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| << | < | > | >> |Pagina 15ApocalissePoi vidi salire dal mare una bestia... La bestia che io vidi era simile a una iena; i suoi piedi erano come quelli di un pagliaccio e la sua bocca come quella di un bambino viziato... E tutta la Terra meravigliata andò dietro alla bestia... E adorarono la bestia dicendo: "Chi è simile alla bestia? E chi può combattere con essa?" E le fu data una bocca per proferire parole arroganti... Essa aprì la bocca per bestemmiare contro la verità... E verrà il tempo in cui tutti gli abitanti della Terra si meraviglieranno di averla adorata... E sapranno che la bestia non venne dal mare ma dai loro stessi cuori... E avranno paura che la bestia, una volta liberata, non potrà mai essere convinta a tornare indietro. | << | < | > | >> |Pagina 17Prologo
La marcia dell'ignoranza
Una mattina presto, nell'inverno notoriamente caldo del 20**, una figura si aggirava tra le ziggurat e gli obelischi più alti della repubblica cinta di mura di Urbs-Ludus. Andava in cerca del Palazzo dalle Porte Dorate ed era certo che non gli sarebbe sfuggito. Era un uomo magro tra i quaranta e i cinquanta, più alto della media e senza capelli. Portava il soprabito sulla spalla sebbene la maggior parte delle persone che incrociò fingesse di non soffrire il caldo e rimanesse ben infagottata in sciarpe e cappotti. Qualcosa in lui – forse era la testa rasata, perché quella era una società che attribuiva grande importanza alle acconciature estrose – suggeriva intransigenza e forse perfino una perdita di autorità. Si trattava del professor Kolskeggur Probrius il quale, fino all'anno prima, aveva diretto Fono-Etica, un programma di ricerca universitario che studiava l'importanza del linguaggio per il pensiero etico. Le parole che utilizziamo e il modo in cui le esprimiamo – sosteneva il professore – influenzano i nostri pensieri e le nostre azioni. Dire che "una cattiva grammatica produce uomini cattivi" non rende certo giustizia alla sottigliezza del suo pensiero, ma il succo era quello. Scapolo di abitudini austere, si era guadagnato la stima degli studenti con la sua dedizione al loro miglioramento. Poi era arrivata la Grande Purga degli illuminati e il professor Probrius si era ritrovato accusato di condiscendenza cognitiva. In altre parole, faceva virtù del proprio possesso di conoscenze specialistiche. Gli studenti erano angosciati dalla distanza che percepivano tra i suoi risultati e i loro. Si sentivano inferiori a lui e guardati dall'alto in basso. Venivano riconosciuti i suoi sforzi per aiutarli a superare le difficoltà individuando parole diverse da quelle che trovavano tanto angoscianti, ma questo — asserivano gli studenti — aveva avuto come unico effetto il farli sentire rimedializzati. A suggellare il suo destino era stato il momento in cui aveva dichiarato di ignorare il verbo "rimedializzare". Ecco: credeva che il linguaggio appartenesse esclusivamente a lui. Durante un'udienza speciale del Tribunale del Pollice, settantasette pollici si erano abbassati e solo due si erano levati. La cultura del pollice non prevedeva l'astensione. Il professor Probrius era rimasto senza lavoro. Era come avevano promesso le istruzioni. Non poteva non vedere il Palazzo dalle Porte Dorate. Era almeno una decina di piani più alto di tutte le altre ziggurat; sopra l'entrata, e poi di nuovo al livello del cielo, recava scritto a grandi lettere il nome ORIGEN, e aveva le porte dorate. Gli autobus si stavano già raccogliendo nella piazza davanti al palazzo, rigurgitando frotte di lucroturisti che lo spuntavano nel loro Libro dei monoliti prima di farsi portare alla tappa successiva. Era in corso una manifestazione di protesta in quello che sembrava un apposito recinto per manifestanti. Da come veniva presidiata dalle forze dell'ordine, il professor Probrius dedusse che si trattava di un fatto abituale, che non costituiva alcuna minaccia diretta alla sicurezza dell'edificio. In quanto centro simbolico del compiacimento di sé della repubblica, il palazzo era stato teatro, tre anni prima, delle prime Sommosse del pane artigianale, i più violenti disordini pubblici nella storia della repubblica. Per anni, l'unica attività a Urbs-Ludus era stata la costruzione di torri. Non si produceva altro. Perfino il pane era fatto venire in aereo da qualche altra parte e arrivava invariabilmente raffermo. Stanca di pane bianco in cassetta, di muffin secchi e di pasta per pizza non elastica, la popolazione scese in piazza così numerosa che le autorità furono costrette a importare una forza lavoro di fornai specializzati dai paesi al di là del Muro. Ma ci fu una conseguenza inaspettata. Ben presto, Urbs-Ludus si rese conto che la repubblica era sommersa, non di pane artigianale ma di artigiani. Una parte della popolazione si rivoltò contro l'altra. I ricchi avevano le loro brioche, ma negli ospedali i poveri dovevano fare la fila dietro quelli che le preparavano. I crimini erano aumentati — all'inizio piccoli furti, poi reati contro la persona, specialmente contro le donne con le quali, a quanto pare, molti artigiani non si erano mai imbattuti prima, almeno non in abiti così indecenti come quelli che nella repubblica erano considerati appropriati per le mogli e le figlie degli imprenditori edili. A quest'ultimo malcontento, visto dall'interno del palazzo come una prova ulteriore dell'implacabile ingratitudine dell'uomo, era concesso di esprimersi, in toni sommessi, là dov'era possibile tenerlo