|
|
| << | < | > | >> |Indice12 Né critica né criptica: un libro di lettura Introduzione di Franco Fanelli 16 Premessa 22 Gli anni settanta 25 GEORG BASELITZ 29 JANNIS KOUNELLIS 33 RICHARD LONG 40 REBECCA HORN 43 SOL LEWITT 47 ROBERT RYMAN 51 GIUSEPPE PENONE 55 GERHARD RICHTER 58 GIULIO PAOLINI 61 CARL ANDRE 64 MARIO MERZ 68 JENNY HOLZER 73 WOLFGANG LAIB 77 CINDY SHERMAN 80 Gli anni ottanta 83 DAVID SALLE 87 FRANCESCO CLEMENTE 92 ENZO CUCCHI 96 SANDRO CHIA 100 ANSELM KIEFER 103 GIOVANNI ANSELMO 106 JEAN-MICHEL BASQUIAT 109 KEITH HARING 112 NICOLA DE MARIA 118 MIQUEL BARCELÓ 121 JULIAN SCHNABEL 127 RICHARD TUTTLE 13O ALIGHIERO E BOETTI 133 SIGMAR POLKE 138 CHRISTIAN BOLTANSKI 141 JULIÀO SARMENTO 144 MIMMO PALADINO 147 SEAN SCULLY 15O TONY CRAGG 153 ROSEMARIE TROCKEL 157 JAMES BROWN 161 RAINER FETTING 164 Gli anni novanta 166 FELIX GONZALEZ-TORRES 170 DAMIEN HIRST 174 ANISH KAPOOR 178 RACHEL WHITEREAD 181 DOUGLAS GORDON 186 JANINE ANTONI 189 GUILLERMO KUITCA 192 GABRIEL OROZCO 195 RIRKRIT TIRAVANIJA 200 CHRISTINE BORLAND 203 TRACEY EMIN 206 JUAN MUNOZ 209 ANESSA BEECROFT 212 ALLUM INNES 215 TEPHAN BALKENHOL 218 AURIZIO CATTELAN 220 ARIKO MORI 225 NYA GALLACCIO 228 L'arte del nuovo millennio 230 ANTIAGO SIERRA 232 HAZIA SIKANDER 234 HOMAS RUFF 237 OSHITOMO NARA 239 ARC QUINN 242 ULIAN OPIE 244 LEXANDER LANER 247 ORGE MACCHI 250 Le opere 257 Conclusione 260 Nota bibliografica 262 Notizie sugli artisti |
| << | < | > | >> |Pagina 12Né critica né criptica: un libro di lettura
FRANCO FANELLI
L'arte è, da sempre, antipatica. Basta che sia contemporanea. Ai suoi tempi è stato contemporaneo Michelangelo, e già nel 1541 il cardinal Gonzaga riceveva una lettera indignata circa gli «ignudi» della Cappella Sistina. Era un contemporaneo di Caravaggio, grande «refusé» per l'esplicito realismo della sua Vergine sul letto di morte, censurata duecent'anni prima degli impressionisti non ammessi ai Salon parigini. E prima dell'accezione negativa alla base del suffisso -ismo che connota le avanguardie del Novecento, ci sono le molte stroncature coeve ricevute da illustri artisti del passato. Ma oltre alla penna dei critici (Michelangelo s'è beccato del «fanfarone», e Caravaggio ha dovuto attendere un grande storico dell'arte come Roberto Longhi per essere «riabilitato») quante volte è stata la lingua del popolo (oggi si direbbe dei «non addetti ai lavori») a condannare e sbeffeggiare le novità artistiche? Oggi i critici non stroncano più nessuno, ma l'insofferenza popolare nei confronti della contemporaneità continua a esprimersi negli stessi toni di un tempo, quelli della satira e dello sberleffo. La commedia cinematografica ci offre Totò impegnato in una dissacrante performance ai danni di un «intenditore» o un Alberto Sordi e «signora», nei panni di due verdurieri romani anzi romaneschi alle prese con una problematica visita alla Biennale di Venezia. Infinite, poi, le vignette umoristiche che irridono, sulla «Settimana Enigmistica», all'enigmismo dell'arte moderna: Alighiero Boetti, uno dei più raffinati artisti italiani contemporanei, ne faceva raccolta, un po' per gioco, un po' sul serio. Ma Boetti era anche un campione di ironia e di autoironia, qualita, quest'ultima, che a dir la verità latita tra i suoi colleghi e i loro fiancheggiatori. Perché diciamolo: il mondo dell'arte contemporanea, serio senz'altro ma soprattutto serioso, fa poco o nulla per rendersi più simpatico. Se sono centinaia di migliaia i visitatori di mostre/mercato dell'arte d'oggi, sono rarissimi i profani che vincono quel sottile complesso d'inferiorità che li inibisce all'ingresso in una galleria, dove si trovano a fare i conti con personale un po' snob e un po' ostile, con opere «difficili» e spesso anche prive del «cartellino» che almeno riporti