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| << | < | > | >> |IndicePercezioni di realtà Il dr. Hofmann di Roberto Fedeli 3 Introduzione di Rittimatte, Burg i.L. 6 L'interdipendenza tra spazio esterno e interno 13 La sicurezza nella visione del mondo delle scienze naturali 36 Sul possesso 58 Appendice 1 Riflessioni botaniche sull'estinzione delle foreste 67 Appendice 2 Il sole, una centrale nucleare 71 I Misteri di Eleusi Il messaggio dei Misteri Eleusini al mondo contemporaneo 81 L'anima riscoperta 97 Appendice LSD, bambino difficile e droga meravigliosa di Bernardo Parrella 111 |
| << | < | > | >> |Pagina 13L'interdipendenza tra spazio esterno e internoLa realtà è magica quanto la magia è reale Ernst Jόnger Lettere siciliane all'uomo sulla luna Ci sono avvenimenti di cui la maggior parte di noi esita a parlare perché non si conformano alla realtà quotidiana e sfidano ogni spiegazione razionale. Non sono eventi esterni particolari, ma piuttosto accadimenti delle nostre vite interiori, che vengono generalmente respinti come creazioni della fantasia ed esclusi dalla memoria. D'improvviso, la percezione della realtà subisce una trasformazione che può essere stupefacente o allarmante ma comunque insolita; il mondo ci appare in una nuova luce, e assume un significato particolare. Esperienze del genere possono essere leggere e fugaci come un soffio d'aria, oppure fissarsi profondamente nelle nostre menti. Ho sempre vivido nella mia memoria un episodio di tale intensità che vissi durante l'infanzia. Avvenne un mattino di maggio, e benché non mi ricordi l'anno, posso indicare ancora il punto esatto dove accadde, nel sentiero di una foresta a Martinsberg, in Svizzera. Passeggiavo in quei boschi che si stavano rivestendo di un nuovo e scintillante manto verde. Illuminato dal sole mattutino, l'ambiente era saturo del canto degli uccelli; quando, d'improvviso, tutto apparve in una luce insolitamente splendente. Era qualcosa che semplicemente non ero riuscito a notare prima. Stavo ora di colpo scoprendo il reale aspetto della foresta primaverile? Essa brillava della più affascinante lucentezza e faceva vibrare il mio cuore come se avesse voluto abbracciarmi nella sua maestà. Mi sentii pervaso da una indescrivibile sensazione di gioia e di profonda unità, in uno stato di incantevole pace interiore. Non ho idea di quanto a lungo rimasi rapito in quel luogo. Ma ricordo il turbamento che provai non appena quello splendore lentamente svanì e di nuovo mi incamminai sul sentiero; come poteva una visione così reale e convincente, percepita in modo così diretto e profondo, non essersi impressa più a lungo? E come avrei potuto comunicarla, costretto a farlo dalla mia gioia straripante, dal momento che sapevo non esistevano parole per descrivere ciò che avevo visto? Mi sembrava strano che un bambino come me avesse conosciuto una cosa tanto meravigliosa, qualcosa di cui gli adulti ovviamente non si accorgevano, visto che non me ne avevano mai parlato. O era uno dei loro segreti? Durante la mia adolescenza vissi molti altri di questi momenti nelle mie escursioni attraverso le foreste e i prati. Furono queste esperienze a modellare i principali lineamenti della mia visione del mondo e a convincermi dell'esistenza di una realtà potente e inesplicabile nascosta allo sguardo superficiale. Ho inserito questa descrizione delle mie esperienze visionarie del periodo dell'infanzia nell'introduzione al libro autobiografico Lsd-Mein sorgenkind (Stoccarda, 1979), perché quell'esperienza mistica rappresentò uno dei motivi che mi convinsero a intraprendere lo studio della chimica. Essa risvegliò in me un intenso desiderio di comprendere in profondità la struttura e l'essenza del mondo della materia. Nel corso della mia attività professionale, venni a contatto con alcune sostanze estratte da piante psicoattive, le quali, date certe condizioni, sono in grado di provocare stati visionari simili alle esperienze spontanee riferite in apertura. I miei esperimenti con le sostanze che alterano la mente, tra cui figura l'Lsd conosciuto in tutto il mondo, mi posero di fronte al problema del rapporto tra droghe e coscienza, tra la realtà esterna della materia e quella interna dello spirito. Non c'è dubbio che quella che chiamiamo realtà è la risultante dell'interdipendenza tra spazio esterno e interno. Non la si può concepire senza l'intervento di un soggetto senziente, un sé che la possa esperire. Essa è il prodotto dell'interrelazione fra un ente trasmittente nello spazio esterno e uno ricevente nello spazio interno. Uso il termine spazio esterno nella sua accezione generale, quotidiana. Non faccio alcun riferimento allo spazio curvo o a quello quadridimensionale della fisica teorica. Mi richiamo qui allo spazio tridimensionale euclideo. A nient'altro che allo spazio vuoto che può essere riempito di oggetti materiali. Lo spazio interno è la coscienza. La coscienza elude qualsiasi definizione, e questo è ciò che si richiede per contemplarne l'essenza. La possiamo solo rappresentare come centro ricettivo e creativo dello spirito. Due fondamentali qualità concorrono a definire il divario tra spazio esterno e interno: all'esistenza di un solo spazio esterno si contrappone la