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| << | < | > | >> |Pagina 9Per tutti gli anni della mia triste giovinezza, Huysmans è stato per me un compagno, un amico fedele; non ho mai dubitato di lui, non sono mai stato tentato di abbandonarlo o di orientarmi verso un altro soggetto; poi, in un pomeriggio di giugno del 2007, dopo aver aspettato molto, dopo aver tergiversato a lungo, anche un po' più di quanto fosse accettabile, discussi davanti alla commissione dell'università Parigi IV-Sorbona la mia tesi di dottorato: Joris-Karl Huysmans, o l'uscita dal tunnel. Già l'indomani mattina (o forse la sera stessa, non saprei, la sera della mia tesi fu solitaria, e molto etilica), capii che una parte della mia vita si era appena conclusa, e che probabilmente era quella migliore.È sempre così, nelle nostre società ancora occidentali e socialdemocratiche, per tutti coloro che completano i loro studi, ma i più non se ne rendono conto, o non lo fanno immediatamente, ipnotizzati come sono dal desiderio di denaro – o forse di consumismo, nel caso dei più primitivi, quelli che hanno sviluppato una più violenta dipendenza da certi prodotti (sono una minoranza, mentre la maggioranza, più riflessiva e più posata, matura una fascinazione semplice per il denaro, questo "Proteo instancabile") –, ipnotizzati ancor di più dal desiderio di mettersi alla prova, di ritagliarsi una posizione sociale invidiabile in un mondo che immaginano e si augurano competitivo, galvanizzati come sono dall'adorazione di icone mutevoli: sportivi, creatori di moda o di portali Internet, attori, modelle. Per varie ragioni psicologiche che non ho la competenza né il desiderio di analizzare, io mi discostavo sensibilmente da questo schema. Il 1° aprile 1866, all'epoca diciottenne, Joris-Karl Huysmans iniziò la sua carriera come impiegato di sesto livello al ministero dell'interno e dei culti, Nel 1874 pubblicò a proprie spese Le drageoir à épices, che fu oggetto di poche recensioni a parte un articolo, estremamente benevolo, di Théodore de Banville. Come si può vedere, il suo esordio nell'esistenza non ebbe nulla di clamoroso. La sua vita amministrativa fece il proprio corso, così come la sua vita in generale. Il 3 settembre 1893, gli fu assegnata la Legion d'onore per meriti conseguiti nell'ambito della funzione pubblica. Nel 1898 andò in pensione, avendo maturato – al netto dei periodi di congedo per motivi personali – i previsti trent'anni di servizio. Nel frattempo era riuscito a scrivere vari libri che, a più di un secolo di distanza, me lo avevano fatto considerare come un amico. Molte cose, forse troppe, sono state scritte sulla letteratura (e, in quanto universitario specializzato in questo campo, mi sento più di altri autorizzato a parlarne). Eppure la specificità della letteratura, arte maggiore di un Occidente che si va consumando sotto i nostri occhi, non è molto difficile da definire. Al pari della letteratura, la musica può determinare uno sconvolgimento, un ribaltamento emotivo, una tristezza o un'estasi assolute; al pari della letteratura, la pittura può generare uno stupore, uno sguardo nuovo posato sul mondo. Ma solo la letteratura può dare la sensazione di contatto con un'altra mente umana, con l'integralità di tale mente, le sue debolezze e le sue grandezze, i suoi limiti, le sue meschinità, le sue idee fisse, le sue convinzioni; con tutto ciò che la turba, la interessa, la eccita o le ripugna. Solo la letteratura può permettere di entrare in contatto con la mente di un morto, in modo più diretto, più completo e più profondo di quanto potrebbe fare persino la conversazione con un amico; per quanto profonda e solida possa essere un'amicizia, in una conversazione non ci si abbandona mai così completamente come davanti a una pagina bianca, rivolgendosi a un destinatario sconosciuto. Certo, è ovvio che quando si tratta di letteratura la bellezza dello stile e la musicalità delle frasi hanno la loro importanza; la profondità di riflessione dell'autore e l'originalità dei suoi pensieri non sono da disprezzare; ma un autore è innanzitutto un essere umano, presente nei suoi libri, e in definitiva il