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| << | < | > | >> |IndiceI. Cronache di vita italiana 7 II. Professore a Pisa 25 III. I gatti di Torino 45 IV. Roma, gli impegni pubblici, il politico 75 V. È il momento di sparare da un dirigibile 119 VI. Dalla guerra alla pace: il Cnr 153 VII. La fine della libertà 177 VIII. Dopo i gatti, i pesci 203 IX. Il tempo sta scadendo 227 Indice dei nomi 239 |
| << | < | > | >> |Pagina 7I. Cronache di vita italianaLa famiglia Nella primavera del 1860, Ancona vive gli ultimi mesi del dominio temporale della Chiesa, da cui era destinata ad affrancarsi nel settembre successivo. È nella città marchigiana che nasce Vito Volterra, il 3 maggio 1860. I suoi genitori appartengono alla comunità ebraica, ancora residente nell'antico ghetto istituito nel XVI secolo. Il padre, Abramo, viene da una famiglia di piccoli commercianti. La madre, Angelica Almagià, è nipote di Saul, uno dei notabili della comunità. Rimasta orfana di padre all'età di sette anni, era cresciuta (insieme al fratello Alfonso) a stretto contatto con i quattro figli dello zio Saul: Roberto, Edoardo, Vito e Virginia. Questa rete di rapporti, e in particolare gli stretti e affettuosi legami di Angelica con il fratello Alfonso e il cugino Edoardo, saranno destinati a influire profondamente sulla vita del futuro matematico. Angelica ed Abramo Volterra si erano sposati il 14 marzo 1859, dopo due anni di fidanzamento. Come prassi abbastanza consueta, il primo figlio riceve il nome del nonno materno.
I destini del piccolo Vito cambiano subito, e improvvisamente,
nel 1862 quando muore il papà che lascia moglie e figlio privi di
risorse economiche. Angelica e Vito si trasferiscono allora presso il
fratello di lei, Alfonso, che viveva con la madre e non esita adesso
a farsi carico del mantenimento della sorella e del nipote. Vito cresce perciò
con lo zio, la madre e la nonna. Nell'autunno del 1863,
lo zio viene assunto da una società appaltatrice di lavori ferroviari
e si trasferisce a Terni, dove lo segue anche il resto della famiglia.
Poi, nel gennaio del 1865, inizia un nuovo lavoro presso la Banca
Nazionale e viene destinato alla sede centrale di Torino. Sono i
mesi immediatamente successivi alla Convenzione di settembre
del 1864. Siamo in pieno trasferimento della capitale del nuovo
Stato italiano dalla città subalpina a Firenze. In luglio, trasloca anche la
sede centrale della Banca Nazionale e Alfonso Almagià rifà
le valigie. A Torino era andato da solo (mentre il resto della famiglia faceva
ritorno ad Ancona); a Firenze lo raggiungono invece la
madre, la sorella e il nipote ed è nel capoluogo toscano che Vito
trascorrerà quindi gli anni della formazione e degli studi.
Lo zio Alfonso è preoccupato La giovane mamma, rimasta vedova, riversa sul bambino tutte le attenzioni e l'affetto. Le sue origini, da una famiglia dotata di una certa istruzione, la rendono molto attenta all'educazione prescolare del figlio e Vito risponde bene alle sue affettuose sollecitazioni. A tre anni impara a scrivere e presto mostra una prima propensione per gli studi fisico-matematici. È lui stesso che, in un ricordo autobiografico scritto molto più avanti, racconterà come all'età di nove anni la sua fantasia sia stata colpita dal volume divulgativo di Jean Macé, Histoire d'une bouchée de pain (dedicato alla chimica e alla fisiologia della vita umana e animale) e come, più o meno nello stesso periodo, abbia da solo scoperto che le oscillazioni prodotte dalla torsione di una corda sono isocrone, come quelle del pendolo. Il giovane Vito, insomma, comincia ad essere attirato dall'osservazione dei fenomeni naturali e dai primi ragionamenti deduttivi. Sia ben chiaro: stiamo parlando di un bambino di dieci anni ma ugualmente queste prime esperienze intellettuali – da bambino di dieci anni, appunto – rivestono un certo significato alla luce degli sviluppi successivi. Nel 1873, Vito leggerà Dalla Terra alla Luna di Giulio Verne, decidendo di occuparsi per gioco di quello che sarebbe diventato un classico problema dell'astronautica del Novecento e di calcolare, sempre per gioco, la traiettoria del razzo che nel racconto viene lanciato dalla Terra. La tecnica adottata lo porterà inconsapevolmente ad applicare le idee che stanno alla base dell'analisi infinitesimale ed è proprio su questo ricordo adolescenziale che Volterra tornerà in alcuni passaggi di una lezione parigina del 1912, dedicata