Copertina
Autore Michel Houellebecq
Titolo Le particelle elementari
EdizioneBompiani, Milano, 2000 [1999], Tascabili 680 , pag. 317, dim. 125x192x20 mm , Isbn 978-88-452-4457-5
OriginaleLes particules elementaires
EdizioneFlammarion, Paris, 1998
TraduttoreSergio Claudio Perroni
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe narrativa francese , fantascienza
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 5

Prologo


Questo libro è innanzitutto la storia di un uomo, di un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. Perlopiù solo, egli intrattenne tuttavia saltuari rapporti con altri uomini. Visse in un'epoca infelice e travagliata. La nazione che gli aveva dato i natali scivolava lentamente ma inesorabilmente verso la fascia economica delle nazioni di media povertà; sovente incalzati dalla miseria, gli uomini della sua generazione pativano comunque un'esistenza solitaria e astiosa. I sentimenti d'amore, di tenerezza e di umana fratellanza erano in gran parte scomparsi; nei loro mutui rapporti, i suoi contemporanei davano assai spesso prova di indifferenza e di crudeltà.

Al momento della sua scomparsa, Michel Djerzinski era unanimemente considerato un biologo di altissima levatura, e lo si riteneva un valido candidato al Nobel; ma l'effettiva portata della sua opera si sarebbe rivelata solo in seguito.

All'epoca di Djerzinski, la filosofia era spesso considerata priva di qualsiasi rilevanza di ordine pratico, ovvero di scopo. Eppure la visione del mondo più comunemente adottata in un dato periodo dai componenti di una data società è determinante tanto per l'economia quanto per la politica e per il costume di quella società.

Nella storia dell'umanità, le mutazioni metafisiche - ossia le trasfonnazioni radicali e globali della visione del mondo adottata dalla maggioranza - sono assai rare. L'avvento del cristianesimo ne è un valido esempio.

Appena prodottasi, la mutazione metafisica si sviluppa fino alle proprie estreme conseguenze, senza mai incontrare resistenza. Imperturbabile, essa travolge sistemi economici e politici, giudizi estetici, gerarchie sociali. Non esistono forze in grado di interromperne il corso - né umane né d'altro genere, a parte l'avvento di una nuova mutazione metafisica.

Non è del tutto esatto affermare che le mutazioni metafisiche investono unicamente società deboli, già sulla via del declino. All'avvento del cristianesimo, l'impero romano era al culmine della propria potenza; perfettamente organizzato, esso dominava l'universo conosciuto; la sua superiorità tecnica e militare era senza eguali. Eppure, non aveva speranze. All'avvento della scienza moderna, il cristianesimo medievale costituiva un sistema completo di comprensione dell'uomo e dell'universo; serviva da base al governo dei popoli, produceva conoscenza e opere, decideva tanto la pace quanto la guerra, organizzava la produzione e la ripartizione delle ricchezze. Tutto ciò non riuscì a impedime il tracollo.

Michel Djerzinski non fu né il primo né il principale artefice di quella terza mutazione metafisica - per molti versi la più radicale - destinata a inaugurare una nuova era nella storia del mondo; ma in ragione di determinate, e del tutto particolari, circostanze della sua vita, egli ne fu uno degli artefici più consapevoli, più lucidi.

Oggi noi viviamo in un nuovissimo regno,
E l'ordito delle circostanze avviluppa il
    nostro corpo,
Bagna il nostro corpo
In un alone di gioia.
Ciò che talvolta agli uomini d'un tempo
    capitò d'intuire grazie alla musica
Noi lo realizziamo ogni giorno nella
    realtà pratica.
Ciò che per essi era campo
    dell'inaccessibile e dell'assoluto
Per noi è cosa semplicissima e ben nota.
Eppure, quegli uomini non li disprezziamo;
Noi sappiamo di dover molto ai loro sogni,
Sappiamo che non saremmo nulla senza
    l'ordito di dolore e gioia di cui è
    fatta la loro storia,
Sappiamo che quando attraversavano l'odio
    e la paura, quando si urtavano nel
    buio
Quando, poco a poco, tracciavano la
    propria storia
In sé recavano la nostra immagine.
Noi sappiamo che non sarebbero mai stati
    né mai avrebbero potuto essere, se nel
    profondo di sé non avessero nutrito
    questa speranza,
Sappiamo che senza il loro sogno non
    sarebbero riusciti neppure a esistere.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 17

Il 14 dicembre 1900, in un intervento all'Accademia di Berlino sul tema "Zur Theorie des Geseztes der Energieverteilung in Normalspektrum", Max Planck presentò per la prima volta quella nozione di quantum d'energia destinata a rivestire un ruolo decisivo nella successiva evoluzione della fisica. Tra il 1900 e il 1920, principalmente sotto la spinta di Einstein e di Bohr, modellizzazioni più o meno ingegnose tentarono di adattare il nuovo concetto allo schema delle teorie precedenti; all'inizio degli anni Venti, tale schema risultò irrimediabilmente spacciato.

Il fatto che Niels Bohr venga considerato come il vero fondatore della meccanica quantistica è dovuto non tanto alle sue scoperte quanto, soprattutto, alla straordinaria atmosfera di creatività, di effervescenza intellettuale, di libertà di spirito e di amicizia che egli seppe creare intorno a sé. L'istituto di fisica di Copenaghen, fondato da Bohr nel 1919, era destinato ad accogliere quanto di meglio la fisica europea avesse in fatto di giovani ricercatori. Heisenberg, Pauli, Born vi fecero il proprio apprendistato. Un po' più vecchio di loro, Bohr era capace di passare ore e ore a discutere in dettaglio le loro ipotesi, in una ineffabile combinazione di perspicacia fìlosofica, benevolenza e rigore. Preciso fin quasi alla maniacalità, nell'interpretazione degli esperimenti non tollerava approssimazioni; per contro, non giudicava a priori folle nessuna idea nuova, né inattaccabile alcun concetto consolidato. Amava invitare i propri studenti nella sua casa di campagna a Tisvilde; lì riceveva scienziati di altre discipline, uomini politici, artisti; le conversazioni passavano liberamente dalla fisica alla filosofia, dalla storia all'arte, dalla religione alla vita quotidiana. Una cosa del genere non succedeva dagli albori del pensiero greco. Fu in tale eccezionale contesto che, tra il 1925 e il 1927, vennero elaborati i termini essenziali di quella "interpretazione di Copenaghen" che invalidava per buona parte le categorie correnti di spazio, causalità e tempo.

Djerzinski non era riuscito neanche lontanamente a ricreare intorno a sé una condizione del genere. Il clima all'interno dell'unità di ricerche da lui diretta era clima da ufficio, né più né meno. Lungi dall'essere quei Rimbaud del microscopio che il pubblico sentimentale ama figurarsi, i ricercatori in biologia molecolare sono perlopiù onesti artigiani privi di genio, che leggono "Le Nouvel Observateur" e sognano di andarsene in vacanza in Groenlandia. Per la ricerca in biologia molecolare non occorre alcuna creatività, alcuna inventiva; anzi, è un'attività quasi esclusivamente ripetitiva, che richiede soltanto una ragionevole dose di modesta attitudine intellettuale. Più che tesi e dottorati, basterebbero un diploma e un po' di pratica per manovrare le strumentazioni. "Per avere l'intuizione del codice genetico," amava ripetere Desplechin, il direttore del dipartimento di biologia del CNRS, "e per scoprire il principio della sintesi delle proteine: lì si che ci fu da spremersi le meningi. D'altronde a ficcarci il naso per primo fu Gamow, cioè un fisico. Ma la decodifìcazione del DNA, che volete che sia... Si decodifica, si decodifica. Si fa una molecola, se ne fa un'altra. Si introducono i dati nell'elaboratore, l'elaboratore calcola le sottosequenze. Si spedisce un fax in Colorado: loro fanno il gene B27, noi facciamo il C33. Cucina. Di tanto in tanto c'è qualche insignificante progresso nelle apparecchiature; in genere è sufficiente perché vi diano il Nobel. È puro bricolage; bagattelle."

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 27

Janine Ceccaldi, invece, apparteneva alla sconsolante categoria dei precursori.

