Copertina
Autore Sabina Guzzanti
CoautoreMarco Lillo
Titolo Reperto RaiOt
EdizioneRizzoli, Milano, 2005, BUR senzafiltro , pag. 240, cop.fle., dim. 130x200x16 mm , Isbn 978-88-17-00582-1
LettoreFlo Bertelli, 2005
Classe satira , politica
PrimaPagina


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Indice


1.  Reperto RaiOt                       7
    Il testo dello spettacolo

2.  Schede di approfondimento          73
    di Marco Lillo


 

 

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Pagina 7

La mia patria non è un'azienda,
non è un franchising la mia famiglia.
Il mio quartiere non assomiglia
né a una holding né a una spa.

La mia figliola non è una troia
non le interessano i calendari,
e la mia scuola non è una scala
che porta al trono dell'imperatore.

Non siam più solo spettatori,
noi non siam più sciocchi teleutenti.
Scorrono neuroni nelle nostre menti
che parole vogliono diventar.

Se son depressa non faccio shopping,
vado a parlare con un vicino
e le domande sul mio destino
non vado a farle al Costanzo Show.

E il mio tempo non è denaro,
ma il mare aperto dei sentimenti
le vele al vento del mio pensiero
finché quel vento mi resisterà.



Questa è una delle canzoni toccanti che i partigiani cantavano durante la Resistenza al regime mediatico che oppresse questo Paese fino alla Liberazione. Veniva eseguito con questo strumento che si chiamava «la gattara». Oggi, purtroppo, ormai è scomparso. Il museo della Resistenza che oggi inauguriamo, costruito grazie ai fondi dei cittadini italiani, del ministero della Buona Creanza e della Buona Educazione, delle associazioni e delle dissociazioni dei volontari e di quelli privi di forza di volontà, dei reduci dei lobotomizzati della riforma Moratti, si propone di fare luce su uno dei periodi più oscuri della nostra storia.

Nelle varie stanze del museo troveremo i reperti di questo periodo storico, divisi per capitoli.

Nella prima stanza, le testimonianze della nascita dell'autoritarismo a cui seguì il tracollo economico: un periodo particolarmente tragico perché i poveri erano convinti di essere ricchissimi, i pensionati vivevano molto al di sopra delle loro possibilità e spesso finivano in galera per debiti.

Il premier, invece, si arricchiva ogni giorno di più.

In soli due anni le sue aziende crebbero del +71% mentre il resto del Paese cresceva dello 0,1% (1). [Le note numeriche riportate nel testo rimandano alle Schede di approfondimento nella seconda parte del libro.]

Guadagnò: 192 milioni di euro dal decreto salvaretequattro; 217 milioni di euro dal decreto spalmadebiti sul calcio; 243 miliardi dalla legge sugli sgravi fiscali di Tremonti. In breve tempo, il premier entrò nella classifica dei 30 uomini più ricchi del mondo; poi, dei 20 uomini più ricchi del mondo; infine, dei 10 uomini più ricchi del mondo (2).

Il resto del Paese, invece, andava a scatafascio: i cantieri erano aperti, i soldi già spesi, c'era una sola pietra e poi più nulla. I volontari dovevano aiutare le vecchiette non tanto ad attraversare la strada quanto a convincerle che la strada non c'era. Quelle protestavano e dicevano: «Ma l'ha detto la televisione...!». E spesso non c'era nulla da fare: le povere donne cadevano dentro delle grosse buche e lì finivano i loro giorni.

Il fondale dello stretto di Messina è pieno di relitti di automobili dei poveretti che hanno creduto che il ponte fosse stato costruito.

Ci furono rivolgimenti di ogni tipo: vennero fondate nuove religioni, Baget Bozzo, scritto b-u-d-g-e-t, ne fondò una... voi vi potete immaginare basata su che cosa. Marcello Dell'Utri venne messo a dirigere il Teatro Lirico di Milano con la scusa che era un uomo cólto, cólto... còlto spesso sul fatto.

