Autore Hugo Hamilton
Titolo Tra le pagine
EdizioneEinaudi, Torino, 2022, Stile Libero Big , pag. 274, cop.fle., dim. 13,5x21,6x1,6 cm , Isbn 978-88-06-25196-3
OriginaleThe Pages
TraduttoreMarco Rossari
LettoreGiorgia Pezzali, 2022
Classe narrativa irlandese , libri , biografie , paesi: Germania












 

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Pagina 3

1.


Eccomi qua, infilato in un bagaglio a mano, trasportato per l'area partenze dell'aeroporto Jfk. La proprietaria del bagaglio è una giovane donna che va sotto il nome di Lena Knecht. Sta per imbarcarsi su un volo per l'Europa. Mi porta a casa, per cosí dire. Di nuovo a Berlino, la città dove sono stato scritto. Dove quasi cento anni fa, nel 1924, sono stato stampato per la prima volta da una piccola casa editrice. Dove sono stato salvato dal fuoco nella notte del maggio 1933 in cui vennero messi al rogo i libri. La città da cui il mio autore scappò il giorno in cui Hitler salí al potere.

Il mio autore senza casa. Il mio scrittore inquieto, profugo, itinerante, apolide, sempre in fuga. Con la valigia sempre pronta. Che se la svignava per salvarsi la vita.

Il suo nome: Joseph Roth.

Il titolo: La ribellione.

Sono nato...

Sono venuto al mondo, diciamo, tra le due guerre. Sotto la Repubblica di Weimar: quella che chiamano la sala d'attesa tra la Prima guerra mondiale e la Seconda guerra mondiale. Tra quelli che all'inizio venivano considerati i campi dell'onore e poi sono diventati i campi della vergogna. Un'epoca di orfani e bambini poveri. Donne che facevano andare avanti le città mentre gli uomini cadevano in battaglia. Uomini sconfitti che tornavano a casa mutilati e avevano bisogno di aiuto per portarsi una birra alle labbra. Uomini che avevano incubi dove una mano in decomposizione spuntava dalla trincea ad afferrarli. Inverni gelidi che a loro sembravano il pugno di Dio in arrivo da est a spazzare via tutto. E la fame nell'espressione vacua di un guidatore di tram che sgranocchia una scatola di cioccolatini dimenticata li da un passeggero al ritorno dal cinema.

Un'epoca di privazioni e di glamour. Un'epoca di rivoluzioni. Emancipazione, cabaret: amore e arte senza regole.

Tutti facevano parte di un club. Tutti volevano appartenere a un club o a una qualche associazione: il club degli scacchi, il club del ballo, il club cinofilo, il club dei collezionisti di francobolli, il club dei coltivatori di orchidee. Le confraternite femminili. Le confraternite maschili. I circoli della caccia. I circoli dei bevitori. I circoli dell'umorismo. I circoli dei burloni che si sfidavano a vicenda per sembrare piú stupidi e mangiare troppo, oppure che provavano a pagare un passante per lasciarsi versare una bottiglia di vino nella tasca dei pantaloni.

Tutti facevano parte di una lega o di un sindacato. La Lega dei combattenti accecati. La Lega dei venditori di giornali. L'Associazione centrale degli orologiai tedeschi. La Lega dei macellai tedeschi. La Lega dei birrai tedeschi. La Lega tedesca degli affittuari di mense.

Tutti erano contro qualcosa. Tutti avevano un manifesto. A destra e a sinistra. Un'epoca di invidie e torti e circoli a numero chiuso. In cui un libro non era piú al sicuro. In cui Hitler stava già progettando di eliminare me e il mio autore, insieme a tutto il suo popolo.

Che cosa è il tempo per un libro?

Un libro ha tutto il tempo del mondo. La mia vita sugli scaffali è infinita. Il mio valore di seconda mano è modesto. Qualche collezionista appassionato potrebbe raccattarmi per un pugno di dollari su eBay e custodirmi come una specie in via d'estinzione. La ribellione: sono stato ristampato parecchie volte. Tradotto in tante lingue. Gli studiosi mi trovano in quasi tutte le biblioteche. Un paio di volte sono stato trasformato in un film.

Ma eccomi qua in persona, prima edizione, leggermente ciancicato e sbiadito. Leggibile come sempre. Un romanzo breve su un suonatore di organetto che ha perso una gamba nella Prima guerra mondiale. La copertina mostra la silhouette di un uomo con la gamba di legno che solleva una stampella, arrabbiato con la sua stessa ombra.

