Copertina
Autore Mohsin Hamid
Titolo Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente
EdizioneEinaudi, Torino, 2013, Supercoralli , pag. 154, cop.ril.sov., dim. 14x22x1,5 cm , Isbn 978-88-06-21577-4
OriginaleHow to Get Filthy Rich in Rising Asia [2013]
TraduttoreNorman Gobetti
LettoreRenato di Stefano, 2013
Classe narrativa pakistana
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


  3  Uno. Trasferisciti in città

 13  Due. Fatti una cultura

 25  Tre. Non innamorarti

 38  Quattro. Evita gli idealisti

 51  Cinque. Impara da un maestro

 64  Sei. Mettiti in proprio

 78  Sette. Tieniti pronto a ricorrere alla violenza

 91  Otto. Fatti amico un burocrate

104  Nove. Associati agli artisti della guerra

117  Dieci. Balla col debito

131  Undici. Concentrati sui fondamentali

142  Dodici. Prepara una strategia d'uscita


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 3

Uno

Trasferisciti in città


Senti, a meno che tu non ne stia scrivendo uno, un libro di autoaiuto è un ossimoro. Se leggi un libro di autoaiuto è per farti aiutare da uno che non sei tu, ovverosia l'autore. Questo vale per l'intero genere dell'autoaiuto. Vale per i manuali di istruzioni, ad esempio. E vale per i libri sulla crescita personale. Secondo alcuni vale anche per i libri di religione. Ma secondo altri chi dice cosí dovrebbe essere inchiodato a terra e lasciato li a dissanguarsi pian piano con la gola squarciata. Perciò, riguardo a tale sottocategoria, è piú saggio limitarsi a constatare una divergenza di vedute e passare rapidamente oltre.

Quanto sopra non significa che i libri di autoaiuto siano inutili. Al contrario, possono essere molto utili. Però significa che nell'ambito dell'autoaiuto il concetto di auto- ha qualcosa di infido, di scivoloso. E scivolare può essere positivo. Scivolare può essere piacevole. Scivolare significa entrare senza attrito, altrimenti sarebbe ben piú sgradevole.

Questo libro è un libro di autoaiuto. Il suo scopo, come dice il titolo, è mostrarti come diventare ricco sfondato nell'Asia emergente. E per far questo deve venirti a cercare, una mattina fredda e umida di rugiada, rannicchiato e tremante sulla terra battuta sotto la branda di tua madre. La tua angoscia è l'angoscia di un bambino il cui cioccolato è stato buttato via, i cui telecomandi hanno le batterie scariche, il cui monopattino è rotto, le cui scarpe da ginnastica nuove sono state rubate. Cosa ancor piú notevole perché in vita tua non hai mai visto nessuna di queste cose.

Il bianco dei tuoi occhi è giallo, una conseguenza del vertiginoso tasso di bilirubina che hai nel sangue. Il virus che hai contratto si chiama epatite E. Solitamente trasmesso per via oro-fecale. Mmm, che delizia. Uccide solo una persona su cinquanta, perciò è probabile che tu guarisca. Ora come ora, però, ti senti in punto di morte.

Tua madre si è trovata molte volte in questa situazione, o comunque in situazioni simili. Quindi forse non pensa che sei in punto di morte. O forse invece sí. Forse lo teme. Tutti sono destinati a morire e, quando una madre come la tua vede nel suo terzogenito il dolore che ti fa piagnucolare sotto la sua branda nel modo in cui stai piagnucolando tu, forse sente la tua morte arrivare in anticipo di qualche decennio, si toglie il velo scuro e polveroso con un gesto intimo, i capelli scoperti e un sorriso lascivo, ricorre a questo, nell'unica stanza con le pareti di fango dove vive insieme a tutti i figli sopravvissuti.

Quel che dice è: — Non lasciarci qui.