Ci furono alluvioni, carestie, ed infine nacque la Resistenza, che si vuole simbolicamente fare iniziare dal momento in cui un illustre pensionato gridò: «Resistere, resistere, resistere!» (3). Anche se qualche storico polemicamente afferma che da quel giorno nacque solo la moda di ripetere tutto tre volte: «Buffone, buffone, buffone; quando, quando, quando; eccetera, eccetera, eccetera...».

È interessante constatare che non tutti, all'epoca, condividevano che di regime si trattasse. Finché, un giorno, un certo Dalai-Lema ammise che di regime si trattava. Ma era tardi perché gli era già stata tagliata la lingua e fece la famosa dichiarazione del giorno dopo, una dichiarazione solo mimica che si presta, per tanto, a più di un'interpretazione.

Sequenza di smorfie di D'Alema che finiscono ad un segnale sonoro.


Ad ogni modo, il dittatore, grazie alla Resistenza, crollò. E, come spesso avviene in questi casi, in molti vollero assumersene il merito. Volle assumerselo un certo Ferrara, un certo Chiambretti, e perfino l'illustre forforato Gianni De Michelis.

Non si sa che fine fece esattamente il dittatore. C'è chi dice che è ancora vivo in Argentina insieme a Moana Pozzi e Elvis Presley; chi dice che un passante gli scagliò contro una stecca di fazzolettini clinex con una tale furia da ucciderlo; chi dice che a forza di inseguire i sondaggi si sarebbe suicidato perché l'opinione pubblica lo voleva morto e che le opposizioni, a forza di copiarlo, si sarebbero suicidate appresso a lui... Egli si sarebbe ucciso alla maniera della sua tribù: sciogliendosi in una vasca di acido, e le opposizioni sciogliendosi in un ditale dello stesso liquido, tanto poco ne bastava.

Secondo un'altra leggenda invece, sarebbe stato catturato da un certo Cecchi Gori che lo avrebbe seviziato per ore e poi buttato in un fosso.

Poi ci fu la Ricostruzione, fino ad arrivare alla nostra èra denominata «Dalla merda nascono i fior», difficile ma fertile.

In realtà, è difficile da stabilire la durata esatta del regime che veniva chiamato «ventennio»: probabilmente per assonanza con un periodo storico precedente, di cui però non ci è arrivata nessuna traccia. La difficoltà nella datazione è dovuta principalmente al fatto che all'epoca si utilizzava un calendario chiamato «palinsesto», a noi ignoto. Per cui, alcune testimonianze vengono fatte risalire alla 47esima edizione del Festival di Sanremo; altre, al periodo blu del Maurizio Costanzo Show: tutti riferimenti per noi oggi privi di ogni significato. Non si sa quindi, quando il regime cominciò. C'è chi associa l'inizio al cosiddetto periodo di Tangentopoli o del puf di Poggiolini; chi invece lo collega all'approvazione della legge Mammì. La prima volta che di una parola venne completamente stravolto il significato: non più legge come norma valida per tutti, ma legge come rimedio urgentissimo per un uomo solo, sempre lo stesso. Un controsenso: come dare uno schiaffo e chiamarlo epidemia.

Se sulle date ci sono tante controversie, c'è unanime accordo degli storici nell'individuazione delle ragioni che portarono all'avvento della dittatura.

Dopo Tangentopoli, infatti, le classi privilegiate non avevano più un referente politico che difendesse i loro interessi. I politici noti erano divenuti tutti impresentabili al grande pubblico e quando apparivano venivano accolti con sputi, sputacchi e, spesso, gesti crudeli: a volte venivano lanciate ai politici delle monetine senza dar loro il tempo di raccoglierle; altre volte, divenivano oggetto di insulti terribili. In questa stanza vedete conservato uno dei graffiti più violenti: «Possa un ippopotamo stanco sedersi sulle chiavi della tua macchina quando hai parcheggiato in seconda fila e sta per arrivare il vigile urbano».


Serviva dunque, per rappresentare gli interessi delle classi privilegiate, un candidato che fosse già popolare – perché le elezioni erano di lì a poco e c'era poco tempo per fare pubblicità – che non fosse ancora completamente sputtanato dagli scandali, ma sputtanabile. Quindi, anche ricattabile.

