Copertina
Autore Augusto Illuminati
Titolo Revenge!
SottotitoloFilosofia, cinema, rock
Edizionemanifestolibri, Roma, 2005, Tempo e democrazia , pag. 208, cop.fle., dim. 144x210x13 mm , Isbn 978-88-7285-405-1
LettoreRiccardo Terzi, 2005
Classe filosofia , cinema , musica , storia contemporanea
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Indice


Premessa                              9

Allegorie                            13

Fiabe                                35

Futuro anteriore                     49

La seconda volta                     55

Moltitudini asincroniche             69

Quarta sponda                       105

Scansioni dello spazio              137

Suonerie scaricabili                157

Nel regno della notte               175

Palazzi imperiali                   201


 

 

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Pagina 9

PREMESSA



Che la filosofia sia il proprio tempo appreso per concetti, va da sé. Altrettanto che nel nostro tempo siano centrali le manifestazioni della creatività e del consumo culturale di massa, anzi che sia determinante nella produzione postfordista il modello dell'industria della comunicazione e dell'intrattenimento, cui si adeguano molti altri rami lavorativi. La stessa filosofia, allora, non solo riflette questi fenomeni, ma vi concorre come tecnica di educazione mentale e comportamentale, con i pregi performativi e gli sbalzi di banalità che connotano tutto il settore dell' infotainment. Il riscatto benjaminiano del passato, per dirne una, coincide singolarmente con la tecnica commerciale del seguito di una storia di successo – il nome corrente ne è Revenge, alla lettera vendetta, rivincita. Utopia e lancio pubblicitario si scambiano le parti, così come la lotta di classe e gli ideali del comunismo (o, più sommessamente, della critica radicale e della resistenza democratica) si ritrovano ormai quasi soltanto nella grande cultura pop, da Stephen King a Sam Raimi, dal rock epico al blob televisivo.

Sondando promiscuamente materiali fiabeschi, letterari, filmici e musicali dell'universo che la filosofia ha attraversato o sta attraversando e dei cui colori si tinge intendiamo prendere sul serio la sua inaggirabile temporalità costitutiva. L'incastro arbitrario o aleatorio sostituisce la distinzione paratattica fra vero e falso, buono e cattivo, spariglia le mani della partita. La nettezza del bianco e nero si dissolve in scala di grigi. Lo ha cantato anche il Boss: «And what once seemed black and white turns to many shades of gray». Ma questa è una buona cosa, la schietta fine della metafisica, che è un processo sporco, slabbrato, non un taglio spettacolare, una nuova posizione dell'Essere che ne drappeggia l'eternità.

Prima ancora di eseguire laboriose decostruzioni concettuali, lo sfacelo della presenza e la reversibilità delle sequenze temporali è un luogo comune dell'immaginario quotidiano. Ci si abitua a dei processi prima ancora di metterli in moto, come chi sbarca a New York l'ha già vista tutta al cinema. L'animazione fantastica funziona però solo contestualmente all'agire reale. Dal punto di vista espositivo, poi, ci sono vantaggi nel narrare storie invece che procedere ordinatamente per concetti. Senza esagerare, s'intende. Sappiamo che la logica, intesa in senso stretto, non ha diritto di egemonia sul pensiero razionale e, se intesa in senso lato, deve giustificare anche l'analogia e la contraddizione, dotandosi di un complemento allegorico-tropologico, come spiegò lucidamente Enzo Melandri, aggiungendo che l'analogia ha una valenza sovversiva se corrode dall'interno gli ordinamenti che razionalizzano il potere esistente e conduce verso un più avanzato assetto razionale. Se l'immaginario, aggiungiamo, è una fase di passaggio all'azione.