d'occhio. Ma non c'era dubbio alcuno che la popolazione — quantunque un differente strato sociale di essa — fosse di nuovo ingrugnita. Il professor Probrius era venuto a palazzo al fine di sostenere un colloquio per la posizione di precettore di Fracassus, secondo figlio, ma ora – a causa di circostanze impreviste – erede presunto del granduca di Origen. Si presentò in portineria, dove vedendolo senza cappotto parvero così offesi che pensò fosse più saggio metterselo prima di toglierselo di nuovo. Gli uomini della sicurezza furono rigorosi ma sorridenti. Gli fu chiesto di mostrare tre documenti di identità e di lasciare il suo smartphone in una casella contrassegnata dalla scritta DISPOSITIVI DI TRASMISSIONE DI INFORMAZIONE. Due addetti alla sicurezza lo perquisirono, uno per gamba. Un terzo, con una mascherina sul volto, gli chiese di dire "Ah!" in un palloncino. Non si poteva mai sapere quali altri mezzi gli ultimi nemici dell'Economia del Gioco, artigianofili o artigianofobi che fossero, avrebbero impiegato, e la guerra biologica, con batteri passati di bocca in bocca, non poteva essere esclusa. Il professor Probrius espirò: "Ah!" Il palloncino si gonfiò ma non cambiò colore. Nessuno sembrava aspettarselo. Poi fu invitato ad accomodarsi. Sopra il banco della portineria c'era un dipinto nello stile di Tiziano, raffigurante il granduca che giocava a golf con il papa. Il professor Probrius ruotò la testa come se fosse un caleidoscopio e desiderasse cambiare le figure al suo interno. C'era così tanta luce riflessa dai lampadari di cristallo che forse non stava vedendo quello che realmente aveva davanti agli occhi. Invece no: lì, curvo sul suo putter argentato, c'era il granduca di Origen e di fronte a lui, sorridente, con un cardinale che gli faceva da caddie, c'era il papa. L'unico dubbio restante era se il quadro immortalasse un avvenimento reale o di fantasia. Alla fine fu accompagnato in ascensore al centodiciassettesimo piano e introdotto alla presenza del granduca e della granduchessa. Sebbene fossero seduti a un tavolo, intenti a una partita a cashflow – un gioco a cui la granduchessa, per amor del quieto vivere, lasciava sempre vincere il granduca –, erano vestiti e agghindati come se aspettassero una troupe cinematografica: il granduca era incipriato e sfoggiava le sue medaglie; la granduchessa, ancor più incipriata, indossava un abito da sera ornato di lustrini, vertiginosamente scollato, che su un fianco sembrava completamente aperto a parte una spilla. Doveva essersi tolta le scarpe dai tacchi pericolosamente alti, perché se le stava ancora infilando quando lui arrivò. Non volendo fissarle i piedi, il professor Probrius contò le sue costole. Era più alta del granduca di tutta una testa e, dalle occhiate di apprezzamento che il marito le lanciava di quando in quando, Probrius pensò che la cosa dovesse essergli gradita e che non gli sarebbe dispiaciuto affatto se fosse stata più alta di lui di due teste. Entrambi avevano capelli color crema al limone: la granduchessa lunghi e capricciosamente fanciulleschi come quelli di Alice nel paese delle meraviglie; il granduca scalati, come per rassomigliare alle millefoglie che adesso erano in vendita nelle migliori pasticcerie di tutta la repubblica. Il professor Probrius non avrebbe saputo dire quanti anni avessero. Nella sua mente si affacciò l'espressione "eternamente giovani". La granduchessa si era fatta fare il consueto intervento al seno e sembrava più provata da tutti i pesi che doveva portare. Il professor Probrius venne accolto con modi confidenziali. Il granduca gli diede una pacca sulla spalla, come aveva fatto – s'immaginò Probrius – con il papa alla diciottesima buca. "Mi dicono che oggi fuori c'è un freddo pungente," disse il granduca. Probrius non sapeva bene come rispondere. Era un uomo di princìpi, uno di questi era non inimicarsi mai i potenti se non era necessario. "A me non è parso, vostra altezza," ribatté. "Ma è anche possibile che io porti con me il mio ecoclima personale." "Lei è un uomo fortunato, professore," disse il granduca. "Nel palazzo abbiamo il riscaldamento nucleare, ma geliamo lo stesso. Ho emesso l'ordine che oggi tutto il personale indossi un cardigan in più." Tale è il potere della suggestione che per un attimo il professor Probrius si inquietò per la granduchessa, esposta al freddo – se non avesse fatto caldo. Notando la sua preoccupazione, lei sorrise e si richiuse l'abito. "Anche la granduchessa deve portare con sé il suo ecoclima personale," disse il granduca. "Non vuole proprio saperne di mettersi un cardigan." Il professor Probrius non sapeva se fare un complimento alla resistenza della granduchessa fosse appropriato. Fortunatamente lei venne in suo aiuto prima che lui potesse formularne uno. "Sarebbe bello, professore," disse, avanzando a piccoli passi, "se ci facessimo una fotografia. Fotografiamo tutti i nostri ospiti." Supponendo che si trattasse di un eufemismo per un ulteriore controllo di sicurezza, il professor Probrius si preparò a dire di nuovo "Ah!". Ma la coppia reale prese semplicemente posto ai suoi fianchi. La granduchessa frugò nella sua borsetta a rete, trovò quello che cercava e sporse un braccio. Che le braccia, rispondendo alla legge del processo evolutivo dinamico, si stessero allungando? ebbe appena il tempo di chiedersi Probrius prima che la granduchessa dicesse: "Sorridete." Poi, ridendo, scattò un selfie. Sopra di loro, su una fila di monitor, si vide in triplice copia la granduchessa che scattava