Copertina
Autore Philippe Jaccottet
Titolo Austria
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003 , pag. 144, dim. 138x220x10 mm , Isbn 978-88-339-1441-1
OriginaleAutriche
PrefazioneFabio Pusterla
TraduttoreFabio Pusterla
LettorePiergiorgio Siena, 2003
Classe viaggi , narrativa svizzera , paesi: Austria
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Indice

 7   Introduzione di Fabio Pusterla

     Austria

 13  Prefazione

 19  1. A prima vista

 30  2. Lo spirito dei boschi

 49  3. Da Salisburgo a Hallstatt

 62  4. La via del ferro

 68  5. Episodio devoto in Carinzia

 74  6. Fili spinati e canneti

 81  7. Discendendo il Danubio

 87  8. Alla ricerca di Vienna

101  9. «L’Austria non è davvero un paese
        per i geni»

110 10. Una serata al Burgtheater

118 11. Il canto segreto della tenacia

133 12. Interrogativi

 

 

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Pagina 45

Se Hoffmannsthal ha potuto celebrare nella persona del principe Eugenio di Savoia «il più grande Austriaco», se la Stiria ha conservato il culto dell’arciduca Giovanni d’Asburgo — tredicesimo figlio dell’imperatore Leopoldo II, che sposò la figlia d’un mastro di posta di Bad Aussee e stabilì la propria residenza a Graz, da dove contribuì notevolmente allo sviluppo di questa provincia — il Tirolo, oltre al ricordo della buona Filippina, onora ancor oggi in Andreas Hofer il proprio eroe nazionale. Semplice albergatore e capo della resistenza, a lungo vittoriosa, infine vana, contro le armate di Napoleone nel 1809, egli venne fucilato il 20 febbraio 1809 a Mantova, e il suo monumento, nella Hofkirche di Innsbruck, accanto all’enorme sepolcro di Massimiliano, è attualmente coperto da un velo, in omaggio al Tirolo meridionale. La cessione di quest’ultimo all’Italia fu un errore politico le cui conseguenze giungono fino ai nostri giorni. Basti ricordare che al momento della cessione, nel 1918, il Tirolo meridionale era diviso in due province: l’una, l’attuale Alto Adige, che su 255000 abitanti ne contava 223000 di lingua tedesca e 8000 di lingua italiana [sic]; l’altra, l’attuale Trentino, in cui la lingua italiana dominava in proporzione analoga. E chiaro che si sarebbe dovuto considerare questo fatto capitale, invece della pura frontiera geografica.

Senza dubbio ci si sente ben presto, dal punto di vista climatico, in un altro paese: non appena, venendo dal Tirolo orientale (oggi assurdamente separato dal Tirolo propriamente detto), si imbocca la valle dell’Isarco per scendere verso Brixen, si spande in fondo al cielo una luce più viva e trasparente, mentre fanno la loro comparsa le vigne terrazzate, i boschetti di pini, le colline aride. A Brüneck, una colossale statua di carabiniere impone non senza pesantezza, accanto a una graziosa chiesa barocca, la presenza dell’Italia; a Brixen (o Bressanone, visto che ormai ogni località porta due nomi), a Brixen che è una città affascinante, traversata da un fiume rumoroso, città episcopale ricca di bei ricordi, non si sa più in quale lingua rivolgersi agli abitanti, per paura di sbagliare e di offendere una suscettibilità nazionale...

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Pagina 49

Da Salisburgo a Hallstatt



Max Reinhardt, pseudonimo di Max Goldmann, era il figlio di un commerciante viennese. Si appassionò molto presto al teatro e debuttò come attore a Salisburgo, all’età di vent’anni, nel 1889. La carriera lo condusse più tardi a Ber- lino, dove, da attore che era, divenne regista. I suoi primi progetti per la creazione di un festival a Salisburgo risalgono al 1917. La caduta della monarchia ne ritardò la realizzazione. Sin dal 1919, tuttavia, il poeta Hugo von Hofmannsthal pubblicava, sotto forma di «catechismo», il programma del futuro festival, programma a un tempo austriaco ed europeo; poiché l’Austria era considerata come il luogo privilegiato in cui destare e coltivare lo spirito europeo. Alla domanda: «Chi crede ancora oggi all’Europa?», il poeta rispondeva: «Herder e Napoleone hanno avuto questa fede, Goethe e la Rivoluzione francese si sono incontrati in lei. Essa è il fondamento spirituale della nostra esistenza spirituale. Nessuno avrebbe il coraggio di negarla espressamente; si tratta dunque soltanto di professarla con atti costruttivi». E, per la prima volta, nel 1920, veniva rappresentato a Salisburgo, sul sagrato della cattedrale, Jedermann [ognuno], o Il gioco della morte e dell’uomo ricco. Così Salisburgo, che non era stata tenera con Mozart da vivo, avrebbe potuto ben presto concedergli la sua più bella rivincita.