Un tema parallelo del libro è il tentativo di riflettere, certo non per la prima volta, sull'utilità e il danno della storia per la vita, provando a costruire un'altra tipologia di memoria o logica di verità. Il fatto che entrambe — memoria e verità — non siano pacificamente condivisibili, lungi da un'acquiescenza scettica, manifesta l'esistenza di ritmi temporali differenti e combinati: non lavoriamo forse con una Zeit in Gedanken, al plurale, erfasst? Questa presa d'atto consente di riusare gli schemi della società mediatica, in cui siamo comunque immersi, senza soggiacervi, di riscontrare l'irrimediabile senza amarlo, di preparare la rivincita nel secondo atto: revenge!

La declinazione al plurale di memoria, verità, temporalità e il loro congiungersi fisico in una moltitudine piuttosto che in un popolo statalizzato, ci dà la facoltà di inseguire sia le discontinuità effettuali che le possibilità non realizzate ma in sé non impossibili, tracce di una storia "minore", fili tranciati, percorsi interrotti e implausibili che all'improvviso si affacciano sull'orlo della «grande politica», nella perigliosa modalità dell'aporia catastrofica.

Il futuro anteriore più che passatempo intellettuale contro-storico è analisi di quanto, non essendo stato, potrà tuttavia esserlo in futuro. Il contrario della rimozione e coazione a ripetere: una razionale apertura dell'incompiuto sul nuovo. Un moto opposto a ogni sciagurato vagheggiamento di identità e comunità, la capacità di lasciarsi eccedere da un passato insieme amato e obliabile, di ereditare con criteri selettivi e disdegnare l'eredità. La tragedia dei nazionalismi e delle minoranze coll'area mediterranea e balcanica fa toccare con mano come la speculazione antiquaria diventi bruscamente attuale nell'epoca dei fondamentalismi e dei terrorismi su scala planetaria. Quando mai una lobby wahabita avrebbe potuto interferire con gli uffici delle multinazionali a Manhattan o una lobby ebraica minacciare le fastose residenze di Saddam a Baghdad? Strade scartate nello scorso secolo avrebbero portato a una situazione diversa? Sono ancora percorribili?

Infine si esercita la collaudata flânerie, nella speranza di incontrare figure spaziali rilevanti per la travagliata modernità che stiamo attraversando. Figure di sfacelo apocalittico, di luccicante imposizione, di fruibile transito. Dimore moltitudinarie non meno inquietanti delle fratte biografie dei loro abitatori. Con un finale accompagnamento musicale per tutte le stazioni della deriva. Enigmatiche Sirene che ci sviano dal placido corso della storia universale, Frances Farmer, Jean Seberg, Nico e Kurt Cobain non sono un pretesto diversivo ma cifre di un bilancio retrospettivo (che altro pretenderà la nottola filosofica?) su cui investire desiderio di futuro, azzardi infondati, promesse di felicità. Tinta del suo e di altro tempo, la filosofia resta un animale indocile e inaffidabile. Nella società dello spettacolo procura competenze e formula interrogazioni, legittima governamentalità e sedizione, confermando l'intima solidarietà con le forme della cultura pop, sempre ambigue fra consenso e ribellione, arredo ambient e rumore di fondo dell'insorgenza. Forse ci limitiamo ad aggiornare una vecchia storia cominciata con i Sofisti e la tragedia attica. Bene, facciamolo.

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Pagina 35

FIABE



    Riportano a galla un sedimento arcaico; perciò piacciono
tanto ai bambini, che se le fanno ripetere senza fine, fino
a sprofondare nel sonno, affidati fiduciosamente alla voce e
alla mano del narratore. La misteriosa connessione con il
mondo animale rinvia a un fondo comune su cui si perde e si
riarticola la distinzione fra uomini e bestie; torna in gioco
in ogni crisi radicale, quando l'elemento naturale viene all'
ordine del giorno. La pratica dell'illusione condivisa fa
apprendere la realtà. Come gli automi sono un innocente
presagio dell'inquietante robotica, così le fiabe prefigurano
l'esperienza della vita proponendone chimericamente il
rimosso. La loro paradossale semplicità tocca talora una
verità controintuitiva in materia di lavoro e di ricchezza.
L'elementarità della trama le colloca all'inizio e alla fine
della capacità di lettura, all'alba dell'infanzia e al
crepuscolo della decrepitudine. Nell'arco della vita matura
rivestono il desiderio e il rimosso, segnalano le falle della
logica prestazionale.