molteplicità di quello interno, pari al numero di tutti gli esseri umani; quindi, lo spazio interno descrive un'esperienza mentale meramente soggettiva, in opposizione alla presenza oggettiva dell'altro. Come ho già accennato, la realtà di cui parlo in questo contesto non è la realtà trascendentale della fisica teorica, commentata e spiegata attraverso l'intervento delle sole formule matematiche. Mi riferisco alla sua accezione comune, al mondo così come viene percepito dai nostri sensi. Definita in tal modo, non la si può immaginare senza un essere, un io, che ne faccia l'esperienza. Essa è la risultanza dell'interrelazione tra materia ed energia, che proviene sotto forma di segnali dal mondo e dallo spazio esterni, e un soggetto cosciente nello spazio interiore individuale. A mo' di illustrazione, possiamo paragonare questo processo di costruzione della realtà all'origine dei suoni e delle immagini nel corso di un programma televisivo. Il mondo della materia nello spazio esterno assolve alla funzione di apparato trasmittente, che emette onde ottiche e acustiche e provvede i segnali gustativi, tattili e olfattivi. Il ricevitore è racchiuso all'interno del sé, l'unità più profonda dell'io, dove gli stimoli ricevuti dall'antenna degli organi sensoriali vengono convertiti nell'immagine del mondo esterno ed esperiti mentalmente nello spazio interno. In assenza del ricevitore o del trasmettitore non si può avere alcuna realtà umana, nello stesso modo in cui lo schermo del televisore rimarrebbe vuoto in difetto di immagini e suoni. Cercherò ora di esporre alcune idee su ciò che sappiamo riguardo alla fisiologia umana, con particolare riferimento al funzionamento degli organi riceventi, e sui meccanismi di ricezione ed elaborazione della realtà. I nostri cinque organi sensoriali formano le antenne del ricevitore umano; l'antenna che cattura le immagini ottiche del mondo esterno (l'occhio) è in grado di ricevere onde elettromagnetiche e proiettare una figura dentro la retina, che coincide con l'oggetto da cui provengono queste onde. Θ utile ricordare che l'occhio umano può soltanto accogliere una piccolissima sezione del vastissimo spettro di onde elettromagnetiche presenti nel mondo esterno, al fine della rappresentazione dei suoi oggetti. Lo spettro incommensurabile delle onde elettromagnetiche che si aggirano per l'universo varia da lunghezze d'onda di un miliardesimo di millimetro, pari all'estensione dei raggi-X e dei raggi-Y ultracorti, fino ai diversi metri delle onde radio. I nostri occhi sono in grado di captare solo i segnali provenienti da una piccolissima banda compresa tra 0,4 e 0,7 millesimi di millimetro (da 0,4 a 0,7 millimicron). Questi segnali vengono percepiti come luce. Tutti gli altri raggi appartenenti al campo illimitato delle onde elettromagnetiche di cui l'universo è saturo nella realtà umana semplicemente non esistono. Entro questo piccolo spettro di onde visibili, i nostri occhi e il ricevente nello spazio interno sono in grado di selezionare le diverse lunghezze d'onda e tradurle in colori differenti. Di pari passo con le nostre riflessioni, è utile sottolineare che i colori non esistono nello spazio esterno. Di solito, non siamo consapevoli di questo fatto fondamentale, benché lo si possa verificare in qualsiasi manuale di fisiologia. Oggettivamente, tutto ciò che esiste nello spazio esterno è materia che trasmette oscillazioni elettromagnetiche di lunghezza d'onda variabile. Se un oggetto trasmette o riflette onde elettromagnetiche della lunghezza di 0,4 millimicron dalla luce che vi riverbera, diciamo che è blu; se le onde inviate sono di 0,7 millimicron, ne concludiamo che è rosso. La percezione del colore è un evento esclusivamente psichico e soggettivo che ha luogo nello spazio interno dell'individuo. Il mondo, così come ci appare, nei suoi colori scintillanti, non ha esistenza oggettiva. Il mondo visibile, il mondo cromatico della realtà quotidiana, è soltanto la risultante dell'azione combinata di un trasmittente, cioè oggetti materiali emittenti specifiche onde elettromagnetiche, e di un apparato di ricezione, lo schermo psichico dello spazio interiore. Ed è qui, in questo schermo, che il campo ottico di quella che definiamo realtà trova la sua giustificazione. La stessa relazione trasmittente/ricevente sussiste anche nel mondo dei suoni. L'antenna preposta ai segnali acustici (l'orecchio) rivela la medesima limitatezza nella sua funzione percettiva. Anche in questo caso, i suoni, come i colori, non hanno esistenza oggettiva; di nuovo, sono solo onde, sotto forma di compressioni ed espansioni d'aria, ad essere captate dall'orecchio, registrate dalla membrana del timpano e trasformate in esperienza psichica del suono dalla facoltà uditiva del cervello, nella sua varietà di parole, musica e una molteplicità di altre risonanze. Le antenne di ricezione acustica, gli orecchi, reagiscono a onde variabili tra le 20 e le 20.000 oscillazioni al secondo. Le oscillazioni più lente e più veloci che saturano lo spazio esterno non vengono registrate, e quindi non partecipano della costruzione della realtà umana. Anche gli altri aspetti del mondo resi accessibili dai sensi del gusto, dell'olfatto e del tatto sono prodotti e