Lena, la mia attuale proprietaria, ha l'abitudine di gettare le sue cose nella borsa alla rinfusa: passaporto, borsellino, cellulare, trucco, medicine assortite, una paperella sfilacciata che si porta dietro fin dall'infanzia, insieme a un dolcetto smangiucchiato. Eccomi qua, ficcato in una sacca buia con gli altri passeggeri, tutti a sperare d'essere portati alla luce del sole non appena la mano si tuffa dentro alla cieca.

Di norma lei prende il cellulare. Come può un libro competere con un aggeggio tanto intelligente? C'è dentro tutta la sua vita. Tutti i suoi dettagli privati, le fotografie, le password, i messaggi intimi. Conosce la sua mente e modella le sue decisioni. Fa tutto quello che faceva un tempo un libro. Si comporta come un romanzo incompiuto, in continua evoluzione, cercando di indovinare le sue paure peggiori e i suoi sogni piú sfrenati.

Il padre di Lena era tedesco, ma non le parlava mai in quella lingua. Era un panettiere della Germania Est che era arrivato negli Stati Uniti dopo la caduta del Muro di Berlino e aveva ripudiato la lingua madre: non voleva farsi riconoscere come tedesco. Spesso si ritrovava le sopracciglia coperte di farina. Tornava a casa che ce le aveva tutte bianche. E le mani altrettanto infarinate, che gli davano l'aspetto di un fantasma, vivo e vegeto, la sua anima abbandonata in un Paese che non esiste piú. I genitori di Lena si sono separati quando lei aveva piú o meno dodici anni. Sua madre è tornata a vivere in Irlanda e Lena è rimasta con suo padre in un bilocale che puzza di lievito alla periferia di Filadelfia. Dove io sono stato infilato in una libreria accanto alla porta, intonso, abbandonato, finché non sono stato affidato a Lena una sera quando suo padre stava morendo di cancro. Con voce lenta, aggrappata all'accento di un Paese perduto, l'ha costretta a promettere che si sarebbe presa cura di me.

Custodisci questo libriccino come un fratello minore, ha detto.

Il passato è piú infantile del presente? La storia dev'essere mantenuta al sicuro come se fosse un membro di famiglia?

Sono stato un po' deturpato. C'è qualche nota a margine scritta dal mio precedente proprietario, un professore universitario ebreo di Letteratura tedesca della Humboldt a Berlino. Si chiamava David Glückstein. Ha disegnato una mappa su una pagina bianca in fondo. È piú simile a un diagramma: per metà mappa, per metà illustrazione. Non c'è scritto un luogo specifico. Raffigura un ponte sopra un ruscello. C'è un sentiero con una quercia e sotto una panchina. C'è un bosco su un lato del sentiero e una fattoria sull'altro. Le ombre proiettate dalle strutture della fattoria sono state disegnate di modo che per riconoscere il posto sarebbe necessario arrivare lí in quella stessa ora della giornata. È un ricordo intimo, disegnato per ricordare quando il professore è stato con la donna che amava e ha seppellito qualcosa di prezioso sotto una meridiana per impedire che cadesse nelle mani sbagliate.

Inutile a dirsi, la mappa non ha nulla a che vedere con me. Non fa parte della pubblicazione originale. L'unico scopo di un libro è vivere un altro giorno e raccontare la storia che gli ha assegnato l'autore. Nel mio caso, la storia di un uomo in disgrazia che suona un organetto a manovella.

Si potrebbe dire che sono fortunato a essere ancora vivo. La notte del rogo a Berlino, con una folla di spettatori raccolta nella piazza dell'Opera a guardare i libri che finivano in fumo, io in qualche modo sono riuscito a scamparla. Mentre tutte queste storie umane venivano sfigurate dalle fiamme e trasformate in fumo e cenere nel cielo notturno sopra la Biblioteca di Stato, il professore ha prefigurato il futuro e mi ha passato a un giovane studente perché mi portasse in salvo. Lo studente era il nonno di Lena Knecht. Lui mi ha nascosto sotto il cappotto. Ecco come mi sono salvato, per poi venire tramandato lungo tutta la famiglia finché non mi ha ereditato Lena, ecco perché lei ora è su un volo per Berlino: vuole scoprire dove porta quella mappa.