Bremer Freiheit

Bremer Freiheit — di solito una rotonda, un gazebo, ma alla lettera «libertà di Brema» — è un ispirato film di Fassbinder, che racconta come una donna recuperi la libertà facendo strage della famiglia. Davanti al Ratskeller, la ben fornita enoteca del Palazzo municipale della città anseatica, si erge il monumento ai Bremer Stadtmusikanten, i protagonisti della fiaba di Jacob e Wilhelm Grimm, i quattro animali aspiranti musicisti della banda comunale di Brema che peraltro non ci arrivarono mai, dato che preferirorno fermarsi in una casa occupata e far baldoria. Ricordate? L'asino, dopo un'onorata esistenza trascorsa a girare la macina del mulino, è diventato troppo vecchio per il lavoro e il padrone ha deciso di sopprimerlo per utilizzarne la pelle. Con un colpo di genio l'animale scappa, incontra il cane del pari in procinto di liquidazione per inettitudine alla caccia e gli propone di unirsi a lui e recarsi a Brema per entrare nella banda comunale. L'asino suonerà il liuto e il cane accompagnerà con i timpani. Anche il gatto che non riesce più ad acchiappare i topi è aggregato e assegnato alle serenate. Ultimo si aggiunge il gallo, tuttora in efficienza ma ahimé alla vigilia di una festa in cui i padroni si sono proposti di tirargli il collo. Lui verrà benissimo come cantante. La squadra è al completo. Perché aspettare pensione e sacrifici, con l'incubo della gobba del 2040? Dato che la forza naturale della vita è stata da sempre messa al lavoro sotto padrone, meglio vivere alla grande che smettere di vivere quando non si può più faticare.

Il gallo vede da lontano una casupola dove vivono i briganti. Saranno coloro che vogliono mandarci a riposo a 80 anni o gli smascheratori di falsi invalidi? Gli sbarra-finestre di anzianità o i piazzisti di fondi pensione? La fiaba non entra in dettagli. I nostri animali affrontano lo scontro e, siccome intuiscono che gli avversari sono tigri di carta, li terrorizzano con uno stratagemma, forgiando uno strepitante mostro fantastico con la stratificazione a piramide dei loro corpi e voci. Il primo concerto della banda ha pieno successo e i briganti fuggono mollando casa, cibo e ricchezze. I fortunati squatter si installano comodi, banchettano e respingono un tentativo di ritorno dei malfattori, il cui esploratore, graffiato dal gatto, morso dal cane e scalciato dall'asino, crede che dell'abitazione abbiano preso possesso altri e più temibili padroni, mentre il gallo-giudice strilla la loro condanna dall'alto di un trespolo. Invasione riuscita, nessuno caccerà più via i nostri pensionati esodanti né li costringerà a lavorare fino alla morte.

Perché non tirarne una morale? I nostri eroi sono animali domestici trattati come nel più evoluto regime produttivo postfordista. Non sono semplice forza-lavoro che eroga energia a tempo determinato, ma tutta la vita è impegnata al servizio dei padroni: sia che girino la macina o esercitino l'innata abilità di cacciatori o servano da cibo per le feste comandate. Non possono scioperare o contrattare le modalità di prestazione, tanto più l'ultima cosa che viene loro richiesta a fine carriera è proprio di morire, di non pesare più sul bilancio padronale come bocche inutili. Si risparmia un discorsetto sull'incompatibilità fra erogazioni pensionistiche e allungamento della durata media di vita, non li si tedia con ipotesi di passaggio pro quota dal regime retributivo al contributivo, ma la conclusione è la stessa: devono sparire. E i nostri spariscono, a modo loro però, senza regalare pelle, ali e cosce al padrone, ma squagliandosela per godersi alfine la vita. Che non è accumulazione di ricchezze per sé, tanto meno per gli altri!

