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| << | < | > | >> |IndicePresentazione dell'edizione italiana ix Simone Guercini Prefazione xv Hans Thorelli Introduzione xix Ringraziamenti xxvii Parte I Premarketing 1 1. La componente culturale dei mercati: insidie e potenzialità 3 Introduzione: la cultura 3 Cultura e marketing 6 Le implicazioni culturali dei mercati: istruzioni per l'uso 18 2. Standardizzazione e adattamento 21 Standardizzazione (globalizzazione) 21 Vantaggi e svantaggi della standardizzazione 23 Standardizzazione o adattamento? 28 La "glocalizzazione" 31 Conclusioni 35 3. Negoziati interculturali 39 Introduzione 39 Il processo di negoziazione in una prospettiva interculturale 41 Il ruolo del contesto 44 Implicazioni contrattuali 48 Fattori di successo in un negoziato interculturale 50 4. Le dimensioni interculturali delle ricerche di marketing 55 Le ricerche di marketing internazionale 55 Implicazioni culturali delle ricerche di marketing 57 I focus group 62 Le ricerche di marketing in un contesto interculturale65 Conclusioni 68 Parte II Marketing 71 5. Aspetti interculturali dei prodotti 73 I prodotti 73 Varianti culturali: il mercato ispanico 76 Caratteristiche e particolarità del prodotto 77 La marca 79 Il packaging 83 L'influenza del paese d'origine 86 Conclusioni 87 6. L'influenza delle culture sulla pubblicità 91 La pubblicità 91 L'influenza della cultura sulla pubblicità 93 Pubblicità interculturale 95 Influenze interculturali sulla regolamentazione della pubblicità 102 Altri tipi di canale 104 Conclusioni 106 7. Aspetti interculturali delle fiere commerciali 109 Fiere ed esposizioni commerciali 109 La dimensione interculturale delle fiere 114 Considerazioni sulle fiere 117 8. Tecniche interculturali di promozione delle vendite 119 Promozione delle vendite e cultura 119 I buoni sconto 121 Pubbliche relazioni e cultura 124 La dimensione culturale dello scambio di doni 125 Conclusioni 130 9. Fattori interculturali nelle vendite e nella gestione della forza vendita 131 Cultura e vendite 132 L'influenza della cultura sul processo di vendita 136 La gestione della forza vendita 139 Conclusioni sulle vendite 141 Il marketing diretto 142 10. I canali di distribuzione in una prospettiva interculturale 153 Canale e cultura 154 L'influenza della cultura sul canale di distribuzione157 Franchising 161 La natura culturale delle restrizioni legali 163 Conclusioni 166 11. La determinazione dei prezzi 169 Gli aspetti interculturali della politica dei prezzi 173 Politica dei prezzi e situazione nazionale 180 Conclusioni 181 Parte III Postmarketing 185 12. Aspetti interculturali del marketing dei servizi 187 Caratteristiche dei servizi 187 L'importanza dei servizi a livello internazionale 191 Potenziali ostacoli all'internazionalizzazione dei servizi 193 L'influenza della cultura sul mercato dei servizi 194 I requisiti per il successo 203 13. Implicazioni interculturali dell'assistenza ai clienti 205 L'importanza dei servizi di assistenza 208 Differenze interculturali nei servizi di assistenza 211 In sintesi 218 14. La dimensione interculturale della qualità del servizio 223 Differenze nella qualità dei beni e dei servizi 225 Qualità del servizio e cultura 226 Uno sguardo interculturale alla qualità del servizio 228 I servizi in Giappone 233 Conclusioni 237 15. Il green marketing 241 Differenze interculturali nel green marketing 245 L'ecoturismo 250 Conclusioni 253 Conclusioni 257 Bibliografia 265 |
| << | < | > | >> |Pagina 31. La componente culturale dei mercati: insidie e potenzialitàIntroduzione: la cultura Della parola "cultura" esistono oltre 450 definizioni (Trifonovitch 1977); essenzialmente la si potrebbe descrivere come un sistema di scambi comunicativi grazie ai quali viene a crearsi una società di individui nei cui comportamenti la componente espressiva, sia verbale che non-verbale, si fonde con quella tecnica e biologica. La cultura è il modo di vivere dell'uomo nel suo complesso, e in quanto tale include tutti gli aspetti condivisi dai membri di una società quali regole comportamentali, credenze, valori, lingua e usanze; si