un selfie di se stessa mentre scattava un selfie. Con un leggero movimento a saltelli che ricordava quello di una bambina che gioca alla campana, li guidò verso una stanza adiacente, dove era apparecchiato un enorme tavolo da tè adatto a una delegazione di mille persone. Un'alzata di porcellana con dieci livelli, replica di una delle torri di Origen, traboccava di leccornie per bambini: tortine dai colori pastello, mini hotdog, bagel a forma di serpente e omini di patate con smarties per occhi. A Probrius venne offerto un frappé e fu invitato a scegliere il colore della cannuccia. Attraverso la foschia dovuta all'afa, la stanza offriva una splendida vista sulla città. "È da questa finestra," disse la granduchessa, "che osserviamo i nostri concorrenti." "Mia moglie, professore," disse il granduca, "ha un modo di esprimersi colorito. Deriva dal fatto che è nata in un altro paese e legge libri. Io non li considero concorrenti." Seguì una complessa descrizione, che perfino il professor Probrius trovò difficile da comprendere, del sistema meritocratico che conferiva titoli agli imprenditori edili proporzionalmente all'altezza e al quoziente di lusso dei complessi alberghieri, dei condomini, dei centri commerciali e simili che avevano costruito. Pertanto, mentre un paio di palazzine e un casinò fuori città potevano valerti il rango di baronetto, non ti avrebbero trasformato in visconte. Se n'era fatta di strada, rammentò il granduca al professore, dal vecchio Monopoli a cui tutti avevano giocato da bambini, quando un modesto bungalow sulla tua proprietà poteva mandare in rovina un avversario. Il granduca oggi operava nel mercato della fantasia e manteneva il suo titolo a condizione di continuare a strabiliare gli insoddisfatti con luci abbaglianti o piste da sci e piscine a sfioro, in pieno centro urbano. Non importava un'acca che loro non avrebbero mai potuto soggiornare in uno dei suoi alberghi fortificati. Bastava che sapessero della loro esistenza. Su suo figlio Fracassus sarebbe ricaduto l'onere di ampliare la scala dello sviluppo irresponsabile – irresponsabile nel senso di illimitato – avviato dal casato di Origen. "Vuole incrementare i profitti," osservò la granduchessa. Pronunciò quella parola con una tale abbondanza di fff che il professor Probrius si chiese se nel suo paese natio avesse un altro significato. Si domandò anche se, nella loro vita matrimoniale, il granduca e la granduchessa non fossero per certi aspetti in conflitto. "Mia moglie," continuò il granduca, "è una madre. Si preoccupa della pressione cui sarà sottoposto il figlio. Ai suoi occhi, più in alto Fracassus salirà, maggiore sarà la sua caduta. Ma gli uomini cadono solo se perdono la concentrazione, se allargano i propri interessi e notano altre cose; Fracassus non ha nessun interesse e non nota niente. Quando giochiamo a Monopoli, lancia i dadi come se fossero bombe a mano. Costruisce una città mentre io languisco in prigione. Mi perdoni se sono fiero di lui. Non è come gli altri bambini. Non spreca tempo a collezionare francobolli, ad ascoltare musica o raccontare barzellette. Il fatto che non capisca una battuta va a suo merito. Per Fracassus il divertimento è vittoria. Il gioco è guerra."
La granduchessa lanciò un'occhiata di sottecchi al professor Probrius, come
cercando una precoce alleanza tra animi sensibili.
"Bene," asserì il granduca, una volta finito il tè. "Vogliamo passare agli affari?" "Certamente," disse il professor Probrius, sfoggiando il più affascinante dei suoi sorrisi e pensando quanto fosse meraviglioso non essere più in ambiente universitario e non dover stare attento a ogni parola che pronunciava. "À nos moutons." Il granduca guardò la granduchessa e la granduchessa guardò il granduca. Qualunque fosse la natura del loro dissidio, fu come se allora fossero di nuovo sulla stessa lunghezza d'onda e avessero deciso all'unanimità, in quel preciso istante, che avevano trovato l'uomo giusto. "Chiamiamoci pure per nome," disse la granduchessa. Probrius inclinò la testa. "Io sono Kolskeggur, vostre altezze," disse. "E noi siamo il granduca e la granduchessa di Origen," rispose il granduca. "Ora, ecco il nostro piccolo problema..." | << | < | > | >> |Pagina 29Così i genitori di Fracassus non avevano motivo di notare nulla di sbagliato e anche loro vissero nella beata ignoranza delle sue carenze, ammesso che tali si potessero definire. Era un bambino comunemente litigioso, egocentrico e presuntuoso, non molto attento al mondo che lo circondava e abituato ad averla sempre vinta.I visitatori che si recavano a palazzo facevano quello che fanno di solito i visitatori dei palazzi e stravedevano per l'erede presunto. Il fatto che lui non prestasse la benché minima attenzione a nessuno di loro era una prova della sua autosufficienza e della ricchezza della sua vita interiore. Il fatto che si mettesse a piangere non appena gli veniva negato ciò che le sue piccole dita cercavano di afferrare, di qualunque cosa si trattasse, dimostrava la sua determinazione. Il fatto che non dicesse mai una sola parola riconoscibile suggeriva che era già padrone di innumerevoli lingue straniere. Il fatto che sputasse, vomitasse e scoreggiasse in loro presenza dimostrava la sua indifferenza verso l'opinione del mondo. Non occorre certo dire che, in una repubblica la cui forza risiedeva nell'imponenza e nella maestosità con cui ammaliava i suoi cittadini, Internet godeva di altissima considerazione. Il granduca sosteneva una decina di blog e finanziava