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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 Intersoggettività e conflitti: il modello comunicativo tra crisi e progresso di Antonio Carnevale I LA FILOSOFIA DEL DIRITTO COME TEORIA DELLA GIUSTIZIA 37 1. L'idea della libertà individuale: condizioni intersoggettive di autonomia 45 2. Il «diritto» nella Filosofia del diritto: sfere necessarie dell'autorealizzazione 59 II LA RELAZIONE TRA TEORIA DELLA GIUSTIZIA E DIAGNOSI DELL'EPOCA 67 3. Soffrire di indeterminatezza: le patologie della libertà individuale 71 4. La «liberazione» dal dolore: il significato terapeutico dell'eticità 86 III LA DOTTRINA DELL'ETICITÀ COME TEORIA NORMATIVA DEL MODERNO 93 5. Autorealizzazione e riconoscimento: le condizioni per l'eticità 94 6. La sovraistituzionalizzazione dell'eticità: problemi dell'impostazione hegeliana 112 Note 135 |
| << | < | > | >> |Pagina 37I. LA FILOSOFIA DEL DIRITTO COME TEORIA DELLA GIUSTIZIASebbene si stia manifestando nella situazione filosofica attuale una sorprendente rinascita del pensiero di Hegel, rinascita che sembra addirittura preparare il cammino per un superamento dell'abisso che separa la tradizione analitica da quella continentale, la sua Filosofia del diritto è finora rimasta senza alcun influsso sui dibattiti contemporanei di filosofia politica. In quest'ambito, dopo che si era repentinamente demolita la fase del disincanto marxistico circa il diritto moderno come mera sovrastruttura, negli ultimi anni ha avuto luogo, piuttosto, un ritorno su un ampio fronte al paradigma razionale di tradizione kantiana, il quale domina sostanzialmente la discussione da Rawls a Habermas; e proprio mentre questi due autori tanto si sforzano per dare una collocazione reale, appartenente alla scienza sociale, alle loro concezioni di giustizia kantiana, tanto poco nello stesso tempo il modello teorico della filosofia hegeliana del diritto gioca un qualunque ruolo determinante. In riferimento alla situazione qui accennata, anche quel contromovimento politico-filosofico che, mettendo insieme un po' artificialmente teorici così differenti come Charles Taylor, Michael Walzer o Alasdair MacIntyre, viene indicato sotto il titolo di «comunitarismo», non ha potuto cambiare di molto le cose. In queste ultime impostazioni, infatti, è stata tanto forte la tendenza ad un privilegiamento dell'etica a discapito di un principio formalistico della morale, del valore della relazione comunitaria contro la libertà dell'arbitrio individuale, che non è mai stato veramente intrapreso un tentativo per rendere la filosofia del diritto di Hegel ancora una volta feconda per il discorso della filosofia politica; e a questo proposito è addirittura di sintomatico significato che autori come Michael Walzer, Alasdair MacIntyre o Joseph Raz, oggi, cerchino di mantenere rispetto alla filosofia politica di Hegel la maggior distanza possibile. Quello che rende questo generale isolamento della filosofia del diritto hegeliana, ad un primo sguardo, così difficile da capire, è il fatto che il suo testo possiede una serie di caratteristiche teoretiche che possono farlo apparire invece quanto mai appropriato per lo stadio attuale della nostra discussione. Partendo dal fatto che oggi è assai diffusa la consapevolezza della necessità di una contestualizzazione sociale dei principi della giustizia ricavati in maniera formale, il tentativo hegeliano dovrebbe, in realtà, risultare attraente per dare una cornice istituzionale ai princìpi astratti del diritto moderno e della morale. Inoltre, data la crescente incertezza su quale luogo il diritto formale debba avere nella nostra prassi morale quotidiana, lo sforzo hegeliano di sviluppare un tipo di metateoria etica del diritto dovrebbe apparire estremamente allettante; e infine potrebbe anche essere non privo di stimoli per la problematica attuale della filosofia politica che Hegel sviluppi i principi della sua teoria del diritto in un'intima connessione con una diagnosi epocale, al cui centro si pone l'affermarsi di una minacciosa individualizzazione. Ma tutti questi evidenti pregi sembra non abbiano avuto finora la capacità di far riconquistare