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Pagina 22

5.


La sera del rogo, nel maggio del 1933, pioveva. Uno scroscio improvviso minacciò di rovinare l'evento. Era troppo tardi per modificare un piano organizzato da settimane. Per gestire la serata era stata scelta un'azienda specializzata in spettacoli pirotecnici. Avevano montato una struttura di ceppi di legno a incastro nella piazza davanti all'Opera e l'avevano cosparsa di benzina. Sotto era stato deposto uno strato di sabbia per proteggere il manto stradale dal fuoco.

Nella Biblioteca di Stato, accanto al sito del rogo, arrivarono gli studenti a sbraitare i loro slogan, che riecheggiarono per i corridoi. Con sé avevano un elenco di libri sgraditi. La lista era stata stilata da un ex bibliotecario frustrato che aveva scoperto di riuscire a odiare i libri tanto quanto si poteva amarli. Il mio autore era sull'elenco. Ma a quel punto se l'era già svignata in Francia.

Tra gli scaffali, mentre i titoli venivano annunciati, serpeggiò un brivido di paura. Libri che si salutavano in fretta e furia mentre venivano infagottati con uno spago, pronti a essere trascinati fuori. Gli studenti lavoravano diligentemente, sfruttando le loro competenze per cercare nel catalogo i titoli da eliminare dal canone come se fossero denti marci, passandoseli di mano in mano in una catena umana che proseguiva fino al punto del rogo in mezzo alla piazza.

Incompatibili con gli interessi del Paese.

Gli studenti avevano un'aria trionfante. Era il loro momento. La loro vendetta sull'istruzione. Tutti quegli anni passati chini su un banco, costretti ad amare libri che detestavano. Basta con i libri: avevano il cuore e la mente rivolti a nuove infrastrutture, come l'autostrada. Questa era l'occasione di accantonare tutta la saggezza appresa e prendere parte a un glorioso gesto di autovandalismo. Ritornare a un'epoca precedente alla sapienza. Avere il diritto di non conoscere.

Disimparare tutto tranne lo spirito della nazione.

Mentre accadeva, in realtà, quella sera non mi trovavo in biblioteca. I libri del mio autore facevano parte del catalogo della Biblioteca di Stato, ma io appartenevo a un professore di Letteratura tedesca che si chiamava David Glückstein. Mi aveva portato con sé in una valigetta alla Humboldt dall'altra parte della piazza perché non era sicuro di quanto estremo sarebbe diventato quel ripulisti. Gli studenti avrebbero fatto irruzione anche nelle case altrui? Piú avanti si. Nel suo ufficio, il professore aveva organizzato un incontro con uno dei suoi studenti piú fidati, dove io passai di mano per essere messo al sicuro.

Il nome dello studente era Dieter Knecht, il nonno di Lena. Un giovanotto alto dalla voce dolce, piú portato per la lettura che per le gare di atletica. Stava per laurearsi in Letteratura tedesca. Mi ha preso tra le mani e per un po' i due hanno chiacchierato con trasporto del mio autore.

Accettando questo romanzo di contrabbando e soccorrendo quest'unico volume per salvarlo dal rogo di quella sera, il nonno di Lena mise in moto una pacata onda di resistenza che sarebbe proseguita fino a oggi. Fu un evento piccolo ma significativo che si svolse a porte chiuse, lontano dalla catastrofe che avveniva fuori. Ma cambiò il corso di alcune vite. Ebbe un impatto su decisioni che sarebbero state prese piú tardi in circostanze completamente diverse, molto dopo la sparizione fisica dei nazisti che bruciavano libri.

Sentendo i canti e gli slogan in corridoio, il nonno di Lena mi infilò di soppiatto nel cappotto, accanto al cuore. Mi tenne lí con il braccio irrigidito a metà torace e si avviò fuori per una grande scalinata di pietra.

Sulla piazza davanti all'Opera, il fuoco bruciava a piú non posso. Gli studenti avevano già razziato gli uffici dell'Istituto Hirschfeld di Scienze sessuali. Si scagliavano contro le sconcezze in letteratura, contro la libertà sessuale, il capitalismo o la dominazione ebraica (come la chiamavano loro). La catena umana che andava dalla biblioteca fino al luogo del rogo continuava a far affluire i libri tanto odiati. Ogni autore veniva giudicato attraverso un processo sommario, nome e cognome venivano gridati ad alta voce, adducendo il motivo per cui non doveva fare piú parte del panorama nazionale, e poi il libro veniva gettato alle fiamme. Questo si trasmetteva via radio in tutto il Paese.