ricevuti rispettivamente da un trasmittente nello spazio esterno e da un ricevente in quello interno. Analogamente ai colori e ai suoni, anche in questo caso non c'è riscontro fisico o chimico per le tre sensazioni. Il sapore di una pietanza è provocato da certe strutture molecolari presenti in essa che agiscono come trasmettitori. I nervi gustativi della lingua fungono da apposite antenne che reagiscono a queste strutture e ne trasferiscono gli impulsi al cervello. Anche per il senso olfattivo, il trasmittente consiste di molecole molecole sotto forma di vapore alle cui peculiari strutture reagiscono i nervi olfattivi nasali. I segnali ricevuti vengono trasformati in sensazioni di odore o di gusto dal cervello nello spazio interno. Non sappiamo tuttavia come avvenga questa elaborazione psichica di impulsi elettrofisici e chimici e questa è senza dubbio una vistosa breccia nel potenziale conoscitivo umano. Il più antico e primitivo nell'evoluzione dell'uomo, il senso tattile, è reattivo agli oggetti solidi del mondo esterno in maniera imprecisata. I nervi preposti a questa funzione registrano gli oggetti e ne ricevono un'ampia gamma di osservazioni sensoriali, che vanno da una sensazione di estrema morbidezza a una di più duro impatto, grazie a determinati meccanismi cerebrali. Ogni nervo tattile rappresenta una specifica antenna che invia segnali di caldo, freddo, dolore. Θ evidente che il dolore non esiste nello spazio esterno; è solamente un'esperienza nello spazio interno, del tutto soggettiva. Uno dei contrassegni basilari della realtà, così come si è venuta delineando, è la sua inerente limitatezza, definita dal campo circoscritto con cui i nostri ricevitori reagiscono agli impulsi d'entrata. Come apparirebbe il mondo, se il nostro ricevitore psichico fosse sintonizzato sulle onde elettromagnetiche e su altre ampiezze d'onda? Supponiamo su onde longitudinali delle bande radio: potremmo vedere altri paesi; oppure sui raggi-X ultracorti, e in quel caso oggetti solidi risulterebbero trasparenti. E quel mondo diafano risulterebbe tanto reale quanto lo è ora il nostro. Tutto questo ci autorizza ad argomentare che la realtà percepita dai nostri occhi e dagli altri organi di senso ritrae un mondo fatto espressamente su misura d'uomo, determinato dai limiti e dalle capacità dei sensi umani. Gli animali vedono e vivono l'ambiente in modo del tutto dissimile in quanto le loro antenne reagiscono a tipi d'impulsi e lunghezze d'onda differenti; essi vivono in una realtà diversa. Le api, ad esempio, sono provviste di antenne visive sensibili alle lunghezze d'onda nello spettro ultravioletto e ultrarosso, e perciò vedono colori che a noi risultano invisibili. I cani, grazie alla sensibilità sviluppatissima dei loro nervi olfattivi, scoprono e gioiscono di odori assenti nella nostra realtà. I pipistrelli percepiscono un mondo di suoni captati da un sistema radar sonico. La metafora della realtà come prodotto di un trasmittente e di un ricevente ben illustra come il quadro apparentemente oggettivo del mondo intorno a noi che chiamiamo realtà sia in verità un quadro soggettivo. Dentro di noi elaboriamo una personale immagine del mondo creata dai nostri apparati di ricezione. | << | < | > | >> |Pagina 36La sicurezza nella visione del mondo delle scienze naturaliSempre più il nostro spirito è consapevole della totalità del mondo e dell'unità con questi grazie all'avanzamento delle scienze naturali. Se questo riconoscimento non è solamente dell'intelletto, se esso schiude il nostro essere totale ad una onnicoscienza luminosa, solo allora si trasforma in radiante felicità, in amore che tutto avvolge. Rabindranath Tagore Sadhana (1861-1941) Non è necessario dimostrare che un artista dimori nella natura. Le sue opere possono essere manifeste, ma nessuno spirito procreato guadagna l'accesso al suo laboratorio. Ne vediamo la conferma ovunque si sosti con lo sguardo, in ogni ala di zanzara, in ogni filo d'erba, in ogni fiocco di neve. Ernst Jόnger Le corna ispaniche della luna La felicità poggia sulla sicurezza nell'accezione più ampia del termine. Tutti noi l'avvertiamo nel senso di protezione che ci offre la famiglia, un'amicizia, la casa dei nostri genitori. Perfino nell'appartenenza a piccole o grandi associazioni, siano esse di natura professionale, politica, culturale o religiosa, ne cogliamo talvolta la presenza. All'opposto, l'infelicità si accompagna di solito alla separazione, alla solitudine, al sentirsi perduti e vulnerabili. Il nesso tra felicità e sicurezza non si riferisce solo alle sorti individuali, ma anche a intere epoche storiche. Stiamo parlando della sicurezza che certi gruppi umani attingono da determinate visioni del mondo valide per un circoscritto periodo storico e con funzioni di indirizzo generale verso i molteplici aspetti dell'esistenza. In questa sede cercherò di dimostrare come il potere rassicurante di una visione del mondo si fondi sul rapporto dell'uomo con la creazione, e soprattutto con la natura che vi si manifesta. La causa ultima e comune delle difficoltà e dei problemi apparentemente insolubili del presente, in tutti i loro aspetti spirituali, sociali, economici ed ecologici, sembra debba essere rintracciata in una sorta