Tuo padre l'ha già sentita, questa sua richiesta. Il che però non lo rende del tutto insensibile. È un uomo dai voraci appetiti sessuali, e quando è via pensa spesso ai seni pesanti e alle cosce sode e generose di tua madre, e desidererebbe ancora penetrarla ogni notte, invece che solo le tre o quattro volte all'anno in cui vi viene a trovare. Apprezza anche il suo senso dell'umorismo insolitamente salace, e talvolta anche la sua compagnia. E, sebbene non sia uso alle dimostrazioni d'affetto nei confronti dei figli, gli piacerebbe veder crescere te, tuo fratello e tua sorella. Del resto suo padre traeva un gran piacere dai quotidiani progressi delle colture nei campi, e in questo, almeno nei limiti in cui l'agricoltura può essere paragonata alla maturazione dei bambini, i due uomini si somigliano.

Lui dice: — Non mi posso permettere di portarvi in città.

— Possiamo stare con te negli alloggi.

— In stanza con me c'è l'autista. È uno stronzo che si masturba, fuma in continuazione e scoreggia. Negli alloggi non ci sono famiglie.

— Adesso ne guadagni diecimila. Non sei povero.

— In città con diecimila sei povero.

Si alza ed esce. Lo segui con gli occhi, i sandali di cuoio slacciati dietro, i lacci che svolazzano, i talloni callosi, screpolati, duri come il guscio di un crostaceo. Varca la soglia ed esce nel cortile al centro del compound della tua famiglia allargata. Difficile che si trattenga lí a contemplare l'unico albero ombroso, che d'estate offre conforto, ma adesso, in primavera, è ancora spoglio e ispido. Piú probabile che esca dal compound e si spinga fino al dosso dietro cui va di solito a defecare, acquattandosi e spingendo forte per espellere il contenuto del colon. Può darsi che sia solo, può darsi di no.

A fianco del dosso c'è un imponente canale di scolo, profondo quanto è alto un uomo, e sul fondo del canale scorre appena un rivolo d'acqua. In questa stagione le due cose fanno contrasto, come un recluso scheletrico di un campo di concentramento con addosso la casacca di un pasticcere obeso. Solo per un breve momento, durante il monsone, il canale si riempie quasi del tutto, e anche questo succede meno che in passato, a causa della sempre maggiore variabilità delle correnti atmosferiche.

Le persone del tuo villaggio fanno i propri bisogni a valle del posto dove lavano i vestiti, che a sua volta si trova a valle di dove bevono. Un po' piú a monte, nel villaggio prima del tuo, fanno la stessa cosa. Ancora piú a monte, dove sgorga dalle colline sotto forma di torrente talvolta in piena, l'acqua viene in parte sfruttata per i processi produttivi di un vecchio stabilimento tessile rugginoso e sottodimensionato, e in parte funge da scarico per il fetido deflusso grigio che ne fuoriesce.

Tuo padre fa il cuoco ma, sebbene sia abbastanza bravo nel suo mestiere e provenga dalla campagna, non è che badi tanto alla freschezza o alla qualità degli ingredienti. Per lui cucinare è una questione di spezie e olio. Il suo cibo brucia la lingua e ostruisce le arterie. Quando qui si guarda intorno, non vede foglie spinose e piccole bacche irsute per comporre un'insalata estrosa, spighe di grano dorate per una paradisiaca sfoglia di pane di frumento macinato a pietra cotta sulla piastra. Vede piuttosto singole unità di una fatica che spacca la schiena. Vede ore e giorni e settimane e anni. Vede le sfacchinate per mezzo delle quali i contadini scambiano la propria quota di tempo in questo mondo con un'altra quota di tempo in questo mondo. Qui, nel profumo inebriante della dispensa della natura, tuo padre sente puzza di mortalità.

Quasi tutti gli uomini del villaggio che adesso vivono in città tornano per la mietitura. Ma adesso è ancora troppo presto. Tuo padre è qui in ferie. Nondimeno capita che passi le mattinate insieme ai fratelli a tagliare erba e trifoglio per il foraggio. Anche in questo caso si acquatterà, ma questa volta col falcetto in mano, ripetendo all'infinito i soliti movimenti — agguanta-taglia-molla-avanza — finché il sole continuerà a percorrere la sua parabola ascendente nel cielo.

