Copertina
Autore Jean-Marc Irollo
Titolo Gli Etruschi
SottotitoloAlle origini della nostra civiltà
EdizioneDedalo, Bari, 2008, Storia e civiltà 68 , pag. 180, ill., cop.ril.sov., dim. 14,4x21,5x1,7 cm , Isbn 978-88-220-0568-7
OriginaleHistoire des Étrusques. L'antique civilisation toscane VIII-I siècle avant J.-C.
EdizionePerrin, Paris, 2004
TraduttoreVito Carrassi
LettoreGiorgia Pezzali, 2009
Classe storia antica
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Indice

Nota all'edizione italiana                           6

La fortuna degli Etruschi                            7

Introduzione                                        11

PARTE PRIMA - IL RINASCIMENTO ETRUSCO

Un gran desiderio di arte etrusca                   19
Il mistero della lingua etrusca                     39
Il problema delle origini                           43

PARTE SECONDA - GLI ETRUSCHI ENTRANO NELLA STORIA

Un Eden sulla terra                                 53
Una grande potenza commerciale                      61

PARTE TERZA - UNA CIVILTÀ RAFFINATA

Dal villaggio alla città-Stato                      69
La società etrusca                                  75
L'emancipazione della donna                         79
Il gusto per il lusso                               81
I piaceri aristocratici                             85

PARTE QUARTA - UN POPOLO MOLTO RELIGIOSO

Tagete, Vegoia e Voltumna                           89
Una civiltà mortale                                 95
I luoghi di culto                                   97

PARTE QUINTA - L'ARTE ETRUSCA

Un'arte influenzata                                103
Una forte identità artistica                       109
Una ceramica originale                             117
Un'espressione libera                              121
Grandi maestri nella lavorazione dei metalli       127

PARTE SESTA - GLI ETRUSCHI DI FRONTE A ROMA

Una potenza militare                               131
La grande Roma dei Tarquini                        139
Gli anni del conflitto                             145
Cittadini romani                                   153
Una stupefacente singolarità                       159

Cronologia della civiltà etrusca                   161

Glossario                                          165

Bibliografia                                       169

Indice dei nomi                                    173


 

 

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Introduzione



Nella prima età imperiale i Romani si considerarono eredi di un prestigioso passato artistico che avrebbero potuto solo imitare. Circa un secolo dopo la nascita di Cristo, Plinio il Giovane scriveva in una delle sue lettere:

Se appartengo al novero degli ammiratori degli antichi, non mi riduco però, come fanno certuni, a disprezzare gl'ingegni dei nostri tempi. Non credo infatti che la natura, come se fosse una madre stanca e sfinita, non partorisca più nulla di encomiabile.

L'allusione agli Antichi di Plinio il Giovane non si limita ai soli Greci, di cui i Romani per secoli copiarono arte e letteratura; egli infatti si riferisce anche agli Etruschi, la cui antichissima cultura era fiorita sullo stesso suolo italico. Di essa molti elementi erano ancora vitali all'alba della nostra èra. Tra questi la letteratura etrusca, di cui oggi non serbiamo alcuna traccia. Nel I secolo d.C. circolavano ancora libri etruschi, specialmente in materia di opere di canalizzazione, di geometria e in generale di argomenti tecnici in cui gli Etruschi eccellevano. La stessa commedia romana, secondo Tito Livio, attinse a piene mani dagli Etruschi. Egli riferisce che attori, danzatori e suonatori di flauto furono chiamati a esibirsi a Roma mentre infuriava un'epidemia di peste, nel tentativo di placare gli dèi:

[... ] dei ballerini fatti venire dall'Etruria, danzando al suono del flauto, eseguivano aggraziati movimenti alla moda etrusca. [...] Pertanto la novità fu accolta e s'andò sempre più affermando con l'uso. Agli artisti indigeni, poiché il ballerino era chiamato con parola etrusca ister, fu dato il nome di istrioni.

Da Cicerone apprendiamo invece come l'aristocrazia romana avesse conservato l'abitudine di mandare i propri figli a Tarquinia, città sacra ai loro occhi, come lo era stata Delfi per i Greci e lo sarebbe stata Roma per la Cristianità medievale. Tito Livio conferma tale tradizione: «So da fonti degne di fede che allora [IV secolo a.C.] si era soliti insegnare ai fanciulli romani le lettere etrusche, come oggi quelle greche». Anche la lingua etrusca dovette sopravvivere ancora per qualche tempo presso gli ambienti più colti di Roma, prima di essere definitivamente detronizzata dal greco. Essa comunque scomparve, come lingua viva, fin dal I secolo d.C. La sua singolarità l'ha resa per secoli incomprensibile e ancor oggi presenta agli studiosi notevoli problemi di traduzione.