Il mio autore apparteneva alla cosí detta «letteratura d'asfalto», la nuova scrittura delle città multiculturali.

I primi libri a venire gettati tra le fiamme furono quelli scritti da Karl Marx. Seguiti da tanti altri autori ebrei. Un autore venne scambiato per ebreo solo per il suono del suo nome e piú avanti protestò vigorosamente per essere stato diffamato a quel modo. Poi una donna i cui personaggi femminili dimostravano troppa arroganza e non rappresentavano l'ideale nazista di maternità. La montagna incantata scampò alle fiamme ma non Il professor Unrat, opera del fratello. Poi un commediografo che aveva scritto di un uomo con i genitali persi in battaglia. E infine l'autore piú famoso, la cui Opera da tre soldi aveva ottenuto un grande successo a Berlino e che piú avanti avrebbe scritto una poesia per dire quant'era felice di non essere scampato al rogo: bruciatemi, vi prego, non lasciatemi intatto.

[...]

Il nonno di Lena rimase a guardare il rogo con me infilato sotto il cappotto. Le facce degli spettatori erano illuminate dal caldo bagliore delle fiamme. Gli occhi diventati di un nero corvino. Le labbra erano verdi. Le narici inalavano il fumo pungente che saliva da quei libri, simile all'odore dei capelli bruciati.

Era un falò di storie e di vite. Le pagine si accartocciavano e, ridotte a brandelli anneriti, volavano verso l'alto sopra i tetti. Quelle vite immaginate, quelle strade di fantasia, venivano trasformate in calore inutile. Le parole non erano piú raccolte insieme in una frase. Erano state svuotate di significato. Da in mezzo alle fiamme arrivava il suono delle voci che saliva in un flusso di coscienza collettivo, estratto come prosa poetica dal testo, un reading fantasmatico di frasi assurde e frammenti di dialogo. Espressioni di amore. Uomini che invocavano la madre. Bambini in lacrime che venivano sottratti ai genitori. Case ridotte in cenere e storie famigliari che andavano in fumo in un lungo grido silente di compassione percepibile per tutta la città.

Poco prima della mezzanotte, Joseph Goebbels venne a tenere un discorso. I microfoni erano stati posizionati lontano dal fuoco. C'era qualche bottiglietta d'acqua su un tavolino, nel caso in cui gli venisse sete. Con addosso un cappotto-beige e parlando con una voce che lo rendeva piú alto, elogiò gli studenti per la loro azione di pulizia. Disse che era la fine della supremazia ebraica in letteratura. Basta scritture d'asfalto. Era ora di ritrovare la giusta ammirazione nei confronti della morte.

Parlò della volontà del popolo.

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Il nonno di Lena aveva ancora l'indirizzo del professor Glückstein a Wannsee. Ben sapendo che qualsiasi riferimento a un libro censurato avrebbe messo entrambi in pericolo, scrisse per chiedergli se aveva tempo di incontrarlo e di parlare di alcune delle ultime pubblicazioni.

Non ci fu risposta.

Un sabato mattina, poco dopo la Notte dei cristalli, mi prese dallo scaffale e mi posizionò sul tavolo. Poi tirò fuori un famoso romanzo di Theodor Fontane e lo piazzò accanto a me. Un classico, Effi Briest. La storia di una donna che si innamora dell'amico di suo marito, un ufficiale dell'esercito che si chiama Crampas.

Restammo l'uno accanto all'altro sul tavolo, come una specie di esercizio comparativo.

Dalla cucina venne portato un coltello di norma utilizzato per tagliare la carne. Il nonno di Lena affilò la lama e cominciò a praticare un'urgente operazione chirurgica che cambiò la mia vita. Tagliò le pagine del romanzo di Fontane. Il taglio della carta lasciò partire uno stridore lancinante, simile a quello di una crosta di pane raffermo. Rimasi sorpreso di non vedere spargimento di sangue. Una volta scavato il volume, mi sistemò tra le copertine di Fontane come se mi stesse infilando in una bara. Mi venne dato un nuovo titolo. Un nuovo autore. Ero diventato un passeggero clandestino. Come il duplicato di una chiave nascosto dentro un libro perché possa arrivare a un carcerato.

