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| << | < | > | >> |Indice7 SERGIO PORETTI La biblioteca magica 10 Bell'Italia. L'ingegneria in posa cartoline di Sergio Poretti Indagini 34 TULLIA IORI, GRAZIANO SAVONE La costruzione di un mito. La vera storia del ponte del Risorgimento 62 ILARIA GIANNETTI Bridging Italy 1943-1952, Diario della Ricostruzione 86 GIANLUCA CAPURSO, FRANCESCA MARTIRE La crisi (in)visibile 1964-2001. Cronache italiane 109 TULLIA TORI, SERGIO PORETTI Fotoromanzo SIXXI 5. L'Autostrada del Sole 6. Le Olimpiadi di Roma '60 e Italia '61 156 ENGLISH TEXTS |
| << | < | > | >> |Pagina 10È certezza diffusa che la cementificazione sia il più acerrimo nemico di Bell'Italia (non a caso il termine è stato coniato in italiano).Ebbene, a praticare la storia dell'ingegneria strutturale viene il sospetto che si tratti di una superstizione. Intendiamoci: sul fatto che la mancanza di un'adeguata pianificazione, soprattutto nel secondo dopoguerra, abbia creato le condizioni per un saccheggio indiscriminato del territorio, non ci sono dubbi; che sia mancata una sufficiente strategia di tutela del paesaggio e che quella del patrimonio storico abbia incontrato non poche difficoltà, resta indiscutibile. Ed è anche confermato che l'invasione del suolo è stata fatta col cemento, proprio per questo scelto, in Italia prima che altrove, come simbolo della modernizzazione malvagia. Ma nella storia materiale la realtà viene ricostruita con le sue contraddizioni. E può benissimo venir fuori che in seno ad un processo nel suo insieme involutivo, proliferi una vena sperimentale di altissima qualità sotto il profilo scientifico e architettonico. È proprio quello che è avvenuto in Italia. Lo stesso cemento, simbolo del sacco del territorio, è stato anche il materiale d'elezione di una Scuola d'ingegneria strutturale di prim'ordine, che nei decenni centrali del XX secolo ha prodotto un vasto patrimonio di opere, la cui originalità e qualità sono state riconosciute in tutto il mondo. E come la vicenda storica deve essere dissotterrata, e ricostruita nei fatti e nelle circostanze concrete, superando ogni pregiudizio ideologico, così i tanti capolavori devono essere riscoperti all'interno del territorio in cui sono rimasti nascosti. Siamo talmente abituati a vedere la fotografia del viadotto come prova dello scempio perpetrato sull'ambiente, naturale o culturale, che ci sfuggono completamente i tanti casi in cui le forme di cemento (o di ferro) si inseriscono in perfetta armonia nel contesto, e lo arricchiscono: si tratti della riserva naturale della Valle dell'Inferno o del pittoresco borgo medioevale di Genazzano. C'è, insomma, un lato bello della cementificazione da riscoprire, c'è un'ennesima Bell'Italia da fotografare: quella con l'ingegneria in primo piano. SP | << | < | > | >> |Pagina 34TULLIA TORI, GRAZIANO SAVONELA COSTRUZIONE DI UN MITO
LA VERA STORIA DEL PONTE DEL RISORGIMENTO
Questa è la storia di un ponte. E di alcuni uomini coraggiosi. E soprattutto del cemento armato, che nel bel mezzo di questa vicenda conosce una profonda trasformazione: da sistema commerciale, protetto da brevetto e vincolato a speciali regole di utilizzo, matura in un materiale libero, a disposizione di ogni progettista capace di sfruttarne a pieno le potenzialità statiche, che si rivelano tanto sorprendenti quanto misteriose. Il principale attore è proprio l'inventore del cemento armato, François Hennebique: o meglio, l'inventore del suo brevetto più famoso, depositato nel 1892, perfezionato nel 1897 e ormai in scadenza quando la storia si svolge. La scena è in Italia, che più di ogni altro Paese saprà in seguito esaltare il talento del materiale, in tutte le varianti, anche grazie al dibattito innescato dalla testarda e incomprensibile resistenza dell'opera al centro della trama: il ponte del Risorgimento a Roma. Sul ponte esiste una bibliografia ricchissima, a partire da quella d'epoca. Soprattutto, i saggi di Riccardo Nelva e Bruno Signorelli, che nel 1980 hanno saputo rinnovare l'attenzione su questo monumento: studi che sono stati condotti direttamente sull'archivio della società di Giovanni Antonio Porcheddu, concessionario Hennebique per l'Alta Italia e costruttore del ponte, archivio confluito al Politecnico di Torino subito dopo la liquidazione della Società, nel 1935, per intercessione di Giuseppe Albenga e catalogato nel 1977, grazie a un finanziamento CNR ottenuto proprio da Nelva e Signorelli. A consentire oggi questa nuova lettura dell'opera è il confronto tra i