Tra i Romani che approfondirono il loro interesse per la cultura etrusca si staglia la figura dell'imperatore Claudio (10 a.C.- 54 d.C.), etruscofilo convinto e autore di una storia degli Etruschi in greco in venti volumi, intitolata Tyrrhenika. Quest'opera (purtroppo perduta), secondo quanto afferma Tacito, era oggetto di pubbliche letture, in giorni particolari, in un auditorium del museo di Alessandria d'Egitto fondato dall'imperatore: Claudio può dunque essere annoverato come il primo etruscologo della storia. Egli peraltro non si limitò a restituire agli indovini etruschi il diritto di esercitare la loro disciplina; volendo infatti preservare l'eredità di un'arte divinatoria autenticamente italica, di contro alle «superstizioni» provenienti dall'estero, decretò la creazione dell'ordine dei sessanta aruspici. Questi sacerdoti, versati nella divinazione e nell'interpretazione dei segni inviati dagli dèi, erano reclutati preferibilmente fra le famiglie di più antica nobiltà toscana. Loro compito era di conservare e insegnare l'antica disciplina etrusca. Tacito riporta il discorso che l'imperatore Claudio pronunciò dinanzi al Senato nel 48 d.C.:

Seguì una sua relazione sul collegio degli aruspici, nel timore che una delle più antiche tradizioni d'Italia rischiasse di decadere per incuria. Nei periodi critici dello Stato – egli disse – furono chiamati gli aruspici che, con la loro competenza, riportarono antiche cerimonie alla forma genuina, fissandone meglio le norme per l'avvenire. Di loro volontà o indotti dai senatori di Roma, i maggiorenti dell'Etruria avevano conservato quella scienza religiosa e l'avevano diffusa nelle famiglie; ma ora tutto cadeva in disuso, dato il comune disinteresse verso ogni nobile arte e per il prevalere di manie religiose straniere. Certo – aggiunse – al presente la situazione dello Stato era favorevole, ma bisognava ringraziare gli dèi e non dimenticare nel generale benessere quei sacri riti a cui si ricorreva nel generale disagio.

Tra i ruderi del teatro di Cerveteri, l'antica Caere etrusca, situata a una quarantina di chilometri a nord-ovest di Roma, si è scoperto il frammento di un monumento scolpito in epoca giulio-claudia (I secolo d.C.) raffigurante le allegorie di tre delle dodici principali città etrusche: Vulci, Tarquinia e Vetulonia. Vulci è rappresentata da una divinità femminile, probabilmente la Fortuna, Tarquinia da Tarchon, fondatore della città, Vetulonia da un personaggio con un timone di nave sulla spalla (nel quale è possibile identificare il leggendario re Tirreno). Sotto il governo di Augusto si era in effetti riformata una lega di città etrusche, fra le altre cose impegnata nella messa in scena di drammi religiosi. Questo monumento, legato al culto di un imperatore della dinastia giulio-claudia, che è facile riconoscere in Claudio e ubicato in un teatro, lascia intendere che durante il suo regno rifiorirono i festival etruschi, per iniziativa dello stesso imperatore, che in questo modo incoraggiò una sorta di «Rinascimento etrusco», alla stregua di quanto sarebbe avvenuto a partire dal XV secolo, allorché i principi della Chiesa e delle città italiane favorirono la rinascita della Roma antica.

Non mancano poi elementi che dimostrano come l'arte etrusca, molto prima di quella greca, fosse apprezzata a Roma. Così, dopo la conquista di Veio del 396 a.C., la statua in legno di Uni (Giunone), protettrice della città, fu trasportata sull'Aventino. Secondo Plinio il Vecchio, ben duemila statue della città di Volsinii, assoggettata nel 264 a.C., furono trasferite a Roma. Al di là di quella che può essere un'esagerazione numerica, è certo che nel Foro e sul Palatino numerose sculture etrusche affiancarono per lungo tempo sculture greche; lo stesso Augusto finanziò il restauro di una statua etrusca di Apollo. Dal canto suo Caligola volle che il suo palazzo fosse decorato da un affresco del tempio laziale di Lanuvio, desiderio che restò tale in quanto fu impossibile staccare il fragile dipinto dal suo supporto di stucco. Dell'epoca di Plinio il Giovane sappiamo invece che i più facoltosi collezionisti d'arte avevano un debole per i manufatti etruschi, in particolare per vasi e bronzi. Nelle fonderie di bronzo di Praeneste, non distante da Roma, si lavorò per secoli sulla base di modelli etruschi. Ancora sotto Traiano artigiani etruschi erano impiegati nella fabbricazione di specchi in bronzo finemente incisi, di spille e di recipienti per utensili da toilette e cosmetici.

