pipistrelli. Le grotte sono generate dall'azione della natura e tuttavia sembrano sussurrare in silenzio, sono fredde ma ci fanno sudare, sono inospitali ma irresistibili. In verità l'uomo ha appena iniziato a esplorare ciò che sta sotto la terra e ha scoperto solo una minima parte del mondo sotterraneo.

La sensazione di essere costretti all'interno di uno spazio ridotto e sotto il peso di millenni di roccia può essere emozionante e stimolante per alcuni, terrorizzante e paralizzante per altri. Ma la conoscenza scioglie la paura, quindi se imparate a conoscere le grotte e i loro pericoli, oltre alle precauzioni che è necessario adottare, potrebbero diventare l'avventura della vostra vita.

Nel corso dei miei viaggi sono stato in alcune cavità davvero impressionanti e impegnative, vasti abissi scavati da rivoli sotterranei nelle foreste dell'America Centrale e grotte di ghiaccio profonde nei ghiacciai della Patagonia. Trovarmi nelle profondità sotterranee è per me un'esperienza sempre molto intensa: poche attività sono più coinvolgenti e mozzafiato del sondare le profondità oscure attraverso pareti di roccia mai raggiunte dall'uomo. Camminare all'interno delle arterie della terra mi fa sentire come un ospite inatteso e di passaggio ma assolutamente privilegiato.

Mesi fa mi trovavo nelle profondità del sottosuolo, in una vecchia miniera d'oro abbandonata ai confini dell'Alaska. In alcuni punti la copertura era crollata lasciando solo alcune brecce in cui potevo infilarmi facendomi luce con una torcia fatta di iuta. Con l'aiuto di una fune improvvisata mi sono calato all'interno di un pozzo profondo che conduceva a una zona completamente buia; camminavo accovacciato in un tunnel di ghiaccio sottile, perché il freddo sotterraneo aveva congelato il vapore acqueo. Silenzio totale, una situazione rischiosa ma inebriante.

Le grotte sono luoghi straordinari ma possono anche essere pericolose, quindi la prima regola è essere sicuri di ciò che si sta facendo e la seconda è non avventurarsi mai da soli.

Assicuratevi di essere accompagnati da un esperto oppure specializzatevi adeguatamente, perché le cose possono andare male e il risultato potrebbe essere una morte lenta e molto poco spettacolare. Credo che uno degli incubi peggiori sia trovarsi nella profondità di una grotta, con la torcia esaurita e senza riuscire a ritrovare la via d'uscita. Se a questo aggiungete l'arrivo dell'alta marea, capite bene cosa intendo quando dico che le grotte non perdonano. Viceversa, se tutto va bene, l'esplorazione sotterranea può essere una straordinaria avventura.

La speleologia impone la giusta decisione in ogni momento, ma proprio qui sta il brivido: all'interno di una grotta un errore può significare grossi guai. Ricordo di aver esplorato un sistema di grotte laviche in Islanda: si tratta di vaste distese di roccia lavica spesso coperte di muschio che nascondono questi tunnel affascinanti. Ogni tanto si trovano dei "lucernari" dove la copertura è parzialmente crollata e il muschio ricopre appena le aperture dei vecchi tunnel creati dallo scorrimento della lava, ovvero lunghe cavità generate dal passaggio del magma. Decisi di percorrere uno dei tunnel in profondità, utilizzando una torcia fatta di ramoscelli intinti nel grasso di pecora (che avevo recuperato da una carcassa) per farmi luce attraverso i passaggi stretti e taglienti nella roccia vulcanica. A un certo punto giunsi in un punto dove la galleria era parzialmente crollata. C'era giusto lo spazio per infilarsi prima che il passaggio si diramasse in diverse direzioni. Tracciai dei segni a terra e sulle pareti per segnare il mio percorso, ma man mano che mi addentravo diminuiva l'ossigeno e la mia fiaccola improvvisata resisteva a fatica, così cominciai a indietreggiare. Prima di riuscire a passare, però, la volta crollò e la torcia si spense e quindi non riuscivo più a vedere i segni sulle pareti e sul pavimento che indicavano la via d'uscita.

Il mondo sembrò fermarsi, la grotta era fredda, il mio cuore batteva forte; c'erano tonnellate di roccia sopra di me ed ero completamente al buio. Ecco cosa intendo quando dico che le grotte stimolano la mente.

