Copertina
Autore Sabina Guzzanti
Titolo Il diario di Sabna Guzz
EdizioneEinaudi, Torino, 2003, Tascabili Stile libero 1176 , pag. 236, dim. 120x195x12 mm , Isbn 978-88-06-16712-7
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe satira , cinema , diari , biografie
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Pagina 3

10 gennaio 2001.

C'è questa ospitata che dovrei fare all' Ottavo nano. Vogliono Berlusconi. Mi scoccia fare cose già fatte, ma in questo momento li capisco. Dicono che nel programma si prende in giro solo Rutelli e che per par condicio ci vuole pure Berlusconi.

Questa storia della par condicio nella satira è una delle tante puttanate che abbiamo accettato acriticamente. È pazzesco: quello ha canali Tv, giornali, squadre di calcio, assicurazioni, controlla tutta la pubblicità, un partito, ora pare che rivincerà le elezioni, e sono tutti concentrati sull'equità dei programmi comici e di quelli di Santoro. Un mondo di pazzi, come il cappellaio matto, come il Mondo alla rovescia di Gianni Rodari, come i giapponesi che quando esce il sole aprono l'ombrello... ma magari! Non c'è niente di surreale, solo prepotenza.

Non mi va di rimettermi il naso finto e farmi spennellare la colla sulla faccia per fare il verso a questo scherzo della sociologia. Se mi viene un'idea buona lo faccio, sennò no. L'ho detto a Valeria, l'ho mandato a dire a Corrado e alla Dandi. Sono concentrata sul film, questi di Medusa sono quasi due anni che dicono «Lo facciamo» e lo rimandano.

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Pagina 36

23 marzo 2001.

Riletto il pezzo di ieri. Il dubbio è sempre quanto sia onesto quello che si racconta. Quanto sia preciso, senza preoccuparsi di fare bella figura. Non esce fuori che a quell'età io non stavo bene. Facevo fatica a stare nella realtà, ero spesso a disagio, tesa. Non che si vedesse troppo dall'esterno. Solo, facevo una gran fatica. Come su una barca con la tempesta: reggersi forte per non cadere.

Quindi anche in quella circostanza chissà quanti dettagli mi sono sfuggiti perché stavo lí a pensare: come sono vestita, come ho detto questa frase, questa non è la mia voce, questa parola l'ho detta ma non è mia e altre dodicimila stronzate.

La mia canzone preferita di Caetano Veloso: «La luna mi sta guardando, non so che mi ci trova. Io ho i vestiti puliti, li ho lavati ieri pomeriggio».

Poi dico che allora non stavo bene, come se fossi malata, ma parlo di una malattia ben diffusa. La vedo bene negli altri. C'è chi si accanisce piú con se stesso, chi piú con il mondo esterno, ma le persone che percepisco come sane di mente sono quattro gatti. David Riondino mi è sempre sembrata una persona libera. Anche lí ad Arcore il momento piú bello per me è stato quando a un certo punto Berlusconi infervorato dal discorso si è alzato, e David, dopo qualche secondo, si è alzato anche lui. Allora il capo ha detto: - Non c'è bisogno che tutte le volte che mi alzo io vi alzate tutti -. Per spiegare la differenza delle reazioni: a me ha fatto un po' male quella frase. Penso: fai il simpatico, invece ci vuoi umiliare e credi che stiamo tutti li ad adorarti perché ci puoi fare diventare ricchi. Una sensazione di offesa a cui non sapevo rispondere, all'epoca. Potevo o arrabbiarmi o rimanere paralizzata. David invece era come Diogene nella botte, imperturbabile: si è scrollato le briciole dei waferini dal cappotto e ha detto: - Mi sono alzato per le briciole -. Non si è difeso né ha attaccato. Ha parlato semplicemente da un altro mondo e ha dimostrato, inconfutabilmente, che un altro mondo esiste eccome. Anzi, parecchi altri probabilmente.