Fu però soprattutto in ambito religioso che i Romani subirono l'influsso degli Etruschi: nei templi romani l'etrusco restò a lungo la lingua della liturgia, un po' come avviene con il latino e l'ebraico nella moderna liturgia cristiana. Sotto l'imperatore Giuliano, quindi a metà del IV secolo d.C., gli aruspici fondavano ancora la loro scienza su fonti etrusche; appare anzi verosimile che alcuni di questi sacerdoti discendessero direttamente da avi toscani. È lecito affermare che la cultura etrusca non fu mai accantonata per tutta la durata dell'Impero romano. Ma, alla caduta dell'Impero d'Occidente, ogni interesse per i creatori della prima civiltà italiana sembra svanire. Nel corso del Medioevo non sentiremo più parlare di Etruschi, se non a proposito di una loro opera d'arte, la celebre Lupa in bronzo risalente alla prima metà del V secolo a.C., molto popolare e visibile su una torre del palazzo pontificio del Laterano, di fronte alla piazza delle esecuzioni capitali. Talvolta furono i tombaroli a introdursi nei monumenti funebri etruschi in cerca di oggetti preziosi: lo scheletro di uno di questi fu ritrovato in una tomba di Orvieto, vittima del crollo della volta del sepolcro.

Per circa mille anni la brillante civiltà etrusca cadde dunque nell'oblio. Essa non fu riscoperta che nel Rinascimento. Da allora, malgrado i notevoli progressi compiuti dagli etruscologi, restano tanti gli elementi in attesa di essere decifrati. Tuttavia, se ancor oggi la civiltà etrusca è capace di affascinarci, ciò non dipende più dal «mistero» romantico da cui è stata a lungo ammantata, ma dalla qualità delle sue opere e dall'originalità della sua cultura.

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Il problema delle origini



A tener vivo l'interesse verso il mistero etrusco contribuisce anche la questione legata alle loro origini, dibattito che si protrae da secoli. Fin dall'Antichità, in effetti, agli Etruschi era riconosciuta una diversità che li distingueva da tutti i popoli vicini: l'originalità della loro cultura, le peculiarità di una lingua avulsa dal resto del panorama italico, nonché l'improvviso apparire, verso la metà dell'VIII secolo a.C., di una civiltà tanto progredita in un'Italia centrale abitata da popolazioni relativamente arretrate, ancora caratterizzate da un'economia esclusivamente agricola, erano argomenti sufficienti a eccitare la fantasia collettiva e ad alimentare l'ipotesi che si trattasse di una civiltà d'origine straniera. Oggi la questione non assilla più di tanto gli specialisti, dato il suo peso marginale. Dal momento che una civiltà si forma con il concorso di molteplici e differenti influenze e tradizioni – si pensi alla nazione francese, frutto della somma di elementi celtici, latini e germanici – appare vana la fatica di cercare un'origine unica. Piuttosto che attardarsi in dispute alquanto sterili conviene allora concentrarsi sui diversi aspetti della civiltà etrusca. Ma fintanto che tale diatriba, seppur datata, investe il tema della «fortuna» degli Etruschi, ci tocca esaminarla e fare il punto su quelle che sono le conclusioni più verosimili scaturite dalle ricerche moderne.

L'idea di un'origine orientale degli Etruschi si è perpetuata a lungo senza dare adito a dubbi. Gli storici propugnatori di questa teoria stabilivano come certa la provenienza degli Etruschi dall'Asia Minore, basandosi sul testo di Erodoto, storico greco del V secolo a.C. Stando a quanto racconta il «Padre della storia», in seguito a una grave carestia, il re della Lidia Ati aveva diviso il suo popolo in due grandi gruppi, uno dei quali, capeggiato dal figlio Tirreno, dovette espatriare. Imbarcatisi alla ricerca di nuove terre, questi Lidi, secondo Erodoto, mutarono allora il proprio nome in «Tirreni», derivante dal patronimico Tirreno. Giunsero infine sulle coste dell'Italia centrale, insediandosi nella regione occupata dagli Umbri, che furono respinti verso est.