Al suo fianco, un'unica strada sterrata solca i campi. Se il padrone e i suoi figli dovessero transitare a bordo del loro SUV, tuo padre e i suoi fratelli si porterebbero le mani alla fronte, si chinerebbero di piú e distoglierebbero gli occhi. Da queste parti incrociare lo sguardo di un padrone è un rischio, da secoli, forse dal principio della storia. Di recente alcuni uomini hanno cominciato a farlo. Ma loro hanno la barba e si guadagnano da vivere nei collegi religiosi. Camminano a testa alta e petto in fuori. Tuo padre non è uno di loro. Anzi, quegli uomini non gli piacciono cosí come non gli piacciono i padroni, e per gli stessi motivi. Li trova dispotici e pigri.

Disteso sul fianco con un orecchio sulla terra battuta, dalla tua prospettiva ad altezza verme eretto osservi tua madre che segue tuo padre in cortile. Dà da mangiare alla bufala legata, gettando in una mangiatoia di legno il foraggio tagliato il giorno prima misto a paglia, e mentre la bestia mangia lei la munge, e gli schizzi di latte battono forte nel secchio di lamiera. Quando ha finito, i bambini del compound, tuoi fratelli e cugini, portano fuori a pascolare la bufala, il suo vitello e le capre. Senti il sibilo dei rami scortecciati che tengono in mano, poi spariscono.

Poco dopo dal compound escono le tue zie, sulla testa vasi d'argilla per l'acqua e in mano sapone e vestiti da lavare. Queste sono incombenze sociali. Il compito di tua madre, invece, è solitario. Lei da sola, loro insieme. Non è un caso. È acquattata come probabilmente è acquattato tuo padre, in mano una ramazza senza manico invece del falcetto, e il suo spazza-spazza-avanza non è molto diverso dai movimenti di lui. La posizione acquattata fa risparmiare energie, è meglio per la schiena e dunque ergonomica, e non è dolorosa. Ma dopo ore e giorni e settimane e anni la sua lieve scomodità echeggia nella mente come urla soffocate da una camera di tortura sotterranea. La si può sopportare all'infinito, purché non ci si faccia caso.

Tua madre pulisce il cortile sotto lo sguardo della suocera. La vecchia siede all'ombra, un angolo dello scialle stretto fra le labbra, non per velare seducenti attributi fisici ma per celare la mancanza di denti, e la guarda con implacabile disapprovazione. Nel compound tua madre è considerata vanitosa, arrogante e testarda, e queste accuse le bruciano, perché sono tutte vere. Tua nonna dice a tua madre che ha saltato un punto del cortile. Poiché è sdentata e ha quella stoffa in bocca, le sue parole suonano come una specie di sputo.

Tua madre e tua nonna si aspettano reciprocamente al varco. La piú vecchia aspetta che la piú giovane invecchi, la piú giovane aspetta che la piú vecchia muoia. È un gioco che per forza di cose vinceranno entrambe. Nel frattempo, tua nonna quando può esibisce la propria autorità, e tua madre esibisce il proprio vigore. Le altre donne del compound avrebbero paura di tua madre, se non fosse per la rassicurante esistenza degli uomini. In una società tutta femminile, con ogni probabilità tua madre diventerebbe regina, uno scettro insanguinato in mano e crani sfondati sotto i piedi. Qui il massimo che è riuscita a ottenere è che le vengano risparmiate gravi provocazioni. Considerato quant'è lontana dal proprio villaggio, non è una vittoria da poco.

Il non detto fra tua madre e tuo padre è che lui, con diecimila al mese, potrebbe, seppure a stento, permettersi di portare in città tua madre e voi bambini. Sarebbe dura, ma non impossibile. Al momento riesce a mandare la maggior parte dello stipendio al villaggio, dove viene spartito fra tua madre e il resto del clan. Se lei e voi bambini vi trasferiste da lui, il flusso di denaro si assottiglierebbe fino a un rivolo, ingrossandosi come l'acqua nel canale solo nei due mesi delle feste, quando esiste l'eventualità di una gratifica, sempre che non ci siano debiti da saldare.

Osservi tua madre che taglia un lungo ravanello bianco e lo mette a bollire sul fuoco. Il sole ha asciugato la rugiada e anche tu, che non stai bene, non hai piú freddo. Però ti senti debole, e hai un dolore allo stomaco come se un parassita ti stesse divorando dall'interno. Cosí non opponi resistenza quando tua madre ti solleva la testa da terra e ti mette in bocca una cucchiaiata di quel suo rimedio casalingo. Puzza di rutto, come i gas dalla pancia di un uomo. Ti fa venire il voltastomaco. Ma dentro non hai niente da vomitare, e lo bevi senza incidenti.