Sono Effi Briest, dissi tra me e me.

Da quel momento in poi, vidi il mondo dal suo punto di vista. La osservai prepararsi all'incontro con l'ufficiale chiamato Crampas.

Il mio autore doveva avere studiato quell'opera. Alcune parti della storia di Fontane erano già confluite nella mia. I libri hanno questo vezzo di accasarsi come parassiti, di girare nelle menti dei lettori, riemergendo in successive opere d'arte. Io ero parte di quella catena viva di idee che si allungava verso il futuro.

Dietro le copertine di Fontane, vissi una nuova vita. Nascosto nel cappottone invernale di Effi mentre lei esce di casa il giorno della fatidica gita in slitta con il maggiore Crampas.

Dopo la cena di Natale, così va la storia, gli ospiti escono per una gita ricreativa sulla neve. Sulle slitte tirate dai cavalli, attraversano il paesaggio invernale vicino al mare e arrivano a un fiume nascosto. I cavalli sanno che è troppo pericoloso guadarlo. Il gruppo deve cercare una strada alternativa, e mentre il resto degli ospiti ritorna verso casa in carrozza, Effi segue la slitta del marito in un tragitto rischioso attraverso la foresta. All'ultimo minuto viene raggiunta dal maggiore Crampas, che salta a bordo dicendo che lei non può viaggiare da sola.

È lí che diventano amanti. Lei finisce ostaggio di un incantesimo da cui non ha nessuna voglia di evadere.

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10.


Non c'è vento. Assomiglia alla mattina di un funerale. La nebbia per le strade di Berlino sembra avere immobilizzato la città, nonostante tutto si muova. La gente che Joseph Roth ha descritto un secolo fa sta rimettendosi ai blocchi di partenza. Le solite vite che attraversano la Storia. La ragazzina che rovescia la segatura in un dehors. Un vecchio che legge un libro in camera sua. Il giovanotto nella stanza accanto che mette su un disco, mandando un frammento di musica a zonzo per la città.

Il frammento di un frammento, l'ha chiamato lui.

Dentro lo zaino di Armin sembra di stare nel retro di un'ambulanza. Segui la cartina immaginaria della città nella testa. Altri cinquecento metri diritto, poi a sinistra. Adesso siamo arrivati alle bancarelle del mercato di Hermannplatz. Dove un tempo si trovava un centro commerciale simile a una gigantesca torta matrimoniale arricchita da due torri, prima che i bombardamenti facessero crollare tutto e venisse rimpiazzato da, cosa, un centro commerciale senza torri e senza la piscina in cima.

Intorno scorre il flusso delle persone che transitano come una biblioteca in movimento. Libri che si raccolgono intorno alle bancarelle di frutta e verdura. Un libro melodico che strilla di un'offerta speciale sugli avocado. Un flusso costante di libri che scendono le scale mobili e che raggiungono libri in attesa sulla banchina della metropolitana. Libri che scendono e libri che salgono. Un libro dell'ultimo minuto che corre per montare a bordo prima che si chiudano le porte.

Il dono musicale di sentire ciò che non si può vedere: era una cosa che aveva il suonatore di organetto. L'abilità di distinguere i suoni piú remoti. Era come se le orecchie avessero la vista. Conosceva la differenza tra gli zoccoli di un cavallo che trainava una carrozza e quelli di un cavallo che trainava un carretto. I vecchi e i giovani. I deboli e i forti.

Ecco i miei nuovi compagni di viaggio: un taccuino, un metro e un distanziometro laser. Il mestiere di Armin richiede la misurazione degli spazi. Per un progetto di ricerca, deve fare la perizia di certi luoghi in giro per la città, tipo stazioni di rifornimento e parcheggi che sono stati adibiti al trasporto privato motorizzato. Nel suo taccuino si segna i dettagli di un locale ad angolo che un tempo è stato una birreria, poi uno Starbucks, infine un ristorante italiano. Lo scopo del progetto è di calcolare lo spazio verticale disponibile, quante unità abitative si potrebbero ricavare una volta che la capitale sarà diventata zona verde.

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Pagina 59

Un bambino strampalato?