La scoperta, nel 1853, del sito di Villanova, nei pressi di Bologna, e delle sue tombe a cremazione riaccese la questione delle origini etrusche, che vennero ricollocate nel contesto dell'Italia preistorica. Si era in effetti scoperto un popolo, i Villanoviani, che aveva abitato l'area in cui si sarebbe sviluppata, in epoca storica, la civiltà etrusca. I Villanoviani erano coltivatori e allevatori sedentari, stanziati in villaggi costituiti da grandi capanne fatte di materiali poco resistenti (legno e terra). Ma i partigiani della tesi orientalista assimilarono piuttosto i Villanoviani agli Umbri, essendo questi ultimi molto meno civilizzati rispetto ai Tirreni, nuovi arrivati che avevano portato con sé non solo la scrittura, ma anche un'elaborata organizzazione sociale, politica e militare, oltre che un'arte raffinata. Negli anni '30 del secolo scorso, lo storico tedesco Schillmann scriveva:

Da dove e quando gli Etruschi siano sbarcati in Toscana lo ignoriamo. Ciò che è certo è che quel popolo aveva alle spalle un lungo passato, in quanto latore di una civiltà fiorente. Popolo robusto, iniziato alle armi, edificò città con mura e fortezze imponenti, seppe piegare la natura alle necessità delle sue opere, prese con audacia la via del mare, lavorò la terra e si dedicò con ardore al commercio. In seguito, valicati gli Appennini, gli Etruschi penetrarono fin nella Pianura Padana, mentre a sud si stabilirono nel Lazio e nella stessa Campania.

È più o meno la tesi sostenuta, con qualche precisazione, da un altro storico, Léon Homo:

La Toscana, allora occupata dagli Umbri, si trovava allo stadio di civiltà villanoviano. I nuovi venuti recavano con sé una tecnica e degli strumenti ben superiori a quelli di cui disponevano gli indigeni, ma, provenienti com'erano dal mare e da molto lontano – come le bande di Normanni nel Medioevo – vi giunsero in ranghi necessariamente ridotti, fatto che spiega meglio di ogni altro la lentezza della conquista [...]. Partiti dal litorale toscano, i conquistatori sono gradualmente avanzati verso l'interno, ricacciando poco a poco le popolazioni umbre verso gli Appennini.

Negli anni '50 il francese André Piganiol da parte sua affermava che, dovendo definire con una sola frase l'Etruria, bastava dire che essa era come un frammento di Babilonia in Italia.

Una variante della tesi orientalista, testimoniata dallo storico Ellanico di Lesbo nel V secolo a.C., fa discendere gli Etruschi dai Pelasgi, semileggendario popolo precedente all'arrivo dei Greci. Un loro gruppo sarebbe giunto in Italia dopo essere approdato sulla costa adriatica, donde si sarebbe spinto verso ovest. A dare ulteriore credito alla tesi orientalista c'era pure il vasto sommovimento di popoli che, tra la fine del XIII e l'inizio del XII secolo a.C., aveva sconvolto le regioni mediterranee, tanto da distruggere l'Impero ittita in Asia Minore e da indurre i cosiddetti «Popoli del mare» a tentare, invano, di invadere l'Egitto.

A dire il vero, le cronache egizie citano, nell'eterogeneo novero dei gruppi di invasori, i «Tursha», nome che sembra rimandare a quello di Tusci o Toscani. Da qui alcuni storici hanno immaginato che questi Tursha, respinti dagli Egizi, abbiano potuto cercar fortuna altrove, finendo per installarsi in Italia al termine delle loro peregrinazioni. Prova supplementare di tale migrazione fu considerata la scoperta, nel 1885, sull'isola egea di Lemno, di una stele la cui iscrizione era redatta in una lingua molto somigliante all'etrusco; l'isola sarebbe perciò stata una tappa, se non il punto di partenza, della migrazione.

Infine, a confermare in maniera evidente la versione di Erodoto, si aggiungeva il rinvenimento, nelle tombe di principi etruschi risalenti al VII secolo a.C., di oggetti di lusso di foggia orientale.