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Capitolo 13

NUOTO E SURF

Un tuffo nel blu


A dire la verità è fondamentale saper nuotare se avete intenzione di sperimentare alcune avventure tra le più emozionanti che si possono godere sul nostro pianeta, non solo perché molte coinvolgono laghi, lagune, mari, fiumi o rapide, ma anche perché in molti casi possono concludersi con l'attraversata di un fiume o anche solo un tuffo accidentale. Se amate l'avventura, il fatto di non saper nuotare vi preclude tutta una serie di possibilità. Perciò cercate di imparare in fretta: se avete paura non arrendetevi e provate a superare questo limite per essere in grado di acquisire le capacità necessarie.

Quando avrete imparato sarà essenziale conoscere i pericoli dell'acqua, perché generalmente si annega per ignoranza, nel senso che si ignorano la potenza dell'acqua, le rapide e le correnti di marea.

Ricordo che una volta stavo cercando di attraversare un fiume nella foresta indonesiana. Era in piena, la corrente era di un minaccioso color marrone scuro e correva tra le gole; sapevo che il pericolo maggiore nei fiumi della foresta è ciò che non si vede - alberi e rami impigliati tra le rocce e non visibili in superficie, ostacoli che rappresentano trappole letali - e che era rischioso, ma quando entrai in acqua mi resi conto che la corrente era ancora più forte di quanto avevo immaginato. Precipitai verso valle aggrappato a un tronco, seguito dal gommone con la troupe televisiva che filmava. Improvvisamente fui inghiottito da una grande "buca", risputato subito fuori e andai a sbattere contro un tronco nascosto che mi distrusse un ginocchio. Nel frattempo fui sommerso da un'altra ondata d'acqua. Proprio mentre stavo per riemergere mi passò sopra il gommone e io affondai di nuovo: a quel punto ero stremato, disorientato e senza fiato. Fortunatamente riuscii ad afferrare un cordino che pendeva dal gommone e a tirarmi fuori, ma ero arrivato a un punto in cui le cose potevano facilmente andare per il verso sbagliato.

L'acqua ha una forza sufficiente a strapazzarvi come una bambola di pezza, inchiodarvi dove vuole e lasciarvi andare solo quando, e se, lo decide lei. Con le rapide di un fiume non c'è da scherzare, a meno che non siate più che sicuri di ciò che state facendo o non siate protetti dall'attrezzatura di sicurezza, perché vi possono uccidere in un batter d'occhio.

In mare è la stessa cosa. Ricordo quando fui calato dall'elicottero al largo della Skeleton Coast in Namibia, quella che i marinai chiamano "porta dell'inferno" perché sanno che, se anche riesci ad attraversarla, le onde, le correnti o il calore terribile del deserto ti fanno fuori in poche ore. Io ero forse a soli 500 m dalla costa, ma la corrente era davvero forte. Nuotai per ore in modo sistematico e controllato, sempre in diagonale rispetto alla riva, riuscendo solo a contrastare la corrente e a sopravvivere alle onde. Ma proprio allora cominciò l'avventura: i frangenti erano giganteschi, non erano certo il tipo di onde che ti accompagnano dolcemente, erano "ruspe" che ti sollevano e poi ti scaraventano contro la barriera tagliente; finalmente arrivai a riva, dopo aver bevuto mezzo Oceano Atlantico e con le tasche piene di sabbia e sassi che avevo raccolto mentre venivo trascinato a terra.

Non fate errori e ricordate che avere a che fare con le rapide di un fiume o le grandi onde è uno sport pericoloso. D'altra parte il divertimento sta anche nel rischio, perciò il segreto risiede nel conoscere il pericolo, nutrire un doveroso rispetto per l'acqua e la sua potenza e studiare sempre un piano d'emergenza in caso di necessità. Dopo di che buttatevi e buon divertimento.

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Capitolo 14

IMMERSIONI SUBACQUEE

Alla scoperta del mondo sommerso


Abbiamo tutti a disposizione tre meravigliosi universi naturali per le nostre avventure: terra, aria e acqua, e tutti possono garantirci incredibili occasioni di divertimento! Difficile rinunciare a uno di loro, ma secondo me il mondo subacqueo è il più divertente e allo stesso tempo il più rilassante e il più tranquillo.