all'evoluzione delle idee fondamentali del calcolo infinitesimale. | << | < | > | >> |Pagina 28La produzione scientifica nel periodo pisanoSono anni, quelli pisani successivi alla cattedra, molto importanti per Volterra anche dal punto di vista della ricerca e della costruzione della sua personalità scientifica. Prima, analista con Dini; poi, fisico-matematico con Betti. Nel suo caso (ma, in realtà, anche in quello di Betti) è però problematico distinguere con totale sicurezza i lavori di analisi da quelli di fisica matematica. Noi cercheremo ugualmente di farlo – per orientarci in una produzione scientifica che è subito molto vasta (e subito suggerisce anche qualche significativa chiave di lettura) – ma dobbiamo avvertire che è una distinzione da utilizzare con una certa cautela. Vuoi perché, negli articoli "fisici", l'intervento dello strumento analitico è tutt'altro che marginale. Vuoi perché in quelli che chiameremo di analisi sono spesso presenti motivazioni, esempi ed applicazioni di carattere fisico. In ogni modo, i diversi lavori – di analisi o di fisica matematica, che siano – non si riducono mai alla sola dimostrazione di un teorema. Piuttosto: teoremi, corollari, osservazioni sono passaggi attraverso cui si sviluppa un vero e proprio discorso scientifico. A volte, l'indagine è quasi costretta a lunghe premesse, o parentesi "teoriche", per costruirsi gli strumenti della propria formalizzazione; altre volte, risulta maggiormente affascinata dalla possibilità di risolvere nuovi problemi fisici o dare un contributo alla precisazione di antiche osservazioni sperimentali. Presentando alcune delle ricerche di Volterra, avremo più volte modo di sottolinearne la forte unitarietà. Per il momento ci limitiamo ad un esempio indicativo anche dello stile adottato, citando un passo di Sopra alcune condizioni caratteristiche delle funzioni di una variabile complessa. È una lunga e impegnata Memoria – una cinquantina di pagine! – datata 12 maggio 1882 e che porta ancora la precisazione che l'autore è un allievo della Normale. Nell'introduzione di questo lavoro – noi diremmo – di analisi, leggiamo che "nella presente Nota viene risoluto il problema della determinazione di funzioni di variabili complesse definite, sotto certe condizioni in campi finiti. Queste soluzioni portano all'integrazione della equazione differenziale Δ²μ = 0 con date condizioni ai limiti, come è da prevedersi a causa del legame che passa fra i due problemi. È da notare come le formule trovate risolvono altrettante questioni di fisica relative alla distribuzione delle temperature e delle correnti galvaniche costanti". Mettiamo momentaneamente la sordina a questa prospettiva unitaria e adottiamo per comodità una classificazione più rigida. La prima Nota di Volterra – quella di cui scriveva Betti nel suo rapporto annuale al ministero, pubblicata su il Nuovo Cimento – affronta il calcolo del potenziale di un ellissoide. Complessivamente, durante il periodo pisano e fino agli inizi degli anni '90, Volterra pubblica una ventina (!) di articoli di fisica matematica. Sono concentrati soprattutto tra il 1882 e il 1885 e negli ultimi anni della permanenza a Pisa. Si va dalla teoria del potenziale alle prime osservazioni sull'elasticità, passando per questioni varie di idrodinamica, di elettrochimica (suggeritegli da Antonio Roiti), di meccanica, di ottica, di elettrostatica, di elettrodinamica (con particolare sottolineatura degli aspetti analitici e delle relazioni con il calcolo delle variazioni). Con il titolo di Sur les vibrations dans les milieux birefringents, il più importante di questi studi viene pubblicato su Acta Mathematica, la rivista del matematico svedese Gustav Mittag-Leffler (1846-1927), non preceduto questa volta da alcuna Nota lincea sull'argomento. Si tratta di analizzare le leggi matematiche della propagazione della luce nei mezzi birifrangenti e la loro proprietà di scindere il raggio incidente in due raggi polarizzati che vibrano in piani perpendicolari tra loro. Il problema aveva una sua lunga storia. Era già stato affrontato da C. Huygens nel Traité de la lumière nel 1690. Poi, aveva attirato l'attenzione di fisici e matematici quali Fresnel, Hamilton, Plücker, Navier, Cauchy, Green, Stokes con una crescente attenzione verso il modello fornito dalla teoria dell'elasticità. Arriviamo così verso il 1860, quando il matematico e ingegnere francese Gabriel Lamé raccoglie nella Théorie mathématique de l'elasticité des corps solides le sue lezioni alla Sorbona. Cominciamo a citare Volterra: "Lamé a consacré la 22.