qualunque sito web promuovesse valori cari al suo cuore – la libertà di bere bibite zuccherine, tanto per citare un esempio a caso. Di questi siti, il più importante al tempo in cui la granduchessa partorì si chiamava Astro lucente, una piattaforma a favore dell'etnonazionalismo cospirazionista, nativista, omofobo e antimeticciato che avrebbe potuto causare preoccupazioni maggiori tra le persone ai piani alti se solo avessero saputo che cosa significava una qualunque di quelle parole. | << | < | > | >> |Pagina 58E poi c'era un altro problema: quello che sua moglie aveva descritto come la predilezione del ragazzo per il porno."Quella che guarda è pornografia classica, vostra altezza," si era premurato di sottolineare il dottor Strowheim. "La pornografia è pornografia," rispose il granduca. "Non trova posto nella formazione del leader che Fracassus dovrà diventare." Non era questione di pruderie, ma di quella che il granduca chiamava "Fun-Politik". La pornografia minacciava l'innocente sfruttamento sessuale softcore. Forniva un'arma ai nemici del divertimento innocuo. Al ragazzo, dopo averlo fatto sedere nel suo ufficio al centottantesimo piano e avere spento tutti i televisori dell'edificio, espose la sua posizione. "Presumo tu sappia perché ti ho fatto venire qui," disse. Fracassus assunse un'espressione imbronciata. "Quello è un sì?" "Sì." "Sì cosa?" "Sì, lo so." "Sì, padre." "Sì, padre." "Quindi perché ti ho fatto venire qui?" "Per spaccarmi il culo." "Questo avrei potuto farlo nella tua camera." "Allora perché mi hai fatto venire qui?" "Perché non voglio che tua madre senta questa conversazione. Tu hai rispetto per tua madre, vero?" "Quando la vedo." "Ti manca? È per questo che guardi uomini che fanno cose sconce alle donne?" "Questo non e vero." "Allora che cosa guardi?" "Nerone." "Perché?" "Mi piace. Fa fare alla gente quello che vuole." "E pensi che sia giusto far fare alla gente quello che vuoi?" "Giusto?" "Lecito? Gentile? Corretto?" "Se sei il capo." "Ti dispiace mai per quelle persone?" "Perché dovrebbe? Hanno quello che si meritano. È divertente vedere le persone spaventate." "Quando parli di persone intendi dire donne? "Alcune." "E questo Nerone fa loro cose sessuali?" "Papà!" "Ebbene?" "Ad alcune di loro." "E questo ti eccita?" Fracassus nascose la faccia sulla scrivania del padre. "Ascolta," continuò Renzo Origen, "non è facile essere un uomo. Specialmente se sei ricco. Le donne cercano di sedurti. Con me lo fanno continuamente. Ma bisogna mostrare loro rispetto. Riuscirai ad avere tutte le donne che vuoi, ma non devi ferirle. Considerale come oggetti da collezione più che conquiste. Non sto dicendo che non dovresti far capire loro chi è che comanda, ogni tanto. Alle donne piace essere dominate. Loro dicono di no, ma credimi sulla parola: è così. A nessuno dispiacerà se sei virile. Gli uomini ti invidieranno e nemmeno le femministe militanti nel loro intimo ti odieranno. Ho dato manate sul sedere a tante di quelle femministe! Te l'assicuro. E mi hanno ringraziato. Ma non impegolarti in robe strane... Sai cosa intendo?" Fracassus alzò gli occhi piccoli come punture di spillo e scosse la testa. Guardando il suo volto vacuo e paffuto, a Renzo Origen venne all'improvviso da pensare che il figlio non avesse capito una sola parola di quello che gli aveva detto. "Descrivimi cosa pensi quando vedi una donna," disse. "In televisione?" "In carne e ossa." "Io non vedo donne." "Vedi tua madre." "Non spesso." "E la dottoressa Cobalt? Lei la vedi." Fracassus faceva fatica a inghiottire. "E allora?" "Allora cosa?" "A cosa pensi quando la vedi?" Fracassus tacque. "In una parola." Fracassus si grattò la testa con una mano e si diede dei colpetti sui capelli con l'altra. "Puoi dirmelo. Non mi arrabbierò."
"Fica," disse Fracassus.
Fu in quel momento che il granduca di Origen decise che era ora di riconsiderare la direzione che l'istruzione di suo figlio stava imboccando e cercare aiuto dall'esterno. | << | < | > | >> |Pagina 10712
Una madre si preoccupa in centoquaranta caratteri
Mentre nelle repubbliche confinanti un diciottesimo compleanno veniva solennemente celebrato come l'inizio del regno della serietà, a Urbs-Ludus era un'occasione gioiosamente frivola. Il granduca festeggiò quello del principe con una gigantesca copia in marzapane del palazzo e un sonoro, faceto annuncio: "È tempo di Twitter, figlio mio." Aveva discusso con il professor Probrius e la dottoressa Cobalt dei progressi del principe, ed entrambi avevano l'impressione che il carattere di Fracassus stesse iniziando a prendere maggiormente forma. "È senza dubbio quello che è," dichiarò il professor Probrius. "E si può senza dubbio vedere quello che diventerà," aggiunse la dottoressa Cobalt. "E le parole?" "Sì," disse il professore, "ce ne sono più di prima." "Di più, certamente," convenne la dottoressa. "E sono più appropriate?" Ci fu una pausa. "A questo stiamo lavorando." "Io stesso," affermò il granduca, "ho contribuito ad accrescere il suo capitale di termini politici e commerciali. Non posso dire che lí padroneggi appieno, ma nemmeno che gli siano del tutto ignoti. Mi chiedo se non possiamo concordare che per il momento ne ha abbastanza e concentrarci su altre competenze. Penso che la sua conoscenza della geografia sia incerta. Mi ha detto diverse volte che ha una gran voglia di viaggiare nell'antica Roma, ma pensa che si trovi a Los Angeles. Immagino si tratti di un errore indotto dall'ambiguità dei film epici che danno in TV." "E, già che stiamo