Copertina
Autore Françoise Héritier
Titolo Maschile e femminile
SottotitoloIl pensiero della differenza
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 2000, Biblioteca Universale 527 , pag. 232, dim. 140x210x16 mm , Isbn 978-88-420-6136-6
OriginaleMasculin/Féminin. La pensée de la différence
EdizioneOdile Jacob, Paris, 1996
TraduttoreBarbara Fiore
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe scienze sociali , scienze umane , femminismo , antropologia
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Indice


    Premessa                               IX

l.  La valenza differenziale dei sessi
    alla base della società?                3

Poteri sociali e antropologia, p. 4 - La
differenza dei sessi, ultimo limite del
pensiero, p. 6 - L'alfabeto dei dati
biologici, p. 8 - La valenza differenziale
dei sessi, p. 10 - Categorie conoscitive,
disuguaglianza, dominazione, p. 13

2.  Le logiche del sociale.
    Sistematiche di parentela e
    rappresentazioni simboliche            15

Tre approcci, tre livelli di complessità, p.
15 - Il pensiero culturalista, p. 17 -
L'invariante sotto la diversità, p. 18 -
Sociale: un numero finito di combinazioni, p.
19 - Il materiale fisico e biologico del
pensiero, p. 20 - Le grandi questioni dello
studio della parentela, p. 21 - Quando la
nascita determina la scelta del coniuge, p.
23 - La filiazione: una o più linee
privilegiate, p. 25 - Diritto francese: i
matrimoni vietati, p. 27 - Un sistema di
parentela dà una particolare visione del
mondo.... p. 28 - Legami biologici, legami
sociali, p. 30 - Il dato biologico
elementare, p. 32 - Ordine delle generazioni,
differenza tra sessi e fratrie, p. 34 -
Combinazione e manipolazione dei caratteri
biologici, p. 36 - Il rapporto
fratello/sorella al centro delle costruzioni
simboliche, p. 39

3.  Fecondità e sterilità                  45

Al centro della tela ideologica, p. 45 - I
rapporti sessuali vietati dopo una nascita,
p. 46 - Il caldo e il freddo, categoria
concettuale centrale, p. 47 - Il controllo
dell'equilibrio tra il caldo e il freddo, p.
49 - «Acque di sesso» e concepimento, p. 50 -
Impotenza maschile e infecondità femminile,
p. 51 - Il calore dell'infanzia e delle donne
senza mestruazioni, p. 54 - La massima
anormalità, p. 55 - Pericolosi accumuli di
calore, p. 57

4.  Sterilità, aridità, siccità.
    Qualche invariante del pensiero
    simbolico                              59

Discorso sapiente e norma morale, p. 61 -
Discorso popolare e norma sociale, p. 64 -
Responsabilità femminile della sterilità, p.
65 - Misconoscenza della sterilità maschile,
p. 66 - Genitore versus «Pater», p. 68 -
Rapporto sessuale, rapporto di sangue,
rapporto di forza, p. 70 - Incompatibilità
tra «sangui», p. 72 - La sterilità, sintomo
di una infrazione della norma, p. 75 - Un
capitale ristretto di forze procreative, p.
76 - Non mescolare le generazioni, p. 79 -
Accordo dei padri, accordo delle madri, p. 82
- Accordo del principio femminile, p. 83 -
Far fondere le sostanze e incrociare i
«sangui», p. 85 - Incrociare i generi:
l'umano, il suo al di qua, il suo al di là p.
88 - L'equilibrio del mondo, p. 92

5.  Lo sperma e il sangue.
    Alcune teorie antiche sulla loro genesi
    e i loro rapporti                      95

Un numero finito di modelli esplicativi, p.
95 - La dolce alchimia del concepimento, p.
96 - Mescolanza complessa dei «sangui» e
questioni di eredità, p. 98 - Concezioni
popolari versus pensiero scientifico, p. 100
- Dalla caratterizzazione alla gerarchia dei
fluidi, p. 102 - Il ciclo vitale indù, p. 103
- Il seme nelle ossa, p. 103 - Le ossa,
principio maschile, la cune, principio
femminile, p. 105 - I fondamenti materiali di
una credenza, p. 106 - Nel cuore della
credenza, la materia, p. 108

6.  «Il cattivo odore l'ha preso».
    L'influsso dello sperma e del sangue
    sul latte materno                     109

Bambini febbricitanti e commercio sessuale,
p. 110 - Incompatibilità degli umori, p. 112
- Nutrice, bruna e dolce, p. 113 - Emozione
di sangue e cattivo odore, p. 115 -
Equilibrio del corpo, equilibrio del mondo,
p. 117

7.  Metà uomini, piedi scalzi e saltatori
    su un solo piede.  Figure arcaiche
    della mascolinità                     119

Una metà d'uomo, vista di profilo, p. 119 -
La storia mitica di Silai, p. 122 - Un'
operazione intellettuale: tagliare, ma dove?,
p. 124 - La forza psichica della
rappresentazione laterale, p. 125 - Materia
proliferante, potenza concentrata, p. 127 -
La concentrazione di potenza virile, p. 129 -
Una forza genetica accresciuta e
intensificata, p. 132 - La metà uomo,
quintessenza della forza procreatrice, p. 134

8.  Da Aristotele agli Inuit              139

Un principio maschile alterato, p. 140 - La
somiglianza nella forma umana, p. 141 - La
materia animale della femminilità, p. 142 -
La mostruosità, eccesso di femminile, p. 143
- Il modello Sambia: non si nasce uomo, si
diventa, p. 146 - Gli Inuit: genere e
identità sono dissociati dal sesso, p. 147 -
Ordine simbolico, ordine naturale, p. 148

9.  Figure del celibato.
    Scelta, sacrificio, perversione       151

Qui, la ricerca della perfezione e della
salvezza, p. 151 - Là, l'impossibilità di
realizzarsi, p. 153 - Demoni freddi, vergini
morte, p. 154 - Unione mistica di celibi
defunti, p. 155 - Un'aggressione
soprannaturale, p. 156 - Great Buffalo
Woman, p. 157 - La metà di un essere umano,
p. 159 - La libera scelta è un'invenzione
recente, p. 160

