Copertina
Autore Roberto Infrasca
Titolo Donne e depressione
SottotitoloI perché di una sindrome al femminile
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2007 [2004], Economica 52 , pag. 180, cop.fle., dim. 14x20,5x1,2 cm , Isbn 978-88-424-2087-3
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe medicina , psicologia , psichiatria , psicanalisi
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Indice

 ix Introduzione

    1.  Il volto della depressione

  1 1.1 Dinamiche della depressione
 16 1.2 Relazione tra lutto e depressione
 23 1.3 Stress da perdita
 32 1.4 I correlati biologici dello stress
        da attaccamento-perdita

    2.  Infanzia e depressione

 37 2.1 Esperienze del periodo infantile e
        rischio depressivo
 45 2.2 Le origini psicodinamiche della depressione
 56 2.3 Accadimenti dell'infanzia, depressione
        e differenze tra i sessi

    3.  L'espressività depressiva nel periodo adulto

 89 3.1 Donna e depressione
 92 3.2 Il disturbo distimico:
        un quadro clinico coniugato al femminile
 94 3.3 Depressione, indicatori psicofisiologici
        e differenze tra i sessi
107 3.4 Depressione e sessualità
115 3.5 Depressione e aggressività
121 3.6 Depressione e abuso sessuale nell'infanzia
128 3.7 Depressione e tabagismo
133 3.8 Depressione e ideazione suicidaria
140 3.9 Il percorso femminile verso la depressione

151 Bibliografia

173 Indice dei nomi

 

 

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Pagina IX

Introduzione


In tutte le discipline scientifiche la conoscenza di un fenomeno permette di elaborare strategie di prevenzione o di intervento capaci di impedire o di attenuare la manifestazione del fenomeno stesso. Tra le molte conoscenze acquisite nel campo dei disturbi depressivi, il problema della prevalente implicazione femminile risulta un quesito pressoché insoluto e ancora oggetto di riflessione e ricerca clinica. Nella distimia e nella depressione maggiore (le forme depressive più comuni e diffuse), la categoria femminile risulta due volte più rappresentata nel primo disturbo e circa tre nel secondo rispetto a quella maschile, caratterizzazione che porta a valutare la depressione come una patologia prevalentemente "coniugata al femminile". Se si paragona questa distribuzione tra i sessi con quella evidenziata da altri quadri psicopatologici, tale specificità risulta del tutto singolare, aumentando così l'interesse clinico nei confronti dei disturbi depressivi (o disturbi dell'affettività).

Per quanto riguarda l'origine (eziopatogenesi) del disturbo depressivo vi sono due modelli interpretativi: il modello biologico e il modello psicologico. Gli assertori del primo affermano che i pensieri, le emozioni e il comportamento originano dalla modalità di funzionamento di alcune strutture cerebrali (fisiologia nervosa e funzione dei neurotrasmettitori), mentre quelli del secondo privilegiano l'aspetto psicodinamico (il tipo di relazione con le figure significative e con l'ambiente durante il periodo infantile, l'interazione sociale, la tipologia dei meccanismi di difesa, l'elaborazione soggettiva dell'esperienza). Prevedendo una visione di insieme della "persona" (interazione dinamica tra le varie strutture e organizzazioni che la compongono), l'ottica scientifica non dovrebbe quindi irrigidirsi e/o "parteggiare" per l'una o l'altra scuola di pensiero, bensì valutare il soggetto depresso nella sua unità.

La comprensione scientifica e terapeutica dei disturbi depressivi, quindi, non può essere raggiunta analizzando i soli, se pur importanti, correlati biochimici e neuroanatomici, ai quali vanno necessariamente aggiunti i fattori di natura psicodinamica, culturale e socioeconomica (Ehrenberg, 1999).