E fu allora che pare saltò fuori Lui, successivamente detto: l'Unto, il Pelato, il Nano, l'Orecchione, il Liftato, Quello-coi-tacchi-a-spillo, Doppiopettato, l'Amico-degli-amici, il Puffo, il Padrone, il Mister, l'Improbabile, il Buffone, il Cantante-di-crociera, il Costruttore-senza-portafoglio, il Massone, Impunità, il Mago-dei-prestanomi, il tupét-a-pennarello, il Cavaliere, il Ceaucescu-buono, il Piazzista, il Narratore-di-barzellette-fuori-luogo, il Duce, il Sorriso, l'Innominabile, nelle carceri Iddu (Iddu pensa solo a Iddu), per gli amici il Figuraccia. In tutti i modi, lo chiamavano all'ultimo pur di evitare di pronunciarne il nome, tanto era diventato insopportabile. Ed infatti il nome a noi non è arrivato: sappiamo solo che probabilmente terminava in «oni» per la gran quantità di rime e filastrocche, ché quelle, invece, ci sono giunte... eccome! E in questo museo ne troverete una ovunque vi giriate.


La prima cosa che fece arrivato al governo fu privar di senso tutte le parole, che caddero senza opporre resistenza una ad una. «Legge», lo vedete, è tra le prime. Dopo di essa caddero: «giornalista», «giornale», «verità», «senso», «logica», «storia», «Costituzione», «patto», «sogno». «Censura» divenne «difesa della linea editoriale», «scambi di favori sottobanco» divenne «ripresa del dialogo», «esercitare la critica» si diceva «demonizzare», «opportunismo» divenne «equilibrio», chi violava il diritto internazionale invadendo altri Paesi si chiamava «esportatore di Democrazia», «guerra» divenne «pace», la «tortura» si diceva «eccesso di pochi».

Mano a mano che i cittadini si accorgevano di quello che stava succedendo, cercarono di proteggere le parole minacciate usando i loro corpi come scudo. Ma era tardi: si aggrapparono alla parola «scuola» ma la scuola crollò; si aggrapparono alla parola «tribunale» ma crollò.

L'espressione «forza Italia» era ormai persa da tempo e con essa caddero anche «piazza», «sindacato», «istituzioni»; e poi «discorso», «antifascismo», «libertà», «pensioni», «Democrazia», «socialismo», «giustizia», «dialogo», «Milano», «informazione», «intervista».

In breve, rimasero soltanto le parole: «pizza», «bancomat», i giorni della settimana e poche altre. Poche per fare una conversazione e poche anche per formulare le richieste più elementari.

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Pagina 46

Ecco, parlavamo della parola «votare». Che senso ha? Non per dire che uno non debba votare, per carità, ma magari non finisce là il nostro compito. Non possiamo mai votare uno che ci scegliamo noi: dobbiamo per forza votare uno scelto dagli altri politici che di solito, tra l'altro, è un emerito sconosciuto e infatti se lo incontri per strada ti dice: «Lei non sa chi sono io!». E mai frase è stata più vera di questa. Se capita che emerga uno dal popolo, anche a sinistra cercano di farlo fuori in tutti i modi...


Massimo D'Alema.