10. La coscia di Giove.
    Riflessione sui nuovi modi
    di procreare                          163

Innovazioni che non lo sono veramente..., p.
165 - Il legame sociale prevale sul legame
biologico, p. 166 - Il bambino e la persona,
p. 167 - Desiderio, ma soprattutto dovere di
discendenza, p. 168 - La disgrazia della
non-fertilità, p. 169 - «La parola fa la
filiazione, la parola la toglie», p. 171 -
Soluzioni sociali al problema biologico della
sterilità, p. 171 - La donna che viene
chiamata «padre», p. 174 - Figli con più
«madri», p. 175 - Figli nati da un padre
defunto, p. 177 - Diritto collettivo e
rivendicazioni individuali, p. 179

11. L'individuo, il biologico e il sociale.
    La questione della riproduzione e
    del diritto al figlio                 183

Filiazione e generazione, p. 184 - Il legame
sociale - la filiazione prevale sul legame di
sangue - la generazione, p. 185 - Volontà e
individuo, p. 186 - Diritti degli individui e
rapporti con gli altri, p. 187 - Pienezza
individuale e legge del gruppo, p. 189 -
Radicare l'individuo, p. 190

Conclusioni.
L'improbabile potere delle donne          193

«Cinque elettori, due donne e un cane», p.
193 - Le donne sono individui?, p. 195 - La
capacità di ostruzionismo, p. 196 -
Specificità femminile o dominio riservato
maschile?, p. 198 - L'illusione relativa alla
nozione di progresso, p. 200 - Le età della
donna e l'età dell'uomo... p. 203

Bibliografia                              205

Nota editoriale                           221

Indice dei nomi e delle cose notevoli     225

 

 

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Pagina IX

Premessa

Questo libro nasce dai lavori sul tema del maschile e del femminile che ho scritto e pubblicato negli ultimi dieci anni. È parso utile ad alcuni dei miei colleghi e lettori, e a me con loro, che le mie riflessioni sulla differenza tra sessi fossero presentate in forma organica. Il sottotitolo è Il pensiero della differenza. Di che si tratta? Non di raccontare e calcolare la natura, le variazioni e i gradi della differenza e delle gerarchie sociali che sono stabilite in tutto il mondo tra i sessi, ma di cercare di comprenderne in senso antropologico le ragioni; di scovare, cioè, nell'insieme delle rappresentazioni proprie a ogni società, quegli elementi invarianti il cui concatenamento, pur assumendo forme diverse a seconda dei gruppi umani, si traduce sempre in una ineguaglianza che è considerata ovvia, naturale. Voltaire diceva che «i progressi della ragione sono lenti, le radici dei pregiudizi profonde»: proprio queste radici, non potendole estirpare, io intendo portare alla luce.

Come si vedrà, l'argomento conduce a scavare in settori nascosti del nostro immaginario sull'essere umano, per quanto riguarda il corpo e soprattutto i fluidi che esso secerne. In questo modo, le idee e i pensieri sulla differenza si faranno evidenti: il fatto che tuttora persistano, non dovrà però portarci a constatare che ogni sforzo per eliminare le disparità è fatalmente destinato a fallire, ma darci semmai la certezza che per lottare meglio, cioè per sostenere il combattimento, bisogna conoscere la natura del nemico. Solo svelando quelle idee e quei pensieri si potranno difatti trovare le leve che forse sono in grado di rimuovere l'ostacolo. Se è giusto sostenere con Georges Picard che il massimo comun denominatore tra gli esseri umani rimane «la cieca adesione al mondo», non per questo bisogna concludere con lui che è «inutile rifare le cose che sono fatte dentro di noi». A me sembra che aderire alle cose fatte dentro di noi sia ciò che qui chiamo funzionamento per preterizione, proprio dell'uomo all'interno delle sue istituzioni, delle sue rappresentazioni, della vita quotidiana: gli elementi fondamentali da cui il nostro mondo è costituito non sono mai messi in discussione, perché non essendo percepita la loro preminenza, o non essendo essi stessi percepiti affatto, non possono essere discussi o messi in causa. Ma nell'espressione «cieca adesione al mondo» c'è l'aggettivo «cieca»: già se non fosse più «cieca» saremmo molto avanti, perché la coscienza, se non la ragione, è una potente molla per muovere le cose.

[...]

È dunque urgente e sempre necessario, sempre di attualità, capire le ragioni profonde di questa soggezione. E così è da intendere questo libro, come una decifrazione di cose oscure, sepolte, che può anche essere la decifrazione del nostro avvenire. L'azione è possibile perché, naturalmente, il reale non è completamente determinato, ma anche perché nessun sistema di rappresentazione è totalmente chiuso su di sé: tutti presentano fessure, spaccature, e negoziano volta per volta puntualmente con il reale. Nessuno porta la sua logica fino in fondo, tutti sopportano alcune eccezioni.

Se sapremo vederle, queste fessure, queste aperture permetteranno di intraprendere azioni meditate.

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Pagina 3

l. La valenza differenziale dei sessi alla base della società?

[...]

Alcune società neoguineane o inuit offrono da questo punto di vista situazioni esemplari. Tra gli inuit, in particolare, l'identità e il genere non sono funzione del sesso anatomico ma del genere dell'anima-nome reincarnato. Tuttavia, venuto il momento, l'individuo si deve inscrivere nelle attività e nelle attitudini proprie del suo sesso apparente (compiti e riproduzione), anche se la sua identità e il suo genere saranno sempre funzione della sua anima-nome. Un ragazzo, per la sua anima-nome femminile, può essere allevato e considerato come una ragazza fino alla pubertà, assolvere il suo ruolo di maschio riproduttore in età adulta e darsi, a partire da quel momento, ai compiti maschili all'interno del gruppo familiare e sociale, pur conservando per tutta la vita la sua anima-nome, ossia la sua identità femminile (cfr. infra, cap. 8).