Nel convincimento che la condizione depressiva necessiti di un intervento farmacologico, essa evidenzia comunque una realtà clinica più complessa, che può essere compresa solamente attraverso un'ottica multidisciplinare all'interno della quale i disturbi depressivi risultano un'entità clinica plurale pur nella loro riconosciuta singolarità. In questa prospettiva è possibile affermare che la complessità umana comprende al suo interno i neurotrasmettitori, mentre i neurotrasmettitori non comprendono al loro interno la complessità umana. In aggiunta ad altre affinità cliniche, la ricognizione anamnestica dei soggetti depressi evidenzia l'affermarsi di un dato che omologa le loro biografie personologiche, vale a dire l'esperienza di "perdita".

La terapia dei disturbi depressivi non può dunque basarsi esclusivamente sugli interventi psicofarmacologici, che, sebbene importanti, devono necessariamente essere affiancati da altri di natura psicoterapeutica, volti alla comprensione dei motivi che hanno portato l'individuo alla "rottura depressiva". Tale consapevolezza permetterebbe al soggetto una graduale elaborazione delle motivazioni profonde che hanno sollecitato una visione depressiva dell'esistenza, e la conseguente accettazione e modificazione della propria dimensione personologica.

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1. Il volto della depressione


1.1 Dinamiche della depressione

1.1.1 Cenni storici

Pur essendo conosciuta da millenni (riferimenti a questa patologia sono stati ritrovati in alcuni documenti egizi risalenti al 2600 a.C.), la descrizione della depressione viene fatta risalire a Ippocrate (400 a.C. circa) che, oltre a definire "melancholia" la depressione emotiva grave, ha tentato di correlare alcuni aspetti fisiologici (sangue, bile nera e gialla) al temperamento e alla personalità del soggetto. I criteri e il metodo adottati da Ippocrate sono giunti inalterati sino al 1621, anno in cui Robert Burton pubblicò il volume Anatomy of Melancholy, nel quale espone una serie di concetti diagnostici e sintomatologici della depressione.

I primi tentativi orientati a classificare le malattie psichiatriche e quindi anche la patologia affettiva, risalgono al XIX secolo. Emil Kraepelin contribuì in modo determinante a questo tentativo di classificazione, introducendo una nomenclatura nella quale il termine melanconia caratterizzava sia i pazienti affetti da "melanconia involutiva", sia la fase depressiva della psicosi maniaco-depressiva (Kraepelin, 1904, 1921).

Successivamente, Eugen Bleuler (1930) adotta una prospettiva diagnostica in cui i termini "melanconia" e "depressione" risultano equivalenti. Karl Abraham (1912; 1916) formula una teoria sulla psicogenesi degli stati depressivi, ma è lo scritto di Freud Lutto e melanconia (1915), il contributo più esauriente e dettagliato dei processi psicodinamici che sottendono la depressione. Sempre in ambito psicoanalitico, Sàndor Rado (1928) propone un'ulteriore elaborazione della depressione nella quale il disprezzo e le accuse che il paziente rivolge alla propria persona sono interpretati come un inconscio tentativo volto ad attenuare o neutralizzare l'operatività di un Super-io rigido e inflessibile.

L'ottica psicodinamica ha contribuito in maniera determinante alla conoscenza della patologia depressiva introducendo nuove chiavi di lettura del fenomeno clinico (Gabbard, 1996). La pubblicazione del DSM III (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) segna un momento importante nella classificazione dei disturbi psichiatrici, e particolarmente per quelli depressivi, che vengono raggruppati in un'unica entità alla quale viene assegnato il termine di "disturbi affettivi" e successivamente di "disturbi dell'umore" (DSM IV, 1995).

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1.1.3 Aspetti clinici e fenomenologici

Tra i disturbi psicopatologici, quelli depressivi, per diffusione, incidenza e capacità di disorganizzare la personalità individuale, assumono connotazioni psicologiche e sociali sicuramente non marginali. Nella pratica quotidiana, "fronteggiare" il paziente depresso e il suo multiforme corredo sintomatologico pone spesso difficoltà diagnostiche, operative e prognostiche. Abulia, astenia, facilità al pianto, disperazione, ideazione suicidaria, insonnia o ipersonnia, inappetenza o iperfagia, diminuzione o perdita degli interessi sociali, lavorativi, affettivi e sessuali, dolori psicogeni, inibizione psicomotoria e cognitiva, ansia sono un esauriente spaccato della vasta gamma di sintomi proposti dal paziente depresso.