il nome dell'autore. «Profani», ancora, ma appassionati, che pure per «informarsi» dovrebbero ricorrere a riviste specializzate il cui linguaggio non è meno criptico delle opere pubblicate; appassionati, certo, e proprio per questo in una posizione scomodissima, collocati come sono tra una ristretta élite che li respinge e, appunto, Alberto Sordi che li deride. Eppure appassionati: che visitano le mostre (anche se gli ex refusé, gli impressionisti, più accattivanti e oggi più tranquillizzanti, detengono ogni record d'incasso, lo dicono le statistiche) e i musei, e non soltanto gli affollatissimi Uffizi; che stanno garantendo il successo ai dipartimenti di didattica delle istituzioni pubbliche dedicate al contemporaneo che finalmente, anche in Italia, sono state attivate. Appassionati e felici, per utilizzare un aggettivo scelto da Giorgio Guglielmino per il sottotitolo di questo libro, che è dedicato soprattutto a loro, perché l'autore è uno di loro. Questo popolo di aficionados non troverà, in queste pagine, tutto ciò che per uno dei cosiddetti «vizi del sistema» sembra dover far parte della scrittura sull'arte contemporanea: non troverà funambolismi in critichese, e neanche circonvoluzioni. Se è stato dimostrato che nella critica d'arte contemporanea l'espressione più usata è «about», «intorno a», qui si va dritti al cuore delle opere, perché queste non sono pagine di critica ma di «lettura». Guglielmino propone, attraverso la sua campionatura di 62 eventi, un viaggio nel settore dell'arte più impervio, perché «più contemporaneo», quello che decorre dagli anni settanta a oggi, attraverso un itinerario inedito, che tiene conto dell'incedere delle tendenze e delle neoavanguadie senza produrne la consueta, un po' stantia e non del tutto chiarificatrice, successione meramente cronologica, per recuperare l'idea di opera, cioè di prodotto di individualità in dialogo con i nostri tempi e i nostri linguaggi. E a proposito di linguaggio, Guglielmino non ne diviene complice: ne produce un altro, il nostro, per spiegare e far capire. Impresa, quest'ultima, difficilissima, quasi quanto realizzare un'opera d'arte: parlare semplicemente di «cose» molto complesse; «dire» con poco ma in maniera inequivocabile, di ardue questioni. Ce lo hanno insegnato proprio gli artisti, ad esempio Kazimir Malevic («nel meno sta il più», diceva), padre di tanta arte contemporanea. Ma la sintesi degli artisti non può essere espressa con le stesse modalità da chi è chiamato a scriverne. Questo libro, dove ogni opera viene considerata come un organismo vivente, e come tale «smontata» per mostrarne tutti gli elementi e i sistemi di funzionamento, parla di «contenuti» scottanti e ricchissimi, ma anche di «forme», dimostrando che questo secondo polo del problema arte, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, continua a impegnare i suoi attuali protagonisti, e il lettore vedrà come anche nel «fare» della nostra epoca, fortemente connotato dal pensiero, dal concetto e in certi periodi anche dall'immaterialità dell'opera, il mestiere dell'artista continua a dover fare i conti con una «fisicità» del prodotto e con una sua (sorpresa!) estetica. C'è di più: se, oltre al fatto di essere spesso portatrice di angosce e di problematicità, l'arte contemporanea deve la sua scarsa popolarità anche alle sue quotazioni di mercato e alle misteriose dinamiche del suo commercio, Guglielmino anche in questo territorio prende per mano i suoi lettori, peraltro senza paternalismi, proponendo loro opere che proprio dal mercato delle aste hanno ricevuto una loro (forse temporanea, forse perfino definitiva) «ufficializzazione». Guglielmino non analizza direttamente le «performance» dei prezzi, ma attraverso la lettura delle opere ne rende, in