Siamo tutti un po' o molto malati. Ogni tanto qualche estraneo mi chiede - come sforzandosi di dire una cosa difficile, ma per il mio bene - perché lascio i nervi cosí scoperti, perché mi rendo cosí vulnerabile, perché non mento come fanno tutti, in sostanza. Penso che sia per lasciare la speranza di potere stare bene. Se nascondi le cose perdi di vista il problema. Non mi importa di sembrare debole. Siamo tutti fragili. Non devo convincere nessuno, voglio solo andare lontano. Capire il senso della vita con il corpo, con tutta me stessa, non solo in teoria. Per questo ho cominciato a fare l'attrice. Per recitare bene devi imparare l'arte di vivere. Sei obbligato.

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Pagina 86

10 agosto 2001.

Siamo andati a trovare Marco Bellocchio al mare. Ha letto la sceneggiatura e molto generosamente mi ha dato un suo parere. Mi ha colpito il grande rispetto che ha dimostrato, la preoccupazione continua di non influenzarmi troppo con i suoi gusti. È umile, lucido, concreto, incoraggiante. Sono proprio felice di averlo conosciuto.

Gli è piaciuta molto la sceneggiatura, in particolare il dialogo tra Bimba e il magistrato. Mi chiede se so come farlo recitare ad Antonio Catania: lo so, non sono preoccupata di questo.

Ha molto apprezzato anche il lieto fine, il fatto che un personaggio cosi negativo come Bimba alla fine capisca, cambi. Ha detto una cosa che condivido in pieno: che rompe con la tradizione del finale amaro della commedia all'italiana. Sono d'accordo. Questa amarezza cui si fa sempre ricorso, che col passare degli anni diventa sempre piú loffia, è per sembrare persone intelligenti, persone che sanno come va il mondo. In realtà è una fuga dalla responsabilità. Un lieto fine, in questo caso, non è ingenuità, semmai speranza: è il coraggio di prendere una posizione anziché rimanere ambigui e non schierarsi da nessuna parte.

Il mio, poi, è un film a tesi. È un film filosofico, su cos'è l'identità. Cosa ci rende unici non è né la condizione di nascita (Bimba tecnicamente addirittura non è nata, essendo un clone) né lo stato sociale (Bimba è una specie di moderna schiava) né quello che comunemente si ritiene sia il sapere. L'identità è data dal coraggio di essere quello che si è e dal rispetto profondo per la propria vita e dal giusto valore che le diamo. E allo stesso tempo l'identità è l'unica vera fonte di potere degli esseri umani. Solo se si ha un'identità si può cambiare il mondo, apprezzare la vita, capire cos'è.


Desiderio, profondo rispetto, compassione (e il coraggio, che è la cosa piú vicina alla compassione) e dedizione. Sono mezzi, strade e allo stesso tempo anche il fine.

Il desiderio trasformato, elaborato, è illuminazione. Alla radice del desiderio c'è la ricerca della felicità. Tutti siamo motivati dalla ricerca della felicità, qualunque azione compiamo.

Anche Hitler ha fatto quello che ha fatto perché pensava che lo facesse stare bene. Chi vive per il potere pensa che avendolo sarà finalmente a suo agio; chi si mette sotto i ferri per avere le tette enormi pensa che con le tettone avrà una vita migliore.

Il problema non è sradicare il desiderio, non sopravvivremmo senza: il problema è capire cosa davvero ci rende felici. E siccome per essere felici profondamente dobbiamo capire cosa sono nascita malattia vecchiaia e morte, essere felici vuol dire capire la vita.

Allo stesso tempo capire cos'è capire. Avere una bella teoria sul senso della vita non ha mai reso felice nessuno. Siamo tutti uguali di base, siamo fatti della stessa materia dell'universo. Siamo tutti fondamentali anche, non solo utili. Infatti il modo per rendere le persone impotenti è farle sentire sostituibili. I burocrati sono sostituibili, per questo devono obbedire.

Piú sostituibile di un clone cosa c'è? E lo stadio ultimo della sottomissione delle persone comuni al potere di pochi, l'assoggettamento della struttura stessa della vita.

Per questo credo che Bimba sia un film politico. Non tanto per le citazioni dei No global e del magistrato, ma perché è un film che ribadisce l'eguaglianza, in un momento in cui non c'è piú nessuna organizzazione politica o di qualsiasi altro tipo che la difenda. Nemmeno piú davanti alla legge, che già era una forma di uguaglianza da migliorare, perché non riguardava punti di partenza e possibilità. Il significato della parola uguaglianza è diventato omologazione.