Il termine "depressione" è comunemente usato per definire situazioni caratterizzate da diverse modalità espressive: può indicare una temporanea alterazione del tono dell'umore non necessariamente indicativa di una situazione psicopatologica (Schneider, 1983), così come una sindrome clinica complessa, nella quale l'omeostasi affettiva non riesce più a riequilibrarsi, che include l'alterazione delle funzioni psichiche, vegetative e comportamentali (Pancheri, 1982; Pancheri e Brugnoli, 1999).

Il DSM IV (1995) individua alcuni criteri diagnostici per i quadri depressivi maggiormente diffusi, vale a dire la depressione maggiore e la distimia. La diagnosi differenziale tra queste patologie risulta particolarmente difficoltosa dal momento che le stesse condividono sintomi simili, mentre le differenze di esordio, durata, persistenza e gravità non sono facilmente valutabili retrospettivamente. Per la depressione maggiore il DSM IV propone alcuni criteri sintomatologici:

1) umore depresso (oppure irritabile nei bambini e negli adolescenti);

2) marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività;

3) significativa perdita di peso senza essere a dieta o aumento di peso;

4) insonnia o ipersonnia;

5) agitazione o rallentamento psicomotorio;

6) affaticabilità o mancanza di energia;

7) sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati;

8) ridotta capacità di pensare e concentrarsi;

9) ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio.


La distimia (o nevrosi depressiva), invece, prevede come condizione generale un tono dell'umore prevalentemente depresso per la durata di almeno due anni (uno per i bambini), e come indicatori specifici la presenza di almeno due dei seguenti sintomi:

1) scarso appetito o iperfagia;

2) insonnia o ipersonnia;

3) scarsa energia e astenia;

4) bassa autostima;

5) difficoltà nella concentrazione o nel prendere decisioni;

6) sentimenti di disperazione.


Formalmente adeguati per la formulazione diagnostica, i fattori esposti non esauriscono il vasto corredo sintomatologico associato alla depressione. Essa, infatti, propone una serie di alterazioni psicocomportamentali e psicofisiologiche che coinvolgono il tono dell'umore, il sonno, l'alimentazione, la sessualità, le funzioni gastrointestinali, il peso corporeo, le energie psicologiche e fisiche, appesantendo un assetto clinico già invalidante, che amplia la sua portata negativa e intensità.

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3.3 Depressione, indicatori psicofisiologici e differenze tra i sessi


3.3.1 Fattori clinici e psicofisiologici

Pur tenendo presente le differenti modalità espressive della depressione, è possibile affermare che tale quadro risulta principalmente caratterizzato da una persistente caduta del tono dell'umore, vissuto dal soggetto con sentimenti di profonda tristezza, disistima, insicurezza, sfiducia, complessiva perdita di interessi (compreso quello sessuale) (Placidi, 1989; Smeraldi, 1993; Pancheri, 1998).

Tra le diverse forme depressive nelle quali è difficile negare il concorso di un substrato organico (involutive, endogene e psicotiche), quella nevrotica dimostra la prevalenza di fattori psicodinamici rispetto a quelli di natura biologica (Gabbard, 1996). Di indubbia diffusione e gravità, il quadro depressivo propone una fisionomia invalidante sotto il profilo umano e clinico, assumendo anche una rilevanza sociale che si aggiunge a quella epidemiologica, peraltro di non trascurabile entità (Placidi, 1989; Scapicchio, 1990).