fatto che scriva molto bene o molto male conta poco, l'essenziale è che scriva e che sia, effettivamente, presente nei suoi libri. (È strano che una condizione così semplice, all'apparenza così poco discriminante, in realtà lo sia così tanto, e che questo fatto evidente e facilmente riscontrabile sia stato così poco approfondito dai filosofi di diversi orientamenti; posto che in sostanza gli esseri umani possiedono, indipendentemente dalla qualità, un'identica quantità di essere, essi sono tutti, in sostanza, presenti in maniera pressoché equivalente; eppure non è questa l'impressione che danno a qualche secolo di distanza, e troppo spesso vediamo affiorare, da pagine che sentiamo dettate più dallo spirito del tempo che da un'individualità propria, un essere incerto, sempre più fantomatico e anonimo.) Pertanto, un libro che amiamo è soprattutto un libro di cui amiamo l'autore, che abbiamo voglia di ritrovare, con il quale abbiamo voglia di passare le nostre giornate. E durante quei sette anni che avevo dedicato alla redazione della mia tesi, avevo vissuto in compagnia di Huysmans, con la sua presenza quasi costante. Nato in Rue Suger, vissuto in Rue de Sèvres e in Rue Monsieur, Huysmans è morto in Rue Saint-Placide per poi essere sepolto nel cimitero di Montparnasse. La sua vita, insomma, si è svolta quasi interamente entro i confini del VI Arrondissement di Parigi – così come la sua vita professionale, per più di trent'anni, si è svolta negli uffici del ministero dell'interno e dei culti. Anch'io abitavo nel VI Arrondissement all'epoca dell'università, in una stanza umida, fredda e, soprattutto, molto buia – le finestre davano su un cortile minuscolo, quasi un pozzo, bisognava accendere le luci già la mattina. Ero povero, e se avessi dovuto rispondere a uno di quei sondaggi che periodicamente tentano di "sentire il polso dei giovani", avrei sicuramente definito le mie condizioni di vita come "piuttosto difficili". Tuttavia, il mattino dopo la discussione della tesi (o forse la sera stessa) il mio primo pensiero fu quello di aver perso qualcosa di inestimabile, qualcosa che non avrei più ritrovato: la mia libertà. Per diversi anni, gli ultimi resti di una socialdemocrazia agonizzante mi avevano permesso (tramite una borsa di studio, un sistema allargato di sconti e vantaggi sociali, pasti mediocri ma a buon mercato alla mensa universitaria) di dedicare per intero le mie giornate a un'attività che avevo scelto: la libera frequentazione intellettuale di un amico. Come nota giustamente André Breton, l'umorismo di Huysmans rappresenta un caso unico di umorismo generoso, che mette il lettore in posizione avvantaggiata, che invita il lettore a prendersi gioco sin dall'inízio dell'autore, dell'eccesso delle sue descrizioni lamentose, atroci o risibili. E io avevo approfittato abbondantemente di quella generosità ricevendo le mie porzioni di purè di merluzzo o di insalata di sedano negli scomparti di quel vassoio metallico da ospedale che la mensa universitaria Bullier serviva ai suoi sfortunati avventori (quelli che chiaramente non avevano dove andare, che senza dubbio erano stati respinti da tutte le mense universitarie accettabili, ma che nondimeno avevano la loro tessera universitaria e nessuno poteva togliergliela); quando pensavo agli epiteti di Huysmans, al formaggio desolante, alla sogliola temibile, quando immaginavo il ritratto che Huysmans, se li avesse conosciuti, avrebbe potuto fare di quegli scaffali metallici carcerari, mi sentivo un po' meno infelice e un po' meno solo alla mensa universitaria Bullier. Ma tutto questo era finito; più in generale, era finita la mia giovinezza. Presto (e, senza dubbio, molto in fretta), mi sarei dovuto impegnare in un processo d'inserimento professionale. Cosa che non mi consolava affatto. | << | < | > | >> |Pagina 45In attesa della morte, mi restava il "Journal des dix-neuvièmistes", la nuova riunione era tra meno di una settimana. C'era anche la campagna elettorale. Molti maschi s'interessano alla politica e alla guerra, ma io non apprezzavo granché quelle fonti di divertimento, mi sentivo politicizzato quanto un asciugamani, e questo era