Da un lato fortemente adattati al modo di vivere prevalente della loro epoca, e dall'altro ansiosi di superarlo "dall'alto" preconizzando nuovi comportamenti o rendendo popolari comportamenti ancora puco praticati, in genere i precursori necessitano una descrizione un po' più lunga, anche perché spesso il loro percorso è più tormentato e confuso. Tuttavia essi hanno un mero ruolo di acceleratore storico - generalmente di acceleratore di una decomposizione storica - senza mai poter imprimere una nuova direzione agli avvenimenti - tale ruolo essendo commesso ai rivoluzionati o ai profeti.

Ben presto la figlia di Martin e Genéviève Ceccaldi manifestò attitudini intellettuali atipiche perlomeno quanto quelle del padre, unitamente a manifestazioni di un carattere molto indipendente. Perse la verginità all'età di tredici anni (cosa eccezionale in quell'epoca e in quell'ambiente) prima di consacrare gli anni bellici (in Algeria abbastanza calmi) a sortite nei principali balli di fine settimana, prima a Costantine poi a Algeri; il tutto senza smettere di conseguire, trimestre dopo trimestre, risultati scolastici sbalorditivi. Fu, dunque, in possesso di una maturità con lode e di un'esperienza sessuale già solida, che, nel 1945, ella lasciò i genitori per intraprendere gli studi di medicina a Parigi.

Gli anni dell'immediato dopoguerra furono anni travagliati e violenti; il tasso di produzione industriale era al minimo storico, e il razionamento alimentare venne abolito soltanto nel 1948. Tuttavia, in seno a una frangia facoltosa della popolazione cominciavano già ad apparire i primi sintomi di consumismo di massa a forte componente ludico-libidica, proveniente dagli Stati Uniti d'America e destinato, nel corso dei decenni successivi, a contagiare l'intera popolazione. Studentessa alla facoltà di medicina di Parigi, Janine Ceccaldi poté così vivere da vicino gli anni "esistenzialisti" ed ebbe persino l'opportunità di ballare un be-bop con Jean-Paul Sartre al Tabou.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 66

Bruno conosceva Michel ormai da venticinque anni. Praticamente una vita, ma durante la quale gli sembrava di essere cambiato pochissimo; prova evidente, a suo avviso, di un nucleo di identità personale, di un nucleo dalle caratteristiche fondamentali incrollabili. Eppure interi blocchi della sua storia personale erano caduti in un oblio definitivo. Mesi, anni interi, gli sembrava di non averli vissuti neppure per un istante. Non era il caso di quegli ultimi due anni di adolescenza, così ricchi di ricordi, di esperienze formative. "La memoria di una vita umana," gli avrebbe spiegato anni dopo il fratellastro, "somiglia a una delle cosiddette 'storie consistenti' di Griffiths. "Si trovavano nell'appartamento di Michel, bevevano Campari, era una sera di maggio. Era raro che evocassero il passato: in genere le loro discussioni vertevano sull'attualità politica o sociale; ma quella sera lo fecero. "Tu hai dei ricordi di diversi momenti della tua vita," riassunse Michel, "e questi ricordi si presentano sotto aspetti diversi; tu rivedi pensieri, atteggiamenti, facce. Talvolta ti torna in mente un semplice nome, come per quella Patricia Hohweiller di cui parlavi poco fa, e che oggi non saresti in grado di riconoscere. Altre volte invece rivedi un volto, senza neppure potergli associare un ricordo. Nel caso di Caroline Yessayan, tutto ciò che sai di lei è concentrato in quei pochi secondi di precisione totale in cui la tua mano era posata sulla sua coscia. Le storie consistenti di Griffiths sono state adottate nel 1984 per collegare le misure quantistiche in schemi narrativi verosimili. Una storia di Griffiths viene costruita a partire da una serie di misure rilevate piu o meno a casaccio in momenti diversi. Ciascuna misura esprime il fatto che una determinata quantità fisica, eventualmente diversa da una misura all'altra, sia compresa, in un dato momento, in un certo arco di valori. Per esempio, nel tempo t1, un elettrone ha una certa velocità, determinata con un'approssimazione che dipende dal tipo di misura; nel tempo t2, il suddetto elettrone è situato in un certo arco spaziale; nel tempo t3, ha un certo valore di rotazione. A partire da un sottoinsieme di misure possiamo definire una storia, logicamente consistente ma di cui tuttavia non possiamo dire che sia vera: può semplicemente essere sostenuta senza contraddizione. Tra le storie possibili del mondo in un dato quadro sperimentale, alcune possono venire riscritte sotto la forma canonizzata da Griffiths; tali storie vengono allora definite storie consistenti di Griffiths, e si svolgono come se il mondo fosse composto di oggetti separati, dotati di proprietà intrinseche e stabili. Tuttavia, il numero di storie consistenti di Griffiths che possano essere riscritte a partire da una serie di misure è, in genere, sensibilmente superiore a uno. Tu hai una coscienza del tuo io; questa coscienza ti permette di fare un'ipotesi: la storia che sei in grado di ricostruire a partire dai tuoi ricordi è una storia consistente, giustificabile nel principio di una narrazione univoca. In quanto individuo isolato, perseverante nell'esistenza per un certo lasso di tempo, sottoposto a un'ontologia di oggetti e di proprietà, su questo punto non hai alcun dubbio: si deve necessariamente poterti associare una storia consistente di Griffìths. Questa ipotesi a priori vale per il campo della vita reale, non per quello del sogno."

"Sarebbe bello se l'io fosse un'illusione; anche se comunque sarebbe un'illusione dolorosa..." disse piano Bruno; ma Michel non sapeva nulla di buddismo, sicché non rispose. La conversazione non era facile; si incontravano al massimo due volte l'anno. Spesso in gioventù avevano discusso animatamente; ma ormai quel tempo era finito. Nel settembre del 1973 entrarono insieme in prima C; per due anni seguirono insieme il corso di matematica e il corso di fisica. Il livello di Michel era nettamente superiore al livello medio della classe. L'universo umano - cominciava a rendersene conto - era mendace, pieno di angoscia e di amarezza. Le equazioni algebriche gli fornivano gioie vive e piene. Procedeva nella semioscurità e, di colpo, trovava un varco: in qualche formula, in qualche fattorizzazione audace, riusciva a elevarsi fino a uno stadio di felicità luminosa. La prima equazione della dimostrazione era la più emozionante, giacché la verità che vi ammiccava a mezza distanza era ancora incerta; l'ultima equazione era la più smagliante, la più gioiosa. In quello stesso anno, Annabelle entrò in seconda al liceo di Meaux. Si vedevano spesso, tutti e tre, dopo la fine delle lezioni. Poi Bruno rientrava in collegio; Annabelle e Michel si dirigevano verso la stazione. La situazione prendeva una piega strana. All'inizio del 1974, Michel si tuffò negli spazi di Hilbert; poi si cimentò con la teoria della misura, scopri gli integrali di Riemann, di Lebesgue e di Stieltjes. Nello stesso periodo, Bruno leggeva Kafka e si mastubava nella littorina. In un pomeriggio di maggio, nella piscina che avevano appena inaugurato a Crécy-la-Chapelle, ebbe la gioia di spalancare l'asciugamano per mostrare il cazzo a due ragazzine di dodici anni; ebbe la gioia soprattutto di vedere che le dodicenni si davano di gomito, che si interessavano allo spettacolo; scambiò un lungo sguardo con una delle due, una bruna con gli occhiali. Benché troppo infelice e troppo frustrato per interessarsi realmente alla psicologia del prossimo, Bruno si rendeva conto che il fratellastro era in una situazione peggiore della sua. Spesso andavano insieme al bar; Michel calzava berretti assurdi, non sapeva giocare a calcio; a parlare era soprattutto Bruno. Michel restava immobile, parlava sempre meno; volgeva su Annabelle uno sguardo attento e inerte. Annabelle non demordeva; per lei, il volto di Michel era un messaggio da un altro mondo. Più o meno nello stesso periodo lesse La sonata a Kreutzer, per qualche istante credette di capire grazie a quelle parole. Venticinque anni dopo, a Bruno sembrava ormai chiaro che si erano trovati in una situazione squilibrata, anormale, senza futuro; considerando il passato si ha sempre l'impressione - probabilmente fallace - di un certo determinismo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 93