documenti dell'archivio Porcheddu e quelli conservati presso l'archivio Hennebique a Parigi e presso l'Archivio storico capitolino, nelle tortuosità del fondo dell'Ufficio V. La ricerca ha mostrato ancora una volta tutto il proprio fascino. La fitta corrispondenza, la cui sequenza si è ricomposta grazie alle veline rinvenute nei copia-lettere rispettivamente degli uffici di Torino, Roma e Parigi, ancora oggi, dopo più di 100 anni, trasmette vividamente l'audacia, la preoccupazione, l'orgoglio, la capacità, l'emozione dei tecnici che hanno ideato e costruito il più ardito ponte sul Tevere. Una struttura "ardita e seducente" Se il ponte in località Albero Bello fosse stato realizzato seguendo il primo progetto approvato, oggi non saremmo qui a parlarne ancora. Fortunatamente, la storia si è presto complicata. Cominciamo dall'inizio: a giugno del 1909, l'assessore ai lavori pubblici, vice sindaco e vice presidente del comitato per le celebrazioni del cinquantenario dell'Unità d'Italia, Rosario Bentivegna, ingegnere, sta raccogliendo, secondo le consuete modalità dell'appalto a trattativa privata, proposte e preventivi per il ponte in cemento armato che l'Amministrazione comunale, solo a metà del mese precedente, ormai in grave ritardo rispetto all'inizio dei festeggiamenti, ha deliberato di realizzare per collegare la piazza d'Armi con Vigna Cartoni, i due siti scelti per ospitare la sezione etnografica e quella artistica della grande Esposizione. L'assessore ha già ricevuto qualche promessa di progetto e quando incontra Porcheddu, domenica 20 giugno, a Roma per altri lavori, ne parla anche con lui. Porcheddu, verificato che le altre ditte contattate presenteranno tutte ponti a tre luci, adeguandosi cioè al modello tradizionale più diffuso sul Tevere, azzarda e propone un ponte a unica luce, 100 metri netti, inevitabilmente ribassatissimo vista la configurazione del fiume e dei muraglioni d'argine. | << | < | > | >> |Pagina 50Un mistero per la scienza delle costruzioniIl Ponte del Risorgimento costituisce una delle maggiori attrattive dell'Esposizione e uno dei più importanti ricordi dell'evento. Ma se il pubblico manifesta chiaramente la fascinazione suscitata dalla sfida alla forza di gravità, saranno soprattutto gli scienziati a fare dell'opera un modello di riferimento, per cui nei decenni a seguire nessun progettista di ponti potrà fare a meno di confrontarsi con il "tipo Risorgimento". Decine di testi dei principali teorici dell'epoca si susseguono, in tutte le lingue, basati su documenti più o meno apocrifi: prima solo articoli di semplice descrizione dell'opera da record, poi saggi per dimostrarne l'irrazionale progettazione e la condanna da parte della teoria dell'elasticità, che ne suggerirebbe l'imminente crollo; poi per giustificarne invece il comportamento, ormai validato dal tempo, alla luce della semplice introduzione di un correttivo plastico nei calcoli; poi, soprattutto commenti dei progettisti, anche solo per rimarcare il rifiuto del modello o le migliorie apportate. Tutti contribuiscono a rendere il ponte del Risorgimento "una specie di mito". La discussione è naturalmente intorno ai calcoli: che teoria è stata seguita per il dimensionamento? Quella empirica di Hennebique, notoriamente sbagliata? E se si verifica con la teoria elastica, che succede? Sembra proprio che il ponte sia destinato a crollare ... A innescare il dibattito è il volume celebrativo che Porcheddu pubblica in occasione della cerimonia di apertura, a maggio del 1911, nella quale non resiste e dichiara che "la stabilità dell'opera nelle sue diverse parti venne verificata essenzialmente coi criteri di calcolo pratico dettati dall'Hennebique, i quali in confronto dei calcoli strettamente teorici, hanno, insieme alla costante conferma del successo, anche l'incontestabile pregio di quella semplicità che deriva dalla chiara e viva interpretazione del comportamento effettivo dell'opera, più che dal solo svolgimento matematico di ipotesi praticamente incomplete ed incerte". Parvopassu, che nel frattempo ha fatto carriera ed è diventato professore di meccanica applicata all'Università di Padova, non ci sta e, firmando un articolo il giorno successivo, contraddice l'affermazione, dichiarando che se si sottopone l'opera "ai calcoli rigorosi appropriati [...] si ha la soddisfazione di ottenere per le deformazioni elastiche della grande arcata risultati che godono della miglior corrispondenza con quelli sperimentali". Parvopassu difende dunque il ponte, anche per non rischiare di essere