Copertina
Autore Yasunari Kawabata
Titolo Racconti in un palmo di mano
EdizioneMarsilio, Venezia, 2006 [2002], Letteratura universale , pag. 510, cop.fle., dim. 12x18x3 cm , Isbn 978-88-317-7917-3
OriginaleTenohira no shosetsu [1968]
CuratoreOrnella Civardi
TraduttoreOrnella Civardi
LettoreAngela Razzini, 2007
Classe narrativa giapponese
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Indice

 13 La nostalgia del nulla
    di Ornella Civardi

 43 Il Giappone, la bellezza e io
    discorso Premio Nobel 1968

 61 Kawabata Yasunari: la vita, le opere

    RACCONTI IN UN PALMO Dl MANO


    SUGGESTIONI E ARTIFICI

 71 La cavalletta e il grillo
 75 In pieno sole
 78 Vaso delicato
 79 La mia donna alle fiamme
 80 La sega e il parto
 83 L'anello
 84 L'orologio
 87 Capelli
 88 I canarini
 90 Il porto
 91 La fotografia
 92 Il fiore bianco
 95 Nemici
 96 La luna
 99 Sole calante
100 Le scarpette estive
103 La virtù sotto un tetto
104 Il volto della morta
106 Il rumore dei passi della gente
110 Onobu Jizó
113 Il sasso-scivolo
116 Il mare
118 Vent'anni
123 Vetro
127 Grazie
130 Evviva!
133 La ladra di gumi
137 Il tavolo da biliardo
139 Inverno alle porte
144 La madre
147 Il punto di vista del figlio
148 Suicidio d'amore
150 La principessa del mare
152 La preghiera delle vergini
154 La mediazione del passero

    LA MIA GALLERIA

157 Le ossa di Dio
159 Anna, giapponese
164 Le unghie la mattina
166 Un telescopio e un telefono
173 Il paese natio
176 Vita vagabonda delle ballerine
182 Pioggia alla stazione
190 Dio esiste
194 L'indagine di una moglie
199 Gli schiaffi del bambino
203 L'incidente del cappello
207 Peonia nera
213 Maschi, femmine, una carretta
219 Un amore terribile
220 Olio
228 La donna
231 Una strada di monete
236 Il cieco e la bambina
240 Far felice qualcuno
244 Sala d'attesa di terza classe
247 I pesci rossi sul tetto
250 Sangue di samurai
253 A casa
256 Preghiera in madre lingua
262 La bella-cavalla
264 Uomo senza sorriso
270 L'occhio della mamma
271 Il carro funebre
274 Donna di poveri
278 Mani giunte
281 Figlio del divorzio
286 Una storia di fantasmi e microscopi

    L'ALBUM DEGLI SCHIZZI

291 La storia
293 Un giglio
294 La maledizione dell'opera prima
300 La signorina di Suruga
303 Un sorriso al mercato notturno
307 Il rogo dei kadomatsu
312 Tuoni d'autunno
314 Al banco dei pegni
318 L'eterno riposo al gabinetto
321 Il galletto e la ballerina
325 Angeli del trucco
331 Cipria e benzina
336 Il marito al laccio
340 Le scarpe da ballo
346 Tette di teatro
348 Nel sonno un'abitudine
349 L'ombrello
351 La lite
352 Il volto
354 Trucco
356 Il kimono della sorella
362 La maschera mortuaria
364 La sera del balletto
369 Per delle sopracciglia
370 Glicini e fragole
373 La signora del vento d'autunno
376 Il bel parto della mia cagnetta

    UN'ERBA, UN FIORE

381 Plenilunio
387 La melagrana
391 Diciassette anni
396 Wakame
403 Ritagli
408 Acqua
410 I cinquanta sen d'argento
415 La sasanqua
421 Il susino dal fiore rosso
424 I tabi
427 La ghiandaia
432 Estate e inverno
437 Le barchette di bambù
440 Uova
445 La cascata
450 Serpenti
453 Pioggia d'autunno
457 Una lettera
459 Vicini
463 Sull'albero
466 La tenuta da cavallo
469 Le gazze
472 Immortalità
476 I gekka bijin
479 La terra
484 Il cavallo bianco
487 Neve
491 Strani incontri

495 Glossario

 

 

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Pagina 91

LA FOTOGRAFIA



Dire «un brutto» è da maleducati, ma non c'è dubbio ch'era stato per conseguenza di questa sua bruttezza se era diventato poeta. Mi raccontava il poeta:

«Io le fotografie le detesto, di rado mi vien voglia di farmene fare. Le ultime le ho fatte quattro o cinque anni fa insieme con la mia ragazza per l'anniversario del fidanzamento. Lei per me è una fidanzata importante. Se non altro perché ho poche speranze di poter avere ancora nella vita una donna così. E certo oggi quelle fotografie sono tra i miei ricordi più belli.