alla Filosofia del diritto di Hegel un posto legittimo nella filosofia politica contemporanea; anzi anche là dove, nella discussione con Rawls o Habermas, il ricorso alla sua opera s'imporrebbe, ogni tentativo di una riattualizzazione sistematica è stato, com'è ben noto, evitato. | << | < | > | >> |Pagina 67II. LA RELAZIONE TRA TEORIA DELLA GIUSTIZIA E DIAGNOSI DELL'EPOCAPrima che io prosegua in questo mio tentativo di riattualizzazione indiretta della Filosofia del diritto, può essere utile riassumere ciò che abbiamo fin qui compreso a proposito dell'intenzione e della suddivisione del testo. Se si parte dalle intenzioni tramite le quali Hegel, nei suoi sforzi, si è lasciato guidare, il tutto potrebbe essere riassunto così: in accordo con Kant e Fichte, anche l'autore della Filosofia del diritto pensa che ogni teoria normativa della giustizia nelle società moderne debba essere ancorata al principio della libertà individuale di tutti i soggetti; ma a differenza di entrambi i suoi predecessori, e in ciò vengono ripresi i motivi dei suoi primi scritti, egli crede che un simile concetto di autonomia individuale o di libertà debba essere reso più complesso, in modo che anche la materia delle autodeterminazioni riflessive, cioè i nostri first-order volitions, possano essere concettualizzati come un elemento di libertà o, forse meglio, come medium dell'espressione del nostro Sé. Cosa questo possa significare, Hegel lo spiega paradigmaticamente con il caso dell'amicizia, dove noi ci limitiamo volontariamente alla preferenza per una determinata inclinazione, ma contemporaneamente, con la pratica dell'amicizia, facciamo una esperienza di auto realizzazione illimitata e libera. Perciò un concetto sufficientemente complesso della libertà individuale dev'essere concepito in modo tale da generalizzare il caso dell'amicizia per dar luogo alla struttura comunicativa dell' esser presso di sé nell'altro: gli individui sono veramente liberi solo là dove sono in grado di modellare le proprie inclinazioni e i propri bisogni in conformità con l'universalità delle interazioni sociali, la pratica delle quali può essere contemporaneamente esperita come espressione di una soggettività illimitata. Facendo riferimento alla tarda produzione di Harry Frankfurt, si potrebbe forse anche dire che l'autentica libertà consiste in una autolimitazione a favore di altri che può essere compresa d'altra parte come l'espressione più intensa di una soggettività senza costrizioni, come un essere presso di sé. Muovendo da questa conclusione, Hegel arriva ad una prima anticipazione della sua teoria generale della giustizia moderna, condividendo con Kant e Fichte la convinzione che una tale concezione deve poter determinare in maniera essenziale le condizioni della realizzazione dell'autonomia o del libero volere: se la libertà individuale si contraddistingue in primo luogo come l' essere presso di sé nell'altro, allora la giustizia nelle società moderne si commisura sulla capacità di queste di garantire le condizioni di una tale esperienza comunicativa e quindi di consentire a ogni singolo la partecipazione a nessi di interazione non deformata.
Accentuando questo punto si può affermare che Hegel, in nome della libertà
individuale, caratterizza le relazioni comunicative come il
bene fondamentale,
del quale dispongono le società moderne dal punto di vista della giustizia.
Naturalmente qui, come già menzionato, l'uso di espressioni economiche, quale
quella di
bene,
non deve indurre al pensiero che Hegel, nella sua determinazione della
giustizia, sia approdato a regole della
distribuzione in senso rawlsiano; piuttosto egli sembra partire dall'ipotesi che
le relazioni comunicative appartengono alla classe di quei beni che possono
essere generati e conservati solo attraverso pratiche comuni cosicché si può
parlare al massimo di una generale predisposizione delle condizioni che
consentono tali pratiche.
Del resto sono convinto che, approfondendo l'elaborazione di questa differenza
tra Hegel e Rawls, si può arrivare a riconoscere i contorni della concezione
della giustizia della
Filosofia del diritto.
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