E queste sono proprio le trasformazioni di senso che vengono dalla pubblicità. La pubblicità è l'evoluzione della propaganda. Prendere un concetto che è caro a tutti perché è umano, perché è condiviso, perché viene dal buon senso, e cambiargli di significato, attraverso la ripetizione, strumentalizzandolo, facendolo diventare nocivo. Utilizza ciò che è sacro, la pubblicità. Affetto, famiglia, sesso, amore filiale, armonia... tutto quello che le persone cercano.

Per questo Bimba è un film antipubblicitario, non tanto per la satira sul gruppo del brainstorming, quanto perché fa fare allo spettatore un processo inverso a quello che gli viene imposto abitualmente.

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Pagina 115

12 gennaio 2002.

Se non metto su carta 'sta metafora, continua a rimbalzarmi nel cervello e a spuntare tra i pensieri ogni venti minuti.

Allora: è come al supermercato. La gente compra il prodotto piú colorato, con la confezione piú invitante, ma se esce fuori che il prodotto è tossico o non commestibile, non è colpa di chi l'ha comprato. E che non dovrebbe stare sugli scaffali. Una persona che lavora, figli aggrappati al carrello, fila, parcheggi, stanchezza, noia e depressione e problemi di soldi, ha il diritto di fidarsi che ci sia qualcuno che controlla i prodotti che vengono messi in vendita.

Ecco.

Non è colpa dei cittaqini se hanno votato Berlusconi, non tutta loro. È colpa di quelli che, potendo, non lo hanno fermato. Non era candidabile, non eleggibile, oppure doveva rinunciare alle sue proprietà. Punto. E quelli che gliel'hanno permesso, mettendo tutti noi in questa situazione di merda, devono rispondere delle loro azioni, dare spiegazioni esaurienti, chiedere scusa e sparire.

Ecco.

Sono invadenti, le metafore. Soprattutto, si allargano. L'idea iniziale è sempre sensata, il problema è che poi il paragone vuole estendersi a tutti i dettagli. Ti viene l'idea del prodotto del supermercato tossico, poi continuerebbe con la cassa che rappresenta quello, il carrello quell'altro, lo scontrino quell'altro ancora. E dopo un po' viene una specie di nausea sottile a dover forzare tutti gli elementi di un ambiente per farlo coincidere con un mondo che non c'entra niente. Io ormai sono guarita, ma ne conosco di persone malate di metafore. Due gravi, anche. Quando partono con: «E come...» sai che non ne usciranno piú.

Chissà se c'è un nesso con quella specie di sindrome, di malattia mentale che prende soprattutto i religiosi, di interpretare tutto alla lettera? Specie le scritture sacre, quelli che alla fine prendono un coltello convinti che sia la spada del bene e ammazzano qualcuno.

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Pagina 116

13 gennaio 2002.

Borrelli ha detto «Resistere resistere resistere». Mi ha commosso. Mamma mia, come siamo messi. A nessuno gliene importa piú della giustizia, dicono. Pure questo secondo me non è vero. Come per il resto: il metodo è spararla grossa. Dire una cosa fortemente provocatoria in modo da suscitare reazioni indignate. Poi aspettano un po' e ne sparano un'altra ancora piú grossa, altre reazioni indignate che però ti fanno scordare l'indignazione precedente. Poi ne sparano tre di seguito che ti fanno talmente incazzare che non trovi quasi le parole per rispondere. E cosi ti fiaccano. Poi cominciano a dire: basta con l'indignazione, non si può essere sempre indignati. E tu senti che in qualche modo hanno ragione. Non ce la fai a stare sempre incazzato, è una fatica fisica proprio. Chissà se la mafia studia psicologia, scienze sociali. Magari tengono dei corsi. Certo che questi, se non possedessero tutti quei giornali e Tv e le assurdità che dicono avessero solo lo spazio che meritano, non sortirebbero nessun effetto con le loro provocazioni. Sarebbe come sentire uno sull'autobus che parla degli Ufo.