senz'altro un peccato. È vero che, durante la mia giovinezza, le elezioni erano la cosa meno interessante possibile; la mediocrità dell'"offerta politica" era addirittura sbalorditiva. Un candidato di centrosinistra veniva eletto per uno o due mandati a seconda del suo carisma individuale, oscuri motivi gli impedivano di concluderne un terzo; poi la popolazione si stufava di quel candidato e più in generale del centrosinistra, si assisteva a un fenomeno di alternanza democratica e gli elettori portavano al potere un candidato di centrodestra, anche lui per uno o due mandati, a seconda della natura specifica. Curiosamente, i paesi occidentali erano molto fieri di questo sistema elettorale, che tuttavia era poco più che una spartizione del potere tra due gang rivali, a volte arrivavano addirittura a scatenare guerre allo scopo di imporlo ai paesi che non condividevano il loro entusiasmo.Successivamente, l'avanzata dell'estrema destra aveva reso la cosa un po' più interessante facendo spirare sui dibattiti il brivido dimenticato del fascismo; ma era stato solo nel 2017 che le cose avevano cominciato a cambiare davvero, con il secondo turno delle presidenziali. La stampa internazionale, basita, aveva potuto assistere allo spettacolo vergognoso, ma aritmeticamente ineluttabile, della rielezione di un presidente di sinistra in un paese sempre più dichiaratamente a destra. Un'atmosfera strana, opprimente, si era diffusa nel paese nelle settimane successive allo scrutinio. Era una sorta di disperazione soffocante, radicale, ma attraversata qua e là da bagliori insurrezionali. In molti, a quel punto, avevano scelto l'esilio. Un mese dopo i risultati del secondo turno, Mohammed Ben Abbes annunciò la creazione della Fratellanza musulmana. Un primo tentativo di islam politico, il Partito dei musulmani di Francia, era fallito rapidamente a causa dell'antisemitismo imbarazzante del suo leader, che l'aveva addirittura indotto a stringere legami con l'estrema destra. Facendo tesoro di quella sconfitta, la Fratellanza musulmana si era preoccupata di esprimere una posizione moderata, sostenendo la causa palestinese solo con moderazione, e manteneva relazioni cordiali con le autorità religiose ebree. Sul modello dei partiti musulmani all'opera nei paesi arabi, modello che peraltro in Francia era già stato adottato a suo tempo dal Partito comunista, l'azione politica propriamente detta veniva sostituita da una fitta rete di movimenti giovanili e di associazioni culturali e umanitarie. In un paese in cui la povertà di massa continuava ineluttabilmente a estendersi anno dopo anno, quella politica reticolare aveva portato i suoi frutti, consentendo alla Fratellanza musulmana di allargare il proprio consenso ben al di là del quadro strettamente confessionale, il successo era stato addirittura folgorante: negli ultimi sondaggi, quel partito che esisteva da appena cinque anni raggiungeva il 21 per cento delle intenzioni di voto, tallonando così il partito socialista, al 23 per cento. Quanto alla destra tradizionale, sfiorava il 14 per cento, mentre il Fronte nazionale, con il 32 per cento, restava di gran lunga il primo partito francese. Da qualche anno, David Pujadas era diventato un'icona; oltre a essersi inserito nella "cerchia ristretta" di quei giornalisti politici (Cotta, Elkabbach, Duhamel e pochi altri) che nella storia dei media erano stati considerati di livello sufficiente per arbitrare un dibattito presidenziale tra due turni elettorali, aveva surclassato tutti i predecessori grazie alla sua garbata fermezza, alla sua calma, e soprattutto alla sua capacità di ignorare gli insulti, di stemperare i contrasti riportandoli al tema e ridando loro l'aspetto di un confronto degno e democratico. La candidata del Fronte nazionale e quello della Fratellanza musulmana accettarono che fosse Pujadas ad arbitrare il loro dibattito televisivo, sicuramente il più atteso tra quelli che precedevano il primo turno, poiché se il candidato della Fratellanza musulmana, in costante crescita nei sondaggi da quando era entrato in campagna elettorale, fosse riuscito a superare quello del Partito socialista, ci si