tratta insomma dell'insieme dei valori, comportamenti e tratti distintivi che sono condivisi dagli individui all'interno di un determinato territorio. Perché un determinato significato da privato diventi pubblico, e dunque comprensibile da parte di tutti i membri della società (inclusi quelli futuri) deve necessariamente esserci un catalizzatore: quel catalizzatore è appunto la cultura. La cultura è formata da un insieme di regole sia implicite che esplicite attraverso le quali si interpreta l'esperienza; è il ponte grazie al quale ciascuna nuova generazione impara ad annullare le distanze tra gli individui. La sua funzione consiste dunque in pratica nello stabilire dei modelli per comportamenti, prestazioni e interazioni con il prossimo e con l'ambiente che permettano di ridurre i potenziali rischi, rendere tutto più prevedibile e dunque favorire la sopravvivenza e lo sviluppo dei membri delle diverse società. Attraverso la creazione di gerarchie di codici che regolano le interazioni umane, le società vengono infatti a disporre di strategie comprovate per soddisfare qualsiasi esigenza fisiologica, personale e sociale dei propri membri, ottenendo così ordine, direzione e consiglio in qualunque fase del processo decisionale. Una serie di norme culturali condivise rappresenta per i membri delle diverse società il senso della propria identità comune, nonché un modo per mettersi in relazione gli uni con gli altri: la cultura stabilisce per esempio norme e criteri riguardo quando e cosa mangiare a colazione, pranzo o cena, o cosa offrire ai propri ospiti in occasione di una cena tra amici, un pranzo all'aperto o un banchetto di nozze. | << | < | > | >> |Pagina 5Ricapitolando dunque, la cultura:- È funzionale, in quanto mira a offrire a ciascuna società delle linee-guida comportamentali che sono essenziali per la sopravvivenza del gruppo; - È un fenomeno sociale, in quanto nasce dall'interazione tra esseri umani, è una creazione dell'uomo ed è prerogativa delle società umane; - È prescrittiva, in quanto stabilisce quali comportamenti siano accettabili e quali no; - È acquisita, in quanto non si eredita geneticamente ma nasce piuttosto dall'apprendimento di comportamenti acquisiti da altri membri della società; - È arbitraria, in quanto determinati comportamenti che sono accettabili in una determinata cultura non lo sono in un'altra; - È portatrice di valori, in quanto stabilisce appunto dei valori in base ai quali le persone sanno cosa ci si aspetta da loro; - Facilita la comunicazione, di tipo sia verbale che non-verbale; - È versatile e dinamica, in quanto si adatta costantemente a nuove situazioni e fonti di sapere, mutando con il mutare e l'evolversi della società; - È durevole, in quanto è il risultato di millenni di esperienza e conoscenze accumulate; - Soddisfa le esigenze dei membri della società, e proprio in base a queste assume nuove caratteristiche ed elimina quelle inutili e obsolete, lasciando però invariato il proprio nucleo di valori. È questo il motivo della sua esistenza. | << | < | > | >> |Pagina 6Cultura e marketingUno degli aspetti più difficili ma anche più importanti da tenere presenti nel recarsi per affari in un Paese straniero consiste nel comprendere le differenze nelle percezioni e nei valori culturali - e dunque nei bisogni - di una società. All'interno di un contesto culturale i beni e i servizi di una data azienda possono essere considerati soluzioni appropriate o accettabili per soddisfare esigenze individuali o sociali; essendo dunque il marketing basato sul soddisfacimento delle diverse esigenze o desideri dei clienti di un'azienda, ed essendo tali esigenze e desideri fondamentalmente di natura culturale, un operatore di marketing internazionale di successo dovrà cercare di capire le usanze del Paese con il quale ha a che fare. Se un prodotto non è più accettabile poiché un valore o un'usanza legati al suo utilizzo non soddisfano in modo adeguato le esigenze o i valori culturali particolari della società alla quale è rivolto, l'azienda produttrice deve essere pronta ad adeguare o ridefinire l'offerta. Ciò che distingue