C'è una felice anarchia nei Grimm, anche sessuale a leggere fra le righe, c'è la simpatia per il modesto fratello minore, per la disprezzata figliastra, per gli avventurosi orfanelli, per il grullo. Un amore romantico e finto-contadino per il fannullone, il perdigiorno che è più fortunato e buono degli avidi e degli orgogliosi. In versione postfordista tutti gli spiriti vitali sono messi al lavoro sotto padrone e soltanto l'esaurimento fisico mette fuori gioco. L'eccedenza non è presa in conto se non quando ci si decide a farla finita con la dipendenza. Per un brillante paradosso i nostri animali, quando decidono di sottrarsi a fatica e morte, si propongono di utilizzare a fini artistici le proprie attitudini finora altrimenti sfruttate. L'idea di andare a suonare e cantare appare blasfema: l'asino con il liuto è il rovescio dell'asino greco con la lira, che per gli antichi equivaleva a lasciar studiare filosofia alle donne o far dormire gli schiavi su un letto di piume. La serenata notturna del gatto e gli acuti del gallo valorizzano le doti naturali delle bestie invece di piegarle a esigenze di derattizzazione e cucina. E con quale fantasia sconfiggono i briganti ridestandone gli oscuri sensi di colpa e fingendo una di quelle congiure stregonesche e diaboliche con cui sempre i prepotenti e i dominanti hanno esorcizzato la loro paura degli oppressi! Potessimo lasciarci pure noi alle spalle il secolo del lavoro che rende liberi (frei, ma attraverso il camino!), delle guerre giuste e preventive, di lager, gulag, CPT...

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Pagina 52

Stardust Memories

Gli anni '60 si erano aperti con goffa tenerezza: Beatles alquanto zuccherosi (la banda del sergente Pepper doveva ancora arrivare), allegre minigonne appena dopo i nefandi vestiti a sacco, capelli cotonati. C'era il rock e insieme Stand by me, per restare fra i fondamentali. La realtà, almeno in Italia, era più dura e attardata. Nei '50 non si ballavano Chuck Berry e Jerry Lee Lewis, ma andava tutt'altro genere di musica. La piccola borghesia gorgheggiava le melodie del festival di San Remo, mentre i ragazzi proletari, quelli delle magliette a strisce, probabilmente seguivano con passione Claudio Villa – bella voce, verace compagno coronato da un'intrepida morte laica.

Dura era soprattutto la condizione sociale, in apparenza un retaggio dell'arretratezza, in realtà il prodotto di un cambio radicale. La questione degli apprendisti sembrava indicare un relitto della prima rivoluzione industriale, mentre invece annunciava il nuovo operaio massa fordista, laddove dimensioni e tecnologia delle fabbriche erano meno sviluppate. Arcaica era la veste sotto-proletaria in cui tali temi si presentavano, ancor più la veste letteraria conferitagli dai Ragazzi di vita di Pasolini, con cui alcuni dirigenti dei giovani comunisti romani condussero allora un accesa polemica, modernissima la forma di sfruttamento. Comunque la conflittualità era vivissima e indisciplinata, come succede nelle fasi di tumultuosa trasformazione e di immissione diretta dalle campagne nella grande fabbrica. Ciò vale per una classe d'età e per intere categorie: gli edili, per esempio, come altrove gli ancor numerosi braccianti o i minatori, già allora figure in estinzione. La rude razza pagana dell'ultimo fordismo si infiltrava nel quarto stato prefordista, ma le cose ancora non erano chiare.

