Autore Alfred Jarry
Titolo L'amore assoluto
EdizioneAdelphi, Milano, 1991, Piccola Biblioteca 256 , pag. 74, cop.fle., dim. 10,5x17,7x0,7 cm , Isbn 978-88-459-0798-2
OriginaleL'Amour absolu [1899]
CuratoreClaudio Rugafiori
Classe classici francesi , umorismo












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


I.      Sia fatta la tenebra!                       11

II.     Il Cristo errante                           15

III.    O sonno, scimmia della morte                19

IV.     Aotrou Doue                                 25

V.      Lo studio del notaio Joseb                  27

VI.     Il signor Rakiro                            29

VII.    La                                          33

VIII.   Odino                                       37

IX.     In campo verde un ermellino in abisso       42

X.      Sigillato su semplice coda di cera gialla   48

XI.     Et verbum caro factum est

XII.    Il diritto alla menzogna                    59

XIII.   Melusina era sguattera di cucina,
        Pertinace sgusciature di noci               62

XIV.    La trappola d'amore                         67

XV.     La moglie di Dio                            71



 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

I
Sia fatta la tenebra!



Egli abita uno dei bracci della stella di pietra. La prigione della SANTÉ.

Siccome è condannato a morte, il braccio dove si catalogano i condannati a morte.

L'asteria pietrificata, specchio delle stelle, per schiudersi non ha aspettato che l'ora delle stelle.

Il sole è tramontato regolamentarmente, il pescatore, su ordine della guardia, ritrae i tentacoli; il ciclista e il vetturino di carrozza diventano femminili lampiridi innamorate; l'elettricista dell'asse della stella realizza il gesto del magnetizzatore che, con l'indice tra i sopraccigli, revoca dall'imitazione della morte.

LA SANTÉ è simile ad Argo che aveva cento occhi.

Egli abita una piccola stella di uno dei bracci della stella di pietra; l'uomo è uno dei fiori-ventose del braccio dell'asteria.

L'ultima vertebra cervicale schiusa - direbbe Haeckel - schiusa per uno degli ultimi giorni, ripete, come è abitudine di ogni fiore, il gesto del girasole.

Verso la lampada.

La cella è assai moderna e arredata con gusto inglese: mobili sobri laccati di bianco, pareti tenere.

Nessun ornamento alle pareti, ma al soffitto è stato appeso il sole.

Sole o luna, un astro: sorge e si spegne a certe ore.

Nessuna osservazione vi scopre un movimento proprio.

È una stella fissa.

È più nobile degli astri del mondo: sta al posto del cielo, di una corona o della mannaia, ultima imposizione del diadema.

Si chiama zenit.

Non è nata da una nebulosa.

L'uomo è l'olio di questa lampada.

Se non ci fosse un condannato a morte nel settore dei condannati a morte, ci sarebbe una stella in meno nel cielo di pietra della SANTÉ.

Mosè dichiarava solido il firmamento.

L'uomo che si trova sotto questa stella è, chiunque sia e quali che siano le sue circostanze, un uomo ragguardevole.

Egli ha fatto una stella.

Non è un astronomo: gli astronomi, più tardi, le scoprono.

Un astrologo, piuttosto: questa stella s'illumina a causa del suo avvenire.

È un uomo del tipo di Dio.

Per questa ragione o per un'altra, la migliore essendo che è il suo vero nome, sulla porta sta scritto:

- EMMANUELE DIO.

Dio è un po' abbagliato dal suo astro.

Al Museo della Marina, al Louvre, ci si può rinchiudere in una sala con il fanale girevole di un faro decapitato.

La grande mosca di fuoco o la folgore lanternaia urta a intervalli ostinati contro la vostra cornea trasparente.

Voi battete le palpebre rispondendo al battito di quell'enorme palpebra.

Fortunatamente è troppo intermittente per essere l'occhio di un magnetizzatore, e di luce troppo brutale per uno specchietto per le allodole.

Dio è un po' abbagliato dal suo astro perché vorrebbe dormire.

E spegne i due fanali capovolti nel mare dei suoi occhi.

Così il biscione nasconde il suo carbonchio, unico occhio e tesoro del serpente ciclope, per andare a dissetarsi alla fonte.

Emmanuele Dio si serve del sonno, vecchio Lete, come di eternità provvisoria.

L'Eternità è troppo inestesa per stare nella prigione, anche se erompe in stella.

Ecco perché, in certe albe, la si prega di aspettare nel cortile.

Verso di lei, l'Imbarcadero, come le fortificazioni di un estuario, protende, frangiflutti acuti, i piloni dei suoi ponti incontro alla città.

Orfeo si alza da un tappeto di pellicce, la città fa le fusa al piede della lampada, la stella creata dal Dio terrestre sotto al firmamento si protende, penisola della terra nelle acque del di sopra, come l'occhio di una lumaca, verso le stelle firmamentarie.

Stelle militanti verso le trionfanti, la testa tutt'occhio dei lampadari implora che la si liberi dal collo ombelicale.

Chissà se le comete, seguite da uno spruzzo di rottura, non siano la polluzione liberatoria delle lampade?

Le comete anuri, per tanti, sono gli angeli.

Emmanuele Dio aspetta l'ora siderale in cui la sua testa se ne andrà.

... Se non ha ucciso, però, o se non si è capito che uccideva, ha come prigione soltanto la scatola del suo cranio, ed è soltanto un uomo che sogna seduto accanto alla sua lampada.

| << |  <  |