Francamente basta con questa mania di volere sempre cercare un leader! Basta, ce l'avete un leader! È anche maleducazione, basta! Poi ci sono le mode: due anni fa tutti che volevano Cofferati. Ma non si può! Quante volte ve lo devo dire? Mettere un leader di sinistra a capo di uno schieramento di sinistra: sarebbe una forzatura, la gente non capirebbe. Non si può, basta. Basta! Purtroppo a sinistra c'è questa grande tradizione: tutti quanti che vogliono partecipare, tutti quanti che vogliono avere delle idee. Ma se le idee non ce le ho io, perché dovreste averle voi? Basta! Tutti che vogliono parlare e mettere bocca: lasciate fare la politica ai professionisti. E «perché ci siamo alleati con una lista in cui dentro c'è Cirino Pomicino (16): non sono affari vostri. L'abbiamo preso perché era in saldo. Punto. La politica è una cosa complessa: Rutelli, Boselli, Fassino, Pomicino... Gioco a 4 punte, diciamo. Strategie complicate. Non vi impicciate, non vi impicciate! Basta con queste critiche continue! Tutte le volte che appaio in pubblico tutti quanti mi chiedono di fare l'autocritica. Ma l'abbiamo fatta l'autocritica! Basta! Bisogna andare avanti. Bisogna dimenticare il passato. Altrimenti come facciamo a rifare le stesse identiche cose qualora eventualmente tornassimo al governo se state sempre lì a tornarci sopra? È uno spreco di energie. Poi l'abbiamo fatta l'autocritica, l'abbiamo fatta sulle cose importanti. Io l'ho detto, per esempio: «Forse sono stati commessi alcuni errori. Abbiamo costruito Telecom in Serbia e poi l'abbiamo bombardata: sarebbe stato meglio l'inverso» e l'ho detto. E stato lacerante ammetterlo, ma l'ho detto. Basta! «E perché non avete fatto la legge sul conflitto di interessi dopo cinque anni che siete stati al governo?» Ma io sono l'unico che sul conflitto di interessi ha fatto un discorso politicamente ineccepibile. Io sono l'unico che è andato da Silvio Berlusconi e gli ha detto: «Silvio Berlusconi, il conflitto di interessi è tuo: risolvitelo da te!». Geniale! Non se ne può più! Basta! Non se ne può più! Ormai sono diventato un capro espiatorio. Mi accusano di qualsiasi cosa: anche di cinismo vengo accusato. Ma io non sono cinico, non so come convincervi, che devo dire?! Ve lo assicuro, lo vedo anch'io che ci sono tanti problemi al mondo: la fame, le guerre, la scuola, i giovani, il lavoro. Il buco nell'ozono, lo vedo, lo so. Il fatto che gli italiani si stanno impoverendo che è una cosa che mi dispiace moltissimo. Vi assicuro che capita anche a me di pensare: «Forse bisognerebbe fare qualcosa». Ci penso. Naturalmente, non ci penso come vorrebbero alcuni, mentre sto facendo politica, perché mentre sto facendo politica evidentemente sono già occupato. Ma quando sono in barca a vela, per esempio, ci penso. Spesso. Quando sono al timone e c'è un po' di venticello, ci penso. Ci penso anche in prima persona: «Forse potrei fare qualcosa...». A volte anche con un braccio solo: «Forse potrei fare qualcosa...». Poi, è chiaro che quando mi dicono che il pranzo è pronto, però, smetto di pensarci. Perché questa è la vacanza e la politica è un'altra cosa.

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Pagina 58

Ma magari fossimo nel futuro, no? Secondo me, se mai ci arriveremo al futuro, le cose cambieranno per forza: i monopoli saranno proibiti, la corruzione sarà punita severamente, anche il terrorismo verrà considerato per quello che è. Perché non si può fare più un discorso critico sul terrorismo? Il terrorismo è un fenomeno che non è di adesso: esiste ormai da qualche secolo. Perché dobbiamo prendere per buono il fatto che ci siano delle persone allo stesso tempo così intelligenti da eludere tutti i servizi segreti (che sanno anche quanti peli abbiamo nel naso e di loro invece non sanno niente) e allo stesso tempo così cretine da non capire che favoriscono sempre il nemico che pretendono di combattere? A volte con gli anni si trovano addirittura le prove che gli attentati terroristici sono stati organizzati dai suoi presunti nemici.

Hitler per esempio, la prima cosa che ha fatto quando ha vinto le elezioni è stato organizzare un attentato terroristico per incolpare le opposizioni e metterle fuori legge; è chiaro che quello che ha eseguito materialmente l'attentato, il cretino, era sincero. Quello che ha dato fuoco al Parlamento, al Reichstag, pensava di fare un atto politico importante. Non sapeva che insieme a lui c'erano altre nove persone che davano fuoco allo stesso palazzo che altrimenti non si sarebbe mai incendiato. Ma anche senza arrivare a questo, che ci vuole a infiltrare un gruppo di terroristi? Niente. Che ci vuole a manipolare dei terroristi?