Dopo, mentre giaci immobile, bambino di campagna piccolo e itterico, con il succo di ravanello che ti cola dall'angolo della bocca formando nel terreno una piccola pozza di fango, forse diventare ricco sfondato ti sembra al di là della tua portata. Ma abbi fede. Non sei inerme come sembra. Il tuo momento sta per arrivare. Sí, questo libro ti sta per offrire una scelta.

Il momento decisivo arriva qualche ora dopo. Il sole è tramontato e tua madre ti ha trasferito sulla branda, dove giaci avvolto in una coperta anche se la serata è mite. Gli uomini sono tornati dai campi, e la famiglia, tutti eccetto te, ha mangiato insieme nel cortile. Oltre la soglia senti il gorgogliare di un narghilé e vedi il bagliore dei tizzoni mentre uno dei tuoi zii aspira.

I tuoi genitori incombono su di te, e ti guardano. Domani tuo padre tornerà in città. Sta pensando.

— Starai bene? — ti chiede.

È la prima domanda che ti fa da quando è arrivato, forse la prima frase che ti rivolge da mesi. Tu soffri e sei spaventato. Perciò la risposta ovviamente è no.

Eppure dici: — Sí.

E prendi in mano il tuo destino.

Tuo padre riflette su quello che hai borbottato con voce rauca e annuisce. Dice a tua madre: — E un bambino forte. Questo qui.

Lei dice: — È molto forte.

Non saprai mai se è stata la tua risposta a far cambiare a tuo padre la sua risposta. Ma quella notte dice a tua madre di aver deciso che lei e voi figli lo raggiungerete in città.

Suggellano il patto con il sesso. Nel villaggio l'accoppiamento è un atto privato solo quando ha luogo nei campi. Fra quattro mura, nessuna coppia ha una stanza tutta per sé. I tuoi genitori dividono la loro con tutt'e tre i figli sopravvissuti. Ma è buio, perciò si vede poco. Inoltre, tua madre e tuo padre rimangono quasi del tutto vestiti. In vita loro non si sono mai spogliati nudi per copulare.

In ginocchio, tuo padre si slega il cordoncino dei calzoni larghi. Sdraiata con la pancia a terra, tua madre ruota sul bacino e fa lo stesso. Allunga un braccio all'indietro per prenderglielo in mano, un gesto sicuro e diretto non dissimile da quello con cui la mattina ha munto la bufala, ma lo trova già pronto. Si mette a quattro zampe. Lui le entra dentro, tenendosi su con una mano e usando l'altra sul seno di lei, alternativamente per accarezzarlo e come appiglio quando si spinge in avanti. Si sforzano di non fare troppo rumore, ma i forti gemiti, l'impatto della carne sulla carne, la respirazione affannosa e la suzione idraulica si sentono lo stesso. Tu, tuo fratello e tua sorella dormite o fingete di dormire finché non hanno finito. Poi vengono a sdraiarsi anche loro sulla branda di tua madre, esausti, e nel giro di qualche istante sono già persi nei loro sogni. Tua madre russa.

Un mese dopo sei in condizioni di poter viaggiare con tuo fratello e tua sorella sul tetto del pullman stracolmo che porta in città la tua famiglia e una sessantina di altre persone ammassate una sull'altra. Se si ribaltasse mentre procede lungo la strada sbandando e zigzagando, in una folle competizione con altri rivali altrettanto gremiti per chi riuscirà a raccattare ulteriori gruppi di aspiranti passeggeri, le probabilità di lasciarci le penne o almeno qualche arto sarebbero estremamente alte. Cose simili accadono spesso, anche se non altrettanto spesso di quanto non accadono. Ma oggi è il tuo giorno fortunato.

Aggrappato a corde che piú o meno riescono a tenere legati i bagagli al veicolo, percepisci il trascorrere del tempo in un modo che eccede di gran lunga il suo equivalente cronologico. Cosí come, mentre puntate verso le montagne, un rapido mutare di altitudine ti scaraventa dalla giungla subtropicale alla tundra semiartica, allo stesso modo alcune ore su un pullman che passa dall'isolamento rurale alla centralità urbana sembrano abbracciare millenni.