parlando di questo, vostra altezza, soffre anche di amnesia cronologica in rapporto al mondo antico in generale. Non gli è del tutto chiaro che non viviamo più in esso. Parla molto del Caffè Nerone. Ho il sospetto che pensi che l'imperatore sia il proprietario della catena di bar e potrebbe davvero lavorare in uno dei suoi negozi. Perciò forse dovremmo occuparci anche delle sue nozioni storiche." "Idea eccellente: modernizziamolo. Propongo di farlo twittare." Per essere una persona tanto affascinata dagli schermi, Fracassus fu lento ad abbracciare l'interattività. Il granduca non sapeva come spiegarselo. Forse il principe aveva passato troppo tempo da solo con i suoi pensieri per essere curioso di conoscere quelli di chiunque altro. La conversazione non gli mancava perché non aveva mai conversato con nessuno, e non ambiva al botta e risposta dei social media perché le risposte degli altri gli interessavano ben poco. Il granduca dovette mostrargli che Twitter non aveva niente a che fare con tutte quelle noiose formule di cortesia che il principe paventava. Twitter è un'asserzione della volontà di chi twitta, punto. Non impone alcun obbligo di ascoltare o rispondere. "Puoi essere sordo come una campana e cieco come un pipistrello," disse a suo figlio, "e twittare lo stesso come tutti gli altri." Se ne avesse avuto il tempo, il granduca avrebbe personalmente introdotto suo figlio alle arti dell'autoaffermazione sui social media, ma aveva urgenti faccende commerciali di cui occuparsi, ed era inutile chiedere l'aiuto della granduchessa, che non possedeva la necessaria dote della compressione. Si rifiutava di capirlo. "Non riesco proprio a vedere," disse, quando il granduca le spiegò i rudimenti del sistema, "come farà mai Fracassus ad arrivare a centoquaranta caratteri. Non conosce abbastanza parole." "Centoquaranta caratteri sono il massimo, mia cara," le disse lui. "E qual è il minimo?" "Demanska, non ne ho idea. Che importanza ha?" "Vorrei che Fracassus scrivesse messaggi il più possibile brevi. Non voglio che si ammali per pensare a qualcosa da dire. Sai quanto può essere difficile per lui trovare anche solo una parola." "Le mot juste, mia cara. A volte può bastare una parola." "Nel caso di Fracassus dovrà per forza bastare." Si scambiarono occhiate ansiose. Entrambi temevano quale potesse rivelarsi quel mot juste. Abbandonato ai suoi dispositivi, Fracassus avrebbe finito per twittare solo sulla fica? | << | < | > | >> |Pagina 12114
Quando il mio amore giura d'esser tutta onesta...
"Dopo tutto quel parlare di prostitute," rise il professor Probrius, "avresti pensato che sapesse come trovarne una." La dottoressa Cobalt obiettò garbatamente. "Si potrebbe dire che questo va a suo merito." "Pare che il granduca sia distrutto." "Perché distrutto? Non verrai a raccontarmi che sperava che suo figlio si accasasse con una prostituta." "Accasarsi non so. Ma, qualunque fossero le sue speranze, a quanto pare adesso Fracassus le ha deluse." "Ma non quelle di sua madre, sospetto." "Non ne sarei tanto sicuro. Alla maggior parte delle madri non dà alcun fastidio che i loro figli godano la compagnia di donne di facili virtù. In questo modo i canali affettivi restano liberi per loro. È delle femministe che hanno paura." "Sappiamo che si tratta di una femminista?" "Questa è la voce che gira. Laureata, per di più. E ha anche i capelli scuri. E porta i pantaloni. Una laureata, femminista, con i capelli scuri, i pantaloni e opinioni sue. Non poteva capitare di peggio." Lo scalpore – perché nessun'altra parola poteva rendere giustizia allo stupore e alle congetture che si diffusero dai sotterranei al duecentesimo piano del palazzo – aveva una spiegazione semplice. Dopo una conversazione che era durata non più di quindici minuti, Fracassus aveva chiesto alla guardarobiera del club di suo padre di sposarlo. Fino a un attimo prima, Fracassus era sembrato abbastanza contento della compagnia che suo padre gli aveva trovato. Dopo aver presentato con tatto le proprie scuse, il granduca era sgattaiolato via, lasciando suo figlio in compagnia di donne che davano un nuovo significato all'espressione "alta classe". Slanciate, abbronzate, barcollanti, con labbra lucide, generose protesi al seno e il profumo dei migliori grandi magazzini, si erano strette attorno al principe, che era seduto al bar su uno sgabello girevole e ruotava di qua e di là per salutare ogni nuova venuta. Lo avevano accarezzato. Gli avevano soffiato nelle orecchie, due alla volta. Come farfalle che lambiscono un fiore, avevano sfiorato le sue labbra con le loro, passandosi l'una con l'altra il nettare raccolto. In cerca di un modo di descrivere la sensazione provata dalla sua bocca, Fracassus aveva trovato l'immagine di un panino alla marmellata. Aveva chiuso gli occhi e fatto ruotare lo sgabello. Singolarmente o in ogni combinazione concepibile dalla sua giovane virilità, quelle donne emanavano un senso di promessa. La dottoressa Cobalt gli aveva fornito le parole per definire la loro professione; adesso aveva la pletorica realtà platonica, di cui le parole non erano che ombre. Allora perché non si era lasciato trasportare da loro, come suo padre aveva ogni motivo di supporre che sarebbe successo? Gli ricordavano sua madre. Non era una ragione valida per rinunciarvi del tutto. Fracassus non era tipo da tagliarsi i ponti alle spalle. Tante sere, guardando le schiave che lasciavano cadere acini d'uva nella gola di Nerone, era riuscito a scacciare la loro somiglianza con sua