ème et le 23.ème de ces leçons sur la théorie mathématique de l'élasticité à des recherches sur la possibilité d'un seul centre d'ebranlement dans la propagation de la lumière dans le milieux biréfringents". Per studiare il fenomeno dal punto di vista matematico, Lamé imposta un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali, di cui trova delle soluzioni particolari. È su queste che si basano le considerazioni della matematica russa Sonia Kowalewskaia che, per altro, ricorre ad un metodo già usato da Weierstrass per risolvere sistemi più semplici. Il suo obiettivo è di superare alcune incongruenze fisiche presenti nel ragionamento di Lamé, ottenendo nel contempo la soluzione generale del sistema. La sua ricerca compare nel 1886 su Acta Mathematica: da due anni Mittag-Leffler era riuscito a porre fine alle sue peripezie accademiche, trovandole un incarico d'insegnamento (e poi una cattedra) all'Università di Stoccolma. Anche gli intellettuali svedesi fanno comunque molta fatica ad accettare il fatto che una donna si dedichi alla ricerca scientifica. Il drammaturgo August Strindberg considera una studiosa di matematica "un fenomeno pernicioso e sgradevole, persino una mostruosità". Sonia Kowalewskaia (1850-1891) è la prima donna nel mondo a conseguire un dottorato in matematica e a godere di una significativa notorietà nel mondo scientifico. Per ritrovare un'altra matematica di questo livello bisogna risalire ai tempi di Maria Gaetana Agnesi. Di nazionalità russa, per poter continuare gli studi e disporre di un passaporto, si era "inventata" un matrimonio di convenienza. Aveva così potuto studiare in Germania dove nel 1874 consegue, appunto, il dottorato con Weierstrass. Prima era stata anche a Parigi, durante i giorni della Comune. Le sue idee politiche non sono molto "ortodosse" e questo non contribuisce a migliorarne la situazione e le prospettive di una carriera accademica. Per fortuna, come detto, trova l'appoggio di matematici come Weierstrass e Mittag-Leffler. Nel 1888, le viene conferito il premio Bordin dall'Accademia francese delle Scienze. Bisognerà aspettare il 1908 perché un'altra donna — Marie Curie — ottenga una cattedra universitaria. | << | < | > | >> |Pagina 152VI. Dalla guerra alla pace: il CnrLa riorganizzazione della scienza: le idee vengono dagli Usa! L'occasione per la costituzione del National Research Council è dunque fornita dalla guerra. Tuttavia, già prima dell'armistizio, c'è chi pensa di spostare il suo baricentro dalle attività militari a quelle industriali. Hale vuole che il nuovo ente diventi un'organizzazione permanente per la promozione e il coordinamento della produzione scientifica, in collaborazione con le realtà industriali e le loro esigenze. "L'Accademia – scrive Hale nel 1919 – ha organizzato il National Research Council [...] allo scopo di stimolare lo sviluppo della scienza e della sua applicazione all'industria e soprattutto allo scopo di coordinare gli organismi di ricerca in modo da mettere in grado gli Stati Uniti di riunire efficacemente le proprie energie indirizzandole a un fine comune, nonostante la loro organizzazione democratica e individualistica". Il primo importante contributo del National Research Council è il sostegno alla ricerca di base in campo chimico e fisico, attraverso un programma di borse di studio finanziato dalla Fondazione Rockefeller che, inaugurato ufficialmente nel 1919, si rivelerà narticolarmenre imporrante nello stimolare la ricerca curiosity-driven e la formazione di giovani studiosi. Contemporaneamente, Hale si attiva per una prospettiva internazionale. Abbiamo visto come già nel corso del 1917, attraverso Giorgio Abetti, avesse sondato le intenzioni di Volterra per estendere al dopoguerra le forme organizzative sperimentate durante il conflitto. Che questa idea comprenda la possibilità di rendere permanente la cooperazione scientifica interalleata è chiaro dalle sue corrispondenze con l'astronomo inglese Arthur Schuster. Hale vuole prolungare agli scenari sorti dalle macerie della guerra la vittoria conquistata sui campi di battaglia. Vuole continuare a sviluppare il trasferimento tecnologico, che durante la guerra aveva cominciato a rendere servizi così importanti, e renderlo uno strumento costante del progresso sociale e della supremazia