Parlo di tali questioni di sesso e di genere da un punto di vista antropologico generale, a partire da lavori sul campo miei e di altri, lavori sui quali più volte mi sono basata per cercare di far capire a un pubblico diverso (medici, giuristi, psichiatri ecc.) che le categorie di genere, le rappresentazioni della persona sessuata, la ripartizione dei compiti che conosciamo nelle società occidentali, non sono fenomeni a valore universale generati da una natura biologica comune, bensì costruzioni culturali. Infatti, con uno stesso «alfabeto» simbolico universale, ancorato a questa natura biologica comune, ogni società elabora «frasi» culturali particolari e che le sono proprie.

L'alfabeto dei dati biologici

Nella ingenua prospettiva dell'illusione naturalistica, ci sarebbe una universale e unica trascrizione, in una forma canonica che legittima il rapporto tra sessi, di fatti considerati di ordine naturale perché in tutto il mondo sono gli stessi. Ma in realtà i caratteri osservati nel mondo naturale sono decomposti, atomizzati in unità concettuali, e ricomposti in associazioni sintagmatiche che variano a seconda delle società: non esiste un unico paradigma. Queste associazioni variate di tratti, se noi potessimo redigerne liste esaurienti, ci permetterebbero di descrivere tutto il paesaggio della diversità culturale. Ma non è questo il punto.

Il fatto è che, sia per la costruzione dei sistemi di parentela (terminologia, filiazione, alleanza) sia per la rappresentazione del genere, della persona, della procreatone, tutto parte dal corpo, da unità concettuali inscritte nel corpo, nel biologico e nel fisiologico, unità osservabili, riconoscibili e identificabili in ogni tempo e luogo; queste unità sono aggiustate e ricomposte secondo diverse formule logiche possibili, ma possibili anche perché pensabili, a seconda delle culture. L'iscrizione nel biologico è necessaria, il che però non vuol dire che di questi dati elementari debba esservi una traduzione unica e universale.

[...]

Mi considero dunque materialista: parto effettivamente dal biologico per spiegare come hanno avuto luogo sia le istituzioni sociali che i sistemi di rappresentazione e di pensiero, ma ponendo come petizione di principio che questo dato biologico universale, ridotto alle sue componenti essenziali, irriducibili, non può avere una sola e unica traduzione, e che tutte le combinazioni logicamente possibili, nei due sensi del termune - matematici, pensabili -, sono state esplorate e realizzate dagli uomini in società.

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Pagina 12

Anche se apparentemente tautologica, l'ipotesi può essere approfondita: i sessi anatomicamente e fisiologicamente differenti sono un dato naturale; dalla loro osservazione derivano nozioni astratte il cui prototipo è l'opposizione identico/differente su cui si modellano sia le altre opposizioni concettuali di cui noi facciamo uso nei nostri discorsi, di qualsiasi tipo, sia le classificazione gerarchiche che il pensiero opera e che, invece, sono criteri di valore.

Si tratta di un dato invariante, di una categoria universale? L'idea è contestata da un certo numero di nostre colleghe femmniste, o che lavorano sull'antropologia dei sessi, le quali cercano di mostrare che ci sarebbero, o che ci sarebbero state, società in cui la valenza differenziale dei sessi non esiste, o funziona all'inverso di quel che noi conosciamo. La dimostrazione rimane però piuttosto illusoria.

Tuttavia, spiegare esattamente i motivi per cui la valenza differenziale dei sessi, cosi come la proibizione dell'incesto, appare essersi imposta universalmente, mi sembra far parte di una stessa necessità: costruire il sociale e le regole che ne permettono il funzionamento. Accanto ai tre «pilastri» di Claude Lévi-Strauss - la proibizione dell'incesto, la ripartizione sessuale dei compiti e una forma riconosciuta di unione sessuale - vorrei metterne un quarto, così evidente che non si vedeva, ma assolutamente indispensabile per spiegare il funzionamento degli altri tre, i quali, anch'essi, tengono conto soltanto del rapporto maschile/femminile. Questo quarto pilastro, o, se si preferisce, la corda che lega fra loro i tre pilastri del tripode sociale, è la valenza differenziale dei sessi. Potrebbe essere disperante, ma in realtà non lo è.

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Pagina 29

Ogni popolo utilizza il suo sistema terminologico di parentela in modo naturale e spontaneo e tende a credere che esso sia scritto in una necessità biologica. Nulla di più falso. Il sistema europeo, ad esempio, corrisponde soltanto a una delle sei grandi figure possibili di sistemi tipo di parentela che troviamo nel mondo. Noi indichiamo i nostri parenti con termini che ognuno conosce, il che ci sembra concepito secondo logica e fondato sulla biologia. Ma questo sistema, che rende conto del potenziale concatenamento di uno spazio genealogico con designazioni degli individui che occupano questo spazio, non è universale. Non è che uno dei possibili sistemi.

[...]

Se combiniamo i sei grandi tipi conosciuti di nomenclatura con le regole di filiazione possiamo caratterizzare, sulla scia di George Peter Murdock, undici tipi combinati di terminologia e di filiazione. Per limitarci alla terminologia, i sei grandi «sistemi-tipo terminologici di parentela» sono i seguenti: eskimo (il nostro appartiene a quel tipo), hawaiano, sudanese, irochese, crow e omaha. Questi appellativi si riferiscono alle particolari popolazioni in cui i sistemi sono stati descritti.

[...]

È proprio dei sistemi di parentela - insiemi di regole che governano la filiazione, la residenza e l'alleanza - distinguersi per una certa autonomia in quel che riguarda le leggi naturali della specie. La riproduzione degli uomini è uno stnunento della riproduzione dell'ordine sociale: entra nelle rappresentazioni simboliche dell'ordine sociale al punto da poter affermare che un sistema di parentela esiste solo nella coscienza degli uomini e non è altro che un sistema arbitrario di rappresentazioni.

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Pagina 43

Tutti i sistemi terminologici di parentela dicono qualcosa che potrebbe essere così formulata: il rapporto uomini/donne e/o maggiori/cadetti può essere trasposto nel rapporto genitori/figli.

Torniamo al dato biologico di base: due sessi, rapporti generazionali, rapporti di maggiori/cadetti. Il rapporto uomo/donna, il rapporto maggiore/cadetto, può essere tradotto nel linguaggio in un rapporto genitore/figlio. Non lo è necessariamente, può esserlo, lo è più o meno in certi sistemi.