Anche in Spagna, la prima cosa a cui hanno pensato quando c'è stato l'attentato, con i morti ancora caldi per le strade,è stato: come approffittarne, come strumentalizzarlo meglio. Certo lì si sono allargati un po' troppo accusando l'Eta, se si fossero limitati a esprimere cordoglio per le vittime avrebbero probanilmente vinto le elezioni. Invece hanno voluto strafare. L'hanno sparata un po' troppo grossa, la gente si è arrabiata e non li ha votati. Avete visto, tra l'altro, che shock ha causato nei nostri politici l'idea che per una sola bugia si possano perdere le elezioni? Stanno là che ancora tremano. C'è Berlusconi che ha continuato a ripetere lui da solo al mondo che era stata l'ETA (forse gliel'aveva suggerita lui ad Aznar, la battuta).

Negli Stati Uniti è vero che Kerry aveva Bruce Sprigsteen ed Eminem, ma Bush ha avuto un bello spottone di Bin Laden che ha fatto il suo bell'effetto.

In Italia le elezioni sono sempre state condizionate dal terrorismo. Ora, appena ci sono un po' di fermenti, un po' di movimenti, un po' di scioperi, ce lo annunciano in anticipo: «Attenzione, che così facendo, state facendo tornare le nuove BR!». E questi terroristi sempre più improbabili, sempre più sgrammaticati che scrivono questi comunicati lunghi 120 pagine, ogni frase è lunga 350 parole, e ogni parola è lunga 385 lettere. Sono attentati alla sintassi prima di tutto, no? Però non si possono discutere. Uno legge:

«È ormai giunto il momento della rivoluzionarizzazione/rivoluzionamento. Le classi sottoproletariche, private della possibilità mutuistica di siliconamento, che le rende più rugose e meno turgide dei porcizzanti sfruttatori multiproprietari. Unita alla scomparizzazione della classe operaia e sostituita dalle commesse dell'intimissimo e all'aberrante aumentizzazione del tram e alla macellarizzazione dei polli indiscriminatamente virusizati secondo la ben nota logica: uovo-gallina-plusuovo; all'ingiusta divisione ingiusta degli articoli in «lo», «li», «le», volta a manicomizzare gli studenti più sensibili; all'assuefamento alle droghe di cui lo Stato-padrone-controllore-del-tram si arricchisce nella contraddizione: "Carcere per chi fuma spinelli e seggi in Parlamento per cocainomani!"».


Voglio dire, un ragionamento su cui si può anche – in parte – essere d'accordo; l'unica cosa che non si capisce è come a conclusione di questo ragionamento tu possa uccidere chicchessia, tra l'altro uccidono sempre uno che è non minimamente responsabile di nemmeno mezza delle 3700 presunte ingiustizie. Ma, non si possono fare domande. Però non si possono fare domande quando c'è un attentato terroristico, si può fare solo della retorica, ogni altra considerazione viene considerata scellarata, tradimento. D'altra parte, il terrorismo serve proprio a questo: a non far fare domande. Come la guerra. Hanno la stessa funzione. Ecco per esempio finché si può, un'altra domanda sulla guerra la farei, anche se può sembrare una curiosità un po' superficiale. Mi domando quali altre scuse troveranno per andare avanti con le guerre nonostante i risultati inequivocabilmente disastrosi che abbiamo tutti sotto gli occhi. Magari continuano con le armi di distruzione di massa con la faccia come il culo che si ritrovamo: «Secondo noi ora sono là», «no, c'eravamo sbagliati sono là»...

Chi lo sa? Adesso che in Iraq è andata come è andata e che, tra l'altro, al Pentagono è arrivato un fascicolo alto così in cui si spiega dettagliatamente che le variazioni climatiche dovute al buco nell'ozono sono infinitamente più pericolose del terrorismo e su questo bisognerebbe concentrarsi, in questo contesto, mi domando cosa si inventeranno per giustificare la prossima guerra? Non so cosa ci racconteranno ma sono quasi sicura che a noi ce lo racconterà Vespa.

