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| << | < | > | >> |IndicePrologo 15 Note a margine alle Lezioni di regia 21 Altre note alle Lezioni di regia 23 I. Capire il copione 29 1. Leggete il testo 31 2. Fate una pausa, poi rileggetelo ancora 31 3. Se ne avete la possibilità, cercate di trovare gli scenografi più adatti 31 4. Non abbiate troppa fretta di ultimare le scenografie32 5. Leggete di seguito la parte assegnata a ciascun personaggio come se doveste interpretarlo 32 6. Non fissatevi sullo studio del copione 32 7. Imparate ad amare un'opera che non vi piace fino in fondo 33 8. Individuate l'elemento propulsivo del dramma 33 9. Ricordate che gran parte dell'esperienza umana riguarda il dolore e i modi per superarlo 34 10. Sappiate che un certo personaggio è l'esito di un certo comportamento 34 11. Un dramma rappresenta persone alle prese con casi straordinari: siatene consapevoli 34 12. Bisogna riconoscere che la lotta è più importante del risultato 35 13. Tenete presente che la fine è già nell'inizio 36 14. Descrivete il nucleo del dramma nel modo più conciso possibile 37 II. Il ruolo del regista 39 15. Voi siete l'ostetrica 41 16. Limitatevi a raccontare la storia... 41 17. Non collegate i punti ogni volta 41 18. Tenete aperte le domande del pubblico 42 19. Non cercate di accontentare tutti 43 20. Tutto non si può avere 43 21. Non pensate di avere sempre una risposta 43 22. Nessun attore apprezza la pigrizia e l'ignoranza di un regista 44 23. Fate conto che gli altri siano in preda a un terrore catatonico 44 24. Sdrammatizzate 44 25. Non cambiate le parole dell'autore 45 26. Avete un ruolo da sostenere 45 27. Non si tratta di voi 46 28. Il più bel complimento rivolto a un regista: «Era chiaro fin dall'inizio che sapevi quello che volevi»47 III. Il casting 49 29. Fare il regista significa in primo luogo scegliere gli attori 51 30. Non aspettatevi che il personaggio cada dal cielo 52 31. Mettete gli attori a proprio agio, senza fare gli amiconi 53 32. Non interagite con l'attore durante l'audizione 54 IV. Prima lettura collettiva del copione 57 33. Evitate di introdurre i lavori con un lungo e brillante discorso 59 34. Non lasciate che gli attori si limitino a snocciolare le battute 59 35. Dopo la lettura, discutetene 60 36. Sollecitate gli interpreti a porsi le domande fondamentali 60 37. Sottolineate i punti di svolta di una scena 61 [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 15L'usanza di fare teatro risale a molto lontano nella storia degli esseri umani, perlomeno all'epoca in cui i nostri antenati cavernicoli inscenavano gli episodi della caccia davanti agli altri membri della tribù. Eppure, chi ha studiato teatro o cinematografia – e soprattutto chi si interessa di regia – sa quanto sia difficile trovare indicazioni valide e collaudate riguardo alle principali linee cui badare, ai momenti in cui intervenire, ai modi per evitare gli errori più comuni. Quand'ero studente, e poi giovane aspirante regista, anelavo a incontrare una solida guida che mi svelasse queste conoscenze di base. Aristotele e Stanislavskij avevano fatto la loro parte; ma chi, mi chiedevo, poteva tradurre per me i canoni in vigore nel nostro tempo? A chi potevo rivolgermi per avere un parere affidabile sulle inclinazioni e sui comportamenti degli attori, sulle percezioni del pubblico medio, sui modi più opportuni di affrontare i dilemmi che insorgono comunemente durante le prove o i momenti di crisi nel corso di una rappresentazione? Chi, in poche parole, conosceva le regole?
Poi conobbi Frank Hauser.