In cima a questo mezzo di trasporto che sbanda a destra e sputa un fumo nero come inchiostro, contempli tali metamorfosi con timore reverenziale. Le strade sterrate lasciano il posto a quelle asfaltate, le buche si fanno meno frequenti e poi quasi svaniscono, e la corsa suicida dei veicoli in avvicinamento si placa, rimpiazzata dalla pace forzosa della doppia carreggiata. L'elettricità fa la sua comparsa, dapprima in modo saltuario quando scivoli sotto una sfilza di ciclopi d'acciaio ad alto voltaggio, poi sotto forma di cavi che corrono all'altezza dei tuoi occhi su entrambi i lati della strada, e infine nei lampioni e nelle insegne dei negozi e negli stupefacenti cartelloni pubblicitari. Gli edifici passano dal fango ai mattoni al calcestruzzo, per poi svettare all'inimmaginabile altezza di quattro piani, o addirittura cinque.

A ogni successiva sorpresa pensi di essere ormai arrivato, che di sicuro ad attenderti non può esserci nulla di ancora piú sorprendente, e ogni volta scopri di esserti sbagliato, finché non smetti di pensare e ti arrendi alle successive visioni che si abbattono su di te come gli scrosci di pioggia che durante il monsone si susseguono apparentemente senza fine, cioè senza fine finché all'improvviso non finiscono, e il pullman si ferma con un sobbalzo e tu ti trovi finalmente, irrevocabilmente in città.

Mentre scendete, tu, i tuoi genitori, tuo fratello e tua sorella incarnate una delle grandi trasformazioni del vostro tempo. Laddove in passato il vostro clan era innumerevole, non infinito ma composto da un numero di persone cosí grande da non poter essere calcolato all'istante, adesso siete in cinque. Cinque. Le dita di una mano, le dita di un piede, un'aggregazione minuscola rispetto ai banchi di pesci o agli stormi di uccelli o anche alle tribú di umani. Nella storia dell'evoluzione della famiglia, voi e i milioni di altri migranti come voi rappresentate una continua proliferazione del modello nucleare. È un cambiamento epocale, l'indebolirsi dei soffocanti legami di reti relazionali estese che fornivano sostegno e stabilità, e l'affermarsi dell'insicurezza, dell'ansia, della produttività e delle potenzialità.

Trasferirsi in città è il primo passo per diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente. E adesso l'hai compiuto. Congratulazioni. Tua sorella si gira a guardarti. La sua mano sinistra tiene l'enorme fagotto di vestiti e beni vari in equilibrio sopra la testa. La mano destra stringe il manico di una valigia crepata e malconcia, probabilmente buttata via dal proprietario al tempo in cui è nato tuo padre. Ti sorride e tu ricambi il sorriso, i vostri visi piccoli ovali familiari in un mondo altrimenti irriconoscibile. Pensi che tua sorella stia cercando di rassicurarti. Non ti viene in mente, giovane come sei, che sia lei ad aver bisogno di rassicurazione, che si rivolga a te non per confortarti, ma piuttosto per il conforto che tu, il fratellino appena guarito, sei in grado di offrirle in quel momento di fragile vulnerabilità.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

Due

Fatti una cultura


È straordinario quanti libri ricadano nella categoria dell'autoaiuto. Perché, ad esempio, perseveri nel leggere quel romanzo straniero tanto osannato e straordinariamente noioso, perché ti ostini ad arrancare pagina dopo pagina dopo pagina supplicando che quella prosa bituminosa e quell'imbarazzante formalismo abbiano presto fine, se non per l'impulso di comprendere terre lontane che a causa della globalizzazione incidono sempre piú sulla vita nel tuo paese? Cos'è in fondo questo tuo impulso se non un desiderio di autoaiuto?

E che dire degli altri romanzi, quelli che ti piacciono davvero e che leggi con avidità per motivi legati alla trama, alla lingua, al messaggio o alle frequenti scene di sesso esplicite e gratuite? Anche quelli in un certo senso sono libri di autoaiuto. Come minimo ti aiutano a passare il tempo, e il tempo è la materia di cui è fatto il nostro io. Lo stesso vale per la saggistica narrativa, e ancor piú per la saggistica non narrativa.