L'indimenticabile 1960 si era aperto con la morte di Fred Buscaglione in un incidente stradale e ancor peggio con l'insediamento del governo Tambroni, appoggiato dai voti determinanti monarco-fascisti nel marzo. Il 25 aprile era stata fondata Avanguardia Nazionale, tutto un programma! A fine giugno i portuali di Genova impediscono rudemente il provocatorio congresso del Msi in una città medaglia d'oro della Resistenza. Si crea un'unità rivoltosa fra operai e studenti, che viene rinfocolata nei giorni successivi di luglio da scioperi e scontri di piazza con numerosi morti e feriti, in un crescendo che va da Licata a Porta San Paolo a Roma, dall'eccidio di Reggio Emilia a quelli siciliani. Il movimento finì con la caduta ignominiosa del governo Tambroni il 19 luglio. Suo consigliere spirituale era Baget Bozzo, che avrebbe dato il meglio di sé sotto Craxi e Berlusconi. Le strade di Roma erano ancora ammorbate dalla merda dei cavalli con cui i carabinieri del capitano D'Inzeo avevano caricato i dimostranti a viale Aventino, slittando paurosamente con gli zoccoli sul selciato opportunamente cosparso di olio bruciato e biglie d'acciaio. Sugli schermi uscivano Fino all'ultimo respiro di Godard e La dolce vita di Fellini. I dolci inganni di Lattuada presentava con Catherine Spaak un tipo allora inconsueto di adolescente; crescendo si fece più banale. Andava forte Il pullover di Gianni Meccia e si discuteva, nella sinistra colta, delle novità testuali e melodiche della Gatta di Gino Paoli, che subito dopo avrebbe trionfato con l'edizione Mina del Cielo in una stanza. Nei dilaganti juke-box di periferia veniva però gettonato senza tregua il Degüello in segno di sfida verso i fasci. Era alla lettera il canto di sgozzamento che i messicani del generale Santa Ana suonavano agli assediati di Fort Alamo... Del resto, qualche anno dopo, nel 1977, l'insorgenza avrebbe mimato il western estremo di Sergio Leone e Peckinpah, sostituendo alla colonna sonora di Tiomkin quella di Norricone, che lo citava.

Ad agosto approdano a Roma le Olimpiadi (quelle di Berruti e della gazzella nera Wilma Rudolph), che diedero il segno tangibile di una modernizzazione all'improvviso rivelatasi.

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Pagina 168

One Minute past Eternity

Riduzione all'assurdo dell'eternità oppure saggia indicazione che ogni fantasia sull'istantaneo arresto del tempo e sul trascendimento della durata continua a presupporre la successione degli attimi, associa alla sospensione orgasmatica dello scorrimento temporale il momento riflessivo, la constatazione che è stato bello. Insomma, l'idea umanissima e incoerente che dobbiamo star lì, in un luogo e in un tempo, per essere certi di essere eterni.

Come potrebbe sottrarsi veramente alla durata una fabbrica del tempo come quella musicale? Si tratti di Johann Sebastian Bach (O Ewigkeit, du Donnerworth, cantata BWV 60, testo di Johann Rist) o Jerry Lee Lewis (One Minute past Eternity, appunto). La circoscrizione linguistica è il prezzo di ogni estasi. Nonché la malleveria della sua rinnovabilità, che è pur sempre povera cosa.


1969

Cazzo, quello sì che fu un capodanno memorabile. Si veniva dal favoloso '68 e si entrava nell'anno dell'autunno caldo e delle stragi di stato. Il mondo e la rivoluzione stavano sotto mano. In America non era diverso: dopo l'offensiva del Tet iniziava il più duro periodo della lotta contro l'intervento nel Vietnam. Le strade bruciavano ancora per le sommosse seguite agli assassini di Bob Kennedy e Martin Luther King. Che strano che gli Stooges cantassero

    Well it's 1969 OK all across the USA
    It's another year for me and you
    Another year with nothing to do
    Last year I was 21 I didn't bave a lot of fun
    And now I'm gonna be 22 I say oh my and a boo-hoo.

