|
|
| << | < | > | >> |IndiceNascere 9 Prologo. Un'origine sfuggente 18 1. Dare nascita a se stessi 26 2. Venire al mondo 35 3. Crescere 44 4. Abitare il mondo 53 5. Dimorare in se stessi 63 6. Essere-con 72 7. Diventare se stessi 82 8. Linguaggio per produrre qualcosa o qualcuno? 93 9. La fonte della parola 104 10. Un universo di conoscenza e doveri 114 11. Gratitudine e riconoscimento 124 12. Desiderio come rinascita 132 13. La necessità dell'amore 141 14. Dare nascita l'uno all'altro 151 15. Concepire un mondo nuovo 162 16. Generare il futuro 171 Epilogo. Con passi di colomba 181 Riferimenti bibliografici |
| << | < | > | >> |Pagina 9Prologo
Un'origine sfuggente
Svelare il mistero della nostra origine è ciò che probabilmente muove le nostre ricerche e i nostri progetti. La questione ci preoccupa a tal punto che, forse, non abbiamo ancora cominciato a vivere, sia in noi stessi sia nel mondo. Vorremmo sapere da dove proveniamo, da che cosa e da chi esistiamo, per poter vivere lì e crescere in continuità con quello - si tratti di un luogo o di una persona - da cui veniamo. Il nostro sogno più intimo potrebbe consistere nell'essere un albero, la cui esistenza è determinata dal luogo in cui affonda le radici. Da lì prende avvio la nostra incessante ricerca delle origini: nella nostra genealogia, nel luogo in cui siamo nati, nella nostra cultura, nella nostra religione o nella nostra lingua, e anche in ciò che progettiamo per un lontano futuro, ma che, in realtà, corrisponde alla ricerca della più indiscernibile prossimità. Chi potrebbe affermare di non stare cercando la propria origine nei suoi sogni che riguardano il futuro? Nei suoi desideri amorosi? Nelle sue aspirazioni verso l'aldilà? Chi ha riflettuto abbastanza sulla natura della propria origine in modo da porsi in relazione con ciò o con chi è qui e ora, ed essere così capace di prendere delle decisioni solo da sé? In altre parole, chi è in grado di determinare il proprio modo di pensare senza fare appello a un'intima nostalgia, quantomeno per comprendere in che cosa consiste la propria origine? Ora, questa comprensione si dimostra impossibile. Diventiamo esistenti recidendo il legame con la nostra origine - ex-sistendo. Infatti siamo nati uno(a) da un'unione tra due. Siamo il frutto di una relazione copulativa tra due esseri differenti. Il nostro stesso essere è l'incarnazione che sussiste in virtù del congiungersi di due esseri umani. La nostra esistenza è un'attualizzazione dello sfuggente evento di un incontro tra due esseri umani - un essere maschile e un essere femminile - che hanno messo al mondo un bambino o una bambina. Così, noi siamo privati per sempre della nostra origine - non siamo né piante né Dio. E resteremo per sempre lacerati tra l'esistenza e il mondo che un essere vegetale è capace di procurarsi per se stesso e l'autosufficienza, senza inizio né fine, di Dio. Siamo 1'ek-stasi di un'unione, l'imprevedibile avvento di un inappropriabile evento. L'origine del nostro essere è sospesa in una connessione tra due termini che sfuggono ogni predizione e ogni predicazione. Eppure siamo qui - presenza di un «è» senza un «essere» originariamente identificabile. Dobbiamo incaricarci del nostro essere - se non dell'Essere. Dobbiamo prenderci cura dell'essere preservando il potenziale della relazione copulativa tra due differenti esseri umani, il luogo di una trascendenza in relazione a ogni esistenza personale. Non abbiamo ancora assunto un tale destino. Non abbiamo ancora risposto alla nostra umana sorte. Immaginiamo il nostro destino paragonandolo all'animalità o alla divinità, ma non in quanto esseri umani, la cui sorte è farsi carico della propria esistenza a partire da un'inappropriabile essenza. | << | < | > | >> |Pagina 15115.