associato a un'opera eseguita senza il necessario rigore scientifico. Tra i due, comunque, è una sfida a carte coperte: nessuno pubblica ancora nemmeno un'equazione, anche perché la commissione di collaudo non ha concluso i suoi lavori, essendo previsto da capitolato che il collaudo definitivo venga eseguito un anno dopo l'ultimazione del getto dell'arcata. Nel frattempo Hennebique decide di eseguire una prova di carico a vibrazione, ottenuta ripetendo colpi ritmati a lungo, i cui effetti sono considerati peggiori del terremoto: di fatto una prova promozionale per il cemento armato, per innescare un'improbabile risonanza, così temibile e disastrosa invece per i ponti metallici. Se ne era cominciato a scrivere già a metà marzo, ma servono truppe militari di uomini disarmati, da far marciare a passo "ginnastico". Chiera fa quello che può per ottenerle ma sembra una missione impossibile: alla fine tutto si sblocca grazie all'intervento di Mario Chiaraviglio, consigliere di amministrazione della società Porcheddu e soprattutto genero del "tout puissant" Giovanni Giolitti, da marzo del 1911 Presidente del Consiglio. Le prove si svolgono infine il 17 luglio, di mattina e di pomeriggio, e sono dirette da Hennebique, alla presenza — nel pomeriggio — di Ettore Sacchi, Ministro dei Lavori Pubblici, del Sindaco e naturalmente della commissione di collaudo al completo e da Parvopassu. I 4 flessimetri Rabut registrano, in circa 300 diagrammi siglati dai tecnici presenti, il coreografico balletto di uomini, crescenti in proporzione aritmetica da 30 fino a 990, ben allineati in 15 file, che ripetono da una sponda all'altra, andata e ritorno, 74 passaggi con cadenza ritmata dalla musica. E il ponte risponde a meraviglia, rivelando elasticità perfetta e rigidezza monolitica e dimostrando incontrovertibilmente l'assoluta superiorità ai ponti metallici, che a parità di condizioni avrebbero subito enormi oscillazioni. | << | < | > | >> |Pagina 62ILARIA GIANNETTIBRIDGING ITALY
1943-1952. DIARIO DELLA RICOSTRUZIONE
La guerra che porta alla liberazione dell'Italia è una guerra di territorio. Le reti, stradale e ferroviaria, sono obiettivi strategici, sia per le truppe in ritirata che per quelle avanzanti. Migliaia di ponti sono danneggiati e distrutti, tonnellate di ferro, mattoni e cemento annegate nei fiumi. Il 'pronto soccorso" alle strutture, guidato dal Genio Alleato, si basa sul "recupero del recuperabile". Con improvvisazione, intuito e coraggio le procedure "standard" dei manuali americani si combinano con l'esperienza del cantiere artigianale nazionale. Si interviene "chirurgicamente" sulle strutture bombardate o fatte saltare: sollevando, ripulendo, combinando insolitamente materiali e schemi strutturali. La Ricostruzione, successiva di pochi mesi e poi sostanziata dagli aiuti economici degli Stati Uniti, è un'impresa senza precedenti per gli ingegneri e le imprese italiane. Occorre rimettere in funzione la rete ferroviaria e potenziare quella stradale, al passo con la ripresa economica del Paese. È così che le sperimentazioni azzardate negli anni precedenti maturano in una dimensione professionale e collettiva. settembre 1943 [Landing] Il 3 settembre l'Italia sigla l'Armistizio con Inghilterra e Stati Uniti. Per la "risalita" delle truppe, da quel momento Alleate, la ferrovia è il mezzo logistico fondamentale. Ancora prima dell'annuncio via radio dell'armistizio l'8 settembre, la compagnia delle Railway Construction Troops sbarca a Reggio Calabria. È un corpo speciale dell'esercito angloamericano costituito da ingegneri addestrati per i ripristini di emergenza e per l'esercizio militare delle sedi ferroviarie, "sconquassate, saccheggiate, interrotte a ogni corso d'acqua". Si avvia l'operazione Baytown che, aprendo la via tra i porti di Reggio Calabria e Taranto e la costa adriatica, supporta l'avanzata dell'Ottava Armata britannica. Le travate di ferro dei grandi viadotti ottocenteschi, 10 solo sulla linea Reggio-Taranto, sono rapidamente recuperate, rimesse in posizione e "consolidate"; i due viadotti in muratura di Barletta e Foggia demoliti e ricostruiti ex novo con materiale americano. "Nonostante si tratti di opere esclusivamente temporanee, in termini d'iniziativa e intraprendenza l'operazione è stupefacente". Realizzate senza alcuna strumentazione meccanica (se non quella reperibile nei dintorni), le strutture riparate sosterranno l'incessante passaggio, per i 18 mesi successivi, dei convogli militari tra i porti della costa occidentale e di quella orientale.