Il figlio unico di una madre sola. Non granché come atleta, piú un tipo libresco. Teneva dei ragnetti in camera sua e li nutriva con le mosche. Quando andava a dormire, imitava lo scalpiccio degli zoccoli. Aveva le dita sempre sporche di inchiostro. Scriveva con una calligrafia sottile, come un ricamo. A scuola lasciò di stucco i compagni copiando un poema intero di Schiller sul retro di un francobollo. Raccontava che suo padre ci sapeva fare con i cavalli. Le menzogne divennero una necessità. Aveva bisogno di una storia da portarsi in giro e cosí ecco un romanziere bambino per il quale di volta in volta il padre era un cavaliere, un tassista, un ufficiale polacco, un ubriacone, un ladro, un vagabondo, un pazzo.

Ne contarono diciassette versioni diverse.

La verità era che il padre non l'aveva mai conosciuto. Forse è questo che succede agli uomini, deve aver pensato mentre cresceva: si innamorano e impazziscono. Dopo l'amore non c'è altro che una malattia letale e la morte. La perdita di suo padre sarebbe diventata un tema sempre sottotraccia, cucita in tutti i suoi personaggi, la scrittura come una forma di amore-follia.

Sua madre cantava tristi canzoni ucraine. Dipendendo dagli aiuti dei parenti, mise tutte le sue speranze in quel ragazzino dotato e lo amò di un amore soffocante. Un figlio che la compensasse dei sogni perduti. Lei lo tenne stretto a sé in un modo al limite del leggendario, senza che nessuno potesse venire a trovarlo. A lui piaceva passeggiare lungo il muro vicino al cimitero, osservare le lapidi, ma lei voleva che stesse a casa.

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Pagina 66

Non siamo altro che fatti di passaggio, ha detto una volta un poeta americano.

Ecco i fatti di passaggio. Il nome del mio autore è Joseph Roth. Era ebreo. È morto di delirium tremens in un ospedale di Parigi il 27 maggio 1939. Sua moglie era ebrea. Il suo nome è Friederike Roth. È stata assassinata dai nazisti nel loro programma d'eutanasia generale allo Schloss Hartheim vicino a Linz il 15 luglio 1940.

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Pagina 72

15.


Un libro ne capisce. Ho visto quello stesso sguardo passare attraverso una sala tra Effi Briest e il maggiore Crampas. L'ho visto anche in certe occhiate di Madame Bovary. Nei pensieri di Molly Bloom. È lí, in migliaia di romanzi, le biblioteche sono piene di incontri fortuiti, nuovi inizi, possibilità mozzafiato di attrazione, gente che si lancia tra le braccia altrui con un enorme volume di piccole cose non dette. È lí, in molti dei libri scritti da Joseph Roth. Nella storia di un uomo che si innamora di una donna quando viene riportata a casa sotto shock dopo essere sopravvissuta a un disastro ferroviario.

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Pagina 86

Come va con l'arte?

Non male, dice lei. Senti questa, Mike. Senti cosa ho visto ieri. Ero in un bar, no, e per la strada passava un corteo matrimoniale. Un grande flusso di macchine con i festoni attaccati, tutte che strombazzavano con il clacson. E poi, guarda un po', si fermano. Senza nessuna ragione, come se ci fosse un ingorgo improvviso.

Ho visto la sposa scendere, dice Lena. Era bellissima. La gente con la spesa è rimasta li impalata a fissarla in mezzo alla strada. E ho pensato: ma perché si sono fermati, quella è la via dello shopping. Non riuscivo a crederci. Gli ospiti del matrimonio hanno tutti cominciato a ballare, Mike. Proprio lí in mezzo alla strada affollata, con un paio di autobus bloccati alle spalle. Le portiere sono rimaste aperte per fare sentire la musica, un ritmo martellante, le casse che pompavano tipo discoteca. Che spettacolo! Tutto il matrimonio che ballava in un grande cerchio. Uomini enormi in giacca e cravatta allacciati con il mignolo in una catena umana. Quasi tutte le donne ululavano, dice. È stato come un matrimonio in un villaggio della Turchia, tutti quanti in piedi a guardare. E il traffico era bloccato fino in fondo alla strada.

Prova a farlo in Fifth Avenue, dice Mike.