economica. Prendendo a modello proprio il National Research Council, Hale suggerisce ai suoi corrispondenti di dar vita a un'organizzazione che superi le esperienze di collaborazione internazionale fin lì intraprese e sia capace di stimolare e coordinare le grandi imprese scientifiche, che richiedono lo sforzo combinato di scienziati di diversa nazionalità. Fino ad allora le esperienze più rilevanti, in questo senso, erano patrimonio della comunità degli astronomi. Della loro dimensione internazionale, Hale era stato un alfiere sin dai tempi del congresso di astrofisica di Chicago del 1893 (svoltosi in parallelo con quello dei matematici). Il nuovo organismo internazionale dovrebbe costituirsi sotto l'egida delle maggiori accademie nazionali: la Royal Society di Londra, l'Académie des Sciences di Parigi, l'Accademia dei Lincei di Roma, la National Academy of Sciences di Washington. Hale propone poi di costituire, all'interno di questo Inter-Allied Research Council, delle unioni internazionali per i vari settori disciplinari prendendo come esempio la International Solar Union operante dal 1905. La sua proposta viene formalizzata nell'aprile 1918 e accolta unanimemente dalla National Academy. Prende così il via una serie di conferenze interalleate, programmatiche e organizzative, cui anche Volterra partecipa come delegato dell'Accademia dei Lincei e direttore dell'Ufficio invenzin e ricerche. La prima ha luogo a Londra dal 9 all'11 ottobre 1918, qualche settimana prima della fine effettiva della guerra. Presso Burlington House, la Royal Society ospita delegati provenienti dal Belgio, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dal Giappone, dalla Serbia e, ovviamente, dall'Italia e dagli Stati Uniti. La proposta di costituzione dell'Inter-Allied Research Council, nella formulazione presentata da Hale, prevede che ogni paese organizzi anzitutto un proprio "Consiglio nazionale delle ricerche" trasformando in tal senso gli organismi sorti durante la guerra per coordinare il mondo della ricerca e quello della produzione industriale e finalizzare allo sforzo bellico le loro acquisizioni. I vari "consigli nazionali" dovrebbero poi dar vita, attraverso propri delegati, a un "consiglio internazionale". La proposta viene accolta ma subito si presenta il problema della partecipazione degli scienziati tedeschi (e dei paesi loro alleati). A Londra sono tutti concordi nel ritenere che il nuovo organismo li debba marginalizzare. L'internazionalismo scientifico è stato spezzato. Pesa come un macigno quell'appello ai popoli delle nazioni civili che un gruppo rilevante di intellettuali tedeschi aveva firmato per negare ogni responsabilità alla Germania nello scoppio della guerra e in una sua conduzione criminale. I falchi sono i francesi e i belgi (non è difficile capirne le posizioni visto che cosa aveva voluto dire la guerra, in particolare, per i loro paesi): le due delegazioni chiedono con forza che la Germania sia esclusa da tutte le future organizzazioni internazionali e che questa specifica clausola sia inserita nei trattati di pace da negoziare. La loro richiesta viene appena mitigata con il solito compromesso dell'istituzione di una commissione incaricata di studiare le concrete modalità di realizzazione del consiglio interalleato e di cui fanno parte Picard, Hale, Schuster, Volterra e il belga Georges Lecointe. La presenza di Volterra a questi livelli appare naturale, dopo quanto detto finora, ma è appena il caso di ricordare che non sarà sempre così nel corso del Novecento e che le occasioni di ritrovare la scienza italiana nei massimi organismi internazionali diventeranno via via più sporadiche. La conferenza di Londra si chiude con la convocazione del successivo incontro, a Parigi, dal 26 al 29 novembre. | << | < | > | >> |Pagina 209Volterra biomatematicoE veniamo alla "grande eccezione". Proprio mentre l'inesorabile passare degli anni lascia pensare che la fase più creativa sia ormai alle spalle, Volterra riesce a elaborare una nuova teoria che da sola sarebbe sufficiente ad assicurargli un solido posto nella storia della scienza del Novecento. Il grande studio degli anni '20 e '30 è quello dei meccanismi di interazione tra specie biologiche conviventi nel medesimo ecosistema. Ecco come lo stesso Volterra ne ricorda la genesi: "a la suite de conversations avec M. D'Ancona, qui me demandait s'il était possible de trouver quelque voie mathématique pour étudier