qualche modo, ragione: l'opera diventa «arte» allorché veicolo di cultura. L'arte assume in tal modo un valore che non è esattamente sinonimo di prezzo. Queste sono le equazioni esemplificate dall'autore, collezioni, sta perché appassionato, e non viceversa. Questo «libro di lettura» non piacerà ai «giacobini» e alle vestali del contemporaneismo, e neanche a chi fa dell'arte contemporanea uno status-symbol, o a chi va alle mostre non per guardare ma per farsi vedere. Chi sa già tutto lo sfoglierà e sarà disturbato dalla sua «banalità». Lo leggerà ma non lo citerà agli amici che sanno tutto come lui, però qualcosa ci dice che grazie a questo libro farà bella figura con loro. Evidentemente non lo terrà sul tavolino in salotto, anche perché in qualche modo, inconsciamente, qualcosa gli dice che queste pagine, tutt'altro che dissacranti, sono comunque, in virtù della loro elementare e inedita semplicità, scandalizzanti, almeno quanto le opere cui si riferiscono. Chi invece non ha di quei salotti e di questi complessi, capirà, senza frustrazioni e appunto con felicità, che il bluff nell'arte contemporanea il più delle volte non sta nelle opere, ma in chi ne parla, e spesso ne scrive, senza saperle leggere. | << | < | > | >> |Pagina 16PremessaÈ difficile capire l'arte contemporanea? L'arte contemporanea può essere spiegata con parole semplici? Alla prima domanda si può rispondere no, alla seconda domanda un deciso sì. L'arte contemporanea dovrebbe naturalmente essere di più facile e immediata comprensione dal momento che gli artisti di oggi vivono e agiscono nello stesso periodo storico e sociale di noi che osserviamo le loro opere, condividendo quindi informazioni, riferimenti, personaggi e dettagli che formano parte integrante del nostro sapere di persone contemporanee. Ben diversa è la storia dell'arte antica dove con estrema difficoltà si può penetrare a fondo il complesso di significati delle singole opere d'arte privi di un adeguato bagaglio culturale che comprenda nozioni e cenni specifici di filosofia, storia, religione e mitologia classica. Leggere il romanzo di uno scrittore contemporaneo è sicuramente più semplice che non leggere una tragedia greca scritta duemila anni fa. Perché non può essere così anche per l'arte visiva? L'assunto che sta alla base di questo volume è che l'arte contemporanea può essere raccontata con semplicità mediante un approccio discorsivo, facendo emergere direttamente dalle opere, più che dall'analisi della figura dell'artista, quei riferimenti personali ma anche sociali che ognuno di noi già ritrova nei giornali, nella televisione, nel cinema, nella vita di tutti i giorni e che sono spesso alla base di molte opere d'arte. È un tentativo che si distacca completamente da gran parte dei libri di storia dell'arte contemporanea che, soprattutto in Italia, si nutrono di un gergo volutamente complesso e ostico, quasi per iniziati di una setta o di una confraternita alla quale è precluso l'accesso agli estranei. Proprio dalla lettura di alcuni testi critici particolarmente criptici è nata l'idea di questo volume. Eccone alcuni esempi: «L'intento dell'artista non è quello di produrre le immagini, ma di interrogare le immagini, diciamo, nella sua istanza categoriale»; «Se nell'imperfezione della riproduzione tecnica si può intravvedere la possibilità di una paralogia, di una realtà ricostituita come favola, romanzo, invenzione, nelle imperfezioni manuali di cui il testo pittorico è costellato emerge l'entità pulsionale e perciò differente che fa resistenza al regime dell'informazione tecnologica omologabile»; «Nel caso di questo artista la contestualità pittorica risulta la più ricca, enucleandovisi accenni di presenza d'immagini indeterminate, vagamente oggettuali, e reliquiali, certo