di perturbazione nel nesso tra uomo e natura. La visione del mondo materialistica e parziale delle scienze naturali, valida nelle moderne società industrializzate dell'Occidente, non è in grado di offrire sicurezza, in quanto in essa non è espressa la relazione dell'uomo con la natura, il suo essere parte inscindibile di essa. Vorrei chiarire come la presente situazione possa essere eliminata mediante un adeguato ampliamento della visione del mondo delle scienze naturali, in accordo alle mie esperienze e opinioni personali. | << | < | > | >> |Pagina 52Questa affinità nella composizione materiale esiste in relazione ai grandi cicli metabolici ed energetici di tutte le forme viventi, determinando l'unità del regno vegetale, animale e umano. L'energia necessaria a sostenere questo ciclo vitale è fornita dal sole. Si tratta essenzialmente di energia nucleare creata dalla trasformazione di materia in energia di radiazione nel corso della fusione nucleare. La stella diurna trasmette questa energia alla Terra sotto forma di luce. La pianta, il manto verde, il regno vegetale, è in grado di assorbire il flusso di energia in maniera del tutto ricettiva e di immagazzinarlo sotto forma di energia chimica. Durante questo processo, la pianta trasforma la sostanza inorganica, l'acqua e l'acido carbonico in materie organiche con l'aiuto della clorofilla presente nelle foglie in funzione di catalizzatore e della luce come fonte di energia. Il processo, che va sotto il nome di assimilazione dell'acido carbonico, provvede le unità organiche di base zuccheri, carboidrati, amino acidi, proteine, ecc. per la crescita della pianta, e di conseguenza degli organismi animali. Da un punto di vista energetico, tutti i processi vitali si basano sull'assorbimento di luce da parte delle piante. Ogniqualvolta le sostanze nutritive di queste vengono combuste nel corpo umano per ottenere l'energia necessaria allo sviluppo della vita, ha luogo il processo inverso di assimilazione: le sostanze nutritive organiche si trasformano di nuovo in materia inorganica, in acqua e in acido carbonico, rilasciando al contempo la stessa quantità di energia precedentemente assorbita sotto forma di luce. Finanche il pensiero umano è sostenuto da questa energia, per cui lo spirito o coscienza rappresenta il più alto e più sublime stadio energetico nella trasformazione della luce.Mi sono preso la libertà di riassumere queste fondamentali osservazioni scientifiche, rintracciabili in qualsiasi manuale elementare di biologia, soprattutto perché non vi si presta ormai più attenzione data la loro familiarità. Esse concorrono ad arricchire un tipo di conoscenza esclusivamente intellettuale. Allunaggi, viaggi spaziali, libri e film di fantascienza, tutte cose dove la natura vivente non occupa più alcuno spazio, esercitano una grande influenza sulle coscienze e sull'immaginazione degli abitanti delle nostre società industriali, delineandone i valori esistenziali e le modalità di percezione della realtà. Tuttavia, a chi ha legami stretti con la natura, a chi, attraverso la meditazione, fa diretta esperienza di queste scoperte scientifiche, l'albero o il fiore su cui sosta in contemplazione non appaiono più semplicemente nella loro bellezza oggettiva: costui si sente profondamente connesso a questi e ne condivide il destino di esseri viventi creati dalla luce. Non sto qui parlando di certo entusiasmo sentimentale, di "ritorno alla natura" nel significato assegnatogli da Rousseau. In realtà, le radici di quel movimento romantico, che ricercava un idillio nella natura, possono essere rintracciate nel senso di separazione dell'uomo dalla creazione. Quello che ho cercato di descrivere adottando l'esempio della nostra interdipendenza con il mondo delle piante è l'unità di tutti gli esseri viventi, e come da essa derivi un senso profondo di sicurezza. Il progressivo deterioramento della flora e della fauna originali del pianeta a vantaggio di un ambiente tecnologico inanimato crea le premesse di un ulteriore decremento di questa esperienza unitaria. Quegli episodi importanti della mia gioventù cui ho fatto cenno in altra parte del libro, durante i quali un prato e un bosco splendevano d'improvviso di una indicibile luce meravigliosa, non hanno nulla a che fare con il sentimentalismo. In realtà, ora so che quella luce era la diretta emanazione della consapevolezza dell'unità fondamentale del creato che andava a riflettersi nella mente dischiusa di un bambino estasiato. Ho cercato fin qui di mostrare come, nell'ottica di un chimico, la conoscenza scientifica del mondo non conduca necessariamente a una visione materialistica dell'esistenza. Al contrario, questa conoscenza, se compresa ed esaminata correttamente, ci rivela invariabilmente le fondamenta primordiali, spirituali e inesplicabili della creazione, il miracolo, il mistero nel microcosmo dell'atomo, nel macrocosmo della nebulosa a spirale, nel seme di una pianta, nel corpo e nello spirito di un uomo il divino. L'osservazione contemplativa inizia dalle profondità della realtà oggettiva, laddove sono penetrate la conoscenza e l'intuizione scientifiche. La meditazione non è quindi una fuga dal mondo, ma una sua più ampia e profonda comprensione. Non è un