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Pagina 87

Alla ricerca di Vienna



Non bisogna aspettarsi da Vienna il genere di bellezza che offrono Parigi o Roma; e più di ogni altro luogo d’Austria, è necessario vederla nella profondità della storia, come una città piena di fantasmi cupi o brillanti. Inizialmente, la città delude. Venendo da ovest, non se ne vede dapprima che una stazione sobriamente moderna, simile a tutte le stazioni sobriamente moderne, una vasta piazza senza cuore con una brutta chiesa di mattoni rossi, molti tram, e un interminabile via molto trafficata, fiancheggiata da negozi grandi o piccoli, dove colpiscono soltanto le numerose insegne musicali e qualche facciata più antica, un po’ rovinata, una delle quali, ci si accorge, appartiene alla casa natale di Ferdinand Raimund (il primo fantasma che ci apparirà dunque a Vienna, e uno dei più viennesi), l’altra al Café Goethe (che mi è sempre sembrato chiuso, o vuoto). La via ben presto comincia a scendere; si intravede a destra una costruzione cieca, un enorme bunker che ricorda improvvisamente un epoca cupa e un secondo fantasma, quello di Adolf Hitler... (Già incontrato, ahimè, sull’altra riva del Danubio). Vienna non dovrebbe essere una città allegra? A me è sembrata più tranquilla che allegra... ma già siamo altrove.

La via (quella che ha ispirato Nerval nel Viaggio in Oriente, la Maria-Hilf, ma che, da tempo, non è più «per una lega ornata da un doppio filare di pioppi immensi») cambia nome avvicinandosi al famoso Ring, sul quale sbocca presso il Museo delle Belle Arti. (uno dei più belli del mondo, per i Brügel, i Velasquez, i Tiziano, i Veronese e i Tintoretto che vi hanno riunito gli Asburgo)

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Pagina 118

Il canto segreto della tenacia



Mozart, Raimund, Nestroy sono morti da tempo: non c'è alcun merito nell’ammirarli. Trakl, Musil, Alban Berg, e con loro molti altri grandi spiriti che annunciavano la catastrofica fine di un’epoca e cercavano, qualche volta, la via di un nuovo inizio, sono morti, e l’Austria li scopre appena, o li dimentica. Noi oggi ce ne indigniamo volentieri: un po’ troppo, sarebbe il caso di dire? Poiché l’audacia è diventata di moda, l’avanguardia vantaggiosa e confortevole, le vie dell’eccesso ingombre di falsi avventurieri, finiremo forse per esserne saturati e disgustati? Se i ricercatori, gli sperimentatori sono necessari per evitare che un paese si sclerotizzi o si addormenti nel culto delle tradizioni, forse non è meno necessario che queste ultime si mantengano, pur evolvendosi, affinché le ricerche e le sperimentazioni non avvengano nel vuoto. Il mondo non è popolato soltanto da geni: di ritorno «dall’utopia dell’altro stato», dall'avventura della «mistica diurna» in cui due spiriti superiori trovavano ebbrezza e disastro, Musil ha pur dovuto, alla fine del suo grande romanzo, cercare un movimento più umile, meglio accordato alle virtù comuni. Se si vuole vedere nei geni qualcosa di simile allo spirito dell’umanità, quest'ultima deve pure avere un corpo, che è la massa anonima, e forse non è poi un male che questa massa sia sana, un po’ lenta, temperata e resistente. Dopo aver salutato quei grandi novatori quei grandi scopritori del mondo moderno che furono Freud, Musil, Wittgenstein e Schönberg, se vogliamo fare un altro passo nella nostra esplorazione dell'Austria, saranno due dei suoi maggiori "conservatori" che dovremo ora affrontare, nei quali l'Austria si rivela almeno quanto in Mozart o Nestroy: voglio parlare di un drammaturgo, Grilparzer, e di un romanziere, Stifter, del resto già incontrati nella nostra traversata delle "province".

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