Copertina
Autore Libereso Guglielmi
Titolo Libereso, il giardiniere di Calvino
SottotitoloDa un incontro di Libereso Guglielmi con Ippolito Pizzetti
EdizioneMuzzio, Roma, 2009, , pag. 202, cop.fle., dim. 14x22x1,4 cm , Isbn 978-88-96159-13-2
CuratoreIppolito Pizzetti
PrefazioneNico Orengo
LettorePiergiorgio Siena, 2009
Classe natura , biografie , storia letteraria
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Indice


Premessa alla seconda edizione,
    di Libereso Guglielmi                     7
Prefazione,
    di Nico Orengo                            9
Introduzione,
    di Ippolito Pizzetti                     13

Libereso, il giardiniere di Calvino          19

Mattino                                      21
Pomeriggio                                  109
Sera                                        139

Note                                        201


 

 

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Pagina 13

INTRODUZIONE


A volte succede: è successo anche, qualche volta, a me: pensavo che mi sarebbe riuscito molto facile scrivere un'introduzione a questo libro - che in realtà non è un vero e proprio libro, ma la trascrizione di un lunghissimo colloquio registrato durante una giornata intera, mattina pomeriggio e sera, con Libereso Guglielmi. E invece no: sono stato tre o quattro giorni fermo e immobile davanti ai fogli, nell'atteggiamento di chi morde, per cosi dire, la coda della penna, senza scrivere un rigo. Perché tutto quello che c'era da dire l'aveva già detto, e con maggiore efficacia, Libereso. Questa è dunque una lunghissima intervista, che io ho voluto fosse a tutti i costi, per quanto è possibile, come s'usa dire, live, dal momento che non può essere "in diretta": se io mi fossi messo invece in qualche modo a elaborare la materia sarebbe stato, a mio avviso, un tradimento, una traduzione di Libereso ad usum Delphini, e grazie al cielo oggi i Delfini non ci sono più e possiamo prescinderne; come se volendo ottenere un suo ritratto ne avessi lasciato fuori pezzi essenziali al suo intero, qui l'alluce, là il dito indice il gomito o il polpaccio o, peggio ancora, come se avessi fatto un montaggio cervellotico di Libereso, dove all'ascella gli avessi attaccato una gamba o un braccio che spunta dalla pancia o il naso al posto della bocca e così via.

Perché la sua continuità (o se volete anche la sua discontinuità) fa parte del suo fascino, del suo essere Libereso, ma dicevo una sciocchezza, perché fa sempre parte del fascino di un essere vivente (premesso naturalmente che questo ce l'abbia), che si tratti di un uomo che ha la capacità di dire, o di una bella donna, di un gatto o di un uccello, il loro fascino — usiamo questo termine in mancanza di meglio - è dato sempre dal loro modo di essere, dalla loro continuità, dalla loro capacità di durare ed esprimersi nel tempo e nello spazio; quando non è così - passiamo a un altro campo che è il campo dell'arte — si tratta pur sempre della figura che è già intera contenuta nel blocco di marmo di Michelangelo, dell'attimo che Faust non riesce a fermare, delle molte tele che si porta dietro quando esce di primo mattino nella guazza Monet per correre sul fiume dietro e per fermare il mutare delle luci e la faccia delle cose dentro le luci, senza riuscirci mai appieno. Ma, questi casi a parte, restando nella sfera del vissuto, il gatto che dorme al sole ha in sé i centomila gatti che abbiamo visto saltare allungarsi sbadigliare correre saltare sedere a triangolo, socchiudere gli occhi come una bella donna, è quella donna perché mentre la vediamo che volge il capo dentro di lei c'è anche il suo modo di stringere gli occhi o mostrare il polso rovesciato o guardarsi un'unghia o muovere le labbra - o nel gabbiano posato in cima a un palo, bianco e grigio, c'è anche il suo volo, molti ampi voli e volute e la sua ebbrezza, dentro tutti coloro: colui che parla, mettiamo pure Socrate, il gatto, la donna, il gabbiano, dentro questi esseri che ci danno in un modo o nell'altro un'emozione c'è in tutti quanti il loro specifico ritmo o, se volete, in ciascuno e per ciascuno una particolare unica musica.