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Pagina 126

Mi mette vicino a Ghezzi. Sono contenta perché lo conosco da tanto e sono vicina a un amico. Un po' vanitoso, ma un amico. Parecchio vanitoso: si offenderebbe per un giudizio a metà. Il piú vanitoso della Terra, ma gli voglio bene, Blob mi piace tantissimo, m'è sempre piaciuto e guarderei pure Fuori orario molto volentieri, se fossi sveglia. Poi, Ghezzi conosce benissimo Debord e in questo periodo gli amici di Debord sono miei amici. L'ha amato molto. Ha portato anche i suoi film in Italia, mi ha detto, però adesso non ce li ha piú. Freccero ha scritto la prefazione a La società dello spettacolo, quindi quando si parla di falsificazione in tutte le sue sfumature, qui dentro c'è chi può capire.

Inevitabilmente, Zaccaria mi dà la parola. Il cuore mi va a mille. Come odio queste circostanze, le prime parole escono cosi e cosi, con la pressione bassa. Voce malferma, parecchio. Poi, siccome cominciano tutti a ridere e ad applaudire, mi faccio coraggio. Non sono l'unica pazza che pensa queste cose, è evidente.

L'inizio è facile perché dico: - A parte tu che mi inviti a parlare sulla censura quando proprio tu mi hai censurato e hai anche sostenuto pubblicamente che fosse giusto... - risate, e vabbe', facili risate. - Poi state tutti qui a fare la parte degli eroi, ad autoincensarvi quando avete fatto la televisione piú brutta che sia mai stata fatta. Quella che c'era prima era piú brutta di quella precedente e quella che ci sarà dopo sarà piú brutta della vostra. Avete solo seguito l'andazzo generale, gli imperativi mefistofelici che mirano al rincoglionimento del pubblico, sempre di piú, man mano che si va avanti. Dov'è l'eroismo? Avete fatto cinque programmi buoni, tutto il resto è volgarità e immondizia. Avete seguito la cosiddetta legge del mercato, dell'Auditel, senza minimamente porvi il problema di che cosa fosse piú utile per gli ascoltatori, non vi siete mai posti il problema di fare cultura, di fare vera informazione.

Poi ho detto a Freccero: - Anche tu, Freccero, che sei un intellettuale, una persona intelligente che le cose le sa, e che potevi, avevi le capacità per fare cose migliori, hai fatto Furore, la D'Eusanio, il Commissario Rex a tutte le ore: fiction bestiali, una quantità di cose brutte e umilianti per chi guarda che non si contano. Avete messo tette e culi dappertutto e ne siete andati anche fieri. Io vengo dalla Raitre di Guglielmi: ho fatto l'esperienza diretta di una televisione intelligente; viva piú che intelligente, che tra l'altro aveva degli ascolti ottimi. Ed è stata chiusa. Tanto per dimostrare che non è vero che se fai una cosa ben fatta la gente non la guarda, è vero che ti fermano. Certo che dopo un po' che mandi solo deliri, magari ci vuole un po' per riabituarsi a seguire un discorso. È come se leggi fumetti per tre anni: quando riprendi in mano un libro fai un po' di fatica a ritrovare la concentrazione. Ma la ritrovi, perché il cervello ce l'abbiamo tutti, e se lo fai funzionare, funziona a tutti. Se lo vuoi spegnere, lo spegni. Quindi se ha vinto Berlusconi la responsabilità è anche vostra, che potevate agire in un'altra direzione e non l'avete fatto.

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Pagina 134

22 febbraio 2002.

Ho dato l'intervista al «Corriere della Sera» e mi hanno detto che sembra abbastanza fedele. Io ho detto al giornalista che il periodo di Tangentopoli è stato un momento di grandi speranze per tutti. Gioioso, di rinascita. Che trovo inquietante il fatto che io stessa a nove anni di distanza debba quasi vincere una forma di imbarazzo per parlarne bene, tanto i media ci hanno martellato spiegandoci che in realtà si trattò di abuso di potere e che pretendere giustizia in sostanza non è realistico.

Ho detto anche che hanno fatto male le sinistre a non approfittare del grande coinvolgimento popolare che c'era ai tempi di Tangentopoli, non avrebbero dovuto mollare la presa. Che non si può spiegare questo atteggiamento come una mancanza di comprensione di quello che accadeva, ma con una precisa volontà di mantenere le cose come sono, dal che ne consegue che questo andazzo evidentemente fa comodo anche a loro. D'altra parte l'ostilità del Partito comunista, e dei partiti che vengono da li, verso qualsiasi movimento popolare spontaneo è sempre rimasta invariata nella Storia.