madre. Bastava stringere gli occhi e farsi portare in uno stato di semitorpore dallo sfarfallio azzurro dello schermo. E comunque, nel mondo di Nerone madri e battone si scambiavano apertamente i ruoli. Perciò quando si alzò per andare al bagno non lo fece con la precisa intenzione di non ritornare. Ma non si era aspettato di imbattersi nella ragazza che prendeva i cappotti. Era tondeggiante laddove le donne che aveva appena lasciato erano affusolate, bassa e tozza mentre loro erano magre e alte, praticamente cieca, dato che si nascondeva dietro occhiali da gufo mentre le ragazze al bar avevano occhi simili a stelle cadenti, e indossava dei pantaloni invece di un abito da fata delle nevi – va ricordato che in tutta la sua vita Fracassus non aveva mai visto una donna con i pantaloni – e lo colpì con quel genere di forza che persuade alcuni uomini a consacrare la propria esistenza a Dio. Il fatto che non gli ricordasse in alcun modo sua madre ebbe naturalmente il suo peso; ma furono la sua voce e la sua fiducia in se stessa a conquistarlo. Si sentiva così sicura di sé da poter essere sciatta. E così padrona di sé da essere autoritaria. La sua voce, diversamente da quella di qualunque altra donna avesse mai conosciuto, compresa la dottoressa Cobalt, non era modulata con l'intento di compiacere. Con lei era prendere o lasciare. Fracassus era sempre stato servito e riverito, ma ecco una persona che non era minimamente intimorita dal suo rango, né imbarazzata dal proprio. C'erano solo due possibilità: darle un cazzotto in faccia o innamorarsene. La condizione sociale sembrava non significare niente per lei. Lui era un principe e lei una guardarobiera. E allora? Quello era solo il lavoro che faceva. Prendere i cappotti non la definiva come persona. Qual era invece la scusa di Fracassus? Fracassus le chiese di abbandonare i cappotti – ne avrebbe comprato uno nuovo per tutti – e raggiungerlo al bar. Lui stesso fu stupito dalla sua temerarietà. Quella ragazza gli faceva paura, ma allo stesso tempo lo metteva a suo agio. "A chiunque non sia una prostituta non è consentito stare al bar con un socio del club," rispose lei nel più pratico dei toni. Ma, se voleva aspettarla, conosceva un posticino dove poteva portarlo più tardi. Niente velluto rosso. Niente bicchieri di cristallo. Niente puttane. "Ci saranno altre donne che portano i pantaloni, lì?" chiese il principe. Lei pensava fosse probabile. "Allora ti aspetto," disse lui. Gli disse che si chiamava Sojjourner. Con due j. La ragione per cui non si identificava con il suo lavoro – spiegò davanti a un caffè in un bicchiere di carta e un cheeseburger in un piatto di plastica – era che lo faceva solo per pagarsi gli studi. Fracassus scrutò a fondo nei suoi occhi da gufo e ci vide scaffali pieni di libri. "Hai mai finito un libro intero?" chiese. Lei scoppiò in una risata incontenibile, rovesciando la testa e dondolandosi avanti e indietro con tutto il corpo. "Alcuni," rispose. "Ne sto anche scrivendo uno." Una paura immensa spazzò le aperte pianure della mente del principe. Avrebbe dovuto chiederle di che parlava il suo libro? E se lei glielo avesse detto? Ma aveva importanza? Era arrivato abbastanza bene fino a quell'età, senza mai capire la risposta di qualcuno a una domanda. Erano cose che si appianavano da sole. Nemmeno lei avrebbe mai capito il suo mondo. Potevano non capirsi insieme. Fracassus vide il loro futuro: lui che guardava un concorso di bellezza in televisione, lei che scriveva il suo libro seduta sul suo ginocchio. Figli? Sì, se si fosse concentrato abbastanza. Vide un piccolo Fracassus che guardava un concorso di bellezza in televisione. E una piccola Sojjourner, vestita come sua nonna, la granduchessa, che veniva eletta Miss Urbs-Ludus. "Te ne sei andato da qualche parte," disse la vera Sojjourner. "Stavo pensando." "Alle donne che ti aspettano al bar?" Fracassus distolse lo sguardo. "Non sono il mio tipo," disse. "Non leggono libri." "Puoi esserne certo? Come sai che non si stanno pagando gli studi come me? È difficile per una donna ottenere una borsa di studio. La prostituzione è solo uno dei modi con cui le donne se la cavano in un mondo di uomini. Da una prospettiva femminista, la prostituzione può rappresentare in tal caso una scelta valida e va distinta dal lavoro sessuale coatto, il che non significa negare che rafforzi uno stereotipo negativo delle donne in un modo che danneggia entrambi i sessi." Fracassus si chiese se stesse per svenire. Nemmeno Yoni Cobalt sapeva mettere assieme così tante lettere senza prendere fiato. "È di questo che stai scrivendo?" chiese. "No. L'argomento del mio libro è la costituzione delle repubbliche, con particolare riferimento a Urbs-Ludus. Il titolo provvisorio è Sonnolenza e corruzione: un avvertimento ai comatosi. Ma si parlerà anche della prostituzione." Non avendo mai visto prima nessuna donna come lei, e non sapendo cos'altro fare, Fracassus provò a baciarla. Lei si tirò indietro, alzò un dito, lo agitò nella sua direzione e, con la voce più alta che lui avesse mai sentito — a parte quelle che uscivano dagli altoparlanti — disse: "Troppo presto." Fracassus si scusò e le mise la mano in mezzo alle gambe. "Troppo presto anche per questo," rise lei. "Quando, allora?" chiese Fracassus. "Devo prima laurearmi e finire il mio libro," rispose lei. "Ci sono degli avvocati penalisti che devo smascherare. Devo migliorare la salute e le prospettive di lavoro delle donne. Devo salvare dei bambini. Devo risvegliare i comatosi. Devo lasciare un segno." "Ti aspetterò," disse Fracassus per la seconda volta quella sera. | << | < | > | >> |Pagina 12715