sarebbe trovati di fronte a un secondo turno assolutamente inedito e dal risultato molto incerto. I simpatizzanti di sinistra, nonostante le ripetute sollecitazioni, in tono sempre più intimidatorio, dei loro quotidiani e settimanali di riferimento, restavano riluttanti a far confluire i propri voti su un candidato musulmano; i simpatizzanti di destra, sempre più numerosi, sembravano pronti, nonostante i risoluti proclami dei loro dirigenti, a saltare l'ostacolo e a votare nel secondo turno per la candidata "nazionale". Costei, dunque, giocava una partita importante – senza dubbio la più importante della sua vita. | << | < | > | >> |Pagina 72Abitavano in Square Vermenouze, a cinque minuti a piedi da Censier. Il marito non sembrava affatto un agente dei servizi segreti come lo immaginavo io (e io cosa immaginavo, in effetti? probabilmente una specie di còrso, un misto tra un delinquente e un rappresentante di aperitivi). Sorridente e lindo, con il cranio così liscio da sembrare lucidato, indossava una giacca da camera scozzese, ma immagino che negli orari di lavoro portasse il cravattino, e forse anche il panciotto, in lui tutto denotava un'eleganza antiquata. Mi diede subito un'impressione di agilità intellettuale quasi anormale; era probabilmente l'unico ex alunno di Rue d'Ulm ad aver superato, dopo la laurea, il concorso di accesso alla Scuola nazionale superiore di polizia. "Immediatamente dopo essere stato nominato commissario," disse servendomi un porto, "ho chiesto di essere assegnato alle Informazioni generali; era una specie di vocazione..." aggiunse con un sorrisetto, come se la sua inclinazione per i servizi segreti fosse solo un'innocente mania.Fece una lunga pausa, bevve un primo sorso di porto, poi un secondo, poi riprese: "Le trattative tra il Partito socialista e la Fratellanza musulmana sono molto più difficili del previsto. Tuttavia i musulmani sono disposti a dare più della metà dei ministeri alla sinistra – compresi ministeri-chiave come le finanze e l'interno. Non hanno nessuna divergenza sull'economia, né sulla politica fiscale; e nemmeno sulla sicurezza – tra l'altro, contrariamente ai loro interlocutori socialisti, hanno i mezzi per ripristinare l'ordine nelle città. C'è qualche disaccordo in materia di politica estera, vorrebbero dalla Francia una condanna un po' più netta d'Israele, ma questo la sinistra glielo concederà senza problemi. La vera difficoltà, lo scoglio delle trattative, è il ministero della pubblica istruzione. L'interesse per l'istruzione è una vecchia tradizione socialista, e la classe insegnante è l'unica che non abbia mai abbandonato il Partito socialista, continuando a sostenerlo fino all'orlo dell'abisso; solo che adesso si trovano di fronte un interlocutore perfino più motivato di loro, e che non è disposto a cedere per nessun motivo. Sa, la Fratellanza musulmana è un partito speciale: sono pressoché indifferenti a molte delle istanze politiche tipiche; e, soprattutto, non mettono al centro di tutto l'economia. Per loro l'essenziale è la demografia, e l'istruzione; il sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che riesce a trasmettere i propri valori, trionfa; per loro è tutto qua, l'economia e la stessa geopolitica non sono che fumo negli occhi: chi controlla i bambini controlla il futuro, stop. Perciò l'unico punto cruciale, l'unico punto sul quale vogliono assolutamente soddisfazione, è l'istruzione dei bambini." "E in pratica cosa vogliono?" "Dunque, secondo la Fratellanza musulmana ogni bambino francese deve avere la possibilità di beneficiare, dall'inizio alla fine dell'età scolare, di un insegnamento islamico. E l'insegnamento islamico è, da tutti i punti di vista, molto diverso dall'insegnamento laico. Per prima cosa, non può assolutamente essere misto; e solo alcuni indirizzi saranno aperti alle donne. In fondo, quello che vogliono è che le donne, dopo la scuola primaria, vengano in gran parte avviate verso scuole di educazione domestica, e che si sposino prima possibile – con una piccola minoranza cui consentire, prima di sposarsi, di seguire studi letterari e artistici; questo sarebbe il loro modello di società