Concepire un mondo nuovo
Non vi è alcun dubbio che una certa epoca della nostra cultura sia al termine: quella della metafisica, che alla fine si è incarnata in un'era tecnica e scientifica che da allora in poi è la nostra. In effetti, o l'umanità e il mondo in cui dimora sono destinati a scomparire, o noi troviamo il modo di tornare o ritornare a ciò che significa essere umano per riflettere a fondo su di esso, in quanto primo agente del nostro destino, e sulla possibilità di giungere a una parola di cui la tecnica e le tecnologie non possono privarci, riducendoci a una sorta di meccanismo meno performante di quelli che siamo in grado di fabbricare. È in noi stessi, in quanto esseri umani incarnati, che possiamo trovare un modo di pensare come sfuggire al dominio della tecnica e delle tecnologie senza sottovalutarne i vantaggi. Invitandoci a liberarci dalla soggezione a ideali sovrasensibili, Nietzsche ci indica, almeno in parte, verso quale direzione volgerci. Ma il suo insegnamento è innanzitutto critico, ed è quello che ha ispirato la decostruzione della metafisica occidentale portata avanti, dopo di lui, da Heidegger e dai suoi seguaci. Se Nietzsche ha intuito giustamente che dobbiamo ricominciare da zero, iniziando in particolare dalla nostra appartenenza fisica per passare dal vecchio uomo occidentale a una nuova umanità, egli non ha avuto il tempo di aprire il cammino o di costruire il ponte per raggiungere questo obiettivo. Temo che anche la «volontà di potenza» e l'«eterno ritorno», in un modo o nell'altro, rimangano nell'orizzonte della nostra logica passata. Agiscono come strumenti della sua interpretazione, ma forniscono una prospettiva che ci consente di liberarci da essa. Tuttavia, le «intuizioni ispirate» di Nietzsche, come le chiama Heidegger, non ci forniscono la struttura di cui abbiamo bisogno per costruire una cultura adatta alla nostra incarnazione. Questa struttura - Heidegger talvolta la chiama «ispezione» -, che rende possibile l'avvento di una nuova epoca della verità e della cultura, d'ora in poi deve risiedere nel nostro corpo, dal momento che è una struttura adatta a esso, tramite la quale può dirsi di nuovo fin quando il mondo e tutti gli elementi che vi prendono parte sono coinvolti. Questo tipo di struttura esiste e si esprime già, anche in modo inconscio, nella nostra concezione passata del reale e del linguaggio che ne parla - corrisponde alla sessuazione della nostra identità. In quello che è stato chiamato «essere umano» è rimasto ignorato un aspetto che ne determina la natura e che contribuisce a sottrarlo a una neutralità disincarnata che non gli permette di manifestarsi così com'è, e che riemerge, sebbene la presunta verità del mondo e delle cose non gli corrisponda.
Il rischio rappresentato dalla neutralizzazione
degli umani in quanto esseri viventi adesso sta
diventando evidente a causa della trasformazione in robot di diversi elementi
del mondo, tramite l'organizzazione prodotta dalla mente
umana a partire dal potenziale di meccanismi, di
cui, però, è diventata schiava, esiliata dalla sua
appartenenza vivente. Qualunque sia il loro potenziale performativo, gli esseri
umani eccedono già quello della macchina a diversi livelli. La loro
salvezza può venire soltanto dalla percezione del
rischio e dalla maniera di superarlo, attribuendogli significato, e tramite un
ritorno al proprio essere come specifici esseri viventi. Per superare
una concezione del mondo dominata da un modo
di pensare e di agire tecnico, dobbiamo trovare
un'altra configurazione o struttura grazie alla
quale gli esseri umani possano sfuggire a tale dominio riconoscendo e
interpretando la natura del suo potere. Dobbiamo liberarci dal predominio
tecnico e scientifico sulla nostra epoca e garantire la salvaguardia del
significato tramite una nuova incarnazione dell'essere.
|