Copertina
Autore Mary Higgins Clarke
Titolo Un giorno ti vedrò
EdizioneSperling & Kupfer, Milano, 2003 [1994], Superbestseller 571 , pag. 326, dim. 124x195x20 mm , Isbn 978-88-7824-720-8
OriginaleI'll Be Seeing You [1993]
TraduttoreMaria Barbara Piccioli
LettoreElisabetta Cavalli, 2003
Classe thriller , gialli
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Pagina 3

MEGHAN Collins si teneva un poco in disparte dal gruppo degli altri giornalisti che si erano radunati nel pronto soccorso del Manhattan's Roosevelt Hospital. Pochi minuti prima vi era stato precipitosamente trasportato un ex senatore, aggredito in Central Park West, e ora i rappresentanti dei media erano in attesa di un comunicato medico.

Meghan posò a terra la borsa a tracolla. Il peso del microfono senza fili, del cellulare e degli svariati taccuini che conteneva le aveva scavato un solco doloroso nella spalla. Si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi. Gli altri cronisti non erano meno stanchi di lei; si erano trattenuti in tribunale fino alle prime ore del pomeriggio, in attesa della sentenza di un processo per frode e si preparavano ad andarsene quando era arrivata la notizia dell'aggressione. Ormai erano quasi le undici e la pungente giornata d'ottobre si era trasformata in una notte nuvolosa, scoraggiante presagio di un inverno precoce.

L'ospedale ferveva di attività. Bambini sanguinanti, accompagnati da giovani coppie, venivano dirottati verso i vari ambulatori. Reduci scioccati e contusi di incidenti automobilistici si consolavano l'un l'altro mentre aspettavano di essere medicati.

All'esterno, l'ululato ininterrotto delle ambulanze in arrivo e in partenza si mescolava al consueto frastuono del traffico newyorkese.

Una mano si posò sul braccio di Meghan. «Come va, avvocato?»

Era Jack Murphy, di Channel 5. Sua moglie era stata compagna di corso di Meghan presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di New York, ma diversamente da lei esercitava regolarmente la professione. Dal canto suo, dopo la laurea Meghan aveva lavorato per sei mesi in uno studio legale di Park Avenue, per poi passare alla WPCD radio come cronista. Da allora erano trascorsi tre anni e in quell'ultimo mese era stata utilizzata in pianta stabile al PCD Channel 3, l'emittente televisiva consociata.

«Bene, credo», rispose, e in quel momento il suo telefonino cominciò a squillare.

«Vieni a cena da noi, una di queste sere. È molto tempo che non ci vediamo.» Poi Jack tornò dal suo cameraman mentre Meghan estraeva dalla borsa il cellulare.

A chiamarla era Ken Simon, dalla redazione del notiziario della WPCD. «Meg, l'analizzatore EMS ha appena individuato un'ambulanza diretta al Roosevelt. Un caso di accoltellamento; la vittima, una donna, è stata rinvenuta fra la Cinquantaseiesima e la Decima. Aspettala.»

Il suono lamentoso di una sirena in arrivo coincise con un rapido scalpiccio di passi in corsa: gli addetti del pronto soccorso si affrettavano verso l'ingresso. Meg interruppe bruscamente la comunicazione e infilato il telefonino in borsa seguì la lettiga che un inserviente stava spingendo verso l'ampio spiazzo a semicerchio.

L'ambulanza si fermò con uno stridio di freni. Con gesti precisi, mani esperte trasferirono la vittima sulla lettiga. Le venne applicata sul viso una maschera a ossigeno; il lenzuolo che ne copriva il corpo snello era chiazzato di sangue e il castano scuro dei capelli arruffati accentuava il pallore livido del collo.

Meg si accostò al conducente, ancora seduto al posto di guida. «Ci sono testimoni oculari?»

«Nessuno che si sia fatto avanti.» Il viso dell'uomo era stanco e segnato, la voce quella di chi è abituato a guardare in faccia la realtà. «C'è un vicolo che si snoda fra due di quei vecchi caseggiati nei pressi della Decima. Pare che l'aggressore sia sbucato da lì, le abbia allungato uno spintone e quindi l'abbia pugnalata. Questione di una manciata di secondi.»

«In che condizioni è?»

«Non potrebbero essere peggiori.»

«Documenti di identificazione?»

«Nessuno. L'hanno scippata; chissà, magari era un tossico che cercava i soldi per una dose.»

Cigolando, la lettiga si avviò verso l'interno. Meghan si affrettò a seguirla.

«Il medico del senatore sta per rilasciare una dichiarazione», annunciò in quel momento uno dei cronisti in attesa.

Subito tutti si affollarono intorno al banco, ma un sesto senso a cui neppure Meghan avrebbe saputo dare una spiegazione la indusse a non staccarsi dalla lettiga. Rimase a guardare il medico che toglieva la maschera d'ossigeno e sollevava le palpebre della donna.

«È andata», disse.

Al di sopra della spalla di un'infermiera, Meghan si trovò a fissare il volto della giovane morta. Vide una fronte ampia, occhi azzurri e spenti sormontati da sopracciglia arcuate, zigomi alti, un naso diritto e una bocca generosa, e sussultò.

Era il suo viso che stava guardando.

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