ritirarsi nel misticismo, bensì la ricerca di una verità più inclusiva grazie all'osservazione simultanea, stereoscopica della superficie e delle profondità della realtà oggettiva. Concentrando l'attenzione sviluppata dalla meditazione sulle scoperte delle scienze naturali, l'uomo può accrescere la sua consapevolezza del mondo, la quale potrebbe assurgere a fondamento di una spiritualità non più partorita dai dogmi delle religioni storiche, bensì dalla visione di una verità più ampia. Sto parlando della capacità di riconoscere, di leggere e di comprendere le rivelazioni di prima mano "nel libro scritto dalle dita di Dio", secondo l'espressione adottata da Paracelso per designare la creazione. Θ necessario, perciò, riconoscere le leggi di natura scoperte dalla ricerca scientifica per quello che sono: non istruzioni e strumenti atti allo sfruttamento della natura, ma rivelazioni del progetto metafisico della creazione. Queste leggi manifestano l'unità di tutte le forme viventi nella comune base spirituale primigenia. | << | < | > | >> |Pagina 71Appendice 2
Il sole, una centrale nucleare
Ogniqualvolta ci si soffermi sulle appassionate discussioni riguardanti le centrali nucleari, si ha l'impressione che il problema verta essenzialmente sulla risposta alle due domande seguenti: a) avremo la necessità di usufruire in futuro di una quantità considerevole di energia, sì da non poter fare a meno di energia atomica? b) è il funzionamento di una centrale nucleare così sicuro, ed il problema delle scorie atomiche così risolvibile da non dover temere catastrofi o danni biologici ereditati alla specie umana? Sono domande a cui solo gli esperti e gli scienziati competenti possono rispondere solo comunque sulla base dei fatti e delle conoscenze che abbiamo oggi. Tuttavia, gli scienziati non hanno ancora raggiunto alcun accordo su entrambe le domande. Perciò, se si osserva il problema solo da queste due prospettive, non è chiaro se dovremmo acconsentire alla costruzione di centrali nucleari. Altre riflessioni, comunque, sorgono intorno ai problemi legati all'uso di energia atomica, riflessioni che esulano completamente dalle risposte alle domande in apertura. Ogni individuo sensibile vi può meditare sopra senza dover scomodare alcun esperto o specialista. Sto parlando di quei pensieri e considerazioni che affiorano in superficie ogniqualvolta si ponderi il fatto che il sole altro non è che una gigantesca centrale nucleare. La nostra conoscenza circa i processi chimici e fisici che hanno luogo su quella stella è abbastanza precisa: sono tutte reazioni nucleari. Tra queste, riveste grande importanza la fusione del nucleo dell'idrogeno in nucleo di elio. Contemporaneamente a questi processi, enormi quantità di energia, la cui potenza rimane inalterata per miliardi di anni, vengono irradiate nello spazio. La distanza media della Terra dal sole è approssimativamente di 150 milioni di chilometri. Rispetto al sole, il volume del nostro pianeta è 1,3 milioni di volte più piccolo. Di conseguenza, solo una minuta frazione della radiazione proveniente dal reattore nucleare solare raggiunge la Terra. Ma dobbiamo tutto a questa frazione. In mancanza di questa fonte extraterrestre di energia non ci sarebbe vita sul pianeta. Il processo di base per la creazione e formazione di tutte le forme viventi, la trasformazione della materia inorganica acido carbonico e acqua in sostanze organiche, ha luogo grazie all'irraggiamento della luce del sole che trasporta l'energia necessaria alla vita. Questo processo, denominato "assimilazione dell'acido carbonico", provvede i materiali organici zuccheri, carboidrati, proteine, ecc. per la costruzione delle piante. Poiché gli organismi animali non possono esistere senza le piante, in quanto esse costituiscono la loro fonte di cibo, l'assorbimento di luce sotto forma di processo di assimilazione delle piante è al tempo stesso la fonte primaria di energia per la nostra esistenza. Lo stesso sviluppo dello spirito umano sarebbe risultato impossibile senza la presenza originaria della luce del sole. Si può dire che lo spirito umano, la nostra coscienza, costituisce la più alta e più sublime fase di trasformazione energetica della luce. Al sole, reattore nucleare extraterrestre, dobbiamo tutte le più vaste fonti di energia del pianeta: la legna delle foreste; il carbone, il petrolio e i depositi di gas, in cui si è depositato il calore del sole per svariati milioni di anni; la forza idraulica dei laghi e dei fiumi, alimentati di continuo dalle nubi innalzate nel ciclo dalla potenza del sole, che l'ingegno umano è stato in grado di sfruttare in maniera indiretta sotto forma di calore, luce ed elettricità. Il reattore nucleare extraterrestre è anche il più grande depuratore e rinnovatore degli elementi vitali quali l'acqua e l'aria. In conseguenza del riscaldamento solare, dagli oceani, dai fiumi, dai laghi inquinati e dall'umidità del terreno, l'acqua purificata sale verso il cielo, per poi cadere di nuovo sulla terra sotto forma di pioggia o neve. Il sole provvede all'energia necessaria per purificare l'aria. Durante il processo della combustione nella digestione del cibo negli organismi animali, nei motori a scoppio, nel fuoco viene