Annabelle aveva assistito alla partenza dell'ambulanza, poi al ritorno della Renault 16. Verso l'una del mattino si alzò e si vestì; i suoi genitori dormivano; si recò a piedi fino al cancello del villino di Michel. Le luci erano accese; probabilmente si erano riuniti in salone, ma non si vedeva nulla per via delle tendo chiuse. Pioveva, una pioggerella fine. Passarono dieci minuti. Annabelle sapeva che avrebbe potuto suonare alla porta e vedere Michel; avrebbe potuto anche non fare niente di niente. Non si rendeva conto di vivere l'esperienza concreta della libertà; qualunque cosa fosse era terribile, e Annabelle era destinata a non essere più la stessa, dopo quei dieci minuti. Molti anni dopo, Michel avrebbe esposto una breve teoria della libertà umana basata sull'analogia con il comportamento dell'elio superfluido. Fenomeni atomici discreti, gli scambi di elettroni tra neuroni e sinapsi all'interno del cervello sono per principio assoggettati all'imprevedibilità quantistica; tuttavia il gran numero di neuroni fa sì che, per annullamento statistico delle differenze elementari, il comportamento umano sia - tanto in generale quanto in particolare - altrettanto rigorosamente determinato di quelli di qualsiasi altro sistema naturale. Eppure, in determinate circostanze, estremamente rare - i cristiani parlavano di stato di grazia - un'onda di coerenza nuova sorge e si propaga all'interno del cervello; si manifesta, in maniera temporanea o definitiva, un comportamento nuovo, regolato da un completamente diverso sistema di oscillatori armonici; allora si dà quello che si è convenuto di designare come atto libero.

Quega notte non avvenne nulla di tutto ciò, e Annabelle rientrò in casa dei suoi. Si sentiva decisamente più vecchia. Sarebbero passati venticinque anni, prima che rivedesse Michel.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 121

Da ragazzo, Michel aveva letto diversi romanzi centrati sul tema dell'assurdo, della disperazione esistenziale, dell'immobile vacuità dei giorni; tale letteratura estremista lo aveva persuaso solo in parte. In quel periodo si vedeva spesso con Bruno. Bruno sognava di diventare scrittore; riempiva pagine su pagine, e si masturbava parecchio; gli aveva fatto scoprire Beckett. Beckett era probabilmente quello che si usa definire un grande scrittore: eppure, Michel non era riuscito a leggere fino in fondo nessuno dei suoi libri. Era la fine degli anni Settanta; lui e Bruno avevano vent'anni e si sentivano già vecchi. Era una sensazione destinata a continuare: si sarebbero sentiti sempre più vecchi, e ne avrebbero provato vergogna. Ben presto la loro epoca sarebbe riuscita a escogitare la seguente inedita trasformazione: annegare il sentimento tragico della morte nella sensazione più generale e apatica dell'invecchiamento. Vent'anni dopo, Bruno non aveva ancora mai, di fatto, pensato alla morte; e cominciava a credere che non avrebbe mai cominciato a farlo. Fino all'ultimo avrebbe desiderato vivere, fino all'ultimo si sarebbe battuto contro gli accidenti e le sventure della vita concreta e del corpo che si logora. Fino all'ultimo istante avrebbe chiesto una piccola proroga, un piccolo supplemento di esistenza. Fino all'ultimo istante, in particolare, sarebbe andato in cerca di un ultimo momento di godimento, di una piccola chicca supplementare. Qualunque ne fosse a lungo termine la vanità, una fellatio ben fatta era un piacere reale; il che, pensava adesso Michel sfogliando la sezione biancheria (Sensuale! La guépière) del suo catalogo, sarebbe stato irragionevole negarlo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 123

Il catalogo 3 Suisses, per parte sua, sembrava effettuare una lettura più storica del disagio europeo. Implicita nelle prime pagine, la coscienza di una mutazione della civiltà prossima ventura trovava la propria formulazione definitiva a pagina 17; Michel meditò per diverse ore sul messaggio contenuto nelle due frasi che definivano la tematica della collezione autunno/inverno: "Ottimismo, generosità, armonia fanno avanzare il mondo. IL DOMANI SARA FEMMINA."

Nel corso del telegiornale delle 20, Bruno Masure annunciò che una sonda americana aveva rinvenuto tracce di vita fossile su Marte. Si trattava di forme batteriche, verosimilmente archeo-methanobacterium. Dunque, su un pianeta prossimo alla Terra, alcune macromolecole erano riuscite a organizzarsi, a elaborare vaghe strutture autoriproducibili, composte da un nucleo primitivo e da una membrana sconosciuta; poi tutto si era bloccato, sicuramente per effetto di una variazione climatica: la riproduzione era diventata sempre più difficile, poi si era interrotta del tutto. La storia della vita su Marte si rivelava assai modesta. Frattanto (e Bruno Masure non sembrava averne piena coscienza), quel miniracconto di un fallimento un po' ridicolo contraddiceva violentemente tutte le costruzioni mitiche o religiose che tradizionalmente fanno la gioia dell'umanità. Non c'era nessuna azione unica, grandiosa e creatrice; non c'era nessun popolo eletto, né c'erano specie o pianeti eletti. C'erano soltanto, un po' dappertutto nell'universo, tentativi incerti e in genere poco convincenti. Tutto ciò era, fra l'altro, di una monotona spossante. Il DNA dei batteri marziani sembrava perfettamente identico al DNA dei batteri terrestri. Quest'ultima considerazione in particolare lo riempì di una lieve tristezza, già di per sé segno di depressione. Un ricercatore in condizioni normali, un ricercatore in buone condizioni di funzionamento, avrebbe dovuto invece compiacersi per quella identità, vedervi la promessa di sintesi unificanti. Se il DNA era dappertutto identico, dovevano per forza esserci ragioni profonde legate alla struttura molecolare dei peptidi, o magari alle condizioni topologiche dell'autoriproduzione. Tali ragioni profonde doveva esser possibile scoprirle; da giovane, pensò Michel, una siffatta prospettiva l'avrebbe riempito di entusiasmo.

Quando incontrò per la prima volta Desplechin, nel 1982, Djerzinski aveva appena ultimato la tesi di terzo ciclo all'università di Orsay. Il che gli avrebbe consentito di prender parte alle magnifiche esperienze di Alain Aspect sulla non separabilità del comportamento di due fotoni successivamente emessi da uno stesso atomo di calcio; era il più giovane ricercatore dello staff.

Precise, rigorose, perfettamente documentate, le esperienze di Aspect erano destinate ad avere un impatto considerevole sulla comunità scientifica: per la prima volta, per opinione comune, ci si trovava davanti a una confutazione completa delle obiezioni opposte nel 1935 da Einstein, Podolsky e Rosen al formalismo quantistico. La disuguaglianza di Bell derivata dalle ipotesi di Einstein veniva smaccatamente violata, i risultati si accordavano perfettamente con le previsioni della teoria dei quanti. Il che lasciava solo due ipotesi. O le proprietà nascoste determinanti il comportamento delle particelle erano non-locali, cioè le particelle potevano avere l'una sull'altra un'influenza istantanea a una distanza arbitraria; oppure bisognava rinunciare al concetto di particella elementare in possesso, in assenza di qualsivoglia osservazione, di proprietà intrinseche: sicché ci si ritrovava di fronte a un profondo vuoto ontologico - salvo adottare un positivismo radicale e accontentarsi di sviluppare il forinalismo matematico predittivo degli osservabili rinunciando definitivamente all'idea della realtà sottostante. Naturalmente, a conciliare la maggior parte dei ricercatori, sarebbe stata quest'ultima alternativa.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 157