E questa è anche la prova evidente che l'azione dei magistrati, che involontariamente aveva dato il via a quella rivoluzione, non era stata commissionata dalla sinistra. Cosa che peraltro D'Alema ha detto e ripetuto piú volte.

Poteva essere un'occasione di grande cambiamento, dalla corruzione dei partiti si sarebbe potuto andare avanti e combattere seriamente la mafia. Oggi invece la mafia è direttamente al governo, ho detto.

Ho aggiunto pure, azzardando forse un po', che secondo me allo schieramento di centrosinistra fa comodo che ci sia Berlusconi. Il problema dei Ds è che in Italia c'è un sacco di gente, proprio di sinistra, con pure una bella tradizione alle spalle. A questi elettori è difficile fare digerire la politica praticamente neoliberista al 100% che hanno intenzione di portare avanti in modo sempre piú netto. Come fanno del resto quasi tutti i partiti di sinistra in Occidente, ma non piú di tanto. Credo che lo shock di Berlusconi sia considerato utile per fare accettare, una volta che se ne sarà andato, qualsiasi cosa. Che al confronto di Berlusconi tutto sembra comunque meglio.

Forse ho un po' esagerato, nel senso che sono sicura che non tutti condividano questo disegno nel centrosinistra, però in compenso quasi nessuno ha in mente di fare una politica davvero alternativa al liberismo selvaggio.

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Pagina 136

25 febbraio 2002.

Arrivo al Palavobis insieme a Curzio e a Piovani. Mi accorgo che è molto difficile entrare. Ottimo!

Mi faccio riconoscere e passo. Dentro è strapieno e la gente continua ad arrivare. C'è un grande spazio nella parte frontale che si sta riempiendo, e la gente è pure incazzata perché non c'è posto. Pare che fuori ci siano trentamila persone, uno dell'organizzazione mi chiede se posso uscire a parlare. Hanno accroccato un'impalcatura piuttosto instabile, sopra c'è Di Pietro e pure Zaccaria. Di Pietro mi aiuta a salire da bravo gentiluomo, io gli dico: grazie, maresciallo. Lui non capisce la battuta ma la gente ride. Mi è simpatico Di Pietro, ma è proprio un poliziotto. Senza malizia, mio nonno, quello povero, era carabiniere: maresciallo, appunto. Aveva un talento musicale enorme ma era povero: nel suo paese le persone per mestiere lavavano le divise con la cenere. Poteva scegliere tra carabiniere e prete, ma gli piacevano le donne. Quando è andato in pensione si è comprato un organo elettrico piccolo e ha insegnato la musica a me e a mio fratello. Solfeggio e tutto. Corrado pure ha un orecchio musicale perfetto, come la mamma. Ogni domenica venivano i nonni e gli facevamo sentire tutto il nostro repertorio. Io suonavo la chitarra. Gli piaceva molto Il vecchio e il bambino di Guccini.

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Pagina 143

25 marzo 2002.

Tre milioni di persone in piazza. Ho filmato le prove di Piovani la sera prima, con la luna e il Circo Massimo vuoto. Ha suonato La notte di San Lorenzo. Bello. Il giorno dopo ho filmato interviste e folla. Bello. Siamo in tanti a filmare, non so a che servirà, ma è bello avere qualcosa da fare. Ho intervistato Ingrao, sono contenta.

Altra cosa notevole: ho visto D'Alema che mentre parlava Cofferati faceva l'origami. Mi è sembrato un piccolo airone di carta, ma non ci giurerei. L'ho trovato palliduccio. Il fumetto che aveva in bella mostra attaccato alla tempia diceva: «Parla, parla, tanto non vai da nessuna parte». Mi sembrava un fumetto, tenuto bello aperto, volutamente visibile, ma magari sono io che esagero. Come dire: pensate che sia una rinascita, invece finirà qui. Tre milioni di persone in piazza sono poco spendibili, diciamo. Sono gli altri cinquantatre milioni che stanno a casa, il Paese vero.