ideale. Tra l'altro, tutti i docenti, senza eccezione, dovranno essere musulmani. Le regole riguardanti il regime alimentare delle mense e il tempo dedicato alle cinque preghiere quotidiane dovranno essere rispettate; ma, soprattutto, il programma scolastico in sé dovrà essere adattato agli insegnamenti del Corano." "Pensa che le loro trattative andranno in porto?" "Non hanno scelta. Se non riescono a concludere un accordo, il Fronte nazionale vincerà certamente le elezioni. Cosa che d'altronde è molto probabile anche in caso contrario, come avrà notato dai sondaggi. Copé ha appena dichiarato che a titolo personale si asterrà, ma l'85 per cento degli elettori dell'UMP convergerà comunque sul Fronte nazionale. Sarà combattuta, molto combattuta, fifty-fifty, direi. No, l'unica soluzione che gli resta," continuò, "è quella di procedere a uno sdoppiamento sistematico degli insegnamenti scolastici. D'altra parte, per la poligamia sono già arrivati a un accordo che potrebbe fare da modello. Il matrimonio repubblicano resterà immutato, ossia un'unione tra due persone indipendentemente dal genere. Il matrimonio musulmano, eventualmente poligamico, non avrà alcuna conseguenza in termini di stato civile ma verrà ritenuto valido, e garantirà diritti nell'ambito della previdenza sociale e del trattamento fiscale." "È sicuro? Mi sembra pazzesco..." "Sicurissimo, è già previsto nelle trattative; d'altronde è perfettamente conforme alla teoria della 'sharia di minoranza', sostenuta da tempo dal movimento dei Fratelli musulmani. Per l'istruzione, quindi, potrebbe essere un po' la stessa cosa. La scuola repubblicana resterebbe così com'è, aperta a tutti – ma con molti soldi in meno, il bilancio del ministero della pubblica istruzione verrebbe quantomeno diviso per tre, e stavolta i docenti non potrebbero farci niente, nell'attuale contesto economico qualsiasi riduzione di bilancio è destinata a ottenere un vasto consenso. E poi, in parallelo, si costituirebbe un sistema di scuole musulmane private, che usufruirebbero della parificazione dei diplomi – e che, nel loro caso, potrebbero raccogliere sovvenzioni private. È chiaro che in questo modo la scuola pubblica diventerà in breve una scuola al ribasso, e qualsiasi genitore cui stia minimamente a cuore il futuro dei propri figli li iscriverà alle scuole musulmane." "E per l'università sarà la stessa cosa," intervenne la moglie. "La Sorbona, in particolare, è il loro sogno proibito – l'Arabia Saudita è disposta a offrire una dotazione quasi illimitata; stiamo per diventare una delle università più ricche del mondo." "E Rediger sarà nominato rettore?" domandai, ricordandomi della nostra precedente conversazione. "Sì, è senz'altro la figura più adatta, le sue posizioni filomusulmane sono costanti da almeno vent'anni." "Si è perfino convertito, se non ricordo male..." intervenne il marito. Svuotai il mio bicchiere in un sorso, lui mi versò dell'altro porto; in effetti le novità non mancavano. "Immagino che sia tutto estremamente segreto..." ripresi dopo qualche secondo di riflessione. "Non capisco cosa l'abbia spinta a parlarmene." "In una situazione normale, ovviamente non le avrei detto niente. Solo che a questo punto è già trapelato tutto – è proprio questo che ci preoccupa in questo momento. Tutte le cose che le ho appena detto, e non solo quelle, ho potuto leggerle parola per parola sui blog di alcuni militanti identitari – quelli che siamo riusciti a infiltrare." Scosse la testa con aria incredula. "Se avessero piazzato delle microspie nelle stanze più protette del ministero dell'interno non sarebbero riusciti a saperne neanche una parola di più. E la cosa peggiore è che non stanno facendo nessun uso di queste informazioni esplosive: nessun comunicato stampa, nessuna rivelazione destinata al grande pubblico; aspettano, nient'altro. È una situazione inedita – e molto angosciante." Cercai di spremergli qualcosa di più sul movimento identitario, ma su quell'argomento non si apriva. Gli confidai che in facoltà avevo un collega che era stato vicino al movimento ma poi aveva rotto i ponti. "Sì, dicono tutti così..." fece, sarcastico. Quando affrontai la