Sul finire degli anni Ottanta ero ancora fresco di college e avevo appena abbandonato un lavoro per il quale non ero tagliato presso una banca di Wall Street, quando presi la strada per Londra sperando di imparare il mestiere di regista. E a Londra, tra gli altri miei insegnanti, c'era Frank, un tipo che sembrava uno spaventapasseri, con una voce rauca, un'intelligenza pronta e la tendenza alle battute irriverenti e alla presa in giro benevola. I suoi abiti trasandati e il suo modo di fare alla mano non davano affatto conto degli innumerevoli successi che avevano costellato i suoi quasi cinquant'anni di carriera: Frank era stato direttore del teatro stabile dell'Università di Oxford, nonché regista di innumerevoli spettacoli rappresentati a Londra e a New York; aveva inoltre diretto, a volte anche in qualità di maestro, attori che erano o sarebbero entrati nell'olimpo del teatro inglese, come Alec Guinness, Richard Burton, Judi Dench e Ian McKellen. Più o meno all'epoca in cui ci conoscemmo, Frank aveva già raccolto i più alti riconoscimenti in ambito professionale e tre dei suoi spettacoli andavano contemporaneamente in scena in altrettante sale del West End. Quando la fase di preparazione teorica a Londra fu conclusa, Frank mi invitò a Chichester, città dell'Inghilterra meridionale in cui si svolgeva un festival di teatro, perché potessi completare il mio tirocinio facendogli da assistente per l'adattamento di Un uomo per tutte le stagioni di Robert Bolt. Un giorno, prima che iniziassero le prove, mi fece un regalo: un plico di dodici pagine, nitidamente scritte a macchina, sulla prima delle quali un titolo modesto – Lezioni di regia – ne dichiarava il contenuto. «Potrebbe esserti di aiuto» mi disse. Con quelle Lezioni Frank mi donò le sue nitide perle di saggezza, la summa di un sapere accumulato e affinato nel corso di un'illustre carriera. Distribuite informalmente ad amici e studenti, le Lezioni spiegavano come Frank comunicava con gli attori, come analizzava una scena, come riusciva a gestire le prove in un clima di vivacità e di efficienza. Descrivevano, in poche parole, come Frank dava vita a una storia. Durante le prove, il suo metodo non era affatto così rigido come le Lezioni avrebbero potuto far credere, anche se queste sintetizzavano alla perfezione il vigore e l'efficienza, lo stile di intervento, rapido e per così dire chirurgico, il modo conciso e apparentemente dimesso di guidare gli attori: un modo che, come tutta la sua figura, è spesso troppo facile sottovalutare. Frank è un regista che approfondisce quando serve, ma sempre con visibile riluttanza. In genere preferisce fermarsi un po' prima, aspettando che siano l'attore o l'allievo a riempire i vuoti, ad assumersi la responsabilità di partecipare attivamente alla costruzione del personaggio. In fin dei conti sono loro a interpretarlo! Lui si limita quindi a indicare alcune linee, lasciando che siano gli attori ad arricchire, a perfezionare. Occorre sempre un po' di tempo per apprezzare fino in fondo il valore della sua tecnica, che circoscrive apparentemente al minimo il ruolo, per cogliere nell'impostazione il segno inequivocabile della sua abilità di insegnante e di regista. A distanza di quindici anni dal nostro incontro, ho chiesto a Frank di ampliare quelle dodici pagine trasformandole in un libro. Il nucleo originario delle Lezioni non ha subìto modifiche ed è qui riproposto con l'aggiunta di alcune integrazioni: le tecniche e le teorie che gli ho visto applicare durante le prove e ulteriori materiali basati sulla mia esperienza e sugli insegnamenti ricavati da altre fonti. Frank e io abbiamo dato al libro il tono di un istruttore categorico e decisionista, le cui espressioni preferite sono «Fai questo», «Non fare quello», «Sempre» e «Mai». Avremmo potuto scegliere di rivolgerci al lettore in modo più mite, più allusivo, ma, ci siamo detti, meglio optare per un approccio più deciso e provocatorio che rischiare di annoiarlo. Certamente non ci offenderemo se le affermazioni contenute in questo libro verranno criticate, contestate e perfino respinte. La sola cosa che ci auguriamo è che sia praticamente impossibile ignorarle. Russell Reich | << | < | > | >> |Pagina 3410. Sappiate che un certo personaggio è l'esito di un certo comportamento
Come Aristotele ci insegna, una persona si conosce soprattutto dalle azioni.
Quello che gli altri dicono di lei, o quello che lei dice di se stessa, può
essere vero oppure no.
11. Un dramma rappresenta persone alle prese con casi straordinari: siatene consapevoli Sul palcoscenico non si svolge la vita quotidiana ma qualcosa di più: una situazione estrema, una situazione che lascia il segno, che mette a soqquadro la vita. E questi casi straordinari, da che cosa sono originati? Arthur Miller diceva: «La struttura essenziale del dramma è sempre la storia di come gli uccelli tornano al nido per posarsi». Vale a dire che le conseguenze degli atti che un uomo può aver compiuto tornano sempre a perseguitarlo nel presente della rappresentazione. Queste azioni del passato permeano l'intera vicenda, minacciano la tranquilla routine e i valori delle vite dei personaggi, costringendoli a compiere delle scelte.
Come sostiene Edward Albee, «Non è questo che succede nei drammi? Che la
merda colpisce il ventilatore».
12. Bisogna riconoscere che la lotta è più importante del risultato Che i personaggi riescano o meno in ciò che si erano prefissi non è importante. Quello che conta è che le loro intenzioni siano chiare: che superino le difficoltà, che si scontrino con gli ostacoli, che compiano un momento dopo l'altro le scelte più indicate per raggiungere i loro obiettivi. A fronte di circostanze chiare e impellenti, le scelte sono ciò che li rende interessanti, e a volte anche eroici: un personaggio può cambiare la situazione in cui si muove o venirne cambiato. Il pubblico assiste al percorso di tutti i personaggi e indirettamente li accompagna: «Su questo sono d'accordo», «Perché ha fatto quest'altro?», «Quella mossa è stata interessante, io non avrei saputo inventare una tattica così astuta».
Verso l'epilogo, quando si aspetta da un momento all'altro lo scontro finale
o l'intervento di un miracolo, il pubblico non presta tanto attenzione a ciò che
accade quanto a come i personaggi
reagiscono a ciò che accade. Anche qui il viaggio
emotivo conta più della meta.