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Pagina 148

19 aprile 2002.

Stavo scolando la pasta con la Tv accesa aspettando Sciuscià e ti sento Santoro che canta Bella ciao. Ma che combina? Tutto serio, è un po' imbarazzante, avrà le sue ragioni, ma non mi va di guardare, mi mette a disagio. Se lo fa, avrà i suoi motivi. E per la dichiarazione di Berlusconi dalla Bulgaria: mai piú Santoro, Biagi e Luttazzi. Stonatino anche, è il meno comunque. Lascio acceso però mi allontano. Tutta l'ha fatta, tranne l'ultima strofa, se non mi sono distratta. Anzi le ultime due: «E se io muoio, da partigiano, tu mi devi seppellir... e seppellire lassú in montagna sotto l'ombra di un bel fior...» Le ultime tre, anzi, mi pare, ha saltato pure «E questo è il fiore del partigiano morto per la libertà». Gli sarà sembrato troppo. È stata lunga, a ogni modo.

Non so, non so giudicare. Qualcosa di retorico, qualche bella concessione allo spettacolo e qualcosa di drammatico, anche. Quale ingrediente prevale non lo so. È un sapore troppo forte per distinguere.

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Pagina 149

20 aprile 2002.

Oggi c'è stata all'Ambra una manifestazione di solidarietà per Santoro. Molti artisti sul palco, io e Corrado vicini. Tutti hanno detto che eravamo propno carini.

È la prima volta che incontro Moretti, non mi è mai stato molto simpatico.

Anche i suoi film li conosco, li ho visti tante volte, ma pure quando mi piacciono c'è sempre qualcosa di profondamente respingente.

Proprio la cultura tipica dell'ex Pci. Quella di dire questo è bello e questo no, questo è cinema e questo no. Queste scarpe si e queste no. Senza l'ombra di una spiegazione. Solo slogan, tormentoni da bravo pubblicitario. Come dice il mio amico Alessandro, è proprio il contrario della problematicità. Ti impone la trasposizione letterale delle sue ossessioni senza nessun tipo di elaborazione.

Certo, è importante quello che sta facendo, gli sono anche grata, a volte mi domando che cosa ho da ridire, perché sono cosi diffidente. Forse perché so che avere questo risultato mediatico di protagonismo totale su delle questioni che riguardano tutti; su cui tanti sono indignati, offesi e vogliosi di dire la loro, significa avere fatto un lavoro di pubbliche relazioni gigantesco. Una persona che spende tutte queste energie per risultare il leader indiscusso, non gode della mia fiducia.

E soprattutto è strategicamente sbagliato personalizzare cosi tanto una protesta. Se Moretti a un certo punto si stufa di fare il capo popolo, che succede? Che il movimento risulta morto o che non è mai esistito? Oppure: e se a Moretti gli dànno un contentino, lo gratificano per bene e lui decide che non c'è piú niente da eccepire, tutti gli vanno dietro?

Anche tutto questo accento sul vincere del famoso discorso di piazza Navona, non mi piace. Non è li il problema, non è vincere: è avere degli obiettivi, soprattutto avere una cultura che si distingua in modo sostanziale da quella della destra. Altrimenti, pure se vinci, che cambia?


Moretti piace ai francesi, e allora? Vanno matti per parecchi film presuntuosi e senza senso, i francesi. E hanno un concetto del ruolo degli intellettuali spesso grottesco. Non mi sembra una buona idea imitarli, sotto questo profilo. A questo proposito, ho letto un frammento di un libro di Chomsky proprio interessante. Me lo devo leggere tutto, Chomsky, appena ho un attimo di respiro. Raccontava di una petizione firmata da lui e da Sartre, non so quanto tempo fa, e del fatto che in Francia si erano scandalizzati perché in America la notizia non era uscita sui giornali. Giustamente Chomsky dice: perché mai il fatto che due persone, per caso famose, firmino una petizione, dovrebbe uscire sul giornale? Scrivi un libro, che se ne parli. Firmi una petizione, sei come tutti gli altri cittadini che la firmano, in una società sana.