Bruno arrivò verso le ventuno, aveva già bevuto un po' ed era ansioso di affrontare argomenti teoici. "Mi ha sempre colpito," cominciò prima ancora di essersi seduto, "la straordinaria esattezza delle profezie fatte da Aldous Huxley in Il mondo nuovo. È allucinante, soprattutto se pensiamo che quel libro lo scrisse nel 1932. Da allora la società occidentale ha tentato costantemente di raggiungere quel modello: sempre più accurato controllo della procreazione, che un giorno porterà alla sua completa dissociazione dal sesso e alla riproduzione della specie umana in laboratorio in condizioni di sicurezza e di affidabilità genetica totali; conseguente collasso dei rapporti di parentela, del concetto di paternità e di filiazione; eliminazione, grazie ai progressi farmaceutici, della distinzione tra età della vita. Nel mondo descritto da Huxley, gli uomini di sessant'anni hanno la stessa apparenza fisica, lo stesso dinamismo, gli stessi desideri dei ventenni. Poi, quando non è più possibile lottare contro l'invecchiamento, ci si congeda tramite eutanasia liberamente consentita; con grande discrezione, rapidamente, senza drammi. La società descritta in Il mondo nuovo è una società felice, da cui sono scomparsi tragedie e sentimenti estremi. La libertà sessuale è assoluta, non vi è più alcun ostacolo al piacere e al godimento. Permangono piccole sacche di depressione, di tristezza, di dubbio; ma vengono facilmente curate per via farmacologica, la chimica degli antidepressivi e degli ansiolitici avendo fatto considerevoli progressi. 'Con un centilitro guarisci dieci sentimenti.' È, esattamente il mondo cui aspiriamo oggigiorno, il mondo nel quale, attualmente, desidereremmo vivere.

"So bene," proseguì Bruno con un movimento della mano come per spazzar via un'obiezione che Michel non aveva fatto, "che in genere l'universo di Huxley viene descritto come una specie di incubo totalitario, e che si tenta di far passare Il mondo nuovo per una violenta presa di posizione contro questo genere di regimi; ma è ipocrisia bella e buona. Sotto tutti i punti di vista - controllo genetico, lotta contro l'invecchiamento, ottimizzazione del tempo libero - per noi Il mondo nuovo è un paradiso, è esattamente il mondo che ci sforziamo, sin qui invano, di raggiungere. Oggigiorno vi è soltanto una cosa che contrasta un po' col nostro sistema di valori egualitario - o, più precisamente, meritocratico - ed è la divisione della società in caste, adibite a diversi compiti a seconda della loro natura genetica. Ma è praticamente l'unico punto su cui Huxley si sia rivelato cattivo profeta; è praticamente l'unico punto che, con lo sviluppo della robottizzazione e della meccanizzazione, sia diventato sostanzialmente inutile. Aldous Huxley è senza dubbio un pessimo scrittore, le sue frasi sono pesanti e sgraziate, i suoi personaggi sono insulsi e meccanici. Nondimeno egli ebbe l'intuizione - fondamentale - che l'evoluzione delle società umane fosse ormai da secoli - e sempre più sarebbe stata - pilotata esclusivamente dall'evoluzione scientifica e tecnologica. Sarà pur stato privo di finezza, di psicologia, di stile, ma tutto ciò non inficia minimamente l'esattezza della sua intuizione di partenza. E, primo tra tutti gli scrittori, ivi compresi quelli di fantascienza, capì che dopo la fisica sarebbe stata la biologia a fare da principio motore."

Bruno si interruppe, e così ebbe modo di constatare come fratello fosse un po' dimagrito; sembrava stanco, pensieroso, svagato. Da qualche giorno, Michel non andava più a fare la spesa. Contrariamente agli anni precedenti, davanti al Monoprix stazionavano parecchi mendicanti e parecchi straccioni; eppure si era in piena estate, stagione in cui generalmente la povertà si fa meno opprúnente. Che succederà quando ci sarà la guerra? si chiedeva Michel osservando dalle vetrine il lento viavai di barboni. Bruno si riempi di vino un bicchiere; cominciava ad aver fame, e fu sorpreso quando il fratello gli rispose, con voce fioca:

"Huxley apparteneva a una grande famiglia di biologi inglesi. Suo nonno era amico di Darwin, e scrisse diversi articoli in difesa della tesi dell'evoluzionismo. Suo padre e suo fratello Julian erano anch'essi biologi famosi. La loro famiglia rispecchiava in pieno quella tradizione inglese di intellettuali pragmatici, liberali e scettici - diversissirna dal Secolo dei Lumi francese - basata sull'osservazione e sul metodo sperimentale. In gioventù Huxley ebbe modo di intrattenersi con tutti quegli economisti, quei giuristi e, soprattutto, quegli scienziati che il padre invitava a casa. Tra gli scrittori della sua generazione era sicuramente l'unico in grado di intuire i passi avanti che avrebbe fatto la biologia. Ma tutto ciò si sarebbe sviluppato molto più in fretta senza il nazismo. L'ideologia nazista ha contribuito in maniera cruciale a screditare il concetto di miglioramento della razza e di eugenetica; per colpa del nazismo abbiamo sprecato anni preziosi, prima di poter tornare ad affrontare questi concetti senza dovercene vergognare." Michel si alzò e prese da uno scaffale della libreria un volume intitolato Ciò che oso pensare. "L'ha scritto Julian Huxley, il fratello maggiore di Aldous, e fu pubblicato nel 1931, un anno prima di Il mondo nuovo. Vi si trovano suggerite tutte quelle idee sul controllo genetico e sul miglioramento delle specie - ivi compresa quella umana - che il fratello tratterà nel suo romanzo. Tutto ciò viene presentato, e senza la minima ambiguità, come un fine augurabile, verso il quale è opportuno tendere."

Michel tornò a sedersi, si asciugò la fronte. "Dopo la guerra, nel 1946, Julian Huxley venne nominato direttore generale dell'Unesco, che era appena stata creata. Nello stesso anno, suo fratello pubblicò Ritorno dal mondo nuovo, nel quale tenta di presentare Il mondo nuovo come una denuncia, una satira. Qualche anno dopo, Aldous Huxley diventò il principale garante teorico dell'esperienza hippy. Era sempre stato un fautore della libertà sessuale, e aveva avuto il ruolo di pioniere nell'uso delle droghe psichedeliche. I fondatori di Esalen lo conoscevano ed erano stati influenzati dal suo pensiero. Il movimento New Age, successivamente, ha adottato integralmente gli argomenti di base dell'esperienza di Esalen. In sostanza. Aldous Huxley è uno dei pensatori più influenti di questo secolo."

Andarono a mangiare in un ristorante lì vicino, dove servivano fonduta cinese a 270 franchi la porzione per due. Michel non usciva di casa da tre giorni. "Oggi non ho mangiato," notò con una certa sorpresa; aveva portato con sé il libro di Julian Huxley.

"Huxley pubblicò Isola nel 1962, è il suo ultimo libro," proseguì mescolando il suo riso colloso. "È ambientato in un'isola tropicale paradisiaca - la vegetazione e i paesaggi sono ispirati probabilmente allo Sri Lanka. Su questa isola si è sviluppata una civiltà originale, lontana dalle grandi correnti commerciali del Ventesirno Secolo, una civiltà molto avanzata sul piano tecnologico ma al tempo stesso rispettosa della natura: pacificata, completamente sciolta dalle nevrosi familiari e dalle inibizioni giudaico-cristiane. Lì la nudità è considerata naturale; la voluttà e l'amore vengono praticati liberamente. Questo libro mediocre, ma assai facile da leggere, ha influenzato enormemente gli hippy e, tramite loro, gli adepti della New Age. A ben guardare, la comunità armoniosa descritta in Isola ha parecchi punti in comune con quella di Il mondo nuovo. In realtà Huxley stesso, nel suo probabile stato di rincoglionimento, sembra non essersi accorto dell'analogia, fatto sta che la società descritta in Isola è tanto vicina a Il mondo nuovo quanto la società hippy libertaria lo è a quella della società borghese liberale, o piuttosto alla sua variante socialdemocratica svedese."