Considerando che prima della nascita tutti noi veniamo portati in giro per nove mesi immersi in una comoda sacca piena di liquido, non c'è da sorprendersi se gli esseri umani trovano tanto piacevole la sensazione di leggerezza e relax che l'acqua regala. Mi piaceva moltissimo vedere con quanta naturalezza i miei due figli stavano in acqua quando erano neonati, nuotavano (mentre li tenevo in braccio) in mare o in piscina e sembravano completamente a loro agio: se li portavo sott'acqua restavano calmi, non si agitavano e quando uscivo erano tranquilli. Certi adulti impiegano parecchio tempo per ottenere questi risultati.

Negli adulti, infatti, la paura dell'acqua deriva generalmente da un trauma che hanno subito nell'infanzia e per superarla è di grande aiuto comprendere le regole del gioco. Prima di tutto, la conoscenza sconfigge la paura, quindi valutate quali sono i veri pericoli e quali non lo sono: per esempio, se imparate a nuotare, l'acqua profonda non è più un problema e non c'è differenza se sotto di voi ci sono tre o 3000 metri d'acqua. Tutto è relativo. Stesso discorso per quanto riguarda i pericoli: il segreto è sempre quello di imparare a conoscere la potenza dell'acqua, che si tratti di nuotare in un fiume o in mare aperto, o di fare surf.

Mettere la testa sott'acqua significa entrare in un mondo completamente nuovo. Uno dei miei divertimenti preferiti è fare immersioni senza attrezzatura: questo per me è il vero diving. Naturalmente sono necessari tempo e allenamento per "allargare" i polmoni e riuscire a stare in immersione abbastanza a lungo ma, una volta che si conquista confidenza e fiducia, riuscendo anche a rallentare la frequenza cardiaca, è veramente magico.

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Capitolo 17

ALPINISMO

Sfide in alta quota


È strano pensare che per secoli la montagna abbia rappresentato un territorio proibito, un luogo del male da temere ed evitare, pericoloso e imprevedibile, selvaggio e non addomesticato al punto da tenere lontana persino la smania di controllo e conformità della prima civilizzazione. I pionieri delle Alpi schermavano lo sguardo da questi mostri di turbamento dai poteri nascosti e misteriosi.

Solo quando si cominciò a superare la naturale paura dell'ignoto e ci si avventurò tra le montagne fu possibile iniziare ad apprezzarle per ciò che sono realmente e oggi sono a buon diritto considerate luoghi di grande forza e bellezza, ricche di meraviglie e di energia divina e così la sete di conoscenza ed esperienza insita nell'uomo, unita al naturale desiderio di libertà e di espressione, ha svelato un nuovo universo a chi non ha avuto paura della propria ombra.

Il senso di libertà, di emozione e di semplice meraviglia che provo in montagna mi ha colpito tante volte, mi ha anche portato a rischiare la vita nell'avventura verso la vetta ed è ciò che ancora oggi mi dà lo slancio. Più conosco la montagna e più mi è impossibile negare la presenza di un'anima, di qualcosa di intangibile che si rivela solamente a chi è in grado di ascoltarne il palpito.

Non dimenticherò mai la prima volta che ho avvertito il senso di grandezza della montagna: era l'alba, mi trovavo tra i monti di Darjeeling, nel Nord dell'India, e avevo 18 anni; la luce intensa colorava le grandi vette dell'Himalaya di fronte a me, come un artista che intinge il suo pennello nel rosa, e io ero esterrefatto da ciò che vedevo e sentivo - il profumo, il chiarore, la travolgente espressione di tanta imponenza -, ero stordito dall'emozione che in quel momento mi pervadeva completamente, e trovavo difficile negare la presenza di un creatore in tutto questo. Può la geologia da sola dare vita a tanta bellezza?

Ricordo che mi sentivo piegato dalla maestosità di quelle vette lontane, al cui confronto tutte le altre montagne sembravano giocattoli. Ho imparato che nella vita, quando si incontra qualcosa che smuove sentimenti così viscerali, si tratta di qualcosa che bisogna seguire. E a me la montagna fa decisamente questo effetto.