Principalmente caratterizzata da tristezza vitale, la depressione evidenzia anche abulia, astenia, ansia, insonnia, inappetenza, diminuzione della libido, facile stancabilità. Inoltre, molti quadri depressivi presentano sintomi neurovegetativi quali cefalea, vertigini, turbe cardiovascolari, respiratorie, gastrointestinali, genito-urinarie e dell'apparato muscolo-scheletrico. Tale sintomatologia somatica diviene prevalente nei quadri che una passata classificazione clinica definiva "depressione mascherata", situazioni in cui l'alterazione del tono dell'umore rimane in "ombra" anche al paziente, mentre i sintomi depressivi assumono un'espressività prevalentemente fisica (processo di somatizzazione).

Il paziente depresso presenta una rigidità cognitiva, tratti fobici e ossessivi, sensi di colpa, inibizione comportamentale (più raramente eccitazione psicomotoria), povertà nella mimica e nell'eloquio, idee o comportamenti suicidari e, nei casi più severi, distacco dai più elementari atti della vita quotidiana (Widlöcher, 1985; Infrasca, 1999). Il DSM IV (1995) individua la patologia distimica attraverso la presenza e l'espressività clinica di una serie di fattori e condizioni quali: scarso appetito o iperfagia, insonnia o ipersonnia, scarsa energia o affaticabilità, bassa autostima, scarsa capacità di concentrazione o difficoltà a prendere decisioni, sentimenti di disperazione. Anche se specificamente adeguate a una formulazione diagnostica, queste connotazioni non esauriscono la vasta costellazione sintomatologica del quadro distimico.

All'instaurarsi dell'organizzazione depressiva si assiste parallelamente allo sviluppo di una serie di alterazioni psicocomportamentali e psicofisiologiche che coinvolgono il sonno, l'alimentazione, la sessualità, le funzioni gastrointestinali, il peso corporeo e l'energia fisica, le quali, appesantendo un assetto clinico già invalidante, ne amplifica l'intensità, avvitando l'individuo in una spirale psicopatologica senza soluzione di continuità.

Si vuole ora analizzare l'origine e l'incidenza degli indicatori psicofisiologici correlati ai disturbi depressivi, le differenze che tali fattori presentano tra i sessi e, qualora esistenti, le correlazioni con gli accadimenti dell'infanzia. Per ottenere queste informazioni, oltre ai test utilizzati (vedi supra § 2.3.2, p. 57), dalla scala di Zung sono stati estrapolati sette item valutabili come "equivalenti depressivi", e caratterizzati da una risposta a punteggio crescente ("Mai o raramente", "Qualche volta", "Spesso" e "Quasi sempre"), di seguito riportati.

– Mi viene da piangere o sento come ne avessi voglia

– Ho difficoltà ad addormentarmi

- Mangio come prima

- Il sesso mi interessa come prima

- Soffro di stitichezza

- Soffro di tachicardia

- Mi stanco senza ragione


Allo scopo di verificare le eventuali differenze di questi sette parametri tra uomini e donne affetti da disturbi depressivi, gli stessi sono stati comparati con le scale del MMPI e con alcuni indicatori psicocomportamentali. Per una maggiore chiarezza espositiva, ogni variabile psicofisiologica è preceduta da una sintetica descrizione, mentre i risultati sono corredati da un commento analitico.

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3.4 Depressione e sessualità


3.4.1 Note sull'identità sessuale

I fondamentali bisogni psicologici dell'individuo possono essere rappresentati tramite quattro complessive organizzazioni psicodinamiche: attaccamento, autonomia, identità sessuale e autostima. Trattandosi di organizzazioni interdipendenti, lo scompenso di una di esse si ripercuote sulle altre, mentre l'equilibrio dell'individuo si configura come una ragionevole armonia tra esse.

Qualora il bambino risulti ostacolato alla soddisfazione del bisogno di attaccamento anche i rimanenti bisogni saranno sottoposti a una risonanza negativa, la cui intensità sarà direttamente proporzionale al grado di frustrazione affettiva e psicologica subita (Spitz, 1965; Winnicott, 1970; Bowlby, 1973; Mahler et al., 1978; Gaddini, 1979; Stern, 1987).