Si interruppe, inzuppò un gamba nella salsa piccante, posò le bacchette. "Come suo fratello, Aldous Huxley era un ottimista..." disse infine con tono come di disgusto. "La mutazione metafisica che ha creato materialismo e scienza moderna ha avuto due grandi conseguenze: il razionalismo e l'individualismo. L'errore di Huxley è stato quello di non aver valutato adeguatamente il rapporto di forza tra queste due conseguenze. In dettaglio, il suo errore sta nell'aver sottovalutato l'aumento di individualismo prodotto da una incrementata coscienza della morte. Dall'individualismo nascono la libertà, il senso dell'io, il bisogno di distinguersi e di essere superiori al prossimo. In una società razionale com'è quella descritta da Il mondo nuovo, lo scontro può essere attenuato. In una società ricca dove i flussi economici siano sotto controllo, la competizione economica, metafora del dominio dello spazio, non ha più ragione di esistere. La competizione sessuale, metafora, tramite la procreazione, del dominio del tempo, non ha più ragione di esistere in una società dove la dissociazione sesso/procreazione sia perfettamente realizzata; ma Huxley ha dimenticato di tener conto dell'individualismo. Non ha saputo capire che il sesso, una volta dissociato dalla procreazione, sussiste meno come principio di piacere che come principio di differenziazione narcisistica; lo stesso dicasi per il desiderio di ricchezza. Perché mai il modello della socialdemocrazia svedese non è mai riuscito a prevalere sul modello liberale? Perché mai non si è riusciti a sperimentarlo neppure nel campo della soddisfazione sessuale? Perché la mutazione metafisica operata dalla scienza moderna si porta dietro l'individuazione, la vanità, l'odio e il desiderio. Di per sé il desiderio - contrariamente al piacere - è fonte di sofferenza, di odio e di infelicità. E, questo, tutti i filosofi - non solo i buddisti, non solo i cristiani, ma tutti i filosofi degni di questo nome - l'hanno capito e insegnato. La soluzione degli utopisti - da Platone a Huxley passando per Fourier - consiste nell'annientare il desiderio, e le sofferenze connesse, organizzandone l'immediata soddisfazione. All'opposto, la società erotico-pubblicitaria in cui viviamo si accanisce a organizzare il desiderio, a svilupparlo fino a dimensioni inaudite, al tempo stesso controllandone la soddisfazione nel campo della sfera privata. Affinché la suddetta società funzioni, affinché la competizione continui, occorre che il desiderio cresca, si allarghi e divori la vita degli uomini." Si asciugò la fronte, sfinito; non aveva toccato cibo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 192

"Osservavo Ben: si grattava la testa, si raspava i coglioni, masticava il suo chewing-gum. Che poteva capirci, quello scimmione? E anche gli altri, in effetti, cosa potevano capirci? Io stesso cominciavo a far fatica a capire cosa esattamente volesse dire Proust. Quelle decine di pagine sulla purezza del sangue, la nobiltà del genio messa a paragone con la nobiltà di razza, l'ambiente specifico dei luminari di medicina... mi sembrava tutto una gigantesca stronzata. Ormai, era evidente, si viveva in un mondo semplificato. La duchessa di Guermantes aveva assai meno thune di Snoop Doggy Dog; Snoop Doggy Dog aveva assai meno thune di Bill Gates, ma in più faceva bagnare le ragazze. Due parametri, niente di più. Certo. magari si poteva ipotizzare di scrivere un romanzo proustiano jet set basato sul confronto/raffronto tra celebrità e ricchezza, mettendo in scena contrapposizioni tra una celebrità di massa e una celebrità più ristretta, a uso degli happy few; perché no, solo che non gliene sarebbe fregato niente a nessuno. La celebrità culturale era solo un mediocre surrogato della gloria vera, la gloria mediatica; e questa, legata all'industria del divertimento, drenava più masse di denaro di qualunque altra attività umana. Cos'era un banchiere, un ministro, un imprenditore, rispetto a un attore del cinema o a una rock star? Ormai ìe strategie di distinzione tanto argutamente descritte da Proust non avevano più alcun senso. Considerando l'uomo come animale gerarchico, come animale edificatore di gerarchie, tra società contemporanea e XVIII secolo c'era lo stesso rapporto che tra torre GAN e Petit Trianon. Proust era rimasto radicalmente europeo, uno degli ultimi europei insieme a Thomas Mann; i suoi scritti non avevano più alcun rapporto con la realtà, qualunque essa fosse.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 209

"In quel periodo, David aveva poco a poco rinunciato a diventare una rock star, anche se continuava a sentire un'atroce fitta al cuore ogni volta che vedeva Mick Jagger a MTV. Il progetto 'Tributo a Charles Manson' si era democraticamente arenato, e David, anche se dichiarava di avere ventott'anni pur avendone cinque di più, si sentiva comunque troppo vecchio. Nelle sue fantasie di dominazione e di onnipotenza era arrivato a identificarsi con Napoleone. Ammirava l'uomo che ha messo a ferro e fuoco l'Europa portando alla morte centinaia di migliaia di esseri umani senza nemmeno la scusa di un'ideologia, di una fede, di una qualsiasi convinzione. Contrariamente a Hitler, contrariamente a Stalin, Napoleone ha creduto soltanto in se stesso, ha stabilito una separazione radicale tra la propria persosia e il resto del mondo, considerando gli altri come meri strumenti al servizio della sua volontà di predominio. Ripensando alle proprie lontane origini genovesi, David si immaginava un legame di parentela con quel dittatore che, passeggiando all'alba sul campo di battaglia, e contemplando le migliaia di corpi mutilati e sventrati, osservava con noncuranza: "Be'... una notte di Parigi ripopolerà questo sfacelo."

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 213

16
PER UNA ESTETICA DELLA BUONA VOLONTA


"Appena giunge l'aurora, le ragazze vanno a cogliere rose. Una corrente di intelligenza percorre allora le vallate e le capitali, soccorre l'intelligenza dei più entusiasti tra i poeti, cosparge di futuro le culle, di allori la gioventù, di fede nell'immortalità gli anziani."
Lautréamont, Poésies II

In genere gli individui che Bruno aveva avuto occasione di frequentare nel corso della sua vita erano sospinti dalla ricerca del piacere - beninteso purché nella nozione di piacere si includessero le gratificazioni di ordine narcisistico, tanto legate all'altrui stima e ammirazione. Così si mettevano in atto diverse strategie, spacciate per vite umane.

A tale consuetudine faceva però eccezione il fratellastro, data la difficoltà dell'associarlo anche al semplice termine di piacere; ma era forse più facile dirlo spinto da un altro qualsivoglia agente? Un moto rettilineo unifonne persiste all'infinito in assenza di attrito o di applicazione di forza esterna. Organizzata, razionale, sociologicamente situata nella media delle categorie superiori, la vita del fratellastro di Bruno sembrava sin lì svolgersi in assenza di attrito. Quantunque, infatti, nella ristretta cerchia dei ricercatori in biofisica molecolare fosse sicuramente possibile il verificarsi di oscuri e terribili contrasti d'influenza, Bruno non lo riteneva probabile nel caso di Michel.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 221

"Qui non si tratta in alcun modo di dipingere il complesso naturista di Cap d'Agde sotto l'aspetto idilliaco di chissà quale falansterio alla Fourier. Al Cap d'Agde come altrove, le donne dal corpo giovane e armonioso, e altrettanto gli uomini seducenti e virili, vengono fatti oggetto di proposte lusinghiere. Al Cap d'Agde come altrove, gli individui obesi, avanti con gli anni o fisicamente sgradevoli, saranno condannati alla masturbazione - che, va comunque detto, laddove solitamente proscritta dai luoghi pubblici, qui sarà considerata con una cordiale benevolenza. Ciò che sorprende malgrado tutto è il fatto che attività sessuali così diversificate, assai più eccitanti di ciò che viene rappresentato in qualunque film porno, possano svolgersi senza provocare non solo la minima violenza ma anche la più lieve mancanza di cortesia. Riprendendo il concetto di 'sessualità social-democratica', per parte mia tenderei a vedervi una inconsueta applicazione di quelle stesse qualità, di disciplina e di rispetto dovuto a ogni rapporto che hanno permesso ai tedeschi di affrontare con una generazione di intervallo due guerre mondiali orribilmente criminali riuscendo tuttavia a ricostruire, in un paese in rovina, un'economia forte e ancor più rafforzata dalle esportazioni nei paesi già nemici. A questo riguardo sarebbe interessante sperimentare su cittadini di quei paesi dove tali valori culturali vengono tradizionalmente considerati patrimonio ideale della nazione (Giappone, Corea) le istanze sociologiche messe in atto al Cap d'Agde. Tale atteggiamento rispettoso e legalistico, che assicura a ciascuno, purché onori i termini del contratto, molteplici momenti di piacere, sembra in ogni caso disporre di un notevole potere di persuasione, giacché riesce a contagiare senza difficoltà, e a prescindere da qualsiasi codice esplicito, gli elementi minoritari presenti nel complesso (bestie frontiste della Languedoc, delinquenti arabi, italiani di Rimini)."