Io, che le cose stanno così lo so bene, che uso per mio mestiere costruire giardini, dove il mio scopo ultimo è sempre fare in modo che dolcemente gli alberi arrivino a essere e a esprimere dolcemente quel che la loro più intima natura e forma (che è lo stesso) li porta a essere.

Non saprei dire di più, oltre ovviamente a invitare a leggere il libro Libereso, il giardiniere di Calvino così com'è, così come si presenta, a conoscere Libereso come mi auguro da questa conversazione risulti per intero, compresi i suoi meandri, le sue pause, i suoi picchi e i suoi punti esclamativi, senza ridicole censure. Vorrei soltanto richiamare l'attenzione del lettore su due momenti del discorso, che mi sembrano importanti da capire come premesse al tutto: a un certo punto del suo vagabondare tra pensieri e parole (luoghi incontri ricordi congetture e programmi che sono, anche questi ultimi, il segno del suo ritmo e della sua continuità alla vita), Libereso dice: "io vivo di immagini".

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Pagina 83

Mi veniva in mente: durante la guerra, dopo l'8 settembre, accaddero cose particolari attorno a villa Meridiana?

Ah, sì! Han preso la professoressa Calvino, poi han preso il padre, li hanno messi contro il muro e li han fucilati due volte senza fucilarli, sai come accadeva... Volevano sapere dov'era Italo. Italo era coi partigiani in montagna. Dev'essere stato uno shock terribile per loro. La madre è stata molto coraggiosa: pensa, metterla lì al muro e fucilarla, invece era viva, e per due volte chiederle dov'era. È stata una donna veramente eroica. Floriano non credo che ci sia mai stato, ma Italo è stato su in montagna, anche se c'è un po' di discordanza: qualcuno dice che c'è stato, qualcheduno dice che l'ha visto in città: può anche esser vero, io non te lo so dire e sai perché? Io me ne son scappato, son andato in giro per un anno o due.

Italo dove è andato a fare il partigiano?

Qua sulle Alpi Liguri, e doveva essere con i partigiani comunisti.

E che età aveva? Doveva essere giovane

Dunque, lui è del '23, e vuol dire che era ancora un ragazzo. Ha scritto qualche bel passaggio di quando i partigiani sono scesi; lui, si può dire che nel periodo partigiano ha acquistato qualcosa, forse si è maturato, mentre invece prima scriveva racconti... sai, quei raccontini... non so. Io ti posso dire anche chi erano i ragazzi del suo racconto Un bastimento pieno di granchi: erano ragazzi che stavano a piazza Bresca, una piazzetta caratteristica vicino al mare e poi andavano a fare il bagno, facevano i tuffi e lui li seguiva. Ma era più uno stare a osservarli per poi trascrivere, che non un'invenzione. Da quello che ho capito io, di Calvino, lui era un grande osservatore: osservava la madre, il padre, tutti e poi ne faceva un racconto. Non so se tu hai letto il racconto Alba sui rami nudi. E' un raccontino semplice, in cui c'è un padre che lui chiama "il maiorco": 'Il maiorco aveva una barba grigia come un'ala di corvo". (Molto simile al padre, a Mario Calvino, no?). Costui dice a sua moglie: 'Guarda che in giro ci sono i contadini Veneti e bisognerà guardare, stasera, che non ci portino via i cachi dall'albero" (Certi contadini Veneti coltivavano le terre vicine a quelle di Calvino, a San Giovanni). Allora madre e padre fanno la guardia scambiandosi i turni, e poi li vedono passare e gli dicono: "Come state?". "Eh, bene". Allora il maiorco dice: "Ah, stasera bisogna guardare un po' di più il caco". Ma quando la moglie si sveglia, la mattina dopo, dice: "Oh, maiorco, ma io non ho mai visto un'alba così bella!". Per forza, gli avevano fregato tutti i cachi... però lo diceva così bene, in quattro parole: "Ma guarda che meraviglia, mai visto un'alba così bella"... non c'era più un caco, non c'era! Sai, però, questo è il vero Calvino: ironico. In questo racconto ci puoi vedere la madre: tirata, dura, il personaggio che diceva: "I cachi, quest'anno. .. chissà quanti ne facciamo, di cachi". E lui, invece, quello che gli giravano le scatole: "Ma no, lascia stare; ma no che non vengono stasera". E nell'ultima parte potrebbe essere proprio lei a dire: "Ma non ho mai visto un'alba così", proprio lei che voleva vendere tutto e non ha trovato più niente, no?