Ma in nessun sistema esistente troviamo un rapporto donna/uomo o cadetto/maggiore - in cui il primo dei due termini è in posizione dominante - che equivalga a un rapporto genitore/figlio.

Non si trova nessun sistema-tipo di parentela che, nella sua logica interna, nel dettaglio delle sue regole di generazione, nelle sue derivazioni, porti a poter stabilire che un rapporto che va dalle donne agli uomini, dalle sorelle ai fratelli, sia traducibile in un rapporto in cui le donne siano maggiori e in cui appartengano strutturalmente alla generazione superiore.

Le assenze che abbiamo trovato non si spiegano se non così: questo rapporto di ineguaglianza, che non è biologicamente fondato, prova, se ce n'è bisogno, che ogni sistema di parentela è una manipolazione simbolica del reale, una logica del sociale.

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Pagina 45

3. Fecondità e sterilità

Al centro della tela ideologica

Al pari delle altre, le popolazioni cosiddette primitive danno per scontato che tra sessi esistano differenze di base, morfologiche, biologiche, psicologiche. Sarebbe interessante, d'altro canto, stabilire per determinate popolazioni la lista di quelle che sono ritenute irrimediabili, in particolare delle differenze che hanno a che vedere col comportamento, le prestazioni, le «qualità» o i «difetti» considerati tipici di un sesso o dell'altro.

[...]

La classificazione dicotomica, e valorizzata, che troviamo in ogni società, degli atteggiamenti, dei comportamenti, delle qualità a seconda del sesso, rinvia, come l'esperienza etnologica mostra, a un linguaggio in categorie dualiste più vaste, nel senso che vengono stabilite corrispondenze tra i rapporti maschio/femmina, destra/sinistra, alto/basso, caldo/freddo ecc., per citarne solo alcuni, corrispondenze che da una società all'altra possono variare senza per questo nuocere alla generale coerenza interna di ogni particolare linguaggio. Questo linguaggio dualista è una delle componenti elementari di ogni sistema di rappresentazione, di ogni ideologia considerata come traduzione di rapporti di forza.

Per contro, il corpo ideologico di ogni società (cioè l'insieme delle rappresentazioni) deve necessariamente poter funzionare come sistema esplicativo coerente di tutti i fenomeni e gli accidenti (disgrazie, malattie, morte) propri della vita individuale, della vita in gruppo, ma anche dei fenomeni che hanno a che vedere con l'ordine naturale, in particolare gli incerti climatici.

Questa esigenza di senso è l'esigenza fondamentale di ogni sistema ideologico e deve rendere conto, come di tutto il resto, anche dei fatti elementari di ordine puramente fisiologico.

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Pagina 95

5. Lo sperma e il sangue

Alcune teorie antiche sulla loro genesi e i loro rapporti

Quando il bambino nasce, le sue vene trasportano una certa quantità di sangue, ma quelle dell'adulto ne trasportano molto di più: se durante la vita, per accidente, o per legge di natura nel caso sia donna, ne perde, continuamente se ne ricrea.

Il sangue è indispensabile alla vita, è il suo supporto, e la sua presenza nel corpo ne è il segno, perché è esperienza normale, banale, che un corpo dissanguato diventa un corpo morto, e freddo. Sangue e vita sono calore. Ma questo bambino che nasce vivo e caldo, portatore della piccola quantità di sangue che il suo corpo può contenere, deriva da un contatto senza il quale la riproduzione è impossibile, durante il quale passa dal corpo maschile al corpo femminile una sostanza, che è quindi necessaria alla creazione di un nuovo essere vivente, che non è sangue: il «seme», lo sperma. E come ultima cosa, soltanto le ragazze puberi e le donne non in menopausa, cioè le donne che perdono sangue, sono in grado di concepire.

Questo semplice concatenamento di fatti, di esperienza ordinaria se così si può dire, ha suscitato la riflessione degli uomini in tutte le società. Da dove provengono il sangue, e lo sperma? Per quali meccanismi si costituiscono nel corpo? Quali rapporti ci sono tra essi? Cosa accade al momento del concepimento? E ancora: quale è il rapporto tra legame biologico e legame sociale? Cosa fonda la filiazione? Perché si segna la continuità tra vivi e morti secondo le linee incrociate della generazione? Cos'è la persona? Cosa trasmette? Come si combinano nel bambino gli apporti che ha ricevuto dai genitori? Come spiegare le somiglianze ecc.?

Un numero finito di modelli esplicativi

A queste e a molte altre domande (perché il catalogo sopra è ben lungi dall'essere completo) gli uomini forniscono risposte complesse sotto forma di teorie della persona più o meno elaborate, che hanno la caratteristica di offrire ogni volta una visione coerente e ordinata del mondo di cui esse giustificano l'esistenza, e della riproduzione. Esse danno senso a questi due dati fondamentali.

Naturalmente, ogni gruppo umano, attraverso la riflessione congiunta dei suoi membri, che nello scambio si delinea e si rafforza, secerne la sua teoria. Lo sguardo antropologico rende conto di queste diverse e originali versioni e del loro logico concatenatnento interno.

È perfettamente chiaro che queste teorie sono prive di fondamento scientifico - anche se forse non è eccessivo definire di ordine razionale un modo di procedere del pensiero che partendo dall'osservazione e dall'esperienza, se non dalla sperimentazione, arriva a una teoria esplicativa - ma sono ritenute vere perché riescono a rendere efficacemente conto dei fatti che sono sotto gli occhi di tutti.

Tuttavia, se è vero che queste teorie sono molto diverse e poco scientifiche, è pur vero che si può costruire soltanto un numero ridotto di modelli esplicativi in grado di rispondere a certe questioni centrali, perché la riflessione che a ciò conduce è costretta a rendere conto dello stesso dato empirico direttamente osservabile, il quale lascia poche possibilità di scelta.

Ad esempio, la riflessione centrale sulla genesi dello sperma e del sangue, così fortemente ancorata all'anatomia e alla fisiologia del corpo, animale e umano, trova qui una costrizione iniziale tutta fisica, al punto che in luoghi e in epoche estremamente diversi sono state elaborate dagli uomini teorie incredibilmente simili, e la cui penetrazione esplicativa e la cui sofisticazione possono a volte raggiungere quelle delle conoscenze più moderne.