Contemporaneamente, l'esercito tedesco avvia l'operazione
Alarico
con l'ordine di ostacolare
l'avanzata facendo saltare i ponti sulle principali
vie di comunicazione a sud di Roma. Sono
distrutte così tutte le strutture da Salerno al
Garigliano, rendendo invalicabili gli orridi del
Volturno e del Calore. Nei dintorni di Roma solo
i ponti della via Tiburtina rimangono in esercizio,
consentendo il passaggio del convoglio del Re
in fuga verso il porto di Pescara.
ottobre 1943 [Settle down] L'8 ottobre, trascorso solo un mese dall'avvio delle operazioni, il Comando Alleato annuncia la propria esclusiva responsabilità e competenza nell'esercizio militare e nella ricostruzione dell'intera rete ferroviaria italiana. Scarseggiano i materiali (il tempo tra l'ordinativo in Inghilterra o negli Stati Uniti e l'arrivo in cantiere supera i 6 mesi) e in genere, "il Paese è pigro (così come la manodopera) i dirigenti incompetenti e sopraffatti del lavoro, ma i tecnici sono intelligenti e perspicaci". Per la gestione della rete, il territorio è diviso in comparti regionali ricalcando la struttura delle FS (Ferrovie dello Stato) e dell'appena soppressa AASS (Azienda Autonoma Statale della Strada) il cui direttivo passa in mani americane. Ogni comparto territoriale è diretto da un tecnico inglese o americano (Regional Engineer) che ha il compito di fare eseguire i progetti in ordine di priorità militare, erogare i relativi finanziamenti, comparare e distribuire il materiale necessario e collaudare l'opera. I ripristini temporanei e i lavori ferroviari sono eseguiti dal Genio Alleato, coadiuvato dalla manodopera locale, e supportati dall'impiego del materiale e dei manuali in dotazione dell'esercito. Le ricostruzioni stradali, invece, eseguite sempre con materiale fornito e controllato dall'Amministrazione militare, approvate e collaudate dal Regional Engineer, sono invece affidate a imprese e progettisti locali. L'esecuzione è mediata dall'istituzione di un Ufficio Speciale del Genio Civile per la Viabilità Statale (USGCVS), alle dipendenze del Governo Militare Alleato (AMG), che gestisce i rapporti con le imprese, i progettisti e i fornitori locali. [...] febbraio/marzo 1945 [al Po] Le truppe alleate hanno faticato tutto l'inverno tra i tornanti dell'Appennino ma ormai si prevedono ancora poche settimane per la "cattura" delle ultime posizioni nemiche oltre il Po. La ferrovia è ancora una volta sostanziale per la riuscita delle operazioni. "Scheletro" a sostegno dell'occupazione è il trasferimento di truppe dai porti dell'Italia centrale. A ovest deve essere necessariamente ripristinata la Line 217/18 (Pisa-Pistoia-Prato), la vecchia Maria Antonia del Granducato. I lavori, però, sono particolarmente impegnativi e non ci sono garanzie sulle tempistiche (il traffico si interrompe, infatti, in corrispondenza della lunga galleria di Serravalle, saturata da oltre 1,5 km di macerie). Occorre tentare il ripristino alternativo della Line 219 (Pisa/Empoli/Firenze), l'antica Leopolda, basilare per la logistica dell'avanzata. Così mentre le scavatrici lavorano disperatamente a Serravalle, le Railway Troops si cimentano nel ripristino del grande viadotto sull'Arno a Montelupo. Quello originario, composto di 5 archi in muratura e cemento, è gravemente danneggiato dalle mine tedesche; inoltre, per l'andamento obliquo delle pile rispetto al fiume, è impossibile impiegare travi standard. Si sceglie, così, di affiancare al rudere un ponte temporaneo costruito con materiale Bailey affidando, simultaneamente, a un'impresa italiana la ricostruzione degli archi, con volte in calcestruzzo su centine Melan. 