les variations dans la composition des associations biologiques, j'ai commencé mes recherches sur ce sujet à la fin de 1925". In altre sedi, usa espressioni molto simili: "Il dott. Umberto D'Ancona mi aveva più volte intrattenuto di statistiche che stava facendo sulla pesca nel periodo della guerra e in periodi anteriori e posteriori ad essa, chiedendomi se fosse possibile dare una spiegazione matematica dei risultati che veniva ottenendo sulla percentuale delle varie specie in questi diversi periodi. [...] Ciò può giustificare se mi sono permesso di pubblicare queste ricerche, semplici dal punto di vista analitico, ma che per me riuscivano nuove". Monsieur D'Ancona o il Dott. D'Ancona è il biologo Umberto D'Ancona (1896-1964) che aveva studiato all'università di Budapest e successivamente in quella di Roma, dove si era laureato in scienze naturali nel 1920. Aveva anche cominciato a pubblicare, nelle Memorie del Comitato talassografico, i rapporti di alcune ricerche statistiche sul patrimonio ittico dei mari italiani. Nel 1930, si trasferirà all'università di Siena (e poi in quelle di Pisa e di Padova, dove rimarrà fino alla morte). Soprattutto – ai fini della nostra storia – nel 1926 sposa Luisa, primogenita di Virginia e Vito. Non sono neppure passati 30 anni dal matrimonio dei genitori, ma i costumi degli italiani stanno rapidamente cambiando. Luisa ha terminato i suoi studi universitari e adesso è biologa: nelle famiglie della borghesia intellettuale, anche le ragazze cominciano a laurearsi e a decidere loro il matrimonio e il proprio futuro! Ma torniamo a suo padre. Le frasi che abbiamo prima riportato sono tratte rispettivamente dalle Leçons sur la théorie mathématique de la lutte pour la vie, tenute all'Institut Poicaré nell'anno accademico 1928-29 e pubblicate a Parigi nel 1931, e dalla Memoria Variazioni e fluttuazioni del numero d'individui in specie animali conviventi del 1927. Il volume francese, che subito in apertura ricorda il contributo fornito da Poincaré con lo studio qualitativo delle equazioni differenziali, suggella il primo periodo degli studi biomatematici di Volterra che, nelle Leçons, raccoglie in modo organico e approfondito le ricerche che aveva cominciato a pubblicare con alcune Note lincee e la Memoria del 1927. Sono studi che eserciteranno un'influenza decisiva per l'apertura di uno dei filoni più produttivi della moderna ecologia matematica e alimenteranno il lavoro di intere generazioni di biomatematici. Con le Leçons, in particolare, Volterra acquisisce anche in questo campo una notorietà internazionale che lo porta a diventare il più conosciuto rappresentante di quella che sarà ricordata come la golden age dell'ecologia teorica. Volterra biomatematico: dopo quanto abbiamo detto sulla sua personalità e la "naturale curiosità" scientifica, l'apertura del nuovo fronte di indagine non sorprende più di tanto. C'è il motivo occasionale dato dalle conversazioni con il genero e dal problema che questo gli pone. Ma c'è anche tutta una storia precedente, che abbiamo incontrato con la prolusione del 1901, la creazione del Comitato talassografico, l'attenzione per gli Istituti di biologia marina di Napoli e Messina e molte delle battaglie parlamentari combattute proprio in nome dell'ecologia. Nello specifico, al centro delle conversazioni con Umberto D'Ancona, c'è il problema pratico portato alla luce da alcune statistiche realizzate per i porti del nord Adriatico e il loro pescato. L'interesse per questi dati derivava dal crescente dibattito che stava montando sulla limitatezza delle risorse marine e le relazioni intercorrenti tra la pesca e l'abbondanza della fauna ittica. Il dibattito non era, in assoluto, nuovo ma nuova era ad esempio la diffusione dei pescherecci a motore che permettevano un prelievo indubbiamente più "efficiente". È vero che un eccesso della pesca pregiudica l'ambiente e gli equilibri marini? Oppure: si può provare statisticamente che un'interruzione, o comunque una diminuzione del prelievo porta – anche in tempi brevi – a un significativo aumento del prodotto ittico? I dati in possesso di D'Ancona e relativi al periodo 1905-1923 – che aveva al proprio interno gli anni della guerra, con una minore intensità della pesca – indicavano come la "produttività" di un singolo pescatore rimanesse sostanzialmente costante mentre, all'interno dello stesso pescato, aumentava considerevolmente (negli anni della guerra e in quelli