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Pagina 139

8. Da Aristotele agli Inuit

Sul tema della generazione e della determinazione del sesso, Aristotele ha elaborato uno dei più bei modelli esplicativi che vi siano, modello filosofico argomentato e ragionato in cui troviamo molti punti della genetica selvaggia delle popolazioni dette primitive. La fonte qui utilizzata è il IV libro della Riproduzione degli animali, opera che Aristotele scrisse tra il 330 e il 332, alla fine del suo cammino. Punto di partenza della sua riflessione sono alcuni dei pensatori che lo hanno preceduto.

Per Anassagora, il sesso è determinato dal padre, dal momento che il maschio proviene dal testicolo destro, il più caldo, le femmine dal sinistro. Per Empedocie il calore più o meno forte della matrice, a seconda dello stato del sangue mestruale, fa nascere un maschio o una femmina. In entrambi i casi il calore più forte fa concepire il maschio.

Pur conservando la virtù dell'opposizione tra caldo e freddo, Aristotele critica per alcuni punti i suoi predecessori perché, dice, non è cosa da poco dimostrare che l'incontro col freddo, nella matrice della madre, provoca nel feto la produzione di un utero. Ma ciò che più conta è che egli postula che lo sperma non porta al feto alcuna materia: esso è puro pneuma, soffio e potenza.

Il maschio è colui che è in grado di realizzare, con la forza del suo calore, la cottura del sangue e di trasformarlo in sperma: «Egli emette uno sperma che contiene il principio della forma», intendendo per principio il primo motore, che l'azione si attui in esso o in un altro essere. La femmina, che è materia, non è altro che un ricettacolo: dal momento che ogni cottura esige calore, essendo lo sperma il punto di arrivo depurato della cottura del sangue, il maschio sarà perciò dotato di calore in misura maggiore. È d'altronde perché è fredda che la donna ha più sangue e ne perde, perché altrimenti ne farebbe sperma.

Questa differenza qualitativa fondamentale tra caldo e freddo, implica e giustifica la differenza anatomica degli organi: un sesso, caldo, secerne un residuo puro in piccola quantità, che i testicoli bastano a immagazzinare; l'altro, freddo, incapace di arrivare a questa cottura, ha bisogno di un organo più vasto, l'utero. A ogni potenziale corrisponde un organo appropriato. Ma allora, se l'uomo, che è caldo, domina, come mai genera figlie, e figlie che a volte somigliano alla madre?

Un principio maschile alterato

«Quando il principio maschile non domina, è incapace di operare la cottura per mancanza di calore, e non impone la sua forma. Si mostra inferiore ai suoi compiti ed è allora necessario che si carichi del suo contrario». La generazione di figlie femmine è dunque risultato di una parziale impotenza, «perché il contrario del maschio è la femmina». Ciò, dice Aristotele, si verifica nei fatti.

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Pagina 148

Ordine simbolico, ordine naturale

Come si vede, il genere, il sesso, la sua determinazione, l'adattamento dell'individuo, pensati dall'uomo, non sono fatti che dipendono semplicemente dall'ordine naturale. Costruibili e ricreati, dipendono dall'ordine simbolico, dall'ideologia, anche se l'enunciato di questo ordine simbolico mira a stabilirli poi come fatti di natura per tutti i membri della società.

È così in Aristotele, in cui ogni parte dell'opposizione da lui presentata come «naturale» tra caldo e freddo, secco e umido, attivo e passivo, potere e materia, connota rispettivamente il maschile e il femminile. Per concludere, dirò che questo modo aristotelico di pensare non è estraneo ai nostri discorsi moderni, compreso il registro scientifico.

Ignoriamo a tutt'oggi in cosa consista esattamente il potere fecondante dello sperma. Nell'edizione del 1984 della Encyclopaedia Universalis, alla voce Fecondazione (Lavergne e Cohen), si può leggere quanto segue:

La particolarità dei gameti femminili è un regime metabolico particolare. Una volta differenziate, queste cellule testimonieranno una straordinaria inattitudine a proseguire il loro sviluppo; entrano in uno stato di inerzia fisiologica tale che sono votate a morire se non vengono attivate. È allora che si rivela la necessità della fecondazione: il gamete maschio assicurerà la funzione attivatrice naturale [corsivi nostri]. Questa virtù seminale è stata riconosciuta fin dalla più alta antichità. E tuttavia il potere vitalizzante del seme maschile - o del polline - rimane ancora mal spiegato, sebbene rivesta un ruolo chiave nella riproduzione sessuata.

Si sarà notato che il vocabolario utilizzato dagli autori è lo stesso che usa Aristotele, e non si negherà che esprime concetti mal definiti che rimandano a un fondo di credenze popolari: la cellula femminile, materia «inerte» e «inabile», deve essere «attivata», altrimenti muore, dalla cellula maschile dotata di «virtù» seminale e di un «potere vitalizzante» la cui natura è sconosciuta. Potremmo, senza esitazione, definirlo pneuma.

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Pagina 163

10. La coscia di Giove

Riflessione sui nuovi modi di procreare

Tutte le società umane poggiano su un'esigenza comune, quella della loro riproduzione, che passa attraverso la riproduzione dei loro membri. Ciò significa che tutte hanno a che fare con problemi che sono da sempre oggetto di riflessione: definire, per mezzo di particolari regole di filiazione, ciò che garantisce la legittimità dell'appartenenza al gruppo, deliberare su ciò che fonda l'identità della persona umana dal momento che è inserita in un continuum biologico e sociale, regolamentare i diritti e i doveri dell'individuo e infine portare una soluzione a loro misura al problema della sterilità.

[...]

Da questo punto di vista, l'idea che il sociale sarebbe dal lato dell'artificio, mentre il biologico (o il genetico) sarebbe dalla parte della natura, a rigore non ha alcun senso. È questa la prima costante che dobbiamo osservare nei fatti.