Una volta, il padre di Italo mi ha raccontato che quando era in Messico - sai, sono avventure che non sa nessuno - un giorno è andato alla piramide del sole e ha trovato un eremita. Gli ha domandato qualcosa e l'eremita gli ha detto: "Voi dovete amare la natura, amare tutto: gli esseri viventi, gli animali, tutti, perché", ha detto, "quando morite dovrete girare tutti i pianeti, uno per uno, con un fardello sulle spalle: ma solo se avete fatto del bene, se avete vissuto in armonia con la natura, porterete un piccolo fardello. Se invece uno è stato contro la natura, ha distrutto oppure non è stato sincero, allora avrà un grande fardello sulla schiena e passerà tutto il suo tempo a girare da un pianeta all'altro con quel fardello".

Questa era una delle cose che lui mi diceva che gli aveva detto quell'eremita, cioè uno degli eremiti della piramide del sole del Messico, ma forse pochi lo sapranno.

Però, pensando a come era nato il rapporto tra Calvino padre e te, dopotutto non mi sembra casuale che lui fosse venuto a trovare la tua famiglia quando stavate su da quel tedesco...

Ah, no, anche perché immagina che questa sia la strada che sale su da Sanremo; qui c'è un beudo, il beudo con l'acqua che veniva da San Giovanni, dal torrente. Qui ci stavo io e dietro c'è la strada che andava ai Valloni, alla mia palestra di studio. Quando il padre di Italo saliva, doveva girare e si trovava davanti al cancello del mio giardino. Era tutto pieno di aiuole e fiori, non è che fossero grandi cose, però tutte le mattine ci vedeva che lavoravamo nelle aiuolette. È stato allora che ha preso mio padre e ha detto: "Guardate che se loro ci stanno e ci state anche voi, vi faccio dare una borsa di studio dal Ministero". Siamo stati i primi borsisti italiani, eh?, non c'era ancora la borsa di studio per il giardinaggio. Io e mio fratello siamo stati i primi. Io sono felice di averla presa perché avrei continuato lo stesso, ma non so se avrei preso il ramo della floricoltura. E dopo, quando è stato il momento di partire militare, ho fatto l'obiettore di coscienza e sono finito a Torino, nelle carceri militari, ma mi è andata bene. Ho fatto solo quindici giorni perché ho trovato un colonnello che era un uomo, e lì gli ho detto: "Guardi, lei non può capire il mio parlare, perché io sono un figlio che ha fatto gli interessi del padre e lei invece è un colonnello". "No", mi rispondeva, "io sono prima un padre". "Allora capisce quello che dico". Non è che ho sputato sulla bandiera, come ha fatto l'altro che poi non è potuto più rimanere... Io portavo i miei giusti motivi: la patria non mi ha mai conosciuto, perché io ho vent'anni e la patria non sa nemmeno che esisto; mia madre però si e sacrificata per farmi arrivare a vent'anni; allora se io vado militare aiuto la patria ma sono contro mia madre, perché la lascio in miseria, perché lei non lavora. Io preferisco essere un buon figlio e un cattivo italiano che essere un buon italiano e un cattivo figlio. E stata una scelta che ho fatto: mi mettete in galera? Beh, posso leggere, scrivere? Sì? E allora... fino ad adesso ho lavorato... Ma il colonnello aveva capito che tipo ero. Dopo una quindicina di giorni sono venuti a trovarmi anche gli anarchici, amici di mio padre... poi me ne sono uscito.

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Pagina 109

POMERIGGIO

Stamattina mi parlavi di "maestri di vita". Che cosa sono stati davvero per te?

Mio padre e Calvino sono stati i miei maestri, e più tardi Fairbear in Inghilterra, il mio professore di farmacognosia. E poi, lavorando in mezzo a queste cose ci finisci dentro fino al collo: quando cominci, poi non puoi più fermarti... e lavorando ti accorgi di tante cose. Io leggevo: "Pianta introdotta da Forrest", e allora volevo sapere chi era Forrest, e poi chi era Wilson. E poi ti accorgi che si hanno nomi di esploratori diversi, secondo la provenienza di una pianta da questa o quella parte del mondo. Per esempio van Thumberg ha esplorato il Giappone, e Farrer ha esplorato la Cina e il Tibet. Nel complesso poi è tutta una storia che si concatena, una cosa interessantissima.