Che si erano impazziti, non si accorgevano di quanto succedeva in giro? Nella proletaria Detroit, per di più? Solo un altro anno in più con niente da fare e poco svago in bilancio? Magari in quel nichilismo c'era qualcosa di radicale che sfuggiva alla corrente effervescenza generazionale. Pensiamoci su. Ne sarebbe venuta fuori la sfida di Iggy Pop alle buone regole del rock ripulito di fine secolo, la renitenza a ogni perbenismo di ritorno. La ruvidezza musicale smentiva già allora l'atteggiamento svagato. Non c'era proprio gusto a ciondolare fuori di testa (No fun, baby, / No fun to hang around / Freaked out for another day).

La messa fra parentesi di passato e presente introduce al rifiuto del futuro, dieci anni prima dei proclami punk; è un precoce appello, in piena retorica della protesta e dello sfondamento delle porte della percezione, a un malessere incommensurabile con le promesse d'epoca. Molto dappresso (a valori invertiti) all'atemporale disinteresse con cui ogni ingresso di anno veniva iscritto nella prospettiva cristiana della vita terrena come prova. Vedi il corale Das alte Jahr vergangen ist, BWV 614, di J. S. Bach, che ringrazia Dio per il semplice lasciarsi vivere, sfuggendo alle tentazioni oltre che a guerre e malattie.

    Das alte Jahr vergangen ist,
    wir danken dir, Herr Jesu Christ,
    dass du uns in so grosser G'fahr
    behütet hast lang Zeit und Jahr.

C'è qualcosa di puù profondo dell'entusiasmante scorrere degli eventi: sta sopra la Terra per Bach, dentro e fra noi per gli Srooges. Trascendimento o annullamento della presenza, disillusa immersione in un si vive eguale al si muore. Vale la pena rifletterci senza scandalo. Altre ampate di ribellione e speranza si sarebbero spente assai prima.


The Ghost of Tom Joad

Benvenuti nel nuovo ordine mondiale. Famiglie che dormono in auto nel Sudovest: no home, no job, no peace, no rest. In attesa del fantasma di Tom Joad, l'eroe ribelle di John Steinbeck e Woody Guthrie che percorre la route 66 in attesa del giorno in cui gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Che non porge l'altra guancia e sa reagire alla violenza degli sfruttatori e dei loro tirapiedi in divisa. Per Springsteen non molto è cambiato da quegli anni feroci della Grande Depressione e della miseria fra i raccoglitori di frutta della California. Collera e speranza.

    The highway is alive tonight
    Where it's headed everybody knows
    I'm sitting down here in a campfire light
    Waitin' on the ghost of Tom Joad.

Diceva Tom: Mamma, dovunque un poliziotto picchia un ragazzo, dovunque un bambino nasce gridando per la fame, dovunque c'è una lotta contro íl sangue e l'odio nell'aria, cercami e ci sarò. Dovunque si combatte per uno spazio di dignità e un lavoro decente, dovunque qualcuno lotta per essere libero, guarda nei loro occhi e vedrai me. Che sia un immigrato messicano o uno studente haitiano a New York, una povera pelle americana crivellata da 41 shots.

La revenge è qui proletaria e materiale, redime un'iniquità sempre eguale, spreme analoghi grapes of wrath. La rabbia dei neocons americani contro il Boss è ben giustificata, poiché probabilmente anni fa l'amavano. I radical-libertari pentiti sono tremendi. In Italia va anche peggio, perché a pentirsi sono stati i riformisti dell'ex-Pci. Usavano valigiacce di similpelle, mica zaini da autostoppisti. Ex-utenti di Alfasud che si rammaricano per Harley Davidson mai montate. Che comico disastro.