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Un Eden sulla terra



L'area nevralgica in cui è fiorita la civiltà etrusca è oggi suddivisa fra tre regioni italiane, ovvero la Toscana, il Lazio (settentrionale) e l'Umbria (occidentale): sono queste tre zone a costituire l'Etruria antica propriamente detta. Si tratta di un territorio caratterizzato da un'orografia alquanto accidentata, con tutta una serie di catene appenniniche che, da nord e da est, si susseguono l'una dopo l'altra verso sud. Le altitudini sono modeste, se si pensa che la vetta più elevata, il monte Cimone, nell'Appennino a nord della Toscana, raggiunge appena 2.165 metri. Procedendo verso ovest il sistema montuoso si fraziona in massicci ancora più bassi, determinando un paesaggio collinare solcato da valli fluviali come quelle dell'Arno e dell'Ombrone. Le pianure sono piuttosto rare e si estendono soprattutto lungo il mar Tirreno, come la pianura costiera della Maremma. La parte meridionale dell'Etruria, corrispondente all'attuale Nord laziale, è invece di natura vulcanica. Caratteristico della zona è il tufo, pietra facilmente lavorabile, ma fragile perché friabile. Gli antichi vulcani sono ormai spenti da lungo tempo, tant'è che i loro crateri sono occupati da laghi come quello di Bolsena, che si estende per più di centodieci chilometri quadrati. Anche qui il rilievo è accidentato, con un alternarsi di altipiani e colline. Le zone più elevate sono ancor oggi parzialmente ricoperte di foreste di querce, castagni, faggi e, dai 1.300 metri in su, abeti; naturalmente tali foreste erano ben più estese in epoca etrusca. Lungo la costa troviamo una vegetazione composta di macchia mediterranea e di pinete.

A questo centro geografico costituito dall'Etruria propriamente detta occorre aggiungere due regioni periferiche: la Campania, nell'area di Capua, e la piana del Po (l'Etruria padana). Anche in queste due zone la civiltà etrusca subentrò a quella villanoviana; successive ondate colonizzatrici, nel corso del VI secolo a.C., avrebbero in seguito rafforzato la presenza etrusca.

Come si è visto la civiltà villanoviana rappresenta la preistoria degli Etruschi, i quali svilupparono la propria, originale civiltà a partire dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C., quando la commercializzazione delle risorse minerarie dell'Etruria iniziò a produrre grandi ricchezze, favorendo contatti culturali con i Greci e i Fenici interessati a tale commercio. In tale contesto l'acquisizione culturale più importante fu l'adozione, da parte dei proto-Etruschi, dell'alfabeto di tipo calcidese, senza dubbio importato dalla città di Cuma, fondata attorno al 750 a.C., e lievemente adattato per integrare suoni propri dell'etrusco. In questo stesso periodo si modificano i riti funebri: molte famiglie principesche, arricchitesi con il commercio o con i diritti di pedaggio imposti ai mercanti di passaggio sui loro territori, abbandonarono l'incinerazione praticata dagli antenati per adottare l'inumazione. Si moltiplicano così, specialmente in Etruria meridionale, le tombe monumentali, in cui abbondano gli oggetti preziosi decorati con motivi orientali, a testimonianza della potenza di questi principi.

La storia della civiltà etrusca si svolge lungo i seguenti assi temporali: l'epoca orientalizzante (720-580 a.C. circa), nel corso della quale le città greche dell'Italia meridionale (la Magna Grecia) agirono da tramite per la trasmissione in Etruria delle idee e delle forme artistiche scaturite dai grandi centri culturali ellenici; l'epoca arcaica (580-475 a.C.), che vide l'apogeo della civiltà etrusca; un periodo di transizione e di crisi, che si estende dalla maggior parte del V al IV secolo a.C.; infine l'epoca ellenistica, dalla fine del IV secolo a.C. fino all'integrazione definitiva nel mondo romano, avvenuta durante il I secolo a.C.

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Dal villaggio alla città-Stato



In epoca preistorica, più precisamente nel corso della prima età del ferro (IX secolo a.C.), i Villanoviani erano stanziati in villaggi di capanne disseminati su tutto il loro territorio. Nel secolo successivo, con la progressiva comparsa delle città, formatesi per sinecismo, si apre un capitolo essenziale per spiegare la nascita della civiltà etrusca. Gli Etruschi furono in effetti i primi in Italia a darsi questo tipo di organizzazione, imitati di lì a poco dagli altri popoli della penisola. In tal modo la civiltà etrusca si caratterizzò da subito per il suo urbanesimo, aspetto che la assimilava al mondo greco.