Tuttavia, i sistemi di filiazione - che consacrano l'appartenenza ad un gruppo socialmente definito -, i sistemi di parentela - che determinano il modo in cui noi classifichiamo e denominiamo i nostri parenti consanguinei e alleati -, le modalità di alleanza matrimoniale e i modelli di famiglia sono dati eminentemente sociali. Cosa intendere con questo? Se una qualsiasi di queste istituzioni fosse biologicamente fondata, dunque naturale e necessaria, si presenterebbe universalmente nella stessa forma. Ma non è così, per nessuna di esse. Il fondamento delle diverse formule che incontriamo è certo sempre l'osservazione e il trattamento di invarianti biologiche ma, come abbiamo visto nel capitolo 2, questi sono di grandissima generalità.

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11. L'individuo, il biologico e il sociale

La questione della riproduzione e del diritto al figlio

Nel 1985, il guardasigilli Robert Badinter pubblicò su «Le Débat» un testo dal titolo I diritti dell'uomo di fronte ai progressi della medicina, della biologia e della biochimica. Il testo fu sottoposto per un commento a varie persone, tra le quah c'ero anche io. Vi si affrontavano la procreazione assistita dal medico e la medicina preventiva; i miei commenti si rivolgono soltanto alla prima parte.

Robert Badinter pone come petizione di principio che «Oggi, per dare la vita, bastano la volontà individuale e la scienza medica», il che comporta il fatto che «al di là delle regole giuridiche, si è radicalmente trasformata la nostra concezione plurisecolare della filiazione [...] Il sapere scientifico fornisce regole di comportamento; non dà regole di giudizio su di sé e sul suo impiego». Sta dunque al mondo civile fare scelte in funzione di determinati «riferimenti». Questi riferimenti, o se si preferisce il sistema di rappresentazioni istituito, dovranno essere «i principi della nostra civiltà europea fondata sui diritti dell'uomo», che esprimono una concezione particolare della libertà e della protezione dell'uomo.

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Volontà e individuo

Il paradosso dei nuovi metodi di procreazione è che permettono di rivendicare allo stesso tempo in alcuni casi la preminenza del genetico e in altri quella del legame sociale e della volontà.

Preminenza del genetico: cosi una donna che non può portare un figlio per un problema all'utero, e che facesse portare da un'altra l'embrione prodotto dalla fusione in vitro di un suo ovocita e degli spermatozoi di suo marito, è spontaneamente riconosciuta dalla collettività come la vera madre di questo figlio.

Preminenza del legame sociale e della volontà sul genetico e sul fisiologico: è il caso dell'inseminazione artificiale con donatore, il dono di ovulo, il dono di embrione. Vediamo che quest'ultima possibilità è rigorosamente la controparte di quella che abbiamo appena evocato: una donna porta un embrione di cui né lei né il marito sono gli autori in senso genetico. Tuttavia ci si accorda nel pensare che nel primo caso la donna che porta e partorisce non è la madre mentre lo è nel secondo.

Ai miei occhi è evidente che l'elemento fondamentale che serve da pietra di paragone per operare questa separazione è la volontà previamente espressa dai partner, inseriti in uno statuto di coppia e preoccupati che la riproduzione vada a loro vantaggio, giustificando così l'arbitrario o l'artificio del sociale.

La giurista Michelle Gobert ha perfettamente ragione quando scrive: «Ci crediamo nel regno della biologia perché la biologia è riuscita a penetrare i misteri della natura, mentre siamo in quello, assoluto, della volontà».

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Così dunque, colmo del paradosso, quando Robert Badinter si basa sull'interesse del bambino per giustificare in nome dei diritti dell'uomo che lo si faccia nascere con tutti i mezzi appropriati, egli si inscrive di fatto in una logica della filiazione e del lignaggio che sta all'opposto della logica dell'individuo. Qui l'individuo passa davanti alla legge del gruppo; là si cancella dietro l'interesse del lignaggio.

Il sottile scivolamento del pensiero che fa passare dal diritto alla vita al diritto di dare la vita, poi a quello di scegliere liberamente i mezzi per farlo, mi pare difficilmente legittimabile, sia dal punto di vista del diritto che da quello della filosofia sociale. Se ho il diritto di vivere, poiché sono già al mondo, questo diritto implica, al di là di quella sorta di obbligo che spinge la specie a perpetuarsi (il quale obbligo può essere trascritto, l'abbiamo visto, in termini di dovere in rapporto al gruppo sociale), un diritto giuridico di farlo, che in più darebbe accesso a tutti i mezzi?

Non ho risposte di tipo ontologico alla questione, ma è possibile confrontare questo diritto con altri. Vedremo che la regola sociale implicita stabilisce un forte sbarramento tra il diritto a e il diritto di. Avere diritto a scegliere per sé una morte serena non dà (ancora?) il diritto a darla ad altri. Avere diritto alle cure mediche non dà quello di curare, avere diritto all'istruzione non conferisce all'ignorante quello di istruire.

Radicare l'individuo

Al di là di questi paralleli che implicano limiti di ordine etico e sociale o di ordine della competenza, io vedo in questo discorso una radicalizzazione della nozione di individuo, ancor più manifesta d'altronde nell'uso che viene fatto del diritto all'intimità, inteso non più come protezione da parte dell'individuo della sua parte segreta contro l'aggressione altrui, bensì come libertà di prendere a dispetto di tutti le decisioni che gli sembrino essenziali per sé, ambito primordiale di cui farebbe parte anche il desiderio di procreazione.

Ma è dffficile definire a priori cosa è essenziale per ognuno; forse per alcuni proteggere la propria intimità potrebbe significare eliminare fisicamente chi la disturba.

Certo, Badinter propone una interpretazione apportatrice di libertà, e profondamente generosa, dei diritti dell'uomo, ma essa fa dell'individuo, monade strettamente chiusa su di sé, l'unico referenze dell'essere al mondo. Così però essa è contraria allo scopo perseguito, fatto di altruismo e di solidarietà.

Indubbiamente, nella misura in cui disconosce o utilizza male la nozione stessa di sociale, è un punto di vista utopico. Ora, l'individuo non può essere pensato solo: esiste soltanto in rapporto. Basta che vi sia relazione tra due individui perché già esista il sociale, che non è mai il semplice aggregato dei diritti di ciascuno dei suoi membri, ma un arbitrario costituirsi di regole in cui la filiazione (sociale) non è mai riducibile al biologico puro.