...io subito le credo anche se so che mente
"Si chiama Sojjourner con due j," disse a suo padre. "Sojjourner con due j? Dovrei esserne impressionato? Ti suggerisco di ripensarci con tre n." "Perché n?" chiese la granduchessa. "No, no, no e no." "Sono quattro," disse Fracassus. "Faresti meglio a non essere insolente con tuo padre," lo avvisò la granduchessa. "È molto turbato. E lo sono anch'io." "La amo." "La ami!" sbottò il granduca. "Cosa puoi saperne tu dell'amore? Sei un bambino." "Se sono un bambino, perché mi hai portato al tuo club?" "Nell'erronea speranza che tu crescessi. Non conosci quella donna. Hai passato dieci minuti in sua compagnia." "A volte dieci minuti bastano." "Hai ragione, e a noi sono bastati per scoprire chi è." "So chi è." "Oh, davvero? Lo sai? E sai che è una progressista razionale della scuola di Condorcet?" Dopo di che, alternandosi, il granduca e la granduchessa guidarono il loro figlio ribelle in un grand tour storico del progressismo razionale, partendo dai populares dell'antica Roma – che, se non andavano errati, non erano tra i favoriti del suo amato Nerone –, passando per Rousseau, Diderot, Kant e Hegel, facendosi dare una mano dall'attacco di Nietzsche al socialismo ebreo e terminando, dopo Marx e Lenin, con il brutale rivoluzionarismo carismatico del castrismo, la letale, asfissiante apatia del corbynismo e i campi di riso intrisi di sangue di Pol Pot. "Scommettiamo," dissero, "che non ti ha detto niente di tutto questo." "Mi ha detto che voleva che le donne guadagnassero quanto gli uomini," disse Fracassus. Il granduca sospirò. "Ah sì, quella vecchia storia velenosa: una paga identica per le donne. Suona innocente, vero? Ma nulla si ferma mai lì dove inizia, Fracassus. Prima la paga identica, poi i permessi retribuiti per i dolori mestruali, poi cinque anni di congedo per la maternità, poi l'asilo nido, poi altri cinque anni per la depressione post partum, poi un congedo con una scala ascendente di bonus per le emicranie fino a dodici all'anno, e di colpo ci ritroviamo addosso gli anarcosindacalisti che chiedono una legge che permetta alle croupier di portare scarpe basse e alle hostess di indossare i pantaloni. E sono assolutamente sicuro che questo non te l'abbia detto, altrimenti non staresti qui come una cagna in calore." "Renzo!" urlò la granduchessa. "Che c'è? Non ho menzionato suo fratello." "Renzo!!" Non essendoci altro da aggiungere in merito al fratello del principe, la coppia tacque, fino a che la granduchessa non si sentì pronta per passare nuovamente all'attacco. "Quello che vogliamo che tu capisca prima che sia troppo tardi," disse, "è che non sarai mai felice con lei. Al primo litigio ti chiamerà sporco capitalista." "Perché dovrebbe chiamarmi così?" "Perché è quello che sei," disse il granduca, "ai suoi occhi." "È una progressista elitaria metropolitana, tesoro," disse sua madre. "So che fa male." "E quindi noi cosa siamo?" "Feccia," disse il granduca, "ai suoi occhi." "Nemici del popolo," aggiunse sua madre. Fracassus si sfregò il viso. "Caleb non pensa che siamo nemici del popolo ed è il capo del Partito della gente comune." "È qui che le cose si complicano," disse il granduca. "Là fuori è in corso una guerra per l'anima delle persone. Caleb le affascina ma non le ama. Gli elitari lavorano per loro ma non le affascinano. Nel frattempo noi siamo gli unici a piacere davvero alla gente comune. Ci siamo fatti da soli... Be', io almeno mi sono fatto da solo. Ci piacciono gli edifici alti. Ci piacciono le mogli alte. E anche alla gente comune piacciono. Solo l'élite metropolitana ci odia. E tu sei andato a trovarti proprio una di loro. Sojjourner con due j un corno! Non te ne sei reso conto, stupido ragazzo? Non ci sono due j in Sojjourner. Non c'è nessuna Sojjourner. Si inventa il suo nome e ne cambia la grafia perché è così che fanno quelli della sua classe." "Bada ai cappotti." La granduchessa cacciò una risata carica di sarcasmo. "Ah... Bada ai cappotti. È questo che ti ha detto? Bada ai cappotti per sembrare una lavoratrice normale. Se vuoi conoscere la verità – un giorno mi ringrazierai per questo – la sua famiglia i cappotti li fabbrica. Pellicce di visone, zibellino e cincillà. Faranno un cappotto con la tua pelle quando sarai caduto nelle loro grinfie." "Non me ne importa. Lei mi ama." Non appena lo ebbe detto, Fracassus stesso si rese conto che suonava sbagliato. Il granduca scosse la testa come se non volesse vedere mai più il mondo fermo. "Quando penso chi avresti potuto avere l'altra sera," disse alla fine. La granduchessa distolse lo sguardo. "Erano studentesse che lavoravano come prostitute," disse Fracassus. "È il solo modo in cui possono permettersi di studiare la Costituzione." Il granduca divenne dello stesso colore dell'atrio del Palazzo Inestitente. "Studiare la Costituzione! Miss Polo Nord! La seconda classificata a Miss Equatore! Estrelita la supermodella! Yada-Yada, due volte playgirl dell'anno! Mandarina, ex amante del tre volte campione mondiale di Formula 1! Devo continuare? Perché donne di quel livello dovrebbero studiare la Costituzione? Hai visto che gambe lunghe hanno? Hai visto quanto sono alte? Avevi il mondo da scegliere e adesso non hai niente." "È un club di zoccole, papà." "Sciacquati la bocca, ragazzo. E lì che ho conosciuto tua madre." | << | < | > | >> |Pagina 19122
Il principe si forma un'opinione ancora più alta dei suoi talenti