Tuttavia, almeno fino alla metà del VI secolo a.C., la città non fu l'unica modalità insediativa. Nelle campagne infatti alcuni signori continuavano a risiedere in palazzi, al centro di vaste plaghe agricole, dai quali esercitavano poteri religiosi e militari sulle popolazioni circostanti. Gli archeologi hanno portato alla luce le vestigia di due di questi palazzi, ad Acquarossa, presso Viterbo, e a Murlo, nei dintorni di Siena. Erano costituiti da una serie di stanze che si affacciavano su un cortile centrale quadrato. Intorno al palazzo di Acquarossa si sono inoltre ritrovati resti di abitazioni.

Gli autori greci ci parlano dell'esistenza di una confederazione o lega di dodici popoli o città in Etruria. Gli studiosi moderni ritengono che, verso la fine del VII secolo a.C., queste dodici città fossero Volsinii (Orvieto), Veio, Caere (Cerveteri), Tarquinia, Vulci, Chiusi, Vetulonia, Volterra, Perugia, Cortona, Arezzo e Fiesole. Analogamente si sarebbe formata una confederazione di dodici città etrusche nella Pianura Padana attorno a Felsina (Bologna) e un'altra in Campania sotto l'egida di Capua.

Il vincolo principale che teneva unite le città della lega non era di carattere politico, ma religioso. Centro nevralgico era il santuario del dio Voltumna, nel territorio di Volsinii. Quivi, ogni anno, avevano luogo importanti cerimonie, accompagnate da giochi rituali. Tali feste, che riunivano i principi di tutte le città, erano presiedute da un magistrato supremo elettivo, lo zilath mechl rasnal, di cui non è chiaro se il ruolo oltrepassasse quello di semplice presidente dei giochi. Alcuni storici, basandosi sul fatto che il titolo ricorre spesso nelle epigrafi di molti signori, reputano che ci fosse uno zilath mechl rasnal in ogni città, a designare la più alta magistratura.

Nel corso di queste festività si discuteva di questioni riguardanti l'intera confederazione, ma raramente si giungeva a prendere decisioni comuni: le città etrusche conducevano una politica assolutamente indipendente, sicché non di rado gli interessi divergevano. Ecco perché non si fecero scrupolo di lasciare Veio combattere da sola contro Roma, né si opposero alla sua distruzione nel 396 a.C. In assenza di unità politica tra le città etrusche, la confederazione dei dodici popoli non giunse mai a costituire uno Stato.

Le città etrusche venivano fondate con l'ausilio di accuratissimi riti, che gli stessi Romani avrebbero ripreso. I sacerdoti determinavano l'orientamento della città in base a due linee che si intersecavano perpendicolarmente, il decumanus, indirizzato sull'asse est/ovest, e il cardo, sull'asse nord/sud. Servendosi di un vomere trainato da una muta composta da una giovenca e da un toro bianchi, il fondatore tracciava quindi i confini della città, scavando un solco e gettando la terra verso l'interno. Egli sollevava il vomere là dove sarebbero state poste le porte, ossia alle estremità delle vie principali. Il recinto così tracciato era considerato sacro, perciò nessuno privo di autorizzazione aveva il diritto di oltrepassarlo.

A protezione delle città etrusche venivano elevate possenti mura in pietra da taglio, specialmente a partire dal IV secolo a.C. Nelle mura si aprivano monumentali porte, sormontate da archi e ornate da statue. Le cinte murarie potevano svilupparsi anche per più di dieci chilometri, racchiudendo superfici che raggiungevano più di 250 ettari a Veio, 240 a Volterra, 180 a Vulci, 150 a Caere e 135 a Tarquinia. All'interno di queste grandi città non mancavano comunque aree non edificate e destinate alla coltivazione. Le città più piccole, come Volsinii e molti centri secondari dell'Etruria interna, avevano una superficie più limitata in quanto situate in zone più facilmente difendibili, quali pianori di tufo o speroni rocciosi. Ci si può tuttora fare un'idea dell'aspetto di queste piccole città fortificate visitando Pitigliano, in Toscana, o Civita di Bagnoregio, nel Lazio.

Non è affatto agevole stabilire quanti abitanti ospitassero le città etrusche. Attenti calcoli, basati sul numero di decessi riscontrabile dalle iscrizioni funebri delle necropoli, hanno permesso ad alcuni ricercatori di ipotizzare la somma di venticinquemila abitanti per una città come Caere nel V secolo a.C.