25 aprile 1945 [Verona] La mattina del 26 aprile, Verona si sdoppia sulle sponde dell'Adige. Nella notte della Liberazione l'ultima azione della resistenza fascista, nella più importante delle capitali della Repubblica di Salò, si consuma con la distruzione di tutti i ponti della città. Le mine non risparmiano i ponti medioevali, finora schivati dalle bombe (perché protetti dal veto posto dalla Commissione per i Beni culturali del Comando Alleato). Prontamente si allestiscono i ripristini provvisori sulle rovine, mentre per le delicate ricostruzioni (portate a compimento con la speciale supervisione del Ministero della Pubblica Istruzione) si dovrà aspettare la metà degli anni '50. Nel 1949, i manufatti più antichi sono ancora tutti da ricostruire. Così, sulle loro rovine, si interpretano anche le nuove edizioni di Romeo e Giulietta: tra le macerie del ponte di Castelvecchio si bagnano i protagonisti del film di André Cayatte, "Les Amantes de Vérone". aprile 1945 [Liberi di sperimentare/linea Gustav] Mentre il Comitato di Liberazione Nazionale assume pieni poteri, la linea Gustav, abbandonata dalle truppe Alleate, si anima di un nuovo fermento. Si inaugurano i cantieri delle prime ricostruzioni. Il Ministero dei Lavori Pubblici del Governo Provvisorio di Roma indice gli appalti per un numero ingente di strutture: solo sul Liri, occorre rimettere in esercizio oltre 50 ponti. Le imprese rispondono agli inviti con grande entusiasmo. E chiamano a collaborare gli ingegneri. È l'occasione per dimostrare, da liberi (professionisti), le proprie capacità tecniche e l'abilità di esecuzione. A San Giorgio sul Liri, l'impresa Bajocchini Cinti Rinversi si aggiudica l'appalto per la ricostruzione del ponte Ercolaneo che collega la via Appia con la via Casilina. L'offerta è conveniente secondo tutti i principi che informano l'appalto: economia dei costi (i fondi disponibili sono ancora esclusivamente quelli "passati" dall'AMG), ristrettezza dei mezzi di cantiere, impiego del cemento, unico materiale per il quale il governo alleato è in grado di assicurare la fornitura (il ferro è ancora requisito dai reparti militari per le necessità della Campagna). La proposta, vincente, è firmata da Riccardo Morandi: una travata rettilinea appoggiata alle spalle superstiti "senza aggiungervi alcun peso". La trave è "contrappesata" in modo che il momento flettente in mezzeria risulti circa la metà di quello agli appoggi. Per la realizzazione del contrappeso, le 4 nervature longitudinali della trave si prolungano oltre gli appoggi, come mensoloni a sbalzo, piegandosi fino alla soletta di fondo di un cassone riempito di calcestruzzo. [...] giugno 1946 [Liberi di sperimentare / in città] Proclamata la Repubblica, si cominciano a ricostruire le città e i loro ponti. Se ne occupa direttamente il Ministero dei Lavori Pubblici che indice gli appalti e supervisiona il progetto e il cantiere. Il primo è il ponte San Nicolò a Firenze, città che merita prioritaria attenzione. La presentazione delle offerte dovrà avvenire entro l'11 novembre. Il 10 ottobre il capitolato d'appalto è modificato dal Consiglio Superiore che dettaglia l'oggetto dell'incarico in più operazioni: la demolizione del ponte in cemento armato iniziato a ridosso della guerra e mai portato a compimento, lo smantellamento delle travi Bailey, il recupero dei materiali (che rimarranno di proprietà della stazione appaltante), lo sgombero dell'alveo dalle macerie, il progetto e la realizzazione del nuovo manufatto. La gara ha un eccezionale prestigio e vi partecipano tanto le imprese più affermate del settore quanto le imprese più piccole, unite in raggruppamenti temporanei. Tra queste si distingue la SPER (Strade Ponti Edilizia Ricostruzioni), fondata per l'occasione dalla F.11i Giovannetti e dalla Bajocchini Cinti Rinversi, due imprese "familiari" unite dalla fortunata collaborazione con Riccardo Morandi nella ricostruzione dei ponti della valle del Liri. La SPER si aggiudica l'appalto a dispetto delle vantaggiose offerte della Ferrobeton e della Stoelcker: il progetto di Morandi non solo è il più conveniente sul piano economico (106.400.000 di lire contro i 108.000.000 di lire della Ferrobeton) ma è anche il più adatto "ad inquadrare i colli fiorentini a monte e la città a valle". L'arco in cemento armato, fortemente ribassato, di 91 m di luce per 7,5 m di freccia, soddisfa le "esigenze estetiche notevolissime" con "una linea purissima", "leggerezza di volumi" e "appropriata intonazione cromatica", secondo il giudizio della commissione. Il rapporto tra la luce e la freccia