questione delle armi che si diceva possedessero alcuni di quei gruppi, si limitò a sorseggiare il suo porto per poi borbottare: "Già, è girata voce di finanziamenti da parte di alcuni miliardari russi, ma non è stato accertato niente," prima di zittirsi definitivamente. Dopo un po' me ne andai. | << | < | > | >> |Pagina 94Domenica 22 maggioMi svegliai di nuovo verso le otto, misi la caffettiera sul fuoco, tornai a letto. Myriam dormiva, il suo respiro accompagnava con un ritmo più languido il gorgoglio discreto della percolazione. Nel cielo azzurro fluttuavano piccoli cumuli paffuti: per me erano da sempre le nuvole della felicità, quelle il cui bianco brillante aveva l'unico scopo di decorare il blu del cielo, quelle che i bambini raffigurano quando disegnano un casolare ideale, con il comignolo fumante, un prato e dei fiori. Non so bene per quale motivo accesi il televisore su iTélé, subito dopo essermi riempito una prima tazza di caffè. Il volume era troppo alto, ci misi un po' a trovare il telecomando e premere il pulsante mute. Troppo tardi, si era svegliata; ancora in T-shirt, venne a rannicchiarsi sul divano del soggiorno. Il nostro breve momento di pace era finito; alzai il volume. Le informazioni sulle trattative segrete tra il Partito socialista la Fratellanza musulmana erano state rovesciate su Internet durante la notte. Che fosse iTélé, BFM o LCI, non si parlava d'altro, era un'edizione speciale permanente. Per il momento non c'era nessuna reazione ufficiale da parte di Manuel Valls; ma Mohammed Ben Abbes avrebbe tenuto una conferenza stampa alle undici. Pienotto e vispo, spesso malizioso nelle risposte ai giornalisti, il candidato musulmano faceva dimenticare di essere stato uno dei più giovani diplomati di Francia prima di entrare all'ENA, nel corso di laurea di Nelson Mandela – lo stesso di Laurent Wauquiez. Ricordava piuttosto un simpatico droghiere tunisino di quartiere – quello che d'altronde era stato suo padre, anche se la sua drogheria era a Neuilly-sur-Seine e non nel XVIII Arrondissement, e tantomeno a Bezons o ad Argenteuil. Più di chiunque altro, rammentò, egli aveva beneficiato della meritocrazia repubblicana; meno di chiunque altro desiderava mettere a repentaglio un sistema al quale doveva tutto, fino all'onore supremo di potersi presentare al suffragio del popolo francese. Rievocò il piccolo appartamento sopra la drogheria, dove faceva i compiti; resuscitò fugacemente la figura del padre, con la giusta emozione e senza esagerare; lo trovavo assolutamente eccellente. Ma non si poteva negare, proseguì, che i tempi erano cambiati. Sempre più spesso, le famiglie – che fossero ebree, cristiane o musulmane – desideravano per i propri figli un'educazione che non si limitasse alla trasmissione delle conoscenze, e che piuttosto integrasse una formazione spirituale corrispondente alla loro tradizione. Questo ritorno della religione era una tendenza profonda, che attraversava le nostre società, e il ministero della pubblica istruzione non poteva non tenerne conto. Si trattava dunque di allargare il quadro della scuola repubblicana, di renderlo capace di coesistere armoniosamente con le grandi tradizioni spirituali – musulmane, cristiane o ebree – del nostro paese.
Soave e compiaciuto, il suo discorso proseguì per una decina
di minuti prima che si passasse alle domande della stampa.
Avevo notato da tempo che i giornalisti più tignosi e aggressivi
erano come ipnotizzati e rammolliti in presenza di Mohammed
Ben Abbes. Eppure mi sembrava che ci fossero alcune domande imbarazzanti che si
sarebbe potuto fargli: per esempio la
soppressione delle classi miste; o il fatto che gli insegnanti
dovessero abbracciare la fede musulmana. Ma, in fondo, non
era già così con i cattolici? Per insegnare in una scuola cristiana
bisognava essere battezzati? Riflettendoci, realizzavo che non
ne sapevo niente, e nel momento in cui terminava la conferenza
stampa mi resi conto che ero arrivato esattamente lì dove il
candidato musulmano voleva portarmi: a una specie di dubbio
generalizzato, alla sensazione che non ci fosse alcun motivo per
allarmarsi, e neanche nulla di veramente nuovo.