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La grande Roma dei Tarquini



La Roma delle origini fu una città abitata da Latini e Sabini. Recenti scoperte archeologiche — resti di fortificazioni sul Palatino — hanno confermato che la sua fondazione è avvenuta nel secondo quarto dell'VIII secolo a.C. Gli Etruschi vi presero il sopravvento alla fine del VII secolo a.C. e non mancano storici che riconducono lo stesso nome della città a quello della gens etrusca «Ruma», così che Roma corrisponderebbe a un patronimico.

La sua posizione privilegiata sull'asse commerciale che univa l'Etruria alla Campania rappresentò l'elemento chiave dell'intervento etrusco. Peraltro gli Etruschi erano già insediati sulla riva destra del Tevere, proprio di fronte ai Latini: prova ne sia che, ancora in epoca augustea, l'attuale Trastevere veniva chiamato litus tuscus (sponda etrusca) o ripa veiens (riva di Veio). Il ponte che attraversava il Tevere era costituito da tavole attaccate le une alle altre, donde il nome di ponte Sublicio (dal verbo latino subligare, ossia legare); i Latini l'avevano così voluto per poterlo distruggere rapidamente, in caso di attacco proveniente dalla riva destra. La strada che passava per il ponte Sublicio incrociava la via Salaria, sulla quale viaggiava il sale, merce preziosa che dalle saline della foce del Tevere veniva trasportata verso le regioni interne dell'Italia e la costa adriatica. Si capisce insomma come per gli Etruschi risultasse imprescindibile impadronirsi di un nodo di comunicazioni tanto vitale per le loro attività commerciali.

Gli storici romani confermano l'avvento degli Etruschi, ma lo spiegano nei termini di una presa di potere da parte di un avventuriero originario di Tarquinia, Tarquinio Prisco che, secondo Tito Livío, si chiamava in origine Lucumone. Suo padre, il corinzio Demarato, dopo essere stato scacciato dalla patria in seguito a disordini politici, si era rifugiato a Tarquinia intorno al 650 a.C. Qui, provvisto a quanto pare di notevoli ricchezze, aveva sposato un'etrusca. Alla sua morte il figlio, ancora con il nome di Lucumone, ne aveva ereditato i beni. Sposatosi con una nobildonna di Tarquinia, Tanaquil, egli nutriva grandi ambizioni sociali e politiche, ma la ricchezza e il matrimonio di prestigio non lo aiutarono a vincere il disprezzo della sua città per il figlio di uno straniero proscritto. La coppia decise allora di cercare un'altra città, dove fosse più facile trovare uno sbocco a progetti ambiziosi. Fu scelta Roma, città di recente fondazione e all'epoca governata dal re Anco Marzio. La leggenda racconta che al momento del loro arrivo presso il colle Gianicolo, alle porte di Roma, un'aquila afferrò il copricapo di Lucumone e, dopo aver roteato più volte intorno a lui, glielo ripose sulla testa. Tanaquil, da buona etrusca avvezza a interpretare i presagi, spiegò al marito che il comportamento dell'aquila, inviata dagli dèi, gli annunciava un luminoso destino. Acquistata una casa a Roma, la coppia mise a profitto ricchezze e ospitalità a favore di molta gente. Lucumone mutò allora il nome in Tarquinio, divenendo ben presto il principale consigliere di Anco Marzio. Alla morte di quest'ultimo, nel 616 a.C., Tarquinio riuscì a farsi proclamare re a furor di popolo, il primo di una dinastia reale di origine etrusca. Il secondo, Servio Tullio, ci è noto grazie a una fonte etrusca, fatto molto raro. In un affresco della tomba François a Vulci è raffigurato uno scontro fra guerrieri etruschi, di ognuno dei quali è indicato il nome. Vediamo un generale, chiamato Macstrna, che libera uno dei suoi compagni, Caile Vipinas, mentre tutt'attorno si combatte una battaglia in cui vengono uccisi molti personaggi, uno dei quali è identificato con il nome di Cneve Tarchunies Rumach, altrimenti conosciuto come Gneo Tarquinio di Roma.

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Furono dunque gli Etruschi a fare di una modesta borgata latina una città potente, la grande Roma dei Tarquini, che in quest'epoca iniziò a estendere il proprio territorio a detrimento dei paesi limitrofi. La stessa civiltà etrusca non riuscirà a resisterle, ma la sua eredità segnerà profondamente la cultura romana sotto molteplici aspetti.