è determinato in seguito a un lungo studio in cui l'analogia estetica con il modello di ponte del Risorgimento si confronta con la scelta di uno schema statico completamente differente. Il cantiere è consegnato all'impresa il 3 settembre 1947. Per il getto è installata la prima centina prodotta con sistema Innocenti dopo la guerra: il progetto dell'incastellatura coinvolge Morandi in un serrato carteggio con i tecnici dell'impresa Ponteggi Tubolari Dalmine Innocenti con l'intento di mettere in opera, attraverso un'accurata pianificazione dei getti dell'arco per conci successivi, una centina leggera senza sprechi di materiale. L'arcata è disarmata il 5 ottobre 1948, sotto l'occhio di numerosi tecnici interessati al comportamento del ventaglio di tubi e con la speciale consulenza di Attilio Arcangeli, professore di Tecnica delle Costruzioni dell'Università di Firenze, che esegue il monitoraggio delle deformazioni dell'arco. Scalzata dalla SPER a Firenze, la Ferrobeton, con lo stesso prezzo a "forfait" di 108 milioni di lire, si aggiudica la commessa per la ricostruzione del ponte di Mezzo a Pisa. | << | < | > | >> |Pagina 86GIANLUCA CAPURSO, FRANCESCA MARTIRELA CRISI (IN) VISIBILE 1964-2001. CRONACHE ITALIANE Dalla metà degli anni Sessanta, con l'esaurirsi del miracolo economico, le condizioni che hanno favorito il successo della Scuola di Ingegneria italiana nel dopoguerra cambiano inesorabilmente, contribuendo al suo rapido declino. La crisi investe molti ambiti, manifestandosi sotto varie forme. Cambia il modo di costruire. Il cantiere tradizionale lascia il posto ad officine di prefabbricazione, e l'operaio/artigiano alla macchina. L'utilizzo di innovative e sofisticate attrezzature riduce l'impiego di manodopera, sempre più costosa, ed è giustificato dall'obiettivo di ottenere economie di scala, migliorare la produttività e conseguire rapidità costruttiva. I cantieri stradali e ferroviari, in particolare, sono specchio di questa evoluzione. La meccanizzazione e la produzione in serie favoriscono la trasformazione tipologica delle soluzioni strutturali: il ponte ad arco scompare (o quasi) mentre si diffonde il viadotto a pile alte e travate, standardizzato e spersonalizzato. Cambia il progettista di grandi strutture. L'università di massa costringe a modificare le modalità di reclutamento e progressione in carriera dei docenti, interrompendo un po' alla volta, ogni proficua osmosi tra ricerca scientifica e professione progettuale. I percorsi didattici sono riformulati per soddisfare le esigenze di specializzazione dell'industria, dove la figura dell'ingegnere polivalente ha sempre meno appeal. L'arrivo del computer stravolge l'attività quotidiana del progettista. Cambia la politica delle opere pubbliche. L'aggiornamento schizofrenico della normativa nazionale sugli appalti, le deroghe ripetute all'applicazione delle leggi e le urgenze "provocate" sono terreno fertile per corruzione e criminalità, di cui restano vittime trasparenza e sana competizione tra le imprese. Si moltiplicano i committenti pubblici, proliferano le Amministrazioni competenti a rilasciare pareri e nulla osta, la burocrazia e il contenzioso complicano i procedimenti, dilatano i tempi di progetti e cantieri e fanno lievitare i costi di costruzione. Resta una pletora di opere incompiute, di cui è anche difficile dimostrare l'utilità. Cambia l'impresa di costruzioni. Termina il protezionismo nazionale e la nuova competizione nell'agguerrito Mercato unico europeo obbliga a concentrazioni industriali e ristrutturazioni organizzative. Le imprese di costruzioni generali si trasformano in società finanziarie, il subappalto alle ditte specializzate nelle opere strutturali diviene la regola, l'orgoglio imprenditoriale si spegne sacrificando anche la qualità ed è favorita l'infiltrazione della criminalità organizzata.
Rileggendo alcuni episodi di cronaca italiana, selezionati tra quelli in cui sembrano più riconoscibili
i segnali del cambiamento, è possibile ricostruire un quadro, certamente non definitivo, di ciò che
è successo da quando sono "scomparse le lucciole".