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 224

17


La lettera raggiunse un Michel in piena crisi di scoraggiamento teorico. Secondo l'ipotesi di Margenau, la coscienza individuale è assimilabile a un campo di probabilità in uno spazio di Fock, definito come somma diretta di spazi di Hilbert. In linea di principio, tale spazio può essere costruito sulla base di eventi elettronici elementari prodottisi a livello di micrositi sinaptici. Il comportamento normale è quindi assimilabile a una deformazione elastica del campo, l'atto libero a una lacerazione: ma in quale topologia? Non vi era evidenza che la topologia naturale degli spazi hilbertiani consentisse di render conto dell'apparizione dell'atto libero; non era certo neppure che al momento si potesse porre il problema, se non in termini estremamente metaforici. Tuttavia, Michel ne era convinto, era indispensabile un nuovo quadro. Ogni sera, prima di spegnere il computer, prenotava via Internet l'accesso ai risultati sperimentali pubblicati nel corso della giornata. L'indomani mattina li esaminava, constatando come, ovunque nel mondo, i centri di ricerca sembrassero sempre più avanzare alla cieca, in un empirismo privo di ogni senso. Non vi era alcun risultato che permettesse di avvicinarsi né a una minina conclusione né a una minima ipotesi teorica. La coscienza individuale appare bruscamente, senza motivo apparente, in mezzo alle specie animali, sicuramente precedendo di gran lunga il linguaggio. Con il loro finalismo incosciente, i darwiniani, come al solito, si appigliavano a ipotetici vantaggi selettivi legati alla sua apparizione, e come al solito ciò non spiegava nulla: era soltanto una suggestiva ricostruzione mitica; tuttavia neanche il principio antropico riusciva più convincente. Il mondo si è dato un occhio capace di contemplarlo, un cervello capace di comprenderlo; giá, e con cio? Non agevolava in nulla la comprensione del fenomeno. Una coscienza di sé, assente nei nematodi, può essere messa in evidenza tra le lucertole poco specializzate, tipo Lacerta agilis; il che implica molto verosimilmente la presenza di un sistema nervoso centrale, e qualcosa in più. Quel qualcosa rimaneva assolutamente misterioso; l'apparizione della coscienza non sembrava poter essere collegata ad alcun dato anatomico, biochimico o cellulare; era scoraggiante.

Che avrebbe fatto Heisenberg? Che avrebbe fatto Niels Bohr? Prender tempo, riflettere; farsi una passeggiata in campagna, ascoltare un po' di musica. Il nuovo non si produce mai per semplice interpolazione del vecchio; le informazioni si aggiungono alle informazioni come manciate di sabbia, predefinite nella loro natura dal quadro concettuale che delimita il campo delle esperienze; oggi più che mai necessitavano una nuova angolazione.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 226

Tornato in cucina pensò come l'idea - fondamento naturale della democrazia - di una determinazione libera e ragionata delle azioni umane, e in particolare di una determinazione libera e ragionata delle scelte politiche individuali, fosse probabilmente il risultato di una confusione tra libertà e imprevedibilità. Le turbolenze di un flusso liquido in prossimità di un pilone di ponte sono strutturalmente imprevedibili, ma non per questo qualcuno si sognerebbe di definirle libere. Si servì un bicchiere di vino bianco, tirò le tende e si sdraiò a riflettere. Le equazioni della teoria del caos non fanno alcun riferimento all'ambiente fisico nel quale avvengono le loro manifestazioni; questa ubiquità consente loro di trovare applicazioni tanto in idrodinamica quanto in genetica dei popoli, tanto in meteorologia quanto in sociologia dei gruppi. Il loro potere di modellizzazione morfologica è valido, ma le loro capacità predittive sono quasi nulle. Al contrario, le equazioni della meccanica quantistica consentono di prevedere il comportatnento dei sistemi microfisici con una precisione eccellente, che diventa precisione totale qualora si rinunci a qualsiasi speranza di ritorno a una ontologia materiale. Era quantomeno prematuro, e forse impossibile, stabilire un nesso matematico tra le due teorie. Tuttavia, Michel ne era convinto, la chiave per spiegare le opinioni e le azioni umane stava nella costituzione di attrattori attraverso il reticolo evolutivo dei neuroni e delle sinapsi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 234

Una volta aperto, il divano-letto occupava quasi tutto lo spazio disponibile. "È la prima volta che lo uso," disse lei. Si sdraiarono uno accanto all'altra, si abbracciarono.

"È da molto che non prendo la pillola, in casa non ho preservativi. Tu ne hai?"

"No..." L'idea lo fece sorridere.

"Vuoi che te lo prenda in bocca?"

Lui rifletté per qualche secondo, poi rispose. "Si." Era gradevole, ma il piacere non era molto intenso (in fondo non lo era mai stato; il piacere sessuale, così intenso per certuni, per altri non va oltre il modesto, ovvero insignificante; sarà questione di educazione, di connessioni neuronali, di chissà cosa). Quella fellatio era soprattutto toccante: era il simbolo del loro ritrovamento, e del loro destino interrotto. Mentre invece, dopo, fu meraviglioso abbracciare Annabelle quando si voltò per addormentarsi. Il suo corpo era morbido e dolce, tiepido e infinitamente liscio; aveva la vita esilissima, il bacino largo, il seno piccolo e sodo. Infilò una gamba tra quelle di lei, le posò i palmi sul ventre e sul seno; in quella dolcezza, in quel calore, era all'inizio del mondo. Si addormentò quasi subito.

Dapprima vide un uomo, una porzione di spazio vestita; solo il volto era scoperto. Al centro del volto brillavano gli occhi; la loro espressione era indecifrabile. Di fronte a lui c'era uno specchio. Al primo sguardo nello specchio, l'uomo aveva provato la sensazione di precipitare nel vuoto. Ma si era ripreso, si era seduto; aveva considerato la propria immagine in se stessa, come forma mentale indipendente da lui, comunicabile agli altri; nel giro di un minuto si stabilì una relativa indifferenza. Ma bastò che egli voltasse il capo per qualche secondo, ed ecco che doveva ricominciare; gli toccava daccapo, faticosamente, come quando si effettua l'accomodamento su un oggetto vicino, distruggere quel sentimento di identificazione con la sua stessa immagine. L'io è una nevrosi intermittente, e l'uomo è ancora lontano dall'essere guarito.

Poi, vide un muro bianco sul quale andavano formandosi dei caratteri. Pian piano i caratteri acquisirono spessore, componendo sul muro un bassorilievo mobile, animato da una pulsazione ipnotica. Dapprima si formava la parola "PACE", poi la parola "GUERRA"; poi daccapo la parola "PACE". Poi il fenomeno cessò di colpo; la superficie del muro tornò liscia. L'atmosfera si squagliò, attraversata da un'onda; il sole era enorme e liscio. L'uomo vide il luogo dove si formava la radice del tempo. La radice spingeva le sue terminazioni attraverso l'universo, viticci nodosi al centro e viscosi alle estremità. I viticci serravano, avvincevano e agglutinavano le porzioni dello spazio.

Vide il cervello dell'uomo morto, porzione di spazio, contenente spazio.

In ultimo luogo vide l'aggregato mentale dello spazio, e il suo contrario. Vide il conflitto mentale che strutturava lo spazio, e la sua scomparsa. Vide lo spazio come una linea finissima tra due sfere. Nella prima sfera c'era l'essere, e la separazione; nella seconda sfera c'era il non-essere, e la comparsa individuale. Con calma, senza esitare, si voltò e di diresse verso la seconda sfera.

Si riprese, si alzò a sedere nel letto. Accanto a lui, Annabelle respirava regolarmente. La sua sveglia Sony, a forma di cubo, segnava 03.37. Poteva riaddormentarsi? Doveva riaddormentarsi. Aveva con sé un paio di Xanax.