Dato che la comunicazione internazionale aveva raggiunto un livello di raffinatezza e rapidità sconosciuto in epoche precedenti, Fracassus venne a sapere cosa pensava di lui il mondo quasi prima che lo pensasse. Non sarebbe stato umano se questo non avesse suscitato in lui quella che in una persona inferiore si sarebbe potuta chiamare presunzione, ma che nel suo caso fu scambiata per una conferma di abilità passate fino ad allora inosservate. La bomba – seppe confessare con modestia – lo aveva fatto maturare più in fretta. Sono diventato uomo in una sola mattina, twittò. Nel giro di una settimana, sui supplementi dei quotidiani venne pubblicato un articolo intitolato Come un ragazzo è diventato uomo, assieme a fotografie di cadaveri mutilati. Il principe le ritwittò non appena le vide, e il messaggio fu rimpallato avanti e indietro in tutto il mondo, come se fosse l'equivalente mediatico del moto perpetuo. Nella bomba Fracassus vide – o meglio: il professor Probrius gli insegnò a vedere – non solo un'opportunità personale, ma una verità che offriva un'opportunità a tutti. La società si era corrotta. Aveva perso la capacità di distinguere tra colpevoli e innocenti, aveva perso il coraggio di attribuire la responsabilità a qualcuno, aveva trasformato in bigottismo un normale, ragionevole sdegno, aveva fatto temere alle persone buone le conseguenze della loro bontà. Le bombe uccidono solo quando ci marca il coraggio di uccidere chi uccide, twittò. Avrebbe dovuto essere "manca", gli disse il professor Probrius. Ma era troppo tardi. Le bombe uccidono solo quando ci marca il coraggio di uccidere chi uccide fu ritwittato più di un milione di volte. "Ci marca il coraggio" fu considerato un colpo da maestro, che intrecciava in maniera visiva, sonora e, cosa più importante di tutte, consequenziale, i concetti di paura e marchio, codardia e deturpazione, il transitorio e ciò che non si potrà più dimenticare. I nostri timori erano come un marchio d'infamia. Il marchio che ci sfigurava ci rendeva vulnerabili alle nostre paure. Noi che avevamo paura di condannare chi metteva bombe eravamo anche vittime delle loro bombe. Ma, là dove altre vittime morivano, eravamo solo marchiati, e questo rendeva la nostra paura ancora più ignobile. Oppure il nostro rifiuto di uccidere aveva qualcosa di nobile? Merito è un anagramma di timore. Modificando la parola che indicava uno stato di paura si otteneva la parola che indicava l'essere degno di lode. Non c'erano limiti alle interpretazioni che la gente poteva dare di quell'errore geniale. "Suppongo che ne stia rivendicando la paternità," disse la dottoressa Cobalt. "Ci sta provando," rispose il professor Probrius. "Ma non sa bene che cos'è che ha fatto. L'altro giorno ha trovato la parola anagramma in un tweet e ha dovuto mettersi a letto. Spinge spesso la mascella in fuori e tiene il broncio, il che di solito vuol dire che bluffa." Che Fracassus fosse o non fosse consapevole di ciò che aveva fatto, il suo nome ormai splendeva alto nel firmamento, fiero e luminoso, come la luna piena d'ottobre. La sua casella di posta elettronica traboccava di inviti a fare ritorno a casa per tenere un discorso, un seminario, una conferenza, qualunque cosa volesse. Caleb Hopsack si congratulò con il suo "miglior allievo di Twitter" e lo pregò di parlare alla conferenza annuale del Partito della gente comune. Ci volle un po' perché i flemmatici cittadini di Plasentza capissero che il twittatore del momento, un autentico principe e magnate dell'edilizia che aveva infranto l'incantesimo in cui vivevano da decenni, abitava davvero nella capitale del loro paese. Una volta verificata la sua presenza, erano però impazienti di ascoltarlo. Non si erano resi conto di quanto fossero pusillanimi finché lui non glielo aveva mostrato in centoquaranta caratteri infuocati. Avevano praticato la tolleranza verso i malvagi e cercato di reintegrarli nella società. Si erano preoccupati per le minoranze e gli stranieri, ma adesso quelle stesse minoranze apparivano loro come scismatici pieni di vittimismo e quegli stessi stranieri piazzavano bombe. E i loro bisogni? Chi li difendeva? Fracassus. Tempo di ripulire la porcilaia, twittò, ricordando una frase che suo padre gli aveva sussurrato quando lui era nella culla. Invitato a discutere della bomba come opportunità a un incontro della società scientifica e filosofica di Plasentza, attirò folle immense. Temendo di dover fare un discorso di più di centoquaranta caratteri, aveva ordinato al professor Probrius di scrivergliene uno; ma gli organizzatori gli assicurarono che gli sarebbe bastato salire sul podio e gridare: "Uccidi chi uccide!" "Uccidi chi uccide!" rispose la folla in coro. "Ci marca il coraggio," urlò qualcuno. E poi anche quello slogan fu ripreso e passò di bocca in bocca. Non sapendo cosa dire, Fracassus girò la faccia di lato volgendo il profilo al pubblico, come aveva visto fare a un certo Mussolini in vecchi cinegiornali. Anche se non ci si poteva certo aspettare che se ne ricordasse, era la stessa identica espressione con cui era venuto al mondo. Incrociò le braccia e corrugò le labbra: una posizione che suggeriva un'irascibilità di proporzioni omeriche. Come per un'alchimia divina, gli astanti furono di colpo trasformati in supplici e Fracassus in un dio pronto a rimanere lì per l'eternità, nell'attesa di essere placato. Nerone. Mussolini. Fracassus.
"Fra-cas-sus!" gridava la gente.
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