In pratica, si potrebbe dire, tutti i libri, uno per uno, ogni libro mai scritto, vengono offerti al lettore come una forma di autoaiuto. I libri di testo, da brave puttane, sono particolarmente espliciti nel riconoscerlo, ed è con un libro di testo che tu, in questo momento, dopo diversi anni in città, stai camminando per strada.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 48

Nei mesi a venire la sofferenza di tua madre è estrema, essendo le metastasi del cancro arrivate alle ossa e ai polmoni. Alla sofferenza si accompagna una trasformazione del suo aspetto e della sua personalità. È in preda alla paura, stupita sia dal proprio ostinato attaccamento alla vita sia dalla propria incapacità di immaginare una fine dignitosa. In mancanza delle moderne cure palliative, la sua morte è preceduta da dolori atroci, alleviati solo parzialmente nelle ultime due settimane dall'eroina acquistata per strada da tuo fratello e somministrata da tuo padre per mezzo di sigarette da donna sottili e con un lungo filtro, da cui tua madre cerca, rantolando, di inalare minuscoli tiri.

Tua sorella arriva dal villaggio per darle conforto. Nessuna delle due ha mai pensato che fosse lei la preferita di tua madre, onore che spetta a te, ma in quel momento è a tua sorella che le viene da rivolgersi, forse perché è la figlia piú grande, o perché sono entrambe donne, o perché è l'unica di voi tre ad avere figli a propria volta, e in lei tua madre percepisce degli echi della propria madre, che l'ultima volta che l'ha vista, quando lei era ancora piccola, aveva la stessa età che ha adesso tua sorella. Nel momento in cui cessa di vivere, tua sorella le sta tenendo le mani, e tua madre è come una neonata che si affanna per fare il primo respiro mentre passa dalla vita acquatica a quella terrestre, però al contrario, con i polmoni che si riempiono d'acqua e l'aria che non arriva piú.

Quando tu e gli uomini della tua famiglia portate sulle spalle verso la fossa polverosa della tomba il corpo avvolto nel sudario bianco, resti colpito da quanto è leggero. La rapidità del suo passaggio da un solido vigore a un'effimera fragilità è stata cosí sorprendente da sembrare magica. Vengono sparsi petali di rosa, vengono bruciati incensi, vengono rivolte suppliche alla divinità, e poi quelli di voi che vivono ancora tornano alla propria vita.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 142

Dodici

Prepara una strategia d'uscita


Questo libro, ormai lo devo ammettere, forse non è stata la migliore delle guide a come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente. Senza dubbio ti devo le mie scuse. Ma ormai è tardi, e le scuse da sole servono a poco. Molto piú utile sarebbe indirizzare la nostra attenzione verso le inevitabili strategie di uscita, mie e tue, considerando che, in questo esempio lungo una vita, la battaglia si vince quasi interamente nella preparazione.

Siamo tutti profughi dalla nostra infanzia. E cosí ci rivolgiamo, fra le altre cose, al racconto. Scrivere una storia, leggere una storia, significa rifuggire dalla condizione di profughi. Scrittori e lettori cercano una soluzione al problema del tempo che passa, al fatto che coloro che se ne sono andati se ne sono andati e coloro che se ne devono ancora andare, vale a dire ciascuno di noi, se ne andranno. Perché c'è stato un momento in cui tutto era possibile. E ci sarà un momento in cui niente sarà possibile. Ma nel frattempo possiamo creare.

Mentre tu crei questa storia e io creo questa storia, vorrei chiederti com'è andata. Vorrei chiederti della persona che ti teneva la mano quando la polvere ti entrava negli occhi o correva con te a cercare riparo dalla pioggia. Vorrei trattenermi un po' qui con te, oppure, se trattenersi ancora è impossibile, vorrei, col tuo permesso, andar oltre il mio «qui» nella tua creazione, cosí allettante per me, e cosí sconosciuta. Il fatto che non lo possa fare non mi impedisce di immaginarlo. Ed è strano ma, quando immagino, io sento. La capacità di empatia è una cosa bizzarra.

| << |  <  |