impiegato ossigeno e prodotto acido carbonico. Al contrario, le piante assorbono acido carbonico ed espellono ossigeno nell'atmosfera durante il processo di assimilazione che ha luogo nel verde della foglia, mentre la luce del sole fornisce l'energia. Il reattore nucleare solare si differenzia dalle centrali atomiche terrestri in quanto: è assolutamente sicuro dal punto di vista degli incidenti e delle radiazioni; non presenta minacce nella liberazione delle scorie nucleari; non necessita di alcun costo di costruzione e di funzionamento; ha una riserva illimitata di carburante, mentre i depositi terrestri di uranio sono destinati a esaurirsi in pochi decenni; fornisce di continuo agli uomini del pianeta energia senza discriminazioni; ha creato un mondo vegetale rigoglioso per gli uomini e gli animali destinato a scomparire nei luoghi preposti alla costruzione di centrali atomiche terrestri. Cosa fa in realtà l'uomo quando si procura un'energia supplementare attraverso le centrali nucleari? Non fa altro che accendere un fuoco solare sulla Terra, vale a dire una reazione nucleare, un processo fisico-chimico del tipo di quello che ha luogo sul sole a 150 milioni di chilometri dal pianeta. Questa enorme distanza, che va ad aggiungersi all'azione protettiva dell'atmosfera, fa sì che solo piccole tracce radioattive innocue raggiungano la Terra, che contemporaneamente riceve la luce solare responsabile della creazione e del sostentamento di tutte le forme viventi. L'impiego di energia nucleare su vasta scala (per non parlare della follia delle armi nucleari) rappresenta una minaccia vitale di contaminazione radioattiva. Queste riflessioni acquistano maggiore spessore quando si consideri che la vita sulla Terra è risultata possibile solamente dopo la scomparsa delle reazioni nucleari nel corso di miliardi di anni, se si eccettuano alcune tracce radioattive presenti negli elementi. Gli atomi, unità base del mondo della materia, possono essere paragonati a piccolissimi sistemi solari dove gli elettroni ruotano intorno al nucleo atomico come pianeti attorno al sole. A eccezione dei processi che avvengono nelle tuttora restanti tracce di elementi radioattivi, tutte le trasformazioni della materia sul pianeta Terra hanno luogo nel dominio degli elettroni, i microcosmici pianeti; i nuclei atomici, i microcosmici soli, non subiscono alcuna alterazione. Essi vengono modificati solo in presenza di fusione e fissione atomica. Durante questo processo, la materia scompare e si dissolve in energia. Nel corso della trasformazione in materia morta e nell'azione metabolica degli organismi viventi del regno vegetale e animale, la materia si conserva. Quindi lo sfruttamento di energia atomica non deve essere inteso come sviluppo ulteriore nella tecnologia della produzione energetica; piuttosto esso mostra qualcosa di completamente nuovo, vale a dire un'intrusione nel cuore della materia, uno "sviluppo" che si allontana dalle condizioni naturali su cui si è fondata la vita sul nostro pianeta. Da ciò si può inferire che lo sfruttamento di energia nucleare rappresenta una minaccia per la vita, che risulterebbe molto difficile, se non impossibile, contenere. | << | < | > | >> |Pagina 97L'anima riscoperta
di Roberto Fedeli
Mezzo secolo fa, il 19 aprile 1943, uno scienziato cominciò a prender nota sul suo diario di laboratorio di certe strane e bizzarre anomalie della propria mente. Il flusso delle immagini e delle sensazioni era però talmente accelerato che non gli fu più possibile procedere nel paziente lavoro di registrazione. Le parole erano ormai simboli astratti, freddi, senza alcun legame diretto con ciò che gli si andava svelando. Nondimeno, l'importanza di quelle note non è da sottovalutare; esse rappresentano il primo scritto sull'esperienza psichedelica indotta da LSD che lo scienziato aveva scoperto e sperimentato su se stesso. Dovettero passare tuttavia 14 anni prima che quell'evento venisse qualificato come "psichedelico", benché nella testimonianza di Albert Hofmann, questo il nome dello scienziato, vi fossero già importanti indicazioni sulla natura straordinaria dell'esperimento. Ma andiamo per ordine; a quei primi scienziati non sfuggì l'importanza di un simile farmaco per la ricerca psichiatrica; la sua azione era del tutto mentale anche se l'impiego sembrava difficile da chiarire. Poi, senza indugiare, e con un fondo di verità, venne deciso che quella molecola bizzarra doveva tutto sommato ricreare in laboratorio le condizioni della schizofrenia. E qui un paragrafo a parte sarebbe pertinente per sviluppare alcune considerazioni sul metodo scientifico e psichiatrico in particolare. L'epistemologia insegna e la storia della scienza conferma che ogniqualvolta l'uomo dirige lo sguardo intorno a sé non riesce a vedere che parti staccate di un tutto indefinito. Quelle che gli antichi filosofi chiamavano le essenze, termine ambiguo e frainteso dai più, non ci è dato conoscerle se non attraverso una resa incondizionata alla vita, alla natura. Il mito racconta che quando dio cacciò l'uomo dal paradiso, gli disse però di soggiogare a sé il mondo, e questo poteva farlo soltanto conoscendone i meccanismi di funzionamento, le parti insomma, con buona pace per le