un'azienda di successo dalle altre è dunque l'esigenza di esaminare un potenziale mercato straniero dal punto di vista culturale prima di intraprendere l'attività di marketing o di trattare un affare. La cultura e le differenze a essa connesse si rivelano in diversi tipi di interazioni umane, che comprendono (ma non si limitano a) lingua, comunicazione non verbale, religione, tempo, spazio, colore, numeri, materialismo, usi e costumi, estetica, status e preferenze alimentari. Ciascuna di queste componenti se non viene tenuta nel debito conto rischia di diventare una potenziale insidia, come molte aziende - americane ma non solo - hanno avuto modo, loro malgrado, di sperimentare. Un esempio significativo è quello delle sigarette con il filtro, che spesso si vendono poco nei Paesi in via di sviluppo: mentre nei Paesi più ricchi infatti i consumatori sono maggiormente consapevoli dei rischi per la salute connessi al fumo e dunque disposti a spendere di più per le sigarette con il filtro, in quelli più poveri, dove l'aspettativa di vita raramente supera i 40 anni, il cancro rappresenta una minaccia molto meno concreta e più trascurabile, mentre è il costo aggiuntivo dovuto al filtro che diventa il fattore decisivo. | << | < | > | >> |Pagina 18Le implicazioni culturali dei mercati: istruzioni per l'usoA conclusione di questo capitolo, si propone una serie di linee-guida per ridurre al minimo gli equivoci quando si opera in mercati stranieri: 1. Fate attenzione a cosa è permesso fare e cosa no nella cultura con cui avete a che fare: sviluppate empatia nei confronti di quella cultura. 2. Imparate a riconoscere, capire, accettare e rispettare le culture altrui e le differenze a esse correlate. 3. Siate culturalmente neutrali: "diverso" non vuol dire necessariamente migliore o peggiore. 4. Non date mai per scontato che i concetti siano interscambiabili nelle diverse culture: il semplice fatto che gli uomini d'affari nei Paesi in via di sviluppo sostengano di non amare gli americani non vuol dire che non siano disposti ad acquistare prodotti americani; semplicemente ci si aspetta da loro che in pubblico dicano certe cose, comportandosi poi diversamente in privato. 5. Osservate una serie di regole per evitare di applicare il cosiddetto SRC (Self-Reference Criterion, Criterio dell'Auto-Riferimento). Per SRC si intende quel principio in base al quale chi utilizza e apprezza un prodotto si aspetta che lo stesso valga per chiunque altro, ovvero che se il prodotto vende bene a Milano venderà bene anche a Manila. Si veda per esempio il caso della vendita del Texan Iced Tea nel Regno Unito: a) si esaminino le caratteristiche culturali e ambientali del prodotto alla base del suo successo sul mercato interno (per esempio in Texas clima caldo e secco, preferenza per il dolce, caffeina); b) si paragonino queste caratteristiche a quelle presenti nel mercato target (per esempio clima freddo e umido, preferenza per alimenti meno dolci); c) si prenda nota delle caratteristiche che presentano maggiori discrepanze (per esempio clima caldo e secco in Texas contro freddo e umido in Inghilterra); d) si apportino i necessari cambiamenti al prodotto o alla promozione che tengano in considerazione le differenze riscontrate. In alcuni casi il divario sarà troppo grande; la soluzione migliore sarà dunque quella di non immettere il prodotto su quel mercato. Non si tratta di un esempio ipotetico (Pope, 1994). | << | < | > | >> |Pagina 245Differenze interculturali nel green marketingIn ambito internazionale il fenomeno del green marketing assume proporzioni addirittura maggiori che negli Stati Uniti. In realtà è in Europa che il fenomeno ha avuto origine; sono state infatti proprio le aziende europee che nei primi anni Ottanta hanno iniziato a vendere i primi prodotti "verdi", ossia pannolini usa-e-getta, detergenti, batterie, bombolette spray ecc. di nuova generazione che non danneggiavano l'ambiente. La produzione di questo nuovo tipo di prodotto ha preso rapidamente piede estendendosi anche agli Stati Uniti e ad altre parti del mondo. In Gran Bretagna il degrado ambientale è