L'indomani mattina Annabelle gli preparò un caffè; per sé preparò del tè e del pane tostato. La giornata era bella, ma un po' fredda. Annabelle guardò il suo corpo nudo, stranamente adolescenziale in quella tenace magrezza. Avevano quarant'anni, ed era difficile crederlo. Eppure lei non avrebbe potuto più avere figli senza correre gravi rischi di malformazioni genetiche; in lui, la potenza virile era già alquanto attenuata. Sul piano degli interessi della specie, erano due individui in avanzata fase di invecchiamento, con valore genetico mediocre. Lei aveva vissuto; aveva tirato coca, partecipato ad ammucchiate, dormito in alberghi di lusso. Situata, grazie alla sua bellezza, all'epicentro di quel movimento di liberazione dei costumi che ne aveva caratterizzato la gioventù, ne aveva sofferto in maniera particolarmente intensa - una sofferenza che, in pratica, avrebbe finito per costarle la vita. Situato, grazie alla sua indifferenza, ai margini di tale movimento, lui ne era stato colpito solo superficialmente; si era limitato a essere un fedele cliente del Monoprix del quartiere e a coordinare ricerche in biologia molecolare. Quelle esistenze così distinte avevano lasciato poche tracce visibili nei loro corpi separati; ma la vita in sé vi aveva operato il suo lavoro di distruzione, aveva lentamente oberato le capacità di replicazione delle loro cellule e dei loro organuli. Mammiferi intelligenti, con facoltà di amarsi, essi si contemplavano nella grande luminosità di quel mattino d'autunno. "Lo so, è molto tardi," disse lei. "Ma avrei comunque voglia di provarci. Ho ancora la tessera dell'abbonamento ferroviario per l'anno scolastico '74-75, l'ultimo anno di liceo che abbiamo fatto insieme. Ogni volta che la guardo mi viene da piangere. Non riesco a capire come abbiano fatto le cose a rovinarsi fino a questo punto. Non riesco ad accettarlo."

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 296

Tra il 1905 e il 1915, lavorando praticamente da solo e con conoscenze matematiche limitate, Albert Einstein riuscì, a partire dalla pritna intuizione che costituiva il principio di relatività ristretta, a elaborare una teoria generale della gravitazione, dello spazio e del tempo, destinata a esercitare un'influenza decisiva sulla successiva evoluzione dell'astrofisica. Questo sforzo avventuroso e solitario, compiuto, secondo Hilbert, "per l'onore dello spirito umano", in campi privi di utilità apparente e a quei tempi inaccessibili alla comunità dei ricercatori, possiamo paragonarlo ai lavori di Cantor per stabilire una tipologia dell'infinito in atto, o agli sforzi di Gottlob Frege per ridefinire i fondamenti della logica. Lo si può paragonare altresì, come sottolinea Hubczejak nella sua introduzione alle Clifden Notes, all'attività intellettuale solitaria di Djerzinski a Clifden tra il 2000 e il 2009 - tanto più che, come Einstein ai suoi tempi, Djerzinski non disponeva di una tecnicità matematica sufficiente per sviluppare le sue intuizioni su una base realmente rigorosa.

Tipologia della meiosi, la sua prima pubblicazione, edita nel 2002, ebbe tuttavia una notevole risonanza. Vi si stabiliva, per la prima volta sulla base di argomenti termodinamici irrefutabili, come la separazione cromosomica operante al momento della meiosi per dar vita a dei gameti aploidi sia di per sé una fonte di instabilità strutturale; in altri termini, come ogni specie sessuata sia necessariamente mortale.

Tre congetture di topologia negli spazi di Hilbert, pubblicato nel 2004, fece molto scalpore. Lo si considerò come una reazione contro la dinamica del continuo, come un tentativo - dagli echi stranamente platonici - di ridefinizione di un'algebra delle forme. Pur riconoscendo l'interesse delle congetture proposte, i matematici professionisti ebbero buon gioco nel sottolineare l'assenza di rigore delle tesi, nonché il carattere un po' anacronistico dell'approccio. In effetti, e Hubczejak ne conviene, in quel periodo Djerzinski non aveva accesso alle più recenti pubbicazioni matematiche, che, peraltro, si ha l'impressione non lo interessassero granché. In realtà disponiamo di ben poche testimonianze circa la sua attività negli anni dal 2004 al 2007. Si recava regolarmente al centro di Galway, ma i suoi rapporti con gli sperimentatori restavano puramente tecnici, funzionali. Aveva acquisito qualche rudimento nella programmazione del Cray, il che gli evitava nella maggior parte dei casi il ricorso ai programmatori. Sembra che soltanto Walcott avesse mantenuto con lui dei rapporti un po' più personali. Anch'egli domiciliato nei pressi di Clifden, nel pomeriggio si recava spesso a fargli visita. Secondo la sua testimonianza, Djerzinski citava spesso Auguste Comte, in particolare le lettere a Clotilde de Vaux e la Synthèse subjective, l'ultima opera, incompiuta, del filosofo. Comte poteva essere considerato, anche dal punto di vista del metodo scientifico, come il vero fondatore del positivismo. Non si era trovato d'accordo con nessuna delle metafisiche e delle ontologie concepibili ai suoi tempi. Era inoltre verosimile, sottolineava Djerzinski, che Comte, qualora posto nella situazione intelettuale di Niels Bohr tra il 1924 e il 1927, avrebbe mantenuto il suo atteggiamento di positivismo intransigente e avrebbe aderito all'interpretazione di Copenaghen. Tuttavia, in special modo l'insistenza del filosofo francese sulla realtà degli stati sociali rispetto alla finzione delle esistenze individuali, il suo costantemente rinnovato interesse per i processi storici e le correnti di coscienza, il suo sentimentalismo esacerbato, facevano pensare che forse non sarebbe stato ostile al più recente progetto di riordinamento ontologico che aveva preso consistenza dopo i lavori di Zurek, di Zeh e di Hardcastle, ossia la sostituzione dell'ontologia di oggetti con una ontologia di stati. Solo un'ontologia di stati, infatti, sarebbe in grado di restaurare la possibilità pratica dei rapporti umani. In un'ontologia di stati, le particelle sono indiscernibili, e ci si deve limitare a qualificarle tramite un osservabile numero. In tale ontologia le uniche entità suscettibili di essere reidentificate e nominate sono le funzioni di onda, e, per loro tramite, i vettori di stato - da cui, per analogia, la possibilità di ridare un senso alla fraternità, alla simpatia e all'amore.

Camminavano lungo la strada di Ballyconneely; l'oceano scintillava ai loro piedi. Lontano, all'orizzonte, il sole tramontava nell'Atlantico. Walcott aveva sempre più spesso l'impressione che il pensiero di Djerzinski si smarrisse lungo tragitti vaghi, forse addirittura mistici. Dal canto suo, Walcott restava fautore di uno strumentalismo radicale; allievo di una tradizione pragmatica anglosassone, suggestionato dai lavori del Circolo di Vienna, egli guardava con sospetto all'opera di Comte, ancora troppo romantico per i suoi gusti. Walcott sosteneva che, contrariamente al materialismo di cui aveva preso il posto, il positivismo potesse costituire la base fondatrice di un nuovo umanesimo, e farlo in realtà per la prima volta (giacché in fondo il materialismo era incompatibile con l'umanesimo, e aveva finito per distruggerlo). Ciò non toglie che il materialismo avesse la sua importanza storica: era servito a superare un primo ostacolo, ossia Dio; c'erano stati uomini che lo avevano superato, e si erano ritrovati sprofondati nello sgomento e nel dubbio. Ma oggi un secondo ostacolo era stato superato; e questo era successo a Copenaghen. Non c'era più bisogno di Dio, né dell'idea di una realtà latente. "Vi sono," diceva Walcott, "percezioni umane, testimonianze umane, esperienze umane; c'è la ragione che collega tali percezioni, e l'emozione che le fa vivere. Tutto ciò si sviluppa in assenza di qualsivoglia metafisica, o di qualsivoglia ontologia. Noi non abbiamo più bisogno di idee di Dio, di natura o di realtà. In base al risultato delle esperienze, e tramite un'intersoggettività ragionevole, nella comunità degli osservatori è possibile stabilire un accordo; le esperienze vengono collegate tramite teorie, che devono quanto più possibile soddisfare il principio di economia, e che devono necessariamente essere confutabili. Vi è un mondo percepito, un mondo sentito, un mondo umano."