essenze. Poi imparò che le parti dovevano essere collegate ad altre parti perché si potesse pervenire a un che di sensato, non di vero ovviamente, solo di sensato. Ed ecco che la storia della scienza ci racconta come di volta in volta, epoca dopo epoca, il sensato abbia sempre mutato le proprie caratteristiche, le proprie forme. Uno studioso, Thomas Khun, ha parlato di paradigma, vale a dire di un sistema condiviso di valori che contribuisce a dare il senso e la forma a un insieme di dati ricavati dall'osservazione empirica. E ritorniamo a quegli psichiatri che videro negli effetti dell'LSD un modus operandi della follia. Il paradigma allora in voga era il comportamentismo: l'uomo è fondamentalmente un insieme visibile di azioni, alcune dotate di senso, altre meno. Chi decide è la società, la sua visione del mondo, e in Occidente, in quegli anni (anni 50) non si andava tanto per il sottile: guerra fredda, bello e brutto, bianco e nero, adattato e disadattato e via dicendo. Se si pensa che i beatnik in America venivano catalogati come una sorta di psicopatici, non sorprende se un soggetto rinchiuso dentro uno squallido stanzone d'ospedale, in preda a comprensibili attacchi di paranoia amplificati da quella nuova sostanza, venisse annoverato tra i pazzi. Fortunatamente, in quegli stessi anni, andava prendendo forma un nuovo paradigma. Sempre stando a Thomas Kuhn, sappiamo che ogniqualvolta un esperimento scientifico manifesti delle anomalie rispetto alla teoria dominante sotto cui i dati dell'osservazione si inseriscono, si riproduce l'esperimento per avere ulteriori verifiche, e nel caso questo di nuovo confutasse definitivamente la teoria, si può riflettere sulla validità del vecchio paradigma, magari cambiandolo per accogliere le nuove scoperte. Questo in teoria, la realtà è ben altra. Succede infatti che spesso si instauri totale incomunicabilità tra i portavoce delle contrastanti ipotesi e la comunità scientifica si ritrovi magari orfana di alcuni suoi elementi. Questo è quello che successe allo psichiatra Humphrey Osmond e ai suoi colleghi quando un giorno si decisero ad uscire dall'ospedale per andare a far visita ad Aldous Huxley, portandosi dietro un po'di mescalina. E subito si accorsero che l'accetta della scienza aveva perduto la lama. Quell'uomo, Huxley, era l'esempio vivente di chi non si lascia facilmente incasellare dalla verbosità dei dottori. Quella mescalina era entrata nella sua mente e l'aveva ricomposta. Era un bel guaio per il metodo austero della scienza, così esperto nella vivisezione ma a digiuno di essenze. In un certo senso si trattava del secondo grave smacco del secolo dopo le "esoteriche" rivelazioni delle teorie quantistiche che avevano già iniziato a strizzare l'occhio al mistero, all'indefinibile. Quello psichiatra che aveva osato sfidare i dogmi della sua scienza fu costretto a consultare il dizionario di greco alla ricerca di un termine che potesse rispecchiare al meglio la grandezza dell'uomo, la sua essenza appunto; e lo trovò, "psichedelia", l'anima che si rivela, e infatti era quella che faceva grande l'uomo. Quel periodo, la fine degli anni Cinquanta, segnò le prime tracce di un percorso nuovo, di un lento ma costante rivolgimento di vecchie idee, idee sulla natura, sull'uomo, sulla religione, sull'arte; stavano cioè saltando i vecchi paradigmi. Ma in realtà non si trattava di nuovi percorsi, né tantomeno la trasfigurazione di quelle idee avveniva per chissà quale elaborazione culturale. Non erano pure fantasie di uomini particolarmente sensibili. Costoro vedevano semplicemente cadere un velo, aprire le porte della percezione; scrutavano oltre e riscoprivano l'anima che da due millenni circa si era fatta muta o perlomeno aveva cessato la sua funzione di guida. Con le dovute eccezioni, per la prima volta si rendeva alla dimensione estatica dell'uomo la posizione insopprimibile che le è propria. Può essere estremamente interessante a questo punto capire quando e perché questa posizione sia stata usurpata. [...] La storia dell'Occidente è la storia di un divieto, ma anche la storia di un desiderio insopprimibile di andare oltre quella negazione. I tabù, che un tempo svolgevano la funzione di deviatori dell'istintualità umana dall'appagamento immediato nelle cose del mondo verso la fonte diretta di quel desiderio, cioè l'anima, la parte profonda dell'umanità, hanno rovesciato il loro ruolo. Non è un crimine, un'assurdità che oggi gli stessi impieghino la medesima virulenza per ostacolare ciò che è vitale, vale a dire l'allargamento della propria coscienza alla dimensione estatica? Eppure è quello che è avvenuto e tuttora avviene nelle nostre comunità. Il desiderio però è rimasto ed è stato utilizzato per divorare incessantemente, non avendo più il suo referente ultimo, l'anima, tutto quello che si trova a portata di mano o di portafoglio, con la speranza che grattando, grattando la felicità salti fuori. Penso che questo sia di estrema importanza per capire le vicende degli ultimi decenni, quelli in cui, dopo un così lungo intervallo, ha fatto la sua ricomparsa la dimensione perduta dell'estasi. Fu verso la fine degli anni Cinquanta, ma soprattutto nei Sessanta che il sistema repressivo culturale dell'Occidente