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Conclusioni
L'improbabile potere delle donne

Il problema è quello del potere. In effetti ci si può chiedere se le donne abbiano mai, in un qualche luogo, esercitato un vero potere nelle diverse sfere, in particolare in quella politica. Se potere hanno, o hanno avuto, di che natura è? Semplice «influenza» sull'uomo o capacità di decidere allo stesso titolo? Una risposta alla prima domanda è già in parte data dalla terza: la loro «quasi-assenza» dal potere politico significa da parte loro indifferenza o esclusione? Si può parlare di cambiamenti in questo campo, dall'alba dei tempi ai nostri giorni?

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Le donne sono individui?

Eccomi, così, attraverso queste due storie, a quel che Pierre Rosanvallon diceva, nella sua molto pertinente e sottile analisi della storia del voto alle donne in Francia, così in ritardo (1944) rispetto allo stesso diritto accordato a tutti gli uomini, mentre paesi meno democratici e - apprezzo l'espressione - «di improbabile sensibilità femminista» avevano accordato questo diritto molto prima: 1921 India, 1934 Turchia, ad esempio.

Si tratta soltanto di una storia di «pregiudizi sociali»? No, dice. E tuttavia, saremmo tentati di dire si, se invece che di «pregiudizi» si parlasse di insiemi coerenti di rappresentazioni, di schemi mentali incorporati, che comportano anche le concezioni della democrazia e i fondamenti filosofici e politici del diritto di voto di cui egli parla. Perché, per la stessa ragione, ma rigorosamente inversa nel discorso razionalista, le donne sono qui escluse e là ammesse ad esercitare lo stesso diritto degli uomini.

In quanto donne e non in quanto individui, in effetti, le donne inglesi sono chiamate alle urne. Ciò che, molto esplicitamente, fonda il loro diritto negli scritti delle femministe anglosassoni dell'inizio del secolo è la differenza, non l'equivalenza: «Se gli uomini e le donne si somigliassero completamente - scrive Mrs. Fawcett - saremmo adeguatamente rappresentate dagli uomini, ma poiché siamo diversi, la nostra specificità nel sistema attuale non è rappresentata».

[...]

In Francia è invece il principio di uguaglianza politica tra individui ciò che impedisce fino al 1944 al voto femminile di esprimersi, ma per le stesse ragioni per cui in Inghilterra lo si autorizza. Il potere è negato alle donne in quanto individui veri, perché prima di tutto sono donne, cioè segnate dai «condizionamenti del loro sesso».

Si tratta quindi proprio di sesso. Il tipo «naturale» di individuo è l'uomo, in cui il sesso, di cui non si parla come fondamento della teoria dell'individuo, è valorizzato mentre, all'inverso, in Francia «i pregiudizi - è scritto - funzionano negativamente».

Nella mia lingua, la valorizzazione implicita negativa o positiva delle categorie binarie che accompagnano le due categorie binarie principali identico/differente, maschile/femminile (alto/basso, superiore/inferiore, sopra/sotto, destra/sinistra, chiaro/scuro, denso/vuoto, pesante/leggero, caldo/freddo ecc.) funziona negativamente solo per il sesso femminile. Ma in ogni caso si instaura il gruppo sociale distinto delle donne, il che allo stesso tempo impedisce e autorizza loro di integrarsi parzialmente nella sfera del politico, a cominciare dal diritto di voto.

Due incisi che smarginano su quel che deve venire. L'argomento di Mrs. Fawcett era doppiamente falso: «Saremmo perfettamente rappresentate dagli uomini se fossimo simili». È falso logicamente e antropologicamente, nell'esperienza a volte amara delle popolazioni esotiche. Se vi fosse perfetta somiglianza, non ci sarebbe alcuna ragione logica che una metà sessuata rappresentasse l'altra. Antropologicamente, e più in generale, si trovano situazioni tali che è impensabile che le donne possano essere consultate sulla pubblica piazza, che possano rappresentare il loro lignaggio come gli uomini, e decidere come loro. Le donne non sono «filosoficamente», direi, considerate individui.

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Specificità femminile o dominio riservato maschile?

Cosa presenta allora implicitamente questa famosa specificità femminile in tutti i sistemi di rappresentazioni? È difficile smontare con un solo movimento i meccanismi e i moventi che spiegano questa «universalità», o quasi-universalità, del non-riconoscimento delle donne come individui interi allo stesso titolo che gli uomini. Nei capitoli precedenti ci ho provato. Quel che è importante notare è il lato implicito della cosa. È qualcosa che va talmente da sé, anche nell'interiorizzazione che ne fanno uomini e donne, che non è necessario esplicitarlo. Basta porre questa ineguaglianza come petizione di principio.

Un esempio molto bello è quello del voto di approvazione da parte del sinodo anglicano dell'ordinazione delle donne e le reazìoni della Chiesa cattolica romana che sono seguite. Monsignor Carey fa pesare la bilancia in favore dell'ordinazione delle donne, secondo «Le Monde» del 13 novembre 1992, dicendo quanto segue: «Se le donne possono esercitare la loro autorità in ogni ambito della vita sociale escluso il sacerdozio, corriamo il rischio di non essere più ascoltati». Si tratta di capire bene quel che dice. Non essere più ascoltati implica il complemento indiretto, «dalle donne»; e «escluso il sacerdozio» implica l'abbandono da parte degli uomini di uno degli ultimi grandi bastioni degli ambiti riservati maschili. Ne restano molti altri? Bisogna vedere, ma quel che è praticamente certo è che se ne inventeranno altri in quegli impercettibili spostamenti innovatori che le nostre società occidentali offrono, meno evidenti forse di quelli che conosciamo e che sarà compito dei sociologi scovare.

Per la Chiesa cattolica romana l'argomentazione è classica: naturalmente vi è eguaglianza, ma Gesù Cristo ha scelto di incarnarsi in forma maschile e non femminile. L'ordinazione riservata agli uomini perpetua questa scelta. Ma, se mi è consentito, l'argomento è privo di valore. Lo definirei «il caso delle due cravatte»: se tra due cravatte che gli sono state regalate, un uomo ne prende una per indossarla subito ciò non implica che l'altra non gli piaccia, ma che culturalmente non gli è permesso portasse due insieme.