L'identità sessuale è un precoce bisogno nell'organizzazione e nella biografia psicologica dell'individuo. Verso i 2/3 anni avviene l'identificazione di "genere" (riconoscimento soggettivo dell'appartenenza a un determinato sesso), e successivamente (3/5 anni) si sviluppa gradualmente l'identificazione con un adulto del proprio sesso (solitamente le figure genitoriali) (Crépault, 1988), che si completa verso i 15/16 anni.

Lo sviluppo di un'identità sessuale non conflittuale prevede così che il soggetto sia in grado di coniugare due importanti aspetti: l'identità e la sessualità. In questa prospettiva, l'organizzazione sessuale può essere rappresentata come un modello che prevede un'attiva interazione tra tenerezza ed erotismo, miscela dinamica che vede prevalere l'una o l'altra istanza a seconda della personalità del soggetto.

La tenerezza tranquillizza l'individuo rispetto alla paura di divenire oggetto degli istinti aggressivi dell'altro/a, permettendogli di aprirsi a una genuina eroticità (fisionomia del piacere). In quest'ottica la sessualità diviene una modalità di scambio e comunicazione tra individualità e istintualità naturali, di segno sicuramente maturativo (Baldaro Verde, 1988). Nell'eventualità che uno dei fattori indicati assuma un ruolo prevalente, la sessualità e la sua manifestazione subiranno un cambiamento qualitativo. Lo sbilanciamento della sessualità sul versante della tenerezza la renderà insoddisfacente, attenuerà sensibilmente la dimensione del piacere, originando un vissuto di delusione e frustrazione. Quando la sessualità assume invece unicamente una connotazione erotica, nell'individuo possono svilupparsi blocchi di natura emotivo-affettiva (paura della "prestazione", di "lasciarsi andare", dell'inadeguatezza fisica e psicologica, del rifiuto, del senso di colpa, del giudizio negativo).

La comprensione dei legami tra depressione e sessualità prevede una breve ricognizione sulla relazione tra sessualità e modelli socioculturali, scenario nel quale l'identità sessuale risulta sottoposta a messaggi e sollecitazioni che condizionano profondamente la sua organizzazione, rendendola frammentata, confusa e sconnessa. La sessualizzazione degli oggetti (automobile, cibo, bevanda, telefonino ecc.) produce una graduale frammentazione dell'identità sessuale, trasformando la "sessualità della persona" nella "sessualità dell'oggetto". Si afferma così una sessualità surrogata che si consolida attraverso modelli e comportamenti imitativi che producono un'identità sessuale surrogata, incapace di sublimazione. Postulato freudiano (1900-1905), la sublimazione assume nelle argomentazioni svolte un profilo decisamente interessante essendo «la deviazione dell'energia posseduta dalle pulsioni sessuali verso mete o scopi socialmente valorizzanti» (creatività artistica, intellettuale ecc.).

Muovendo da Freud, è possibile sostenere che la diffusione a livello sociale e culturale di una sessualità surrogata. quindi impossibilitata ad avviare processi di sublimazione, produce l'appiattimento della creatività (tipico della depressione).

La disorganizzazione della sessualità neutralizza la creatività, istanza attraverso la quale l'individuo può trascendere il "possibile" e il "dato", in definitiva la sua dimensione meramente oggettiva (situazione sistematicamente rintracciata nei quadri depressivi).

Il "collasso della creatività" individuale avvenuto negli ultimi decenni (particolarmente tra le giovani generazioni) sembra trovare nella depressione un momento di riscontro clinico (Ehrenberg, 1999). Anche la manifestazione sessuale e il suo peculiare "lessico" si frammentano, invalidando l'identità sessuale stessa, situazione frequentemente osservata anche nella depressione.