Il nome di Forrest, poi, mi ricorda di nuovo villa Meridiana, che aveva un terrazzo che dava sulla strada San Pietro. Era un terrazzo con tante fioriere smaltate di bianco. A primavera tutta la scala si copriva di corolle di fiori bianco-rosate: era lo Jasminum polyantbum dal profumo dolcissimo. Era stato scoperto in Cina da un gesuita francese, Delavay, alla fine dell'Ottocento, ma Forrest lo riscoprì in una vallata cinese nel 1906. Alcuni esemplari della pianta erano stati poi importati dalla Cina anche da Lawrence, che li piantò negli anni Trenta nel suo giardino a Mentone. Fu appunto Lawrence a darne una pianta alla Stazione sperimentale: era stata messa ai piedi della scala e il 20 aprile 1940, il giorno in cui incominciai il mio tirocinio di giardiniere, l'avevo trovata tutta fiorita.

A ripensarci adesso, chissà mai se, al di là delle circostanze, avrei veramente scelto di fare il floricoltore. Forse avrei scelto un ramo che mi permettesse di creare qualcosa — non più fiori, perché adesso di fiori ce n'è un'invasione, ma queste piante che io descrivo.

Per esempio c'è la Stellarla media, che è una pianta che fa delle foglie un po' grasse, e un fiore piccolo. Quando finisce la neve — anche se qui ne viene poca, di neve - comunque: quando finisce la neve dove la neve c'è, la prima pianta che esce fuori sono ceppi di questa Stellarla che è ottima, è ricchissima di sali minerali. Allora dicevo a questi studenti di agricoltura: "Perché non cercate di selezionarla?". Non dico di farne dei foglioni così, però una forma che sia già migliore — la chiamano chicken weed in inglese, perché ha tanti stoloni, cioè steli striscianti ricchi di foglie di cui sono molto ghiotte le galline — allora, eliminandone un po' si potrebbe fare una cosa più compatta. Potrebbe essere un vegetale nuovo, che non esiste, è da stupidi avere dieci tipi di roba: le carote, il cavolo, il cavolfiore, la pastinaca, quando ce ne sono trecento, quattrocento che potrebbero essere mangiate. Pensate che nei tempi antichi, senza andare lontano, qui, nel Delfinato mangiavano forse, non so, 150-200 tipi diversi, o anche 300 tipi di piante.

Questo è interessantissimo...

Ah, ce ne sarebbero, di piante da riscoprire "sotto i denti"! A Sanremo, poi, in particolare, con tutta l'esperienza dello Sperimentale... Si coltivava, per esempio, lo Psidium guaiava, originario del Brasile, dove usano i frutti sia freschi sia ridotti in gelatina. Le piante più belle di Sanremo le coltivava un amico di Mario Calvino, il signor Perego, che aveva un bellissimo giardino dove fra l'altro teneva enormi piante di banano che gli davano grossi caschi di frutti. Invece a villa Ormond, sempre qui a Sanremo, ci sono ancora delle piante di Fejoja sellowiana: foglie blu cenere, fiori dai petali carnosi e frutti dolcissimi, profumati e aromatici. Ma questi ultimi, purtroppo, non li puoi assaggiare a villa Ormond, perché la Fejoja viene potata assieme alla siepe e naturalmente non da frutti.

E poi coltivavamo il Cyperus esculentus, che sono i tubercoli radicali di una specie di Graminacea, grandi come una mezza nocciola, con un buon sapore di latte di mandorle e facilissimi da cucinare. Il professor Calvino mi diceva che in Spagna erano molto apprezzati e usati per fare una bibita che chiamavano orzata di Ciufra. Invece le radici della Canna edulis, una pianta simile alla Canna indica, che può raggiungere anche i due metri di altezza, io le ho provate bollite e fritte: hanno un sapore dolciastro e sono ricchissime di sostanze amidacee e di zuccheri, quasi un sostituto della patata. E pensa che è una pianta che è presente come pianta ornamentale nei giardini europei dal 1820...

Ma queste sono cose che pochi sanno. Noi ci siamo ormai ridotti a considerare commestibili quelle solite dieci piante e solo quelle.