13. Tenete presente che la fine è già nell'inizio Nei drammi migliori il finale è già scritto nell'inizio, come anche in tutti i momenti che si svolgono nel mezzo. Il pubblico potrà capire e apprezzare tutto questo soltanto a posteriori, quando la vicenda avrà già compiuto il suo corso. Se avrà voglia di farlo, lo spettatore vedrà come ogni elemento è stato essenziale, come ogni momento, dal primo all'ultimo, ha contribuito allo scioglimento o alla deflagrazione finale. In quanto registi, sarà questo in realtà il vostro compito: puntare all'eleganza, ovvero eliminare tutto ciò che è superfluo (vedi 96. Ogni oggetto è rivelatore). Questa coesione estrema è una qualità facile da descrivere ma difficile da realizzare. Cionondimeno, è essenziale che il regista individui la struttura unificante del dramma alla quale tutti gli elementi secondari collaborano. | << | < | > | >> |Pagina 9988. Esistono due generi di comicitàDel primo, il più frequente, ci ha dato un'appropriata descrizione l'attore inglese Edward Petherbridge, dicendo: «Nessuno ha mai strappato una risata da qualcosa che non fosse una tragedia per un altro».
Ma gli spettatori ridono anche per gesti o frasi di cui riconoscono
l'implicita verità. «Quando una cosa fa ridere,» scriveva George Bernard
Shaw «nasconde una verità: cercatela». Tra i vostri
compiti di regista c'è anche quello di aiutare gli
spettatori a tracciare collegamenti che deliziano
la mente. Quando il pubblico pensa: «Ah, è a questo che sta alludendo!», la
reazione spesso sarà una genuina risata, segno sicuro che le sinapsi lavorano a
pieno ritmo e che il regista, lo sceneggiatore e gli attori hanno fatto un buon
lavoro. (Vedi 17.
Non collegate i punti ogni volta).
89. L'attore non deve ricercare la risata Invece di ricorrere a trucchi per suscitare il riso, dovrà concentrare l'attenzione sulla scena che sta interpretando. Se la rende viva e reale, arriverà anche la comicità.
L'attore non ha il compito di strappare la risata;
l'attore ha il compito di perseguire con verosimiglianza i suoi obiettivi sul
palcoscenico. Aiutate
gli attori a scoprire che cosa il personaggio desidera con tutte le sue forze,
aiutateli a capire la
reale, straordinaria situazione in cui si trovano. Se
una scena ha parvenza di realtà, sarà naturale che
il pubblico se ne lasci coinvolgere, l'apprezzi e si
diverta. Evitate di dire agli attori che sono stati
divertenti, o che cosa devono fare per suscitare la
risata. E questo per rispetto del loro mestiere: rivelando quale effetto emotivo
volete raggiungere,
dimostrate una scarsa conoscenza del modo in cui
si adoperano per raggiungerlo. (Vedi 66.
Fate sì che gli attori non perdano di vista i propri obiettivi;
e 67.
Mai descrivere un'azione con parole che indicano un sentimento).
Del vostro interesse a provocare la risata (o un altro effetto emotivo) non è
necessario che altri siano partecipi.
90. Il gioco del cucù Per motivi che soltanto un esperto di sviluppo infantile potrebbe conoscere, gli spettatori si divertono enormemente quando un oggetto o una persona appaiono, scompaiono, e riappaiono sulla scena. I vani di porte e finestre sono l'ideale a questo scopo. | << | < | > | >> |Pagina 133Il vostro primo, secondo e terzo obbligo morale è nei confronti dell'autore. Poi vengono gli attori, il pubblico, il produttore e tutti gli altri. L'autore dice a ciascuno che cosa fare, ma le sue istruzioni sono in codice. Spetta al regista decifrare questo codice, interpretarlo: non per dimostrare quanto è intelligente, ma per togliere di mezzo l'ingombro, per permettere agli attori di rappresentare l'opera "in chiaro" davanti alla platea. Sarà vostro dovere evitare qualsiasi modifica del copione, a meno che ripetuti tentativi non vi abbiano sinceramente convinti che il cambiamento è essenziale. Non dovrete imporre "visioni" dell'opera che comportino l'omissione dei passaggi che non si adattano, modificare un accento per amore di novità, distorcere le intenzioni esplicite dell'autore per far emergere un ipotetico Intimo Significato. In altre parole, siate onesti. Il gusto odierno per l'attualizzazione dei classici – Shakespeare, i greci – è fondamentalmente una forma di snobismo: «Che cosa divertente! Sono proprio come noi!». Come se ci fosse un motivo plausibile per trascinare Medea o Amleto nella nostra infausta epoca! Al contrario, se i drammi sono bene ambientati nella loro età, faremo l'esperienza, molto più affascinante ed educativa, di viaggiare nel tempo, di tornare indietro nei secoli e scoprire in che cosa noi siamo simili.
Ricordate che il nuovo non è necessariamente buono
solo per il fatto di essere nuovo. Il vecchio, invece, è
degno di rispetto, attenzione e studio proprio perché è
vecchio, perché ha resistito all'usura del tempo.
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