La progressiva perdita di "pezzi" dell'identità sessuale determina altrettanto progressivamente lo sviluppo di sentimenti depressivi, che offuscano e distorcono la dimensione naturale dell'individuo (Ehrenberg, 1999).


3.4.2 Disturbi depressivi e problematiche sessuali

In un rapporto del CENSIS (2000) sugli atteggiamenti sessuali degli italiani, l'ammissione di incertezza e di preoccupazione in materia di prestazioni sessuali riguarda il 59,2% degli uomini intervistati. Inoltre, nel 23% dei casi vengono riferite preoccupazioni per problemi di stanchezza fisica, nel 18% non viene focalizzato un motivo particolare; il 42,6% del campione ammette di soffrire o di avere sofferto di disfunzioni sessuali, mentre il 62,3% dei giovani dichiara di avere avuto preoccupazioni riguardo alle proprie prestazioni sessuali.

Le problematiche sessuali sono un importante aspetto della personalità. Havelock Ellis è stato il primo a trattare tale argomento in modo accurato e straordinariamente attuale (Ellis, 1970). In epoca più recente la tipologia classificatoria adottata dalla Kaplan (1976) appare ancora come la più funzionale alla comprensione delle disfunzioni sessuali, tanto che il DSM IV (1995) la riprende classificando le principali disfunzioni sessuali come:

– disturbo da desiderio sessuale ipoattivo;

- disturbo da avversione sessuale;

- disturbo dell'eccitazione sessuale femminile;

- disturbo dell'orgasmo maschile e femminile;

- disturbo maschile dell'erezione;

- eiaculazione precoce.


Le problematiche sessuali sono uno dei motivi di conflittualità intra e interpersonale, mentre sul piano clinico la sintomatologia appare associata a disturbi fisici (dolore lombare, cefalea, astenia, affaticabilità) e psichici (depressione, ansia, sentimenti di colpa).

La sessualità può essere intesa come il complesso di tutte le manifestazioni (sessuali) dell'individuo insite nei suoi caratteri genetici primari e secondari, situazione raggiunta nella completa maturità e orientata allo scopo riproduttivo. Tale definizione, tuttavia, non fornisce un'adeguata interpretazione della sessualità, che è difficilmente confinabile al ristretto ambito biologico e riproduttivo. È merito della psicoanalisi avere ampliato l'angusto versante, in cui la sessualità era stata relegata (apparato genitale), a una serie di attività già presenti nell'infanzia e tese al soddisfacimento dei bisogni fisiologici fondamentali, che si ritrovano quali componenti nella sessualità adulta.

Nel paragrafo successivo saranno analizzati i tratti personologici implicati nelle disfunzioni sessuali e le differenze tra uomini e donne affetti da disturbi depressivi.

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3.9 Il percorso femminile verso la depressione


Si è mostrato come l'universo depressivo si strutturi intorno a due fondamentali dimensioni, la cui intersezione sollecita e organizza la manifestazione sintomatologica: la dimensione psicopatogenetica, dalla quale – dalla nascita sino alla pubertà (processualità verticale) – originano e si organizzano le determinanti del quadro depressivo, e l'espressività della sintomatologia depressiva in epoca adolescenziale e nella maturità (processualità orizzontale).

Le due dimensioni hanno evidenziato un'interdipendenza. La psicopatogenesi dei disturbi depressivi si collega alla presenza di specifiche condizioni caratteriali e ambientali del periodo infantile, capaci di strutturare elementi che potranno sollecitare il successivo esordio sintomatologico. In questa prospettiva il quadro depressivo (il cosiddetto "male oscuro") evidenzia dinamiche ben delineate. La depressione si riappro- pria così di una coerenza interna e si dimostra un'organizzazione alla quale concorre inizialmente la concomitanza di alcuni fattori: in primo luogo gli elementi temperamentali (innati); poi quelli situazionali – tra i quali i più importanti sono una particolare caratterologia genitoriale (riscontrata con frequenza minore in pazienti con altri quadri clinici o nella popolazione generale) –; infine una modalità relazionale con le figure genitoriali e con l'ambiente decisamente svantaggiosa (stressante, frustrante e svalorizzante), condizioni che risultano decisamente più frequenti nella categoria femminile.