Perché, mi domando, Moretti e D'Alema si sono tanto antipatici se sono uguali? Forse proprio per questo, perché si fanno concorrenza. Ora quello famoso per la battuta «Mi si nota di piú se vengo o no alla festa» è li che parla dal palco, e quello che dovrebbe parlare al suo posto sta a casa perché pensa che la sua immagine ci guadagna di piú a non andare.

Stanno tutti a spremersi le meningi sulle ragioni della vittoria delle destre: ebbene, secondo me una ragione forte è proprio questa. Molti a sinistra si mobilitano quasi esclusivamente per mantenere i loro privilegi, con l'aggravante che lo fanno sotto la bandiera del popolo.

Che poi questo della rabbia di vedersi sottrarre il potere sia anche uno degli argomenti di Ferrara, non mi dà torto. Ferrara sceglie i soggetti che sa che fanno presa. Poi ne stravolge il significato, li mette in contesti che non c'entrano, li associa alle questioni che gli fanno comodo senza nessun rigore nel ragionamento: questo è un altro discorso. Tra l'altro è proprio questa sua mancanza di rigore che piace anche a sinistra, credo che sia per questo che tutti sostengono che Giuliano Ferrara sia un uomo intelligente, per la velocità con cui mischia le carte.

Se leggesse questo diario, Giuliano Ferrara, come lo commenterebbe? Forse cosi: ma insomma, Berlusconi è cattivo, Ferrara è cattivo, Moretti pure, D'Alema, Mentana, Costanzo, la televisione, il cinema italiano, sono cattivi quelli di Striscia la notizia (poi aggiungerebbe qualche nome che non ho fatto, fosse solo per irritare l'interlocutore), per concludere, sono tutti corrotti e cattivi, solo la Guzzanti si salva? Ci aiuti a redimerci: perché non apre un bel santuario che veniamo a portarle i nostri voti?

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Pagina 163

La consapevolezza politica è necessaria o è un freno?

Questa è l'altra domanda.

Se non si sa perché si fanno le cose, in quale direzione si va e ci si lascia andare alla creatività, quello che succede è che al primo intoppo ci si perde. Si producono cose belle all'inizio, ma non dura.

Ora, già la vita è corta per dire tutto quello che si vuole, non è bene ridurre il tempo. Gli artisti che hanno avuto consapevolezza politica sono andati sempre piú lontano. Goethe, Tolstoj, Dostoevskij. Nella musica? Pure. Pittura pure, ma proprio per tutti i grandi.

Politica nel senso di porsi la domanda su ciò che si fa in relazione col mondo. La relazione fra il tuo lavoro, il tuo percorso e quello che è stato fatto e quello che c'è ancora da fare.

Dico porsi la domanda: mica dico rispondere, ma porsela sul serio. Neanche va bene la scusa che se non ci sono risposte è inutile farsi domande. Che poi le risposte ci sono, eccome. Sono provvisorie, sono soggette al cambiamento come tutto nella vita, ma ci sono eccome, vanno verificate, modificate alla luce dell'esperienza, ma ci sono.

Relazione col mondo: nel senso di sviluppo del pensiero, non del mercato ovviamente, quello non è mondo, è solo un po' di prepotenza.

Anzi, quasi direi che proprio la ragione per cui non c'è piú grande arte o ce n'è poca - piccoli sprazzi qua e là - è proprio perché gli artisti hanno perso il senso politico di quello che fanno. L'hanno perso tutti, non solo gli artisti, i politici innanzitutto e ogni altra categoria; ma gli artisti pure, ed è piú grave. Le uniche domande che si pongono sono sul mercato. Cosa funziona? Cosa può vendere? Non sono grandi domande, non aprono nessuno spiraglio sul mistero del mondo, non aprono né gli occhi né il cuore. Se ti va bene, aprono un po' il portafoglio tuo.

Questo bisogno di senso in Bimba c'è. Ed è importante.

Questo c'è e farà incazzare un sacco di gente. Diranno che sono buonista. Intendendo che ho l'ingenuità di pensare a un futuro. «Ancora con questa idea della speranza, del cambiamento possibile... che noia!» diranno all'uscita.

'A mostri! 'A brutti mostri, non mi fate paura. Anche se doveste sbranare il mio film e pisciarci sopra, non mi fermerò.

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