addensamenti memoriali in tale contestualità immersi». O anche provate a leggere queste due frasi: «Il segno del nostro artista è, per converso, un sincopato lineare che produce una poliritmia dissonante. Perciò la sua convulsione è nel contempo lucida coscienza di uno stato e di uno stadio del vivere». Frasi del genere certamente non compariranno in questo libro e chiunque si voglia accostare con sana curiosità e passione all'arte contemporanea è invitato caldamente a diffidare da critici e galleristi che lo intimidiranno con parole ed espressioni incomprensibili. Che cosa si intende per arte contemporanea? Nel gennaio 1998 la casa d'aste Christie's aveva annunciato di aver modificato i parametri che distinguono, nella predisposizione delle aste e dei relativi cataloghi, l'arte contemporanea dal resto dell'arte prodotta nel XX secolo. Dopo un paio di stagioni Christie's ha fatto marcia indietro inserendo nuovamente autori degli anni cinquanta e sessanta nelle aste di arte contemporanea. Ma è comunque un dato di fatto che tra un taglio di Lucio Fontana e una performance di Santiago Sierra vi è un salto generazionale e artistico che rende «classico» quello che è stato prodotto nei decenni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Anche l'arte invecchia e ciò ha diretta ripercussione ad esempio anche sul collezionismo e sui musei. Tramontata l'idea ottocentesca di un museo che potesse contenere tutta la storia dell'arte, le istituzioni museali si vanno via via specializzando e quindi un museo di arte contemporanea non può essere altro che un museo in trasformazione. Senza arrivare alla radicalità della recente decisione di Christie's ne è riprova il fatto che nel dicembre del 1998 il Museum of Modern Art di New York (generalmente noto come MOMA) ha ceduto al Metropolitan Museum di New York opere di Van Gogh e di Seurat perché oramai considerate non più in linea, secondo il MOMA e secondo la donatrice delle opere, Abby Aldrich Rockefeller, con la collezione di un museo di arte moderna. Dal punto di vista del mercato dell'arte la nuova divisione pone con forza le case d'aste in una posizione trainante e di forza rispetto agli altri attori del settore (gallerie, critici, fiere d'arte, musei). Negli opuscoli inviati da Christie's ai collezionisti e alle istituzioni di tutto il mondo per presentare la nuova datazione dell'arte contemporanea venne fornito un elenco, di certo non esaustivo ma comunque significativo, dei circa cento artisti che secondo gli esperti della casa d'aste compongono l'élite dell'arte contemporanea mondiale. È questo un elenco particolarmente interessante e decisamente più influente rispetto a simili catalogazioni affidate anche di recente ai critici specializzati, in quanto ha come essenziale punto di riferimento il mercato degli artisti formato non solo dai collezionisti privati ma anche dalle istituzioni museali. Nell'elenco di Christie's compaiono sette italiani: Alighiero Boetti, Jannis Kounellis (di origine greca ma italiano di adozione), Mario Merz, Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Mimmo Paladino. Gli artisti citati provengono dai due movimenti artistici sorti in Italia a opera dei due critici italiani maggiormente riconosciuti a livello internazionale: l'Arte Povera di Germano Celant (Boetti, Kounellis e Merz) e la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva (Chia, Clemente, Cucchi e Paladino). Se si escludono europei e statunitensi, di tutti gli artisti nominati dalla casa d'aste solo due provengono dal resto del mondo: l'indiano Anish Kapoor (di fatto egli è inglese e in tale veste ha anche rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia del 1990) e il coreano Nam June Paik. Il carattere prettamente occidentale dell'arte