La sua posizione era inattaccabile, Djerzinski ne era consapevole: che il bisogno di ontologia fosse una malattia infantile dello spirito umano? Verso la fine del 2005, durante un viaggio a Dublino, Djerzinski scoprì il Book of Kells. Hubczejak afferma con grande sicurezza come l'incontro con questo manoscritto illuminato, di inaudita complessità formale, probabilmente opera di monaci irlandesi del VII secolo della nostra era, abbia costituito un momento decisivo nell'evoluzione del pensiero di Djerzinski, e come probabilmente sia stata la prolungata frequentazione di tale opera a consentirgli, tramite una serie di intuizioni che retrospettivamente ci sembrano miracolose, di superare la complessità dei calcoli di stabilità energetica in seno alle macromolecole incontrati in biologia. Senza necessariamente sottoscrivere le affermazioni di Hubczejak, dobbiamo peraltro riconoscere come il Book of Kells abbia sempre, nel corso dei secoli, suscitato nei suoi commentatori manifestazioni di ammirazione quasi estatiche.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 305

Epilogo


Sulla vita, l'aspetto fisico, il carattere dei personaggi che hanno attraversato questo racconto, sappiamo molti particolari; tuttavia questo libro andrà considerato più come una fiction, ovvero come una ricostruzione credibile basata su ricordi parziali, che come il riflesso di una verità univoca e inconfutabile. Quantunque la pubblicazione delle Clifden Notes, complessa mescolanza di ricordi, impressioni personali e riflessioni teoriche messe su pagina da Djerzinski tra il 2000 e il 2009, ossia nello stesso periodo in cui lavorava alla sua grande teoria, ci abbia molto insegnato circa gli avvenimenti della sua vita e le deviazioni, le crisi e i drammi che condizionarono la sua visione particolare dell'esistenza, nella sua biografia così come nella sua personalità rimangono molte zone d'ombra. Ciò che segue, invece, appartiene alla Storia; gli eventi successivi alla pubblicazione dei lavori di Djerzinski sono stati ripercorsi, commentati e analizzati tante di quelle volte da consentirci di limitarci a fame un breve riassunto.

La pubblicazione, nel giugno del 2009, in un supplemento apposito della rivista 'Nature', sotto il titolo Prolegomeni alla replicazione perfetta, di ottanta pagine che sintetizzavano gli ultimi lavori di Djerzinski, era destinata a provocare nella comunità scientifica un'istantanea e immane onda d'urto. Dovunque nel mondo decine di ricercatori in biologia molecolare si precipitarono a ritentare gli esperimenti proposti da Dierzinski, a verificarne il dettaglio dei calcoli. Nel giro di pochi mesi cominciarono ad affluire i primi risultati, che poi continuarono ad accumularsi settimana dopo settimana, tutti e ciascuno a conferma della validità delle ipotesi di partenza. Alla fine del 2009 non poteva più sussistere alcun dubbio: i risultati di Djerzinski erano validi, si potevano considerare scientificamente dimostrati. Le conseguenze pratiche, evidentemente, erano vertiginose: qualsiasi codice genetico, di qualsivoglia complessità, poteva essere riscritto sotto una forma standard, strutturalmente stabile, inaccessibile alle perturbazioni e alle mutazioni. Ogni cellula poteva dunque essere dotata di una capacità infinita di replicazioni successive. Ogni specie animale, per quanto evoluta fosse, poteva venir trasformata in una specie affine, riproducibile per clonazione, e immortale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 314

I primi stanziamenti vennero votati dall'Unesco nel 2021; una équipe di ricercatori si mise immediatamente all'opera sotto la direzione di Hubczejak. A dire il vero, egli non dirigeva granché sul piano scientifico; piuttosto si sarebbe dimostrato di una folgorante efficaia in un ruolo che potremmo qualificare di "relazioni pubbliche". La straordinaria rapidità con cui si produssero i primi risultati lasciò tutti di stucco; in effetti qualche anno dopo si apprese che in realtà numerosi ricercatori, aderenti o simpatizzanti del "Movimento del Potenziale Umano", si erano messi all'opera già da un pezzo senza aspettare il semaforo verde dell'Unesco, nei loro laboratori in Australia, in Brasile, in Canada o in Giappone.

La creazione del primo essere, primo rappresentante di una nuova specie intelligente creata dall'uomo "a sua immagine e somiglianza", avvenne il 27 marzo 2029, vent'anni - giorno più giorno meno - dopo la scomparsa di Michel Djerzinski. Sempre in omaggio a Djerzinski, e benché nell'équipe non vi fosse alcun francese, la sintesi ebbe luogo nel laboratorio dell'Institut de Biologie Moléculaire di Palaiseau. La trasmissione televisiva dell'avvenimento ebbe ovviamente un impatto enonne - un impatto che superava di molto quello avuto, una notte del luglio 1969, quasi sessant'anni prima, dalla trasmissione in diretta dei primi passi dell'uomo sulla Luna. In apertura di collegamento, Hubczejak pronunciò un discorso molto breve in cui, con la franchezza brutale che gli era solita, affermava come l'umanità dovesse sentirsi onorata "di essere la prima specie animale dell'universo conosciuto a organizzare essa stessa le condizioni della propria sostituzione".

Oggi, quasi cinquant'anni dopo, la realtà ha abbondantemente confermato il tenore profetico delle tesi di Hubczejak - sino a un livello che, probabilmente, egli non avrebbe neppure sospettato. Rimangono ancora alcuni esemplari dell'antica razza, specialmente nelle aree più lungamente esposte all'influenza delle dottrine religiose tradizionali. Il loro tasso di riproduzione, tuttavia, diminuisce di anno in anno, e attualmente la loro estinzione sembra ineluttabile. Contrariamente a tutte le previsioni pessimistiche, tale estinzione avviene con serenità, a parte isolati atti di violenza, il cui numero complessivo va peraltro diminuendo. Addirittura si resta sorpresi nel vedere con quale dolcezza, quale rassegnazione, e forse quale segreto sollievo, gli umani abbiano accettato la propria scomparsa.

Avendo rotto il legame filiale che ci avvinceva all'umanità, noi viviamo. Secondo il metro degli uomini, noi viviamo felici; vero è che abbiamo saputo sconfiggere il per loro insormontabile potere dell'egoismo, della crudeltà e della collera; comunque sia viviamo una vita differente. La scienza e l'arte esistono ancora nella nostra società; ma la ricerca del Vero e del Bello, meno stimolata dallo sprone della vanità individuale, ha nei fatti acquisito un carattere meno assillante. Agli umani dell'antica razza, il nostro mondo fa l'effetto di un paradiso. Talvolta ci capita di qualificarci noi stessi - con un tono, a dire il vero, leggermente ironico - con quel nome di "dèi" che tanto li aveva fatti sognare.

La storia esiste; essa si impone, essa domina, il suo imperio è inesorabile. Ma al di là del mero piano storico, l'ambizione ultima di quest'opera sta nel rendere omaggio a questa specie sventurata e coraggiosa che ci ha creati. Questa specie dolorosa e vile, di poco diversa dalla scimmia, e che pure recava in sé aspirazioni assai nobili. Questa specie tormentata, contraddittoria, individualista e rissosa, di un egoismo sconfinato, talvolta capace di inaudite esplosioni di violenza, ma che tuttavia non cessò mai di credere nella bontà e nell'amore. Questa specie che altresì, per la prima volta nella storia del mondo, seppe considerare la possibilità del proprio superamento; e che, qualche anno dopo, seppe mettere in pratica tale superamento. Nel momento in cui i suoi ultimi rappresentanti sono sul punto di estinguersi, riteniamo dunque legittimo rendere all'umanità quest'ultimo omaggio; omaggio che, anch'esso, finirà cancellato e perso nelle sabbie del tempo; è tuttavia necessario che tale omaggio, una volta almeno, venga reso. Questo libro è dedicato all'uomo.

| << |  <  |