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| << | < | > | >> |IndiceQualche metro sopra la terra di Luca Raffaelli 3 Panoramiche tratte da IL GIORNO 1959-1985 7 LA DOMENICA DEL CORRIERE 1968-1970 31 LA TRIBUNA 1959 75 IL GIORNO DEI RAGAZZI 1967 79 IL GIORNALE D'ITALIA 1915-1980 85 RADIOCORRIERE 1982-1983 89 ESSO JUNIOR 1958-1959 107 DA QUI & DA LÀ 1911-1995 111 |
| << | < | > | >> |Pagina 3QUALCHE METRO SOPRA LA TERRAdi Luca Raffaelli Cerco un centro di gravità permanente. Così Franco Battiato ha scherzato, nella celebre canzone, sulla necessità degli uomini (occidentali?) di trovare un luogo dove fermare il proprio pensiero. Un'ideologia, come si diceva una volta, oppure una religione, o una non religione, comunque una posizione da esibire per poter dire: io sono questo e la penso così. Anche chi professa il dubbio ha il suo centro di gravità permanente, perché anche chi ha tanti dubbi professa tante certezze. E non mi metterò io qui a giudicare nessuno per questo. Anche chi scrive ha molte certezze e molti dubbi, e il suo bisogno di un centro di gravità permanente. Questa premessa non serve a criticare il mondo in cui viviamo (che se peraltro vivesse davvero sull'esposizione delle proprie idee e sul conseguente agire sarebbe di gran lunga migliore di quello che è). No. Questa premessa serve per stabilire chi sia, chi sia stato Jacovitti. Una delle prime cose che mi viene da dire presentando questa raccolta straordinaria di panoramiche verticali è che Jac fosse un uomo che non avesse bisogno di un centro di gravità permanente. Proprio no. Jac è stato un artista (un artigiano, diceva lui, ma a un artigiano non si chiede tanta invenzione come quella che ci ha regalato) che viveva nel suo mondo creativo. Viveva nell'aria, volava nell'aria, sopra il mondo. Proprio non aveva bisogno della gravità, tanto meno permanente. Si potrebbe discutere su questo: nato negli anni del Fascismo, lui che non voleva avere certezze politiche (dichiarava di essere un "estremista di centro", a me diceva che quando c'era il Fascismo stava meglio perché era più giovane e poteva mangiare i supplì) ha poi vissuto gli anni successivi alla Liberazione in cui l'Italia era abitata da cittadini che sceglievano da che parte stare. È stato giusto così, e comunque non poteva essere altrimenti. Ma per questo l'umorismo di Jac è stato spesso visto come fascista, democristiano, qualunquista, a seconda dei casi e dei punti di vista. Eppure, lui era semplicemente nel suo mondo, e questo gli bastava. E nel nostro non cercava certezze. Forse su questo abbiamo il dovere di approfondire. Lo facciamo. Jacovitti da ragazzo fu fascista come lo furono tutti i balilla costretti in un mondo senza alternative, soprattutto per chi nasceva in una famiglia non antagonista al regime. Ricorda questo Jacovitti in una delle interviste che compongono l' Autobiografia raccolta da Antonio Cadoni e pubblicata da Stampa Alternativa: "Sono nato a Termoli, nel molisano, il 9 marzo 1923 sotto il segno dei Pesci. Mio padre, Michele, ferroviere, era di origine albanese come mia madre Elvira Talvacchio. Fino a sei-sette anni parlavo albanese. Quando venni al mondo nella cittadina molisana fecero festa: inauguravano la sede del Partito nazionale fascista e così mi chiamarono Benito. Sarà per questo che mi sono preso tante volte, a sproposito, del fascista. E pensare che mi chiamo anche Franco come il Generalissimo e Giuseppe come Stalin: manca Adolfo e poi ci son tutti...". Vedete? Jac è sempre qualche metro sopra la terra. A guardare giù stando in un altro mondo. Anche se poi scendeva, qualche volta. In un'altra lunga intervista di Franco Bellacci, Luca Boschi, Leonardo Gori e Andrea Sani, pubblicata all'interno del volume Jacovitti: sessant'anni di surrealismo a fumetti edito da Nicola Pesce editore, Lisca di Pesce precisa: "Vedete, ero stato fascista, ma certe cose non mi andavano più bene". Le cose che non gli andavano più bene erano tante, a cominciare dal fatto che "quando cadde Mussolini le guardie del Duce, i famosi moschettieri, non avevano fatto nulla per salvare il loro capo, non si erano ribellati. Allora cominciai a comprendere che il Fascismo era tutto una buffonata". Sarebbe lungo riportare gli altri episodi che hanno portato al ripensamento sul Fascismo: dai ceppi visti a Weimar in cui venivano pubblicamente giustiziati i borsari neri e le persone accusate di organizzare il mercato clandestino. E poi "i prigionieri russi legati a due a due lungo la ferrovia, con le catene ai piedi. Erano emaciati, venivano trattati male e lavoravano come schiavi". Ancora: "I camerieri che avevamo conosciuto a Weimar mi dissero anche che vicino alla città c'era il campo di concentramento di Buchenwald, dove ammazzavano gli ebrei con le camere a gas. Quando seppi queste cose, cominciai a riflettere sul Fascismo e sul Nazismo. Così a Firenze, qualche tempo dopo, decisi di scrivere questa parodia di Hitler. Lo chiamai Flitt: il famoso insetticida uccideva le zanzare, come il Führer uccideva gli ebrei". Sempre a Weimar, racconta Jac, con alcuni amici si era divertito a sputacchiare di notte sulle vetrine dei negozi che esponevano la fotografia di Hitler: "così i proprietari, la mattina, dovevano mettersi a pulire la vetrina per evitare al Führer una brutta figura!". Quando viveva queste esperienze, Jac aveva 20 anni. Ma il suo mondo creativo era già formato.
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È sempre tridimensionale è l'effetto straordinario dei fogli accatastati l'uno sull'altro (primo esempio a p. 38). Per il resto è un continuo variare sul tema, con impaginati pazzeschi: senza vignette, con vignette piccole tutte uguali, con una vignetta grande e vuota al centro, con vignette che formano percorsi, con i personaggi a minima distanza oppure accalcati come in spiaggia a ferragosto. Forse l'horror vacui cui spesso si fa riferimento parlando di Jac è dovuto proprio a quello che dicevamo prima: ogni spazio di carta bianca può permettergli di continuare a stare nel mondo senza gravità, e allora Jac continua a giocare e riempie tutto, con vermi, salami, lische di pesce, tele di ragno e invenzioni nuove. Infine: una segnalazione particolare per tre pagine meravigliose che fanno emergere lo Jac drammatico che nelle altre tavole si intravede solo tra le righe: a p. 119 la "Natura viva, natura morta"; a p. 20 "La folla" e a p. 18 la stupenda "Quaresima!". Tutte raccontano chiaramente la passione di Jac per Bruegel e Bosch. | << | < | |