Il panorama rappresenta solo metà del fascino della montagna, l'altra metà sta nella scalata vera e propria. Una delle mie citazioni preferite è di William Blake, che scrisse:

Grandi cose avvengono quando gli uomini e le montagne si incontrano; questo non avviene scontrandosi per la strada.

Sono parole che contengono tutto. La vita moderna è fatta spesso solo di scontri distratti, è un perpetuo agitarsi di piume, un inutile pavoneggiarsi per nulla. Per me questo è inaccettabile, significa sottovalutare tutto ciò che la vita ha da offrirci. Invece "le grandi cose" di cui parla Blake sono quelle che succedono dentro di noi quando ci troviamo di fronte alle grandi sfide, sono questi momenti intimi, veri, personali che danno un senso alla nostra vita. Scalare l'Everest mi ha insegnato questo e mi ha insegnato anche che a volte la montagna esige un prezzo molto alto, nei casi più estremi è il prezzo della vita. Durante la nostra spedizione sono morti quattro alpinisti e nella sua natura immutabile la montagna continua a mietere vittime.

Nonostante i pericoli legati alla scalata, uomini e donne rischiano la vita ogni giorno alla ricerca del profondo; di cosa si tratta e perché lo fanno è difficile da spiegare, ma posso azzardare qualche ipotesi. Arrivare in vetta e rimanerci anche solo per un po' di tempo ci impone di rallentare, sincronizzando il nostro ritmo con quello della montagna. Nel fare questo ritroviamo l'energia naturale che è dentro di noi e che ci permette di raggiungere quei traguardi superando ogni avversità, ci spinge dritti verso la tana del lupo, ma è una scelta volontaria, libera e incondizionata. In montagna noi siamo Davide e la vetta è Golia e re Davide ha avuto bisogno di un grande coraggio per battere Golia. Ecco, la montagna fa emergere questo sentimento dal nostro cuore, per questo io l'adoro.

Volete una vita vera o una vita facile? La scelta sta a voi. Se volete assaporare la vita vera, provate a scalare in montagna e questo vi metterà di nuovo in contatto con voi stessi, con la vostra parte migliore. Non si tratta di conquistare una vetta: se riduciamo tutto a obiettivi così "semplici" perdiamo di vista il punto. L'alpinismo non serve tanto a formare il carattere, quanto piuttosto a rivelarlo. La montagna impone prove impietose a chiunque sia tanto coraggioso, o sconsiderato, da affrontarla e poche altre attività richiedono altrettanta fiducia in se stessi e negli altri.

La montagna non si può conquistare o addomesticare, la vera conquista è il superamento della paura che è dentro di noi. L'alpinismo può infondere grande coraggio, umiltà e forza nelle persone (l'ho visto succedere tante volte) e proprio in questo sta il vero fascino della montagna.


MOTIVAZIONE

Una delle citazioni più famose è quella di George Leigh Mallory, leggendario scalatore dell'Everest, che nel 1923, rispondendo a un reporter del «New York Times» che gli domandava perché volesse scalare l'Everest, disse: "Perché è lì" e le sue parole passarono alla storia.

Molto meno citati sono invece i commenti di Mallory scritti l'anno precedente riguardo allo stesso argomento e che mettono in luce la questione di ciò che motiva l'uomo a raggiungere la vetta più alta del mondo, rivelando il senso profondo delle sue parole più famose e la filosofia di uno dei più grandi eroi dell'alpinismo:

La prima domanda che lei mi farà e alla quale dovrei rispondere è questa: "A cosa serve scalare l'Everest?" E la mia risposta immediata è: "Non serve a niente. Non esiste la benché minima prospettiva di guadagno, non riporteremo nemmeno un grammo di oro né di argento, né una gemma, né carbone o ferro, non troveremo un solo angolo di terra dove sia possibile coltivare qualcosa e produrre cibo. Non serve a niente".

Perciò, se non riuscite a capire che esiste qualcosa nell'uomo che risponde alla sfida di questa montagna e cerca di affrontarla, che la lotta è una lotta con se stessi, verso l'alto e sempre più in alto, non sarete mai in grado di capire perché lo facciamo. Ciò che otteniamo da questa avventura è gioia pura, e dopo tutto la gioia è lo scopo della vita. Non viviamo per mangiare e per fare soldi, mangiamo e facciamo soldi per goderci la vita. È questo il significato e lo scopo dell'esistenza.

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