contemporanea solo negli ultimi anni del secolo si è iniziato a sgretolare e una delle caratteristiche essenziali dell'arte del XXI secolo, oltre all'uso di mezzi tecnici innovativi (in particolare il video) sarà proprio l'internazionalizzazione dell'arte con artisti che emergeranno in numero sempre crescente da Africa, Asia (con una particolare attenzione agli artisti cinesi che hanno letteralmente invaso le aste delle ultime due stagioni) e America Latina e con critici che giungeranno dalle stesse aree geografiche. | << | < | > | >> |Pagina 130«Il piacere più grande del mondo consiste nell'inventare il mondo come esso e, senza inventare niente»
Alighiero e Boetti
Ci sono ancora molte persone che tratte in inganno dalla congiunzione «e» tra il nome e il cognome pensano che Alighiero e Boetti siano due artisti che lavorano insieme (come Gilbert & George o McDermott & Mc Gough). È questo uno dei tanti innumerevoli «divertimenti» di Boetti che finalmente restituì al mondo dell'arte contemporanea il piacere del gioco, dello scherzo, dello stupore e della meraviglia. Boetti è un artista assolutamente unico e inconfondibile. Egli è stato capace di produrre opere diversissime tra di loro eppure tutte ugualmente segnate da una vena poetica fanciullesca e giocosa che rende i suoi lavori piacevolmente leggeri e solari. Le opere più famose di Boetti sono probabilmente i suoi arazzi di cui le mappe del mondo rappresentano uno dei temi più noti e riusciti. Dopo aver disegnato a matita un progetto su un planisfero politico nel 1969, Boetti realizza la sua prima mappa ricamata del mondo nel 1973 e continua a produrne fino all'anno prima della sua morte. L'ultima mappa è infatti datata 1992-1993. Ogni mappa è diversa non solo per le indicazioni contenute sul bordo, ma perché ogni mappa registra fedelmente l'evolversi della geografia politica del mondo con i suoi cambiamenti di regimi e quindi di bandiere, scissioni, creazioni di nuovi stati, spostamento dei confini eccetera (basti pensare ai mutamenti occorsi a partire dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica). In ogni mappa il bordo contiene alcune indicazioni specifiche; solitamente la firma, la data, il luogo di esecuzione e talvolta alcuni elementi narrativi. Le scritte, inoltre, compaiono a volte anche in lingua farsi, il persiano parlato in Afghanistan dove solitamente Boetti, che in gioventù aveva vissuto a Kabul gestendo un piccolo albergo, faceva eseguire gli arazzi finché la guerra non glielo impedì. La mappa del mondo del 1984 contiene le seguenti scritte che partono dall'angolo in alto a sinistra e vanno in due direzioni: da sinistra a destra «Alighiero e Boetti pensando all'Afghanistan a Mazar Sharif a Heratband Amir»; dall'alto in basso «Alighiero e Boetti a Roma nei primi giorni del millenovecentoottantaquattro». La mappa del mondo non inventa nulla e questo è uno degli assunti di base di molte opere di Boetti che nel suo lavoro si limita spesso a osservare, trascrivere e rendere in immagini ciò che già esiste e che ai più passa inosservato. E lo stesso Boetti a dire che «il piacere più grande del mondo consiste nell'inventare il mondo come esso è, senza inventare niente». Ancora, sempre con particolare riferimento alle mappe, l'artista ha affermato: «Per me il lavoro delle mappe ricamate rappresenta l'apice della bellezza. Per questi lavori non ho prodotto nulla, non ho scelto nulla, nel senso che il mondo è fatto così e non l'ho disegnato io; le bandiere esistono davvero, non le ho disegnate io. In fin dei conti io non ho fatto assolutamente nulla. Una volta formulata l'idea di base, il concetto, tutto il resto ne è una conseguenza e non è più un fatto di scelte». L'altra importante caratteristica degli arazzi di Boetti è l'esecuzione