E nessuno si lamentava, continua lei. Niente poliziotti. Niente sirene. Come se avessero il permesso per questa performance pubblica, davanti alla gente che faceva shopping con i sacchetti in mano. È durato giusto un paio di minuti, poi sono saliti in macchina e sono ripartiti con una sgommata. E giú di clacson. Una delle donne ha mostrato il culo dal finestrino.

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Pagina 134

In bocca al lupo, le dice.

Viva il lupo, dice lei.

A casa, Henning porta la valigia di Lena al piano di sopra e le mostra la sua camera. Lei mi tira fuori dalla borsa e gli mostra me. Poi lui le fa fare il giro della libreria.

I libri cominciano tutti a esultare in un brusio collettivo. Impossibile immaginare un'accoglienza migliore. Tipo il suono che potrebbero fare i monaci e le suore di un monastero al ritorno di un confratello o di una consorella. Gridano il mio titolo: La ribellione. Il nome del mio autore: Joseph Roth. Hanno un posto pronto per me. Le loro voci emergono da un profondo silenzio prolungato, pieno di meraviglia e sussurri. Come se il mondo esterno, da cui un tempo sono stati forgiati, fosse tornato a trovarli. Eccomi di nuovo a casa. L'odore familiare degli altri libri, l'aria ferma, la tranquillità. Questo raduno di interiorità umana. Questo santuario composto da un volume infinito di pensieri e frammenti d'immaginazione. Erompono in un momento di gioia scatenata. Accantonano le loro piccole beghe. Tornano a essere di nuovo sé stessi, euforici come bambini, tagliati fuori dal mondo reale da cosí tanto tempo che adesso vorrebbero mettersi a ballare per festeggiare.

Non vedono l'ora di sentire le novità.

Le cose sono cambiate moltissimo, racconto. Adesso la gente legge quasi tutto sul telefono, a puntate. La vita è troppo breve e i libri sono troppo lunghi, ma continuano a essere rilevanti come sempre, li rassicuro, sul punto d'essere riscoperti come un antico reperto archeologico. Il mondo è pieno di confusione e la gente ha bisogno di storie piú che mai.

Mi riferiscono le ultime notizie da Magdeburgo. Un tizio di recente ha rimesso in scena il rogo pubblico dei libri. Sulla piazza principale, nel punto esatto dove i libri erano stati bruciati nel maggio 1933, un individuo intriso d'odio ha voluto cospargere di benzina il diario di Anne Frank e dargli fuoco davanti a una piccola folla di simpatizzanti. È finito sul giornale. La polizia ha avviato le indagini. Non ci sono stati ancora arresti.

I libri sono stipati dal pavimento fino al soffitto e strabordano fino alle stanze adiacenti. C'è una copia del diario di Anne Frank sugli scaffali e lí sembra al sicuro. Non ha più bisogno di nascondersi in soffitta. Ormai ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Il rogo pubblico di una sola copia non potrà tapparle la bocca.

Henning si avvicina subito per cercare Effi Briest. Il volume che è stato il mio manto protettivo dopo il rogo dei libri. Da allora in poi è stato riutilizzato come nascondiglio per un romanzo russo in pericolo durante gli anni della Germania Est. A un certo punto, Henning racconta a Lena, il libro di Joseph Roth che hai in mano non era piú bandito, ma questo si. Lui apre la copia di Effi Briest e le mostra il libro nascosto dentro. Un volumetto intitolato Una giornata di Ivan Denisovič.

Racconta la verità sui gulag staliniani, una storia che ancora in Russia non si conosce, dice Henning. Descrive la scena nel campo siberiano in cui il narratore trova l'occhio di un pesce nella zuppa e affronta un dilemma morale, se dichiarare il colpo di fortuna che gli è capitato e condividerlo con gli altri prigionieri o se mangiarsi in silenzio l'occhio e tenere quel boccone di fantastiche proteine per sé stesso.

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Pagina 194

La poliziotta ha continuato a sfogliarmi. Sembrava attratta dal non visto. Dal sottotesto. Un libro è come una mente umana: ha una storia da raccontare che non sempre si rivela alla prima lettura. Sotto il testo stampato c'è uno schema complesso di associazioni inconsce. Segreti, sospetti, indizi, riflessioni. Comunica a tutti questi livelli altamente intuitivi che, per la scienza investigativa, sono decisivi.