Le insegne del potere dei magistrati romani, quali la toga ricamata e bordata di porpora, la sedia curule e i fasci dei littori, membri della loro guardia d'onore, derivavano direttamente dall'antica classe dirigente delle città toscane, così come la cerimonia del trionfo riservata ai generali vittoriosi. Le prime sfide tra gladiatori – invero di modesta entità, non impegnando che tre coppie di contendenti – ebbero luogo nel 264 a.C., in occasione dei funerali di Giunio Bruto: l'usanza di giochi funebri proveniva dalla vicina Campania, che serbava un passato etrusco. I Romani non potevano d'altronde ignorare che questi combattimenti, da cui furono rapidamente conquistati, erano già presenti in Etruria; il termine lanista, che designava in latino l'allenatore dei gladiatori, secondo alcuni ha anzi un'origine etrusca. I Romani ne fecero uno dei loro spettacoli preferiti, insieme alle corse di carri, anch'esse entrate a Roma per merito degli Etruschi.

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Cronologia della civiltà etrusca



XII-X secolo a.C. Epoca protovillanoviana.

IX-VIII secolo a.C. Epoca villanoviana.

775 a.C. circa Insediamento dei Calcidesi a Pithecusa (Ischia).

753 a.C. Data tradizionale della fondazione di Roma.

750 a.C. circa Fondazione di Cuma da parte dei Calcidesi.

720 a.C. circa Inizio dell'epoca orientalizzante della civiltà etrusca.

700 a.C. circa Prime iscrizioni etrusche in alfabeto calcidese.

VII secolo a.C. Espansione etrusca nella Pianura Padana e in Campania.

616 a.C. circa Conquista etrusca di Roma. Secondo la tradizione, inizio del regno di Tarquinio Prisco.

578-534 a.C. Regno di Servio Tullio (Macstrna) a Roma. Gli succede Tarquinio il Superbo.

540 (o 535 a.C.) Gli Etruschi di Caere e di altre città, alleati con i Cartaginesi, sconfiggono i Focesi nella battaglia navale di Alalia, al largo della Corsica.

534-509 a.C. Regno di Tarquinio il Superbo.


[...]


225 a.C. Vittoria romana sui Galli a Talamone, in Etruria.

218-202 a.C. Seconda guerra punica, detta «guerra di Annibale».

186 a.C. Il Senato romano proibisce i baccanali.

146 a.C. Distruzione di Cartagine.

90-88 a.C. «Guerra sociale». Gli Etruschi ottengono lo status di cittadini romani.

87-82 a.C. Guerra civile in Etruria tra i partigiani di Mario e quelli di Silla.

40 a.C. «Guerra di Perugia». Gaio Ottavio, futuro imperatore Augusto, espugna la città.

27 a.C. L'Etruria diviene la settima regione dell'Impero romano.

Fine I secolo a.C. Ultime iscrizioni in etrusco.

27 a.C.-14 d.C. Regno dell'imperatore Augusto.

41-54 d.C. Regno dell'imperatore Claudio.

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Glossario



Acherontici (libri): libri religiosi dedicati all'oltretomba, il cui nome deriva dall'Acheronte, fiume infernale della mitologia greca.

Acroterio: elemento decorativo collocato agli angoli e sulla sommità di un tempio.

Amazzonomachia: combattimento fra Greci e Amazzoni, mitiche donne guerriere che si recidevano un seno per non essere intralciate nel tiro con l'arco, donde il loro nome, a-mazon, cioè senza una mammella.

Antefissa: in Etruria, elemento decorativo in terracotta policroma collocato all'estremità di ciascun ordine di tegole che ricopriva i tetti dei templi.

Antilabé: seconda impugnatura dello scudo che si afferrava con la mano, dopo aver fatto passare per l'avambraccio la prima.

Apice: appendice verticale cava posta su certi tipi di elmo in epoca villanoviana.

Askós: vaso dalla forma simile a un otre, talvolta foggiato con sembianze animali (zoomorfo).

Asta: l'arma d'asta è un'arma bianca fissata all'estremità di un supporto lungo (lancia, picca).

Atrium: ambiente centrale delle case etrusco-romane.

Auriga: guidatore di carro.

Basileús: nell'antica Grecia corrispettivo di «re».

Bipenne: ascia dotata di due lame.

[...]

Tebenna: mantello etrusco in lana.

Tintinnabulum: ciondolo a forma di campanella, generalmente in bronzo.

Tirso: giavellotto circondato da pampini ed edera, con la punta a forma di pigna, attributo del dio Dioniso (Bacco).

Triclinium: sala da pranzo delle case etrusche e romane.

Zilath: magistrato etrusco di rango elevato.

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