da parte di estranei e la mancanza di interventi in prima persona da parte dell'artista, procedimento che egli ha poi applicato anche ad altre serie di lavori. L'apporto dell'artista, quindi, è fatto essenzialmente di pensiero. «Ci sono cinque sensi - dice Boetti - e il sesto è il pensiero ovvero la cosa più straordinaria che l'uomo possieda, e che non ha niente a che vedere con la natura». Boetti, quindi, è essenzialmente uno scopritore di meccanismi, di connessioni che egli evidenzia, di giochi che egli trasporta sulla stoffa o sulla carta (Boetti non ha mai prodotto un'opera direttamente su tela) con quello che è stato giustamente definito il suo «fanciullesco spirito di avventura» che proprio nelle mappe riesce a unire la serietà del mondo e della geografia del potere con la manualità dell'artigiano che le ha materialmente prodotte, con i colori vivaci dei disegni dei bambini e con la percezione dell'idea operata dall'artista. | << | < | > | >> |Pagina 218È sfinito e senza ali il Pegaso del XX secolo
Maurizio Cattelan
Abracadabra è una parola magica che tutti i bambini del mondo conoscono ed è per questo che i miei due figli, Federico e Alessandra, mi chiesero incuriositi di accompagnarmi a vedere la mostra «Abracadabra» organizzata dalla Tate Gallery di Londra nell'estate del 1999. Il pezzo più curioso e a suo modo «magico», come lasciava prevedere il titolo della mostra, era esposto subito dopo l'ingresso del museo. Appeso al centro della grande cupola a vetro che sovrasta lo spazio antecedente il salone centrale, solitamente riservato all'esposizione di installazioni e sculture, pendeva con aria triste e un po' stralunata un cavallo imbalsamato sorretto da una larga cinghia di cuoio che lo imbragava sotto l'addome. Si tratta di un'opera di Maurizio Cattelan significativamente intitolata «Novecento». Al di là della sorpresa iniziale che genera nello spettatore, quest'opera esprime in maniera esemplare la pesantezza, la stanchezza e il senso di resa e di abbandono di un secolo che sta per finire. La cinghia che impedisce al cavallo di cadere allo stesso tempo preclude ogni movimento; inoltre la mancanza di contatto tra le zampe dell'animale e il suolo accentuano il senso di distacco dalla realtà, come se il Novecento, così carico di riferimenti storici, fosse oramai superato dall'imminente nuovo secolo. Cattelan utilizza spesso oggetti e situazioni comuni in contesti del tutto estranei. A tratti egli sembra anche voler giocare con lo spettatore tenendolo in sospeso tra serietà e scherzo, come quando in occasione della sua prima personale non espose nulla e attaccò alla porta d'ingresso della galleria un cartello che diceva «Torno subito». Il suo cavallo stanco è al tempo stesso fonte di stupore (i miei figli e io, così come tanti altri visitatori, abbiamo gironzolato sotto la sua pancia per vari minuti), di riflessione ma anche di affetto, come un vecchio conoscente che sta per lasciarci. Ci si aspetta infatti che da un momento all'altro una carrucola lo issi ancora di più per stivarlo all'interno di un magazzino o di una nave. Viene quasi da chiederci se anche noi seguiremo alla fine della nostra vita la stessa sorte: per un attimo sospesi tra la terra e il cielo prima di scomparire per sempre. Cattelan è, insieme a Vanessa Beecroft, l'artista italiano emerso negli anni novanta più noto all'estero e il fatto che prestigiose gallerie straniere come Anthony d'Offay di Londra gli abbiano dedicato mostre personali nel corso del 1999 ne è una significativa testimonianza. Il loro arrivo sulla scena internazionale è per l'arte contemporanea italiana un bene in quanto essa rischiava di essere confinata ai grandi movimenti dell'Arte Povera e della Transavanguardia, fermandosi in tal modo agli anni ottanta. Con Cattelan e Beecroft l'arte contemporanea italiana volta pagina e si dimostra ancora una volta capace di sorprendere e di destare interesse e giusta considerazione. | << | < | > | >> |Pagina 232Oriente e Occidente, classicità e contemporaneità: la sintesi in una miniatura