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Pagina 204

Lena lo bacia. Escono a prendere qualcosa da mangiare e sento la porta che si chiude dietro di loro. La stanza torna silenziosa. La città ha preso vita con i suoni della notte e c'è un bagliore giallo che filtra dal lucernario fino al pavimento. Il campanile batte le ore. Sono stato lasciato qui su un grande tavolo insieme a un ananas e a una piccola pila di libri.

In fondo alla pila, c'è quello di una giornalista russa che è stata assassinata per avere raccontato la verità. Era in pericolo di vita da un po' e aveva subito diversi atti di intimidazione e violenza, era stata perfino avvelenata, una volta avevano addirittura simulato un'esecuzione in cui l'avevano trascinata fuori di casa a notte fonda e avevano sparato con un lanciarazzi sopra la sua testa. Tutto questo per via dei suoi reportage sulla Cecenia. Nonostante quelle minacce, lei aveva continuato a cercare la verità, a mettere in luce i fatti nei suoi articoli pubblicati su un giornale gratuito di Mosca. E visto che la verità non poteva essere zittita in altro modo, un giorno le hanno sparato nell'ascensore di casa. Quel giorno era il compleanno di Vladimir Putin. Un uomo è entrato in ascensore con lei e le ha sparato quattro volte. Due volte al petto, una alla spalla e un'ultima alla testa a bruciapelo. Si pensa che il suo assassinio sia stato commesso in seguito a ordini arrivati dall'alto, per le sue opere schiette sulla guerra cecena, per aver detto la verità sulla Russia, per non aver mollato mai. Si chiamava Anna Politkovskaja. Il libro si intitola Un piccolo angolo d'inferno.

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Pagina 226

Roth se ne andò da Vienna il giorno precedente alla marcia di Hitler sulla città. Tornò a Parigi e continuò a scrivere e ad ammazzarsi di alcol. Si riuní per un attimo con lei nel suo ultimo romanzo. All'età di quarantaquattro anni, Roth mori in preda al delirium tremens in un ospedale per poveri a Parigi.

Meno di un anno dopo, vennero a prelevare Friedl dall'istituto a Mauer-Öhling. Fu portata in treno fino a Linz. Lí fu caricata su un autobus nero. Uno di quegli autobus neri anonimi che si usavano di notte per trasportare a Linz i giovani dai paesini per andare al cinema. Il tragitto non fu molto lungo. Arrivò allo Schloss Hartheim, un castello che per tanti anni era stato nelle mani delle Figlie della carità di san Vincenzo de' Paoli, le quali badavano a bambini disabili. Quando le suore erano state cacciate di lí, una di loro aveva chiesto di portare con sé alcuni bambini, ma la richiesta era stata respinta. Il castello era stato riequipaggiato con le docce e con i forni. I camini vennero fatti funzionare a pieno regime, con il fumo che aleggiava sopra tutta la zona anche d'estate quando faceva caldo. La gente era costretta a chiudere le finestre di casa. Il fumo umano aleggiava per le stanze come un pensiero che non poteva essere né pronunciato né cancellato. L'autobus nero varcò i cancelli aperti del cortile centrale. Le fu detto di smontare e fu portata dentro. La guidarono direttamente verso le docce, dove le ordinarono di togliersi i vestiti.

Frieda Roth. 1900-1940.

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Allora, prima della Grande guerra, all'epoca in cui avvennero i fatti di cui si riferisce in questi fogli, non era ancora indifferente se un uomo viveva o moriva. Se uno era cancellato dalla schiera dei terrestri non veniva subito un altro al suo posto per far dimenticare il morto ma, dove quello mancava, restava un vuoto, e i vicini come i lontani testimoni del declino di un mondo ammutolivano ogni qual volta vedevano questo vuoto. Se il fuoco portava via una casa dall'isolato di una strada, il vuoto lasciato dall'incendio rimaneva ancora a lungo. Poiché i muratori lavoravano lenti e attenti, e i vicini piú prossimi, come i passanti casuali, quando davano uno sguardo allo spiazzo vuoto si rammentavano della forma e delle mura della casa scomparsa. Cosí era allora! Tutto ciò che cresceva aveva bisogno di tanto tempo per crescere; e tutto ciò che finiva aveva bisogno di lungo tempo per essere dimenticato. Ma tutto ciò che un giorno era esistito aveva lasciato le sue tracce, e in quell'epoca si viveva di ricordi come oggigiorno si vive della capacità di dimenticare alla svelta e senza esitazione.

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