La crisi e la politica delle opere pubbliche. 1. Il 4 ottobre 1964 si apre al traffico l'ultimo tratto, tra Chiusi e Orvieto, dell'Autostrada del Sole e si inaugura ufficialmente l'intero tracciato. Tre dei suoi viadotti — il "Poggettone e Pecora vecchia", il "San Giuliano" e il "Le Rovine" — meritano di essere celebrati anche oltreoceano alla Mostra Twentieth Century Engineering, tenutasi al MOMA di New York nell'estate dello stesso anno. Malgrado il plauso internazionale alle ardite opere di ingegneria costruite lungo tutto il tracciato, i limiti della programmazione dello Stato nel settore delle infrastrutture attirano alla nuova autostrada anche dure critiche, soprattutto dalla sinistra parlamentare e dai suoi organi di stampa, che denunciano gli interessi industriali sottesi al progetto, al grido di "abbiamo l'autostrada ma non sappiamo bene a che serve".
Intanto l'entusiasmo per l'eccezionale risultato raggiunto in appena otto anni di cantieri cede al
disincanto: "Il segno del cambiamento si ebbe nel '64. Prima mi avevano lasciato tranquillo, forse
perché non credevano nelle autostrade, forse perché non si erano neppure accorti di quello che
stava accadendo. Ma nel '64, con la fine dell'Autosole, cominciarono gli appetiti, le interferenze
[...] Nel '68 i politici non desideravano più discutere, ma solo comandare [...] I tecnici non
contavano più niente" ricorda negli anni Settanta l'ingegnere Fedele Cova, Amministratore Delegato
della Società Concessioni Costruzioni Autostrade, principale artefice della nuova "spina dorsale"
d'Italia.
La crisi e il progettista di grandi strutture. 1. L' 8 settembre 1965 la IN.CO. di Silvano Zorzi, la Alpina Spa, la Italconsult della Società Autostrade e altre organizzazioni attive nel campo della progettazione di infrastrutture stringono un'intesa. L'obiettivo dell'accordo, che anticipa la fondazione dell'Organizzazione di Ingegneri Consulenti operanti all'Estero (OICE), è lo sviluppo di una politica comune per le attività oltre confine. In Italia, invece, le società di ingegneria sono costrette ad operare in un paradossale regime di semiclandestinità. Una anacronistica legge del 1939, infatti, impedisce loro di svolgere l'attività professionale, che può essere esercitata solo dai singoli ingegneri o architetti, abilitati e iscritti all'albo, con la sola eccezione di enti, istituti pubblici e uffici tecnici delle aziende private. Emanata all'epoca delle leggi razziali, la norma impediva ai professionisti di origine ebraica di lavorare celandosi dietro la forma societaria. La maggior parte degli ingegneri italiani, compresi Pier Luigi Nervi e Riccardo Morandi, esercitano nella forma dello studio tecnico, dove è sottolineato, nel nome, il carattere personale dell'attività. Così, mentre nei Paesi industrializzati, dal dopoguerra, si costituiscono grandi e competitive società di ingegneria, in Italia permangono condizioni di arretratezza organizzativa.
Bisognerà attendere il 1986 per la sentenza della Corte di Cassazione che riconosce la legittimità
dell'esercizio, in forma societaria, dell'attività di progettazione e il 1994 per l'abrogazione definitiva
dell'antico divieto.
La crisi e la politica delle opere pubbliche. 2. È il 20 gennaio 1966. L'ex Direttore Generale dell'Anas ricorre contro il provvedimento di sospensione dal servizio per atti di indisciplina verso il Ministro dei lavori pubblici, Giacomo Mancini. Le venti pagine dattiloscritte inviate il 10 novembre dell'anno precedente all'ingegnere Giuseppe Rinaldi, uno dei pionieri del cemento armato precompresso in Italia, illustrano doviziosamente i motivi che hanno indotto il Ministro ad adottare una misura così severa nei suoi confronti: inosservanza dei doveri d'ufficio, contegno scorretto verso i superiori e denigrazione degli stessi, comportamento non conforme al decoro delle proprie funzioni, abuso di autorità e di fiducia. Numerosi episodi "hanno creato una situazione che ha impedito ed impedisce una piena ed efficiente collaborazione tra il Ministro Presidente dell'Azienda ed il Direttore Generale Ing. Rinaldi e che perciò incide negativamente sull'attività dell'azienda stessa". Tra le contestazioni dell'onorevole Mancini, emerge la ragione principale del conflitto: la resistenza opposta dal tecnico alle ingerenze del Gabinetto del Ministro sugli appalti per i lavori dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Rinaldi ha infatti respinto l'esplicito desiderio espresso da Mancini di estendere anche alla ditta Chiementin l'invito ad una procedura di gara.
Nel giugno 1971 scoppierà lo scandalo delle tangenti dell'8% sugli appalti venduti dell'ANAS, che
travolgerà anche il successore di Rinaldi, Ennio Chiatante.