Shazia Sikander
L'artista pakistana Shazia Sikander riflette più che mai la caratteristica propria del nuovo millennio di diversificazione dell'arte contemporanea. Pur vivendo a New York, la Sikander ha mantenuto forti legami sociali, culturali e, non da ultimo, stilistici con la sua terra di origine. I suoi lavori più belli sono le miniature che esegue con una tecnica (sì, proprio la tanto bistrattata tecnica!) non facilmente eguagliabile. Delle miniature le interessa evidenziare il legame esistente tra l'immagine e la scrittura. In questo lavoro, intitolato «Scrivere ciò che è Scritto», la parte più interessante non è il centro del foglio, ma il bordo che a destra e in basso incornicia l'immagine. Si tratta di una commistione tra caratteri arabi e disegni di cavalli. Le lettere si trasformano in animali e gli animali tornano a essere lettere, senza che le une prevalgano sugli altri o viceversa (quasi a rappresentare la ragione e il sentimento, sempre mischiati l'una con l'altro). La Sikander, parlandomi di questi lavori («Scrivere ciò che è scritto» fa parte di una serie), ricordava come la trasfigurazione delle parole costituiva per lei un ricordo di quando da bambina frequentava una scuola coranica e «leggeva a memoria» interi brani; la memoria pertanto andava trasformando i segni calligrafici in disegni di animali fantastici. Nella miniatura la parte di più immediata comprensione e quella lontana dal centro. Gli animali e lo sfondo risultano individuabili, a differenza delle due sagome nascoste dalle linee circolari. Le figure umane sedute nel mezzo del foglio sono coperte da cerchi concentrici che forse non sono altro che catene di pensieri che oscurano la mente. Quello che è più vicino appare sempre più confuso rispetto a ciò che è lontano. E la realtà tante volte è così: molto più chiara se osservata da lontano. | << | < | > | >> |Pagina 237Cattiveria e tenerezza, fragilità e violenza: come è difficile essere bambini oggi!
Yoshitomo Nara
Bambine (solitamente dall'aria cattivissima) e cani spauriti sono i protagonisti dei lavori del giapponese Yoshitomo Nara, artista cresciuto guardando i cartoni animati di Goldrake e leggendo fumetti manga. Ci guarda molto male questa piccola bambina che sembra offrire decisamente controvoglia una fogliolina in segno di pace, mentre il suo sguardo pare indicare che molto più volentieri si getterebbe in una zuffa «a menare cazzotti». Sono quasi tutte così le protagoniste delle sue opere: bambine arrabbiate e piene di una sorta di odio che fa tenerezza, bambine che guardano in cagnesco il mondo degli adulti, colpevoli di crimini non meglio identificati nei loro confronti. Quale è il motivo del rancore della bambina? Forse la chiave di lettura sta in un piccolo quadro dello stesso Nara nel quale compare un manifesto di quelli che solitamente si vedono per strada appesi ai muri o ai lampioni per avvisare dello smarrimento di un animale domestico. Il manifesto offriva una lauta mancia a chi avesse chiamato a casa Nara fornendo notizie su come rintracciare il cane e l'adolescenza («Missing: my dog, my childhood»). Le bambine cattive di Nara sono quindi l'infanzia perduta dell'artista che, a metà tra l'ironia (accentuata dai tratti fumettistici dei personaggi) e la serietà, ci parla di come sia difficile sentirsi bambini.
Ma poi, chissà! Forse queste sono solo congetture e magari la
bambina è furente solo perché i genitori le hanno imposto
una terribile frangetta alla sua capigliatura scura...
|