immediatamente successivi) la percentuale dei pesci "appartenant à la classe des Sélaciens". In base a questi dati, la diminuzione della pesca porterebbe ad una maggior presenza di pesci voraci, che hanno un valore economico inferiore. Sono conclusioni che, se confermate, avrebbero evidenti implicazioni pratiche. La scelta di controllare e ridurre l'attività dei pescatori risulterebbe negativa, e per svariate ragioni: comporta un minor pescato nell'immediato, nessun suo significativo aumento nei periodi successivi e comunque un'abbondanza di pesci di scarsa importanza commerciale. La richiesta di D'Ancona al suocero è quella di giustificare, da un punto di vista matematico, una dinamica che risultava ancora poco chiara, dato che la sua dipendenza unicamente da cause esterne – in questo caso la minore attività di pesca, dovuta allo scoppio della guerra – non era del tutto convincente. Perché l'incremento riguarderebbe solo i predatori, la "classe des Sélaciens qui, particulièrement voraces, se nourrissent d'autres poissons", e non le prede? Come spiegare le statistiche per cui "une diminution dans l'intensité de la destruction favorise les espèces les plus voraces"? Il problema posto all'attenzione di Volterra trova un inquadramento più generale nello studio delle variazioni riscontrabili nelle associazioni biologiche costituite da più specie che vivono nello stesso ambiente. Insomma, non è un problema di soli pesci: "en agricolture, on comprende combien peut étre utile l'étude des fluctuations de certains parassites des plantes, lorqu'ils sont combatus par leurs propres parassites". Più avanti, nel corso di una conferenza, dirà: "nous avons donné un très court aperçu des calculs mathématiques liés à la lutte pour la vie et aux fluctuations des populations qui en dépendent. Mais nous n'avons pas pu touché aux rapports existants entre ces études et d'autres recherches scientifiques. Il y a, par exemple, une branche de la zoologie appliquée qui s'occupe de la destruction des animaux nuisibles à l'agriculture. [...] il faut citer les recherches sur la lutte microbienne dans lesquelles les produits métaboliques et leurs actions sont de première importance [...]. Ces questions engagent meme à considérer des branches de la médecine. [...] Les sciences sociologiques, enfin, ne doivent pas négliger les recherches qui ont formé le sujet de notre conférence".
La lotta per la sopravvivenza porta a registrare delle fluttuazioni
numeriche che non sembrano interpretabili unicamente in relazione a
cambiamenti esterni periodici, quali il ciclo della luce o delle stagioni:
"esistono delle circostanze ambientali periodiche come sarebbero,
per esempio, quelle che dipendono dall'avvicendarsi delle stagioni, le
quali producono delle oscillazioni forzate e di carattere esterno, nel
numero di individui delle varie specie. Queste azioni periodiche
esterne furono quelle che vennero specialmente studiate dal lato statistico; ma
ve ne sono altre di carattere interno aventi periodi propri,
le quali sussisterebbero anche se cessassero le cause esterne periodiche
e che ad esse si sovrappongono?". Insomma, da quali cause dipende
l'aumento dei pesci voraci?
La soluzione del problema
Per rispondere alla questione postagli da Umberto D'Ancona,
Volterra mette in pratica quello che già nella
prolusione
del 1901 aveva teorizzato a proposito della costruzione dei
modelli matematici.
Il problema gli suggerisce di suddividere tutta la popolazione
del mare in due grandi classi: le
prede
e i
predatori.
Ulteriori e più raffinate descrizioni della fauna marina per il momento vengono
escluse. Il numero di prede e predatori varierà nel tempo: è proprio lo studio
di questa variazioni, e l'eventuale dipendenza dalla
maggiore o minore intensità di un'azione esterna quale la pesca, al
centro degli interessi di Volterra (e del genero). Indichiamo allora con
x = x(t)
il numero delle prede e con
y = y(t)
quello dei predatori. Per utilizzare le acquisizioni dell'analisi e del calcolo
infinitesimale, supporremo che x e y varino con continuità e che le funzioni
x(t)
e
y(t)
siano derivabili. Nella prolusione del 1901 Volterra
aveva sottolineato come, soprattutto in campo biometrico, gli studi matematici
prediligessero l'impiego di strumenti statistici e
probabilistici. La costruzione del suo modello si svolge, invece,
lungo canali rigorosamente deterministici.
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