considerato, insieme a una terza guerra mondiale, la minaccia più grande per il genere umano. Ad Atene l'inquinamento atmosferico è da tempo causa di profondo malcontento popolare; questo spiega in parte perché il governo greco abbia deciso di allinearsi con la linea dura nordeuropea nella lotta per l'imposizione di nuovi e più severi limiti per le emissioni di gas di scarico delle automobili. Il crescente potere politico dei partiti ambientalisti in Scandinavia, Benelux e soprattutto Germania, unitamente alla preoccupazione dell'opinione pubblica di fronte a fenomeni quali la deforestazione causata dalle piogge acide (Waldsterben), hanno costretto i partiti politici di maggioranza ad adottare una rigorosa normativa ambientale. In Italia le proteste dell'opinione pubblica in merito all'importazione di rifiuti provenienti dai Paesi in via di sviluppo ha costretto il governo ad approvare un nuovo e più severo progetto di legge in materia di rifiuti pericolosi (Bruce 1989). La Fiat è l'azienda leader mondiale nella produzione di auto "ecologiche": fin dagli anni Settanta l'azienda torinese ricicla l'80% dei suoi scarti di produzione, è stata tra le prime case automobilistiche europee a produrre auto a benzina verde e ha persino introdotto un programma di riciclaggio - denominato F.A.R.E. - che mira a riciclare il 100% dei materiali provenienti dalla rottamazione delle auto. L'azienda è leader mondiale anche nelle tecnologie diesel ed elettriche; l'auto elettrica creata dalla Fiat è la prima vera auto "verde" al mondo, destinata a dare il via a una nuova generazione di automobili eco-compatibili. All'interno del settore automobilistico anche la BMW e la Mercedes-Benz stanno sperimentando nuove tecnologie pulite; analogamente la Mazda sta studiando l'utilizzo dell'idrogeno come carburante alternativo, mentre General Motors, Ford e Daimler-Chrysler (le "Tre grandi" di Detroit) stanno lavorando ad automobili a energia solare e a batterie più efficienti. La Volkswagen infine ha introdotto la cosiddetta "politica delle 3V": prevenzione (Vermedien), riduzione (Verringen), riciclaggio (Verworten). Le leggi più severe in materia di green marketing sono quelle tedesche. Il marchio di qualità ambientale apposto sui prodotti ecologici in Germania è l"'Angelo Blu", utilizzato per la prima volta nel 1978; nel 1993 l'etichetta compariva già su oltre quattromila prodotti appartenenti a 58 categorie. Il marchio è stato creato per far fronte alla crescente domanda di prodotti ecocompatibili da parte dei consumatori tedeschi; l'80% delle famiglie tedesche è al corrente della sua esistenza e i fabbricanti ne promuovono ampiamente l'utilizzo. Il primo dicembre 1991 è stata approvata in Germania una legge sui materiali da imballaggio (la cosiddetta "legge Toepfer", dal nome dell'allora Ministro dell'Ambiente), il cui obiettivo principale era quello di limitare al massimo i rifiuti, ricidando quelli eventualmente prodotti. Ogni tre anni a partire dal 1992 il governo tedesco progettava di pubblicare la quota di rifiuti per ciascuna industria quale base per stabilire la quota di riciclo che ognuna avrebbe dovuto raggiungere; l'ordinanza imponeva inoltre a industrie e commercianti il recupero degli imballaggi utilizzati, fino a una quota dell'80% entro il 1995. Questa legge è stata una conseguenza diretta del'impegno attivo dei verdi all'interno del panorama politico tedesco (Micklitz 1992). La legge tedesca prevede che i materiali utilizzati per gli imballaggi vengano riciclati o riutilizzati; secondo il sistema del transit packaging qualora gli imballaggi non facciano parte di un programma di riciclaggio vanno obbligatoriamente restituiti al commerciante (si tratta dunque di un sistema parallelo di raccolta dei rifiuti). Perché un prodotto possa essere riciclato direttamente dal consumatore è necessario che il fabbricante fornisca un contributo finanziario per la raccolta dei materiali, tanto nei cassonetti quanto nei centri raccolta; in questo caso il fabbricante che partecipa al programma apporrà sulle proprie confezioni un bollino verde, che indica appunto ai consumatori che