Di fronte a due possibili forme, Dio non ha «scelto» la forma che preferiva ma una cravatta, se così posso esprimermi; e non avrebbe potuto essere un'altra visto lo stampo offerto dalla società che privilegiava il maschile assai prima dell'apparizione delle religioni rivelate. Perché al Figlio di Dio sarebbe stato difficile nascere ermafrodito, colmo della confusione dei generi e della mostruosità, il che avrebbe inoltre, se si fosse dovuto seguire il suo esempio, reso assai rara la possibilità di scelta dei preti.

Secondo Roma, sempre in quella pagina di «Le Monde», a firma di Henri Tincq, l'uguaglianza dei diritti nella Chiesa non implica forzatamente una identità di funzioni. Troviamo qui la specificità femminile ridotta alla funzione femminile: sfera domestica, a rigore sfera del sociale. Ma per quali ragioni, fondate sulla natura, che non siano la maternità? Gli uomini non sono solo altrettanto biologicamente e socialmente padri?

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In sintesi, tutto questo implicito ci parla semplicemente di sesso, di morfologia, certo, ma anche di fisiologia. In religione, coloro che si consacrano a Dio devono essere casti, astinenti, non cedere alle passioni del corpo ma alle delizie dello spirito. Gesù Cristo è carne ma è soprattutto parola e Verbo e il seme del Cristo è la sua parola, non il suo sperma.

Il fondamento potente della scelta degli uomini del sacerdozio nella religione cattolica fa parte di queste premesse: Gesù, sessuato, non ha fatto uso della sua sessualità maschile, non ha emesso seme e tramutato il seme in Verbo divino. Solo il maschio può riuscire in questa trasformazione; Aristotele l'ha detto e molte popolazioni assai distanti dalla Grecia hanno lo stesso modello di spiegazione: maggior calore del corpo maschile, cottura totale del sangue che arriva alla fabbricazione del seme come pneuma e non come materia. Lo pneuma è anche il Verbo.

Castità maschile e predicazione vanno di pari passo, perché la donna non ha seme fertilizzante prodotto dal suo corpo. Sono rappresentazioni di questo tipo che soggiacciono occultate nelle nostre culture, come in molte altre.

L'illusione relativa alla nozione di progresso

C'è una evoluzione storica percepibile? Sarei tentata di dire: sì e no. Certo, dall'antichità giudeo-cristiana da cui ci viene detto che siamo derivati, le cose nella nostra storia cambiano (a volte violentemente, più spesso con piccoli colpi di pollice ignorati o dimenticati). Janine Mossuz-Lavau insiste giustamente sul bastione più grande introdotto, almeno nei testi se non ancora totalmente nei comportamenti, dal controllo della riproduzione.

Nell'ambito della sessualità, le donne hanno acquisito nuovi poteri tra gli anni Sessanta e Ottanta: contraccezione, interruzione volontaria della gravidanza, diritto di disporre del proprio corpo, stupro considerato attentato alla persona ecc.

Mi sembra significativo che proprio in questo ambito preciso, il più intimo, ci siano bastioni da rimuovere con la forza. Così come gli argomenti di chi si oppone alla liberazione contribuiscono a rafforzare l'ipotesi che il nocciolo duro della differenza voluta come naturale, sorgente di funzioni diverse e di valori diversi accordati alle funzioni e alle persone che le esercitano, posa su una visione, su una rappresentazione quasi sacra della virilità. Riprendo questa frase, citata da Janine Mossuz-Lavau, che proviene da qualcuno che nel 1967 si opponeva alla'accesso alle donne alla contraccezione: «Gli uomini perderanno la fiera coscienza della loro feconda virilità». In una frase come questa tutto deve essere preso alla lettera, ogni parola ha un senso e non c'è niente da ridere.

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Pagina 203

Le età della donna e l'età dell'uomo...

Mi sembra che in questo flash sulla natura del potere femminile, la sua evoluzione, i suoi cambiamenti, molti siano i punti da considerare. Certo ci sono state «vittorie» nella riappropriazione del corpo. Ma continueranno a essercene con i progressi genetici e con le forme ancora non sperimentate, ma plausibili, di procreazione (la gestazione maschile, ad esempio)?

[...]

Per me, antropologa, uno dei primissimi interrogativi nell'esercizio di questo mestiere-passione si è rivolto alla mancanza di studi sistematici sull'età dell'uomo e sulla mascolinità propriamente detta, nei lavori storici, sociologici, antropologici. Va talmente da sé che questo sia il referenze ultimo che è inutile parlarne.

Se ne può parlare in termini di istituzioni sociali particolari che definiscono soglie e passaggi, ad esempio i sistemi a classi di età. Si parla dell'infanzia, dell'adolescenza, della vecchiaia ma non dell'età di uomo, della maturità attiva, di quello che nei suddetti sistemi è ritenuto esercitare cariche, responsabilità, potere.

L'età dell'uomo è il buco nero, l'ultimo referente. Forse dovremmo interrogarci su questi strani annullamenti, perché secondo me questa assenza e questo silenzio legittimano tutto quanto è accaduto all'umanità.

 

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Riferimenti


Bibliografia

AA.VV.
1950 La femme et le communisme. Anthologie des grands textes
     du marxisme, Editions sociales, Paris.
1964 Dictionnaire archéologique des techniques, vol. II,
     Editions de l'Accueil, Paris, s.v. Médecine.
1991 Dictionnaire de l'ethnologie et de l'anthropologie, a
     cura di M. Izard, P. Bonte, PuF, Paris.

A. Adams
1995 Maternal bonds: recent literature on mothering, in
     «Signs», 20 (2), pp. 414-27.

E. Ahem
1975 The power and pollution of chinese women, in M. Wolf,
     R. Witke (a cura di), Women of Chinese Society,
     Stanford University Press, Stanford, pp. 193-214.

I. Amadiune
1987 Male Daughters, Female Husbands. Gender and Sex in
     African Societies, Zed Books, London.

Aristotele
1973 Riproduzione degli animali, Laterza, Roma-Bari.

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