cominciò a presentare segni di incrinature. Lo sviluppo dei bisogni, alimentato da un desiderio incanalato e sviato da quello che ho chiamato il referente ultimo, incontrava in quegli anni la sua curva ascendente, complici le innovazioni tecnologiche di una scienza che benché si dica non è mai stata quell'avversaria accanita della religione monoteista. Forse per una sorta di rigetto da pranzo eccessivo, forse per l'opera pionieristica di alcuni grandi maestri, ma soprattutto per l'intervento della dimensione estatica catalizzata dalle sostanze psichedeliche, tanti giovani della classe media cominciarono a interrogarsi su quel vuoto lasciato dai padri. La vicenda non mancò di preoccupare i Grandi Sacerdoti del sistema che, mancando degli strumenti non più sostenibili dell'Inquisizione, non per questo stettero con le mani in tasca. La legge intervenne e dichiarò illegali tutte quelle sostanze che allargavano la coscienza. In realtà si dichiarava la non sostenibilità per le cosiddette società avanzate di ricomporre la frattura tra uomo e divinità. Tutte le armi della retorica vennero utilizzate per rendere ancora più aliena l'anima, qualificandola come esoterica, mostruosa, irrazionale. Benché tutto ciò possa manifestare la cattiva coscienza dell'Occidente che ha tradito gli antichi sapienti, c'è del vero in questi epiteti. Già gli sciamani avvertivano della qualità irruente del mistero che, prima di tradursi nella dimensione estatica, esigeva dall'iniziato un totale e incondizionato smembramento psichico. I greci chiamavano i due momenti con i nomi di Dioniso e Apollo. Il primo era la vertigine, il vuoto, il secondo la ricomposizione, il significato ultimo. Rimanere con Dioniso era terrificante se non interveniva l'altra divinità. In ogni tempo e in ogni luogo, tutte le culture arcaiche conoscono altrettanti equivalenti delle due figure antropomorfe. Gli antichi sapienti erano infatti consapevoli che la crescita umana doveva necessariamente transitare attraverso questa dolorosa fase di passaggio. I valori dell'etica non erano altro che la risultante di una completa iniziazione ai misteri. La nostra civiltà, troppo impegnata a inseguire i propri deliri egomaniacali, si è sempre defilata dall'istruire i suoi figli alla vita perché troppo sconveniente. E li ha mandati allo sbaraglio. Θ la grande difficoltà dell'Occidente ad attraversare il vuoto, l'esperienza della morte dell'io, la sola che possa far rinascere l'uomo nuovo, ad essersi espressa e manifestata appieno quando le sostanze dei misteri, le sostanze psichedeliche hanno invaso le strade. In questi ultimi anni ci sono stati moltissimi iniziati ma pochissimi sciamani a guidare e dirigere quelle masse attraverso l'intero percorso di morte e rinascita, perché è quella appunto la funzione delle droghe estatiche, facilitare il viaggio nell'oltretomba della coscienza. Da una parte i valori dell'edonismo e del consumo sfrenato che spingevano a provare a ogni costo gli effetti di sostanze ritenute bizzarre e anche un po' chic. Dall'altra, un potere egodiretto che in quanto tale si affaticava a lanciare allarmi contro la disgregazione dell'io, quindi contro l'annientamento del vero artefice della sua arrogante civiltà. Sono questi i due elementi che concorsero a provocare i risultati in parte rovinosi della cosiddetta rivoluzione psichedelica. Non è un caso che proprio in quegli anni le mafie alleate con i poteri inondarono le città di eroina. In realtà con questa si spezzava il viaggio iniziatico delle sostanze psichedeliche: i narcotici come l'eroina tendono a far saltare il momento fondamentale della morte dell'io senza il quale la rinascita diviene solo un contenitore di illusioni, da inseguire incessantemente nell'atto compulsivo dell'introduzione dell'ago nella vena. La mafia esulta, il potere può adesso controllare gli aspiranti iniziati e aprire i suoi lazzeretti, dove la morale e le buone intenzioni affossano definitivamente ogni rigurgito di anima.
Poi per condire la grande bugia hanno creato il grosso contenitore
linguistico: droga. Mentre la storia andava prendendo una così brutta piega, i
primi studiosi, scienziati, psicologi, artisti che in quelle sostanze avevano
intravisto uno strumento straordinario per la conoscenza e per il rinnovamento
delle comunità cominciarono a nutrire seri dubbi circa la possibilità di
continuare le ricerche con le stesse. Già in epoca non sospetta, molti
di loro avevano manifestato preoccupazione sugli impieghi collettivi non guidati
degli psichedelici. Gli stessi Albert Hofmann e Aldous Huxley più volte
avvertirono del comportamento irresponsabile di taluni demagoghi che a loro dire
stavano svendendo un'esperienza intimamente sacra. Le sostanze dei misteri
necessitavano di una intensa preparazione spirituale e culturale. Davanti allo
sperimentatore si apriva una vera e propria esperienza di vita e di morte e solo
la retta condotta in presenza di un mistagogo, un conduttore di anime, avrebbe
potuto sortire un effetto benefico. Così è sempre stato e così è presso tutte le
culture antiche e arcaiche. L'anima è irruente, soprattutto dopo un
lungo esilio, e richiede l'azione di un intermediario forte.
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