quel prodotto può essere riciclato direttamente. Le confezioni prive di bollino verde vanno invece restituite al rivenditore per il riciclaggio; per quanto questi prodotti non siano illegali, i rivenditori sono piuttosto riluttanti a stoccarli. Nel programma "bollino verde" non rientrano però per esempio i contenitori utilizzati nei fast food; questo in una città tedesca è risultato nell'imposizione di una tassa proprio su questo tipo di confezioni, che ha costretto i ristoratori locali a vendere le proprie salse in brocchette di metallo riutilizzabili, le marmellate e lo joghurt in vasetti di vetro, le patatine fritte in cialde commestibili e le bibite in bottiglie con il vuoto a rendere (Kinzer 1994). I prodotti destinati al mercato tedesco dunque vanno spesso modificati per agevolarne lo smaltimento e il riciclaggio nel rispetto della severa normativa ecologica vigente in Germania; è il caso per esempio della Hewlett-Packard, che ha riprogettato e ridotto le confezioni delle sue macchine per ufficio in tutto il mondo per conformarsi ai requisiti tedeschi. Anche Francia, Belgio e Danimarca hanno approvato una regolamentazione in materia di rifiuti solidi per far fronte a problemi molto simili a quelli tedeschi. La legge ha avuto però anche effetti negativi; negli anni Ottanta per esempio la Germania ha reso obbligatoria la raccolta della carta senza però stabilirne l'utilizzo finale, e questo, congiuntamente a un improvviso aumento nella quantità raccolta negli Stati Uniti, ha portato a un'enorme accumulazione di carta usata che è risultato in un crollo dei prezzi mondiali. A partire dal 1991 nell'Unione Europea è stata discussa una nuova regolamentazione in materia di eco-etichette mirata da un lato a promuovere la realizzazione di prodotti con un ridotto impatto ambientale nel corso dell'intero ciclo di vita, dall'altro a fornire ai consumatori informazioni più dettagliate sull'impatto ambientale dei vari prodotti (Welford 1992). L'UE minacciava di ricorrere agli standard ambientali per controllare il commercio sia interno che estero dei beni di consumo: coloro che non si fossero adeguati avrebbero rischiato quindi di essere esclusi dal mercato, così da fornire a coloro che invece si fossero adeguati il vantaggio di una minore concorrenza e dunque di una maggiore quota di mercato (uno standard forse in contrasto con le intenzioni dell'OMC) (Rosen e Sloane 1995). La Hoover è stata la prima azienda statunitense a ricevere un'ecoetichetta europea, e sostiene che questo abbia fatto triplicare le sue vendite in Germania e raddoppiare nel Regno Unito quelle relative alla fascia più alta del mercato delle lavatrici (Anonimo 1995a). Anche altre nazioni stanno sponsorizzando programmi di eco-etichettatura: il Canada per esempio ha emesso delle linee guida ambientali per prodotti che vanno dalle vernici ai pannolini riutilizzabili in cotone, mentre il Giappone ha un proprio programma di etichettatura ambientale, il programma Ecomark, il cui simbolo consiste in due braccia che abbracciano la Terra formando la lettera e (che potrebbe stare per esempio per "ecologia") (Coddington 1993).
Le forti pressioni esercitate dai gruppi ambientalisti hanno
spinto le nazioni europee a introdurre delle leggi sugli imballaggi al fine di
ridurre i rifiuti prodotti, innanzi tutto attraverso la sensibilizzazione
all'attività di riciclaggio. Uno dei risultati raggiunti in questo senso è stata
la progressiva scomparsa di alcuni dei materiali utilizzati negli imballaggi; le
crisi economiche tuttavia hanno il potere di trasformare anche il più fervente
ambientalista in un semplice consumatore. Il
rallentamento dell'economia nei primi anni Novanta ha causato così un'inversione
di tendenza nel movimento ambientalista all'interno dell'UE; una conquista
importante quale la tassa sulle emissioni di anidride carbonica è stata respinta
ai voti nei periodi di flessione economica, mentre un'altra task force europea
ha richiesto nuove norme più orientate al mercato e suffragate da una serie di
analisi costi-benefici (Barnard 1996).
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