Copertina
Autore Benito Franco Jacovitti
Titolo Le carte
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2003 , pag. 78, dim. 225x286x11 mm , Isbn 978-88-7226-770-7
PrefazioneGianni Brunoro
LettoreRiccardo Terzi, 2003
Classe fumetti , illustrazione , erotica
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Pagina 5

Benito l'apostata

SCIVOLAMENTI PROGRESSIVI VERSO UN MONDO NUDO

Gianni Brunoro



Se è concesso anche ai critici di fumetti aver avuto un'infanzia, intesa nella fattispecie come periodo in cui tutto assume valenze favolose, per cui anche le più banali quotidianità riescono a connotarsi come favole, allora devo dire che dalla mia infanzia ho ereditato certe espressioni cantilenanti, che mi si son fissate nella mente forse per l'eternità. E proprio una di queste, un detto tradizionale veneto, mi si è a un certo punto istintivamente - e buffamente - referenziato a Jacovitti, senza più abbandonarlo. Recitava, dunque, il vecchio adagio (ovvia allusione al piccante carattere delle ragazze triestine): "La Francia gà pan bianco, l'Italia gà bon vin, Trieste gà putèle, ma piene de morbin", un'espressione che poi, nel mio ancora indistinto spirito critico, trasformai in altro modo. Quando cioè conobbi l'opera dei grandi umoristi Albert Dubout e Walter Faccini, per molti versi simili al Nostro, mi venne spontaneo parafrasare quel detto in "La Francia c'ha Dubout, la Svizzera Facci', l'Italia ha Jacovitti, che più genio di così...". Perché, bisogna dirlo, Jacovitti è un genio ('è', non 'era'), lo si potrebbe perfino ...dimostrare matematicamente.

Certo, un lettore appassionato di fumetti ma di non troppo anziana militanza nel settore, ma d'altra parte attento alla recente produzione di Stampa Alternativa, potrebbe recepire la sensazione che l'umorista Benito Jacovitti sia stato un... maniaco sessuale. Glielo suggerirebbe magari la sequenza di titoli che dal Kamasutra spaziale (1993), attraverso il Kamasultra (2002) giunge al presente volume (2003) su Le carte da gioco erotiche. In realtà, sarebbe un sospetto assolutamente sbagliato. Perché Jacovitti è stato bensì un grande umorista erotico, ma solo nel contesto di essere stato, in assoluto e tout court, un inarrivabile umorista. Anzi, il più notevole di tutto il fumetto italiano. E per di più, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo, vista per un verso la sua eccelsa creatività e per l'altro la sua vulcanica prolificità - una fucina inarrestabile, una pentola in perenne ebollizione - che gli ha permesso una stupefacente produzione. E poi, oltre alle migliaia di pagine di fumetti e a una sterminata serie di vignette, ha lavorato moltissimo per la pubblicità, ha disegnato una quantità di cartoline e via discorrendo. In sostanza, un gigante, a tutti gli effetti.

Ebbene, in tale prospettiva, le poche decine di immagini costituenti il mazzo di carte da gioco riprodotto nel presente volume, non sono che un'infinitesima scheggia della sua produzione. Eppure ne rappresentano un adeguato identikit, una significativa metafora globale. Perché, come ogni frammento di specchio 'è' uno specchio intero, così ogni frammento di Jacovitti è una metafora dell'intero Jacovitti. Il suo, infatti, è un mondo caratterizzato da uno stile grafico sapido e corposo, che facilmente indulge anche al macabro ma soprattutto al surreale, e che a molti richiama grandi pittori come Pieter Bruegel o Hieronymus Bosch. E sono elementi, tutti, riscontrabili 'anche' in queste carte da gioco.

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UN MACROCOSMO DENTRO IL MICROCOSMO


Guai dunque a Jacovitti - e al suo complice ai testi Marcello Marchesi - per aver portato alle più estreme conseguenze grottesche le prescrizioni etico-ginniche, già di per sé a luci rosse, del sacro testo. Perché in fondo i due autori si rivelano due esplosivi incursori. Si prendano le più sboccate invenzioni goliardiche (lo 'sborotalco' ne dà solo una pallida, microscopica idea), si aggiunga un po' ovunque un pizzico di allusivi ammiccamenti, magari perfino colti ("coito ergo sum", è sufficiente?), ma soprattutto si lasci esplodere in centinaia e centinaia di immagini la irrefrenabile fantasia di Jacovitti nell'inventare le più impossibili 'posizioni', nel raffigurare i più surreali 'rapporti', nello scatenare le più incredibili - alla lettera - situazioni acrobatiche, nel dar corpo figurativo alle più incredibili varietà di organi maschili, nel produrre immagini così stupefacentemente eccessive nel loro registro grottesco: con tutto ciò, ed altro ancora, si giunge ad avere solo un'idea parziale di questo esilarante stravolgimento di ogni pietas figurativa nei confronti del sesso immaginato.

Eppure, si prova ugualmente un'impressione di serena mancanza di morbosità, cioè si avverte che Jac affronta il tema del sesso come un bambino curioso che ha molta voglia di giocare, esasperando talvolta le sue trovate umoristiche, fino a farle diventare invenzioni che rasentano la cattiveria, ma sempre e assolutamente prive di malizia. Perché in questa sua produzione 'per adulti', è vero che la sostanza è erotica, e al limite pruriginosa, però è fin troppo evidente che il parametro d'approccio a questo materiale così incandescente, sulfureo, proibito, morboso, eccetera, è in realtà talmente surreale nella forma, che finisce per prevaricare ad libitum sulla sostanza stessa.

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