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Pagina 73

Schede di approfondimento
di Marco Lillo

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Pagina 75

1
[...] Il premier, invece, si arricchiva ogni giorno di più. In soli due anni le sue aziende crebbero del +71% mentre il resto del Paese cresceva dello 0,1% [...].


Aveva promesso di risolvere il problema in cento giorni. Ci sono voluti invece 1153 giorni per partorire la legge Frattini, approvata il 14 luglio del 2004, grazie alla quale Silvio Berlusconi potrà continuare a fare il presidente del Consiglio e potrà continuare ad essere proprietario di Mediaset (televisioni), Mediolanum (banca e assicurazione), Mondadori (libri, radio e giornali), oltre che del Milan e di tutte le altre società che possiede o sta pensando di comprare. Dovrà solo rinunciare alle cariche operative, affidate a familiari e collaboratori.

La legge affida all'Autorità Antitrust il compito di vigilare sull'operato di Berlusconi. I suoi membri dovrebbero intervenire se scoprissero favori del governo alle aziende del premier. La legge impone come requisiti per i consiglieri dell'Autorità la «notoria indipendenza» e una «alta e riconosciuta professionalità». I presidenti delle Camere Pera e Casini, nel dicembre del 2004, non sono riusciti a trovare altri che Giorgio Guazzaloca e Antonio Pilati. Guazzaloca ha fatto prima il macellaio, poi il capo dei commercianti a Bologna, e infine il sindaco per il Polo. Non sa nulla di Antitrust ma è dell'area giusta. Antonio Pilati è invece un tecnico. Ma dicono sia stato l'ispiratore della legge Gasparri ed è considerato vicino a Forza Italia. Questi sono gli arbitri che, in caso di provvedimento favorevole alle aziende del presidente, dovrebbero fischiare il fallo. In realtà esiste anche un secondo arbitro: il Parlamento che potrà emanare un verdetto di censura politica. Un'ipotesi che, evidentemente, terrorizza un tipo come Berlusconi, che non ha mai perso il sorriso dopo un messaggio del presidente della Repubblica, una legge bocciata dalla Corte Costituzionale, un altro paio rimandate al mittente dal capo dello Stato più un paio di censure del Parlamento Europeo e dell'Ocse.

Berlusconi continuerà a confondere affari personali e compiti istituzionali. Come un daltonico di fronte al rosso e al nero, semplicemente non li distingue. Prendiamo il caso della Rai. Nel 2001 aveva garantito la nomina del Cda solo dopo la regolamentazione del conflitto di interessi: se ne sono susseguiti due (Baldassarre e Annunziata) senza che la legge fosse approvata.

Berlusconi aveva promesso di non spostare una pianta in Rai e siamo arrivati ai diktat del premier contro Biagi, Santoro e Luttazzi e poi alla Rai unilaterale, con un Consiglio interamente nelle mani della maggioranza. Il Cavaliere aveva giurato che si sarebbe alzato ogni volta che in Consiglio dei Ministri fosse stata in discussione una questione legata ai suoi affari. E stavolta è stato di parola. Sempre più spesso Berlusconi si alza, esce da Palazzo Chigi, svolta per via del Corso e s'infila in via del Plebiscito, la sua dimora romana. Le riunioni sui temi che lo riguardano, come la Rai e la giustizia, si svolgono a casa sua. Il 26 febbraio del 2003 i primi nomi dei consiglieri Rai sono usciti da un vertice a casa Berlusconi. Qualcosa però non tornava: le stanze di Palazzo Chigi, con tutto quello che il leader di Forza Italia ha speso in mobili del seicento inglese, restano inutilizzate. Ed ecco il secondo colpo di genio: a Palazzo Chigi, Berlusconi tiene gli incontri privati. Il 12 febbraio del 2002 per esempio, quando è arrivato in Italia il suo vecchio amico Rupert Murdoch, il Cavaliere lo ha ricevuto assieme al figlio Piersilvio e a Fedele Confalonieri negli uffici presidenziali.

In questi tre anni e mezzo, i conflitti di interessi si sono moltiplicati in un gioco di specchi che disorienta. Nelle prossime pagine proveremo a farne una mappa necessariamente inesatta (per difetto).

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