Marine Le Pen contrattaccò a mezzogiorno e mezzo. Esuberante e fresca di parrucchiere, ripresa leggermente dal basso davanti al municipio, era quasi bella – il che era in netto contrasto con le sue apparizioni precedenti: dopo la svolta del 2017, la candidata nazionale si era convinta che, per accedere alla carica suprema, una donna dovesse necessariamente assomigliare ad Angela Merkel, e si impegnava a emulare la rispettabilità arcigna della cancelliera tedesca arrivando perfino a copiare il taglio dei suoi tailleur. Ma in quel mattino di maggio sembrava aver ritrovato un piglio e uno slancio rivoluzionario che ricordavano le origini del movimento. Da qualche tempo correva voce che i suoi discorsi fossero scritti da Renaud Camus – sotto il controllo di Florian Philippot. Non so se la voce fosse fondata, ma in ogni caso la candidata del Fronte nazionale aveva fatto progressi notevoli. Fui subito colpito dal carattere repubblicano e perfino schiettamente anticlericale del suo intervento. Superando il riferimento banale a Jules Ferry, risaliva fino a Condorcet, di cui citava il memorabile discorso del 1792 davanti all'Assemblea legislativa, lì dove parlava di quegli egizi e quegli indiani "presso i quali il pensiero dell'uomo fece tanti progressi, e che ricaddero nell'abbrutimento della più vergognosa ignoranza non appena la religione si arrogò il diritto di istruire gli uomini". "Pensavo che fosse cattolica..." disse Myriam. "Lei non so, il suo elettorato no, il Fronte nazionale non è mai riuscito a sfondare con i cattolici, sono troppo solidali e terzomondisti. E quindi lei si adegua." Guardò l'orologio, fece un gesto di sconforto. "Devo andare via, François. Ho promesso ai miei genitori di pranzare con loro." "Sanno che sei qui?" "Sì sì, non si preoccuperanno; ma mi aspetteranno per mangiare." Ero andato una volta a casa dei suoi genitori, proprio all'inizio della nostra relazione. Abitavano in una villetta della Cité des Fleurs, dietro la stazione della metropolitana Brochant. C'erano un garage, un laboratorio, ci si sarebbe creduti in una piccola città di provincia, ovunque tranne che a Parigi. Ricordo che avevamo pranzato sul prato, era la stagione delle giunchiglie. Erano stati cortesi con me, accoglienti e calorosi – ma senza darmi eccessiva importanza, il che era ancora meglio. Mentre il padre stappava una bottiglia di Châteauneuf-du-Pape, mi ero reso conto all'improvviso che Myriam, a vent'anni passati, cenava ancora tutte le sere con i genitori; che aiutava il fratellino a fare i compiti, che andava a comprare vestiti con la sorellina. Era una tribù, una tribù familiare unita; rispetto a quello che avevo vissuto io, era una cosa talmente inaudita che avevo fatto molta fatica a non scoppiare a piangere. Azzerai il volume; i movimenti di Marine Le Pen si facevano sempre più bruschi, sferrava pugni nel vuoto davanti a sé, a un certo punto allargò violentemente le braccia. Chiaramente Myriam sarebbe andata con i genitori in Israele, non poteva fare altrimenti. "Sai, spero davvero di tornare presto..." disse, come se mi avesse letto nel pensiero. "Resterò lì solo qualche mese, il tempo che in Francia le cose si sistemino." Il suo ottimismo mi sembrava un po' esagerato, ma non dissi niente. Si infilò la gonna. "A questo punto, con tutto quello che sta succedendo, è chiaro che trionferanno. Ne sentirò parlare per tutto il pranzo: 'Te l'avevamo detto, figlia mia...' Certo, sono teneri, pensano che sia per il mio bene, lo so." "Sì, sono teneri. Sono proprio teneri." "E tu, cosa pensi di fare? Come andrà a finire con l'università?"
La accompagnai alla porta; in realtà, mi rendevo conto che
non ne avevo la minima idea; e mi rendevo altresì conto che non
me ne fregava niente. La baciai dolcemente sulle labbra prima
di rispondere: "Per me non c'è Israele." Un pensiero da poco;
però un pensiero esatto. Poi lei sparì nell'ascensore.
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