La crisi e il modo di costruire. 1. Il 16 marzo 1967 è stipulato il contratto di appalto tra l'ANAS e l'impresa Lodigiani di Milano per la realizzazione del viadotto Italia sul fiume Lao, lungo l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, il più alto d'Europa al termine della sua costruzione. Ben 255 metri separano l'impalcato dal fondo valle. L'eccezionale quota è imposta dalla scelta del tracciato interno, che l'Anas preferisce a quello tirrenico, nonostante la maggiore lunghezza e i costi per chilometro ampiamente superiori. Già nel 1964, per decidere la migliore soluzione strutturale, era stato bandito il concorso nazionale di progettazione per ingegneri e architetti italiani, vinto da Fabrizio de Miranda, Carlo Cestelli Guidi e Pellegrino Gallo con l'idea di un viadotto misto in acciaio e calcestruzzo. L'appalto concorso per la redazione del progetto esecutivo e la costruzione dell'opera vede prevalere la Lodigiani che, per la travata metallica a cassone di 175 metri di luce, si avvale della ditta Badoni e di Gino Covre per la progettazione esecutiva. Per le pile più alte si rinuncia alla realizzazione di casseforme sostenute dalle tradizionali incastellature di tubi Innocenti. La costruzione è resa più economica ed efficiente dall'adozione del sistema di casseforme scorrevoli automontanti "Prometo", un brevetto svedese di cui la ditta Lambertini, intervenuta in subappalto, è concessionaria in esclusiva per l'Italia. Già sperimentata sull'Autostrada del Sole per il ponte sul Tevere e sulla ferrovia Roma-Firenze a Santa Maria, la tecnologia è ormai di largo uso nei cantieri stradali poiché consente rapidità di esecuzione, precisione delle superfici e controllo della verticalità della pila. Una versione ad hoc è messa a punto, per la prima volta in Italia, per realizzare le colonne a sagoma rastremata del viadotto. La crisi e il progettista di grandi strutture. 2. Nella primavera del 1968 la contestazione studentesca raggiunge il Politecnico di Torino. La Legge n. 685 del 21 luglio 1961 ha aperto l'accesso alle Facoltà di Ingegneria, originariamente riservato ai diplomati dei licei, anche ad una selezione nazionale di studenti degli Istituti tecnici industriali, per geometri e nautici, cancellando l'ottocentesco carattere elitario degli studi.
In seguito al vertiginoso aumento degli iscritti e alle trasformazioni dell'Università di massa, i futuri
ingegneri, tradizionalmente refrattari alle tendenze rivoluzionarie, avvertono i rischi della
spersonalizzazione della loro attività professionale. Diventano consapevoli che il loro titolo di studio, così
faticosamente conseguito, gli procura sempre più raramente un futuro lavorativo da progettista o
da ricercatore. Nella realtà industriale torinese vengono, infatti, relegati sempre più spesso a ruoli
di controllo dei processi e della forza lavoro. I gruppi studenteschi criticano così le richieste
dell'industria ai neolaureati: "il buon ingegnere dovrà porsi il problema di distribuire le attrezzature
nella fabbrica, di tagliare i tempi, di aumentare i ritmi, in base al principio del minimo costo e quindi
del massimo profitto contrabbandato come esigenza tecnologica".
La crisi e il modo di costruire. 2. Il 4 maggio 1969 iniziano i lavori del primo tronco, da Trento a Bolzano, dell'Autostrada del Brennero. | << | < | > | >> |Pagina 108Questa sezione è riservata ad un fotoracconto a puntate che illustra la storia dell'ingegneria strutturale in Italia nel suo complesso.Sono previste dieci puntate. La prima e la seconda puntata sono state pubblicate nel primo volume della serie (SIXXI1, 2014), la terza e la quarta nel secondo volume della serie (SIXXI2, 2015), la quinta e la sesta sono in questo volume. Le altre saranno inserite nei successivi. Nella prima puntata viene riportato in rapida sintesi lo sviluppo della costruzione metallica nell'Ottocento. La seconda ripropone il primo periodo pionieristico del cemento armato. La terza riguarda le sperimentazioni negli anni dell'autarchia e della seconda guerra mondiale. La quarta puntata è riservata alla ricostruzione postbellica. Le puntate quinta, sesta, settima, ottava sono dedicate alle grandi opere degli anni del miracolo economico: l'Autostrada del Sole, le Olimpiadi, Italia '61, i grattacieli, le invenzioni di Morandi. La nona puntata concerne i capolavori degli anni settanta realizzati quando è già in corso il declino della Scuola italiana. La decima puntata riguarda la situazione più recente con i tentativi di ritrovare un'identità all'ingegneria italiana. | << | < | > | >> |Pagina 109| << | < | > | >> |Pagina 130| << | < | |