Cosa vuoi dire? Questa non è evoluzione, è un'involuzione del pensiero, è vero?

A me non interessa se uno va nella luna, se poi non riesce a conoscere nemmeno l'erba che ha sotto il piede facendo un passo. In cento metri di giardino, magari, porti solo il cane a fare i bisogni, ma in duecento metri di terra a un bambino di scuola puoi insegnare una vita: gli fai trovare la pianta medicinale, gli fai trovare la pianta da mangiare, gli fai vedere il mimetismo tra insetti e piante. La scuola per me è questa, e io gliele mostro, queste cose, ai bambini. Tu vedessi come si attaccano, come sono felici, ...

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Pagina 139

SERA


Posso farti una domanda di quelle proprio difficili, "filosofiche"? Secondo te, in che cosa sta il valore del giardino? Ha ancora un senso il giardino? Il giardino in fondo è un ricreare qualcosa...

Per me il giardino è parte di noi, e dunque dovrebbe essere parte della natura. Dipende poi da come lo fai: io non farò mai un giardino con l'erbetta e due cosette messe lì; il giardino deve essere uno spazio dove tu trovi tutto, dove c'è l'armonia della natura, c'è tutto, però ricreando di nuovo un ambiente naturale. Senza allontanarti troppo dalla natura — e poi dipende anche dal luogo in cui si trova...

Partiamo proprio dalle definizioni primitive, come si dice. Il giardino, in fondo, che cos'è? Ricreare in un ambiente che non è quello naturale un angolo della natura.

Dipende da come lo crei. Il primo che si è messo contro il sistema vittoriano, Brown, diceva: "Fare un giardino vuol dire prendere una piccozza e tagliare". Per esempio, mettiamo che qui di fronte abbiamo il mare ma che ci siano davanti degli alberi — ho visto fare qualcosa del genere in grandi giardini della Cornovaglia — allora tu devi avere il coraggio di tagliare due o tre alberi e fare un cannocchiale per vedere giù, capisci? Ti crei uno spazio, puoi modificarlo, ma modificandolo "al naturale". Per me il giardinaggio è parte della natura.

Per me il giardino è un elemento altrettanto necessario alla nostra vita come il linguaggio. Ecco, per esempio, facciamo il confronto col linguaggio: tu quando scrivi una poesia prendi quelle date parole che suscitano in te una vibrazione, e allora puoi scrivere la poesia, cioè dalla massa enorme del linguaggio tu estrai queste parole e con queste riesci a esprimere. Prima cosa. La seconda e questa. Sono stati i cinesi per primi che hanno riflettuto sul fatto che durante le grandi manifestazioni naturali, come per esempio le tempeste, nel momento in cui tu le subisci come grandi manifestazioni cosmiche, perdi il rapporto con loro. Il rapporto lo ottieni soltanto quando tutto questo lo addomestichi e lo porti dentro quella che è la cinta della tua persona, dove riesci ad avere un rapporto con le manifestazioni cosmiche. Per cui i cinesi mettevano i bambù davanti alle finestre perché il vento frusciando tra i bambù faceva quel dato suono. Certo, se questo suono tu l'hai sentito solo una volta, fuori nei boschi, non ha molto senso; ma quando tu hai capito qualcosa di questa esperienza e la vuoi portare con te come qualcosa che assume un significato di continuità per la tua vita, questo è il giardino.

Per questo io avevo messo un laghetto con le rane qua nel nostro giardino di Sanremo...

È per questo che noi non siamo dei forestali, o dei professori di botanica, o dei periti agrari: non ho niente contro nessuno di loro, ma loro hanno funzioni prevalentemente pratiche...

Noi non avremo mai una regola. Quando ho fatto quel giardino a Lesmo, han mandato l'architetto da Pistoia. È arrivato con un quintale di canne e un quintale di fili, e mette le canne così: rosso vuoi dire forsitia, giallo vuoi dire quest'altro. Ha lavorato una settimana e io gli ho detto: "Ma a cosa servono questi affari qua?". "Eh, sì, perché, vedi, qua, là..." - tanto lo pagavano - "Ma tu sei abbelinato proprio... scusa, ma io ce l'ho già negli occhi, come vanno messe... No, tu forse ce l'avrai nella testa, quello che vuoi arrivare a vedere, comunque non c'è bisogno che io metta tutte quelle canne!".

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