Inoltre, a differenza dei maschi, le bambine che hanno successivamente sviluppato un quadro depressivo sono apparse maggiormente inibite e coartate nelle manifestazioni emotive, precocemente acculturate a una visione della realtà conflittuale e negativa, sottoposte a condizioni svalutative nei confronti della propria identità, e a una negativa interazione tra ambiente interno ed esterno.

Dall'analisi dei dati acquisiti, l'attendibilità delle ipotesi psicopatogenetiche del disturbo depressivo ha ottenuto una serie di verifiche non accidentali. Attuata attraverso il confronto delle informazioni provenienti da una matrice metodologica diversificata (teorica e sperimentale), l'analisi della processualità verticale cui risulta sottoposta la donna depressa (dall'infanzia alla pubertà) ha mostrato una maggiore frequenza di caratterizzazioni traumatiche rispetto a quanto registrato per i maschi (Kessler e Magee, 1993; Veijola et al., 1998). Questi presupposti sembrano così capaci di fornire indicazioni sul percorso psicopatologico che collega queste caratterizzazioni all'esordio della sintomatologia nello stadio infantile, oppure nell'adolescenza o nella maturità.

Un primo riscontro di quanto affermato è stato ottenuto dalla valutazione e dalla comparazione dei tratti psicocomportamentali evidenziati in età pediatrica da uomini e donne depressi. Il registro psicocomportamentale del periodo infantile della donna ha trovato nei risultati della ricerca sperimentale una complessiva analogia con i dati della letteratura, ponendo anche in luce un elemento traumatico che concorre al processo depressivo: la precoce coartazione e svalutazione cui risultano maggiormente sottoposti gli originari tratti personologici della bambina (Bifulco et al., 1998).

Queste condizioni permettono di affermare che la depressione (o quantomeno la variante distimica) non può essere considerata come un'organizzazione esclusivamente di origine biologica, bensì caratterologica, vale a dire progressivamente acquisita. Inizialmente, all'interno di una prolungata e sistematica esposizione a un clima psicologico, affettivo e relazionale spersonalizzante, e, successivamente, quale conseguenza del conflitto intrapsichico in cui il soggetto (e maggiormente le donne) si trova invischiato (pubertà e adolescenza) (Aro, 1994).

La compresenza di una serie di condizioni psicologiche e situazionali riconducibili alla caratterologia delle figure genitoriali, alla relazione emotivo-affettiva che queste instaurano con il figlio/a, e infine alle dinamiche e alle caratterizzazioni familiari sono apparse le condizioni sulla base delle quali si origina e sviluppa il disturbo depressivo, e alle quali le donne risultano esposte con una frequenza mediamente doppia rispetto agli uomini, valore sovrapponibile a quello indicato dalla ricerca epidemiologica (Angst, 1992; Bebbington, 1994).

In letteratura lo "spazio madre" viene generalmente ritenuto quello maggiormente patogeno e implicato nell'imprinting depressogeno. Nella nostra indagine la figura materna ha mostrato una dimensione personologica con tratti anaffettivi, ossessivi, rigidi, svalutativi e depressogeni (depressione, tristezza, lamentazioni ecc.), atteggiamenti cui le bambine risultano maggiormente esposte. Non pare quindi casuale che questi tratti di personalità, in grado di indurre sentimenti e reazioni depressive, vengano ritrovati anche nella modalità psicocomportamentale evidenziata nell'infanzia, nella pubertà e nell'adolescenza dal soggetto depresso, in particolare nella categoria femminile (identificazione con la figura materna). I dati ottenuti suggeriscono che tali tratti siano introiettati in misura maggiore dalle bambine e passino sostanzialmente inalterati nell'infanzia per manifestarsi nei periodi successivi.

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