«Senonché l'anno scorso una certa rivista mi ha chiesto un ritratto da pubblicare. Da una foto dov'ero con la mia fidanzata e sua sorella mi sono ritagliato via, io solo, e spedito alla rivista. Di recente, anche un quotidiano è venuto a prendere una mia fotografia. Certo che ci ho pensato un po' su, però alla fine ne ho tagliata a metà una dove stavo con la mia fidanzata e l'ho consegnata al giornalista. Avevo esplicitamente espresso il desiderio che mi venisse restituita senza fallo, invece a quanto pare non mi verrà resa affatto. Ma lasciamo perdere.

«Sì, lasciamo pure perdere. Ma rimane il fatto che guardare quella mezza foto, la foto dov'era ormai solo la mia fidanzata, è stata una vera rivelazione per me. Che fosse la stessa ragazza? Mi permetto di farti notare che la fidanzata della foto è davvero dolce, davvero bella. Anche perché a quell'epoca ha diciassette anni. Ed è innamorata. Eppure, guardandola da sola nel ritaglio di foto che m'era rimasto, dopo che n'ero stato rimosso io, mi è venuto da pensare – ci crederesti? – ch'era una ragazza così banale. E dire che fino a un secondo prima, nella stessa fotografia, m'era sembrata tanto bella. E stato un lento e doloroso risveglio da un sogno di lunghi anni. Il tesoro che tenevo tanto caro è finito in frantumi così.

«Forse... – e il poeta abbassò ancor più la voce – se ora guarda la mia foto sul giornale pure lei di sicuro penserà: "Sono stata stupida ad amare, seppur per poco, un uomo del genere". E questo è tutto.

«Però mettiamo, congetturo io, mettiamo che la foto di noi due venisse pubblicata dal quotidiano così com'era, uno a fianco all'altro. Magari lei, da chissà dove, sarebbe tornata di volata da me dicendosi: "Ah, non mi ero accorta che fosse così..."»

(Shashin)

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Pagina 92

IL FIORE BIANCO



I matrimoni tra consanguinei s'erano succeduti generazione dopo generazione. La sua famiglia era andata man mano estinguendosi per la tubercolosi.

Anche lei ha spalle troppo strette. Un uomo che le abbracciasse avrebbe un moto di stupore.

Una donna premurosa le aveva detto:

«Stai attenta a chi sposi. Non deve essere una persona robusta. Che sia una persona di carnagione chiara, anche debole all'apparenza, ma senza malattie, e che con la tubercolosi almeno, non abbia niente da spartire. Una persona che stia sempre seduta composta, che non beva, e col sorriso sulle labbra...»

A lei, invece, piace fantasticare di forti braccia maschili. Forti da farle scricchiolare le costole nel cingergliele.

Nonostante il volto trasparente poi, ha certi modi d'un fatalismo disperato. Da sospingersi a occhi chiusi, leggera nel mare della vita. Da lasciarsi correre con la corrente. È questo che la fa seducente.

Le giunse una lettera da un cugino: «Infine mi sono ammalato di petto. È semplicemente arrivato il fatale momento che m'attendeva dall'infanzia. Sono sereno. Però c'è una cosa, una sola cosa, che rimpiango: perché quand'ero sano mai una volta t'ho pregato di lasciarti baciare? Che almeno le tue labbra non siano contaminate dal bacillo della tubercolosi!»

Lei volò dal cugino. Subito dopo fu mandata in un sanatorio sulla costa.

Un giovane medico se ne prese cura quasi fosse l'unica degente. Le portava ogni giorno fin sulla punta del promontorio una sdraio di tela come una culla. Un bosco di bambù lontano scintillava sempre dei riverberi del sole.

Spunta il giorno:

«Ah, ti sei ormai rimessa alla perfezione. Proprio alla perfezione. Quanto ho atteso questo giorno».

Detto ciò, il medico la sollevò senza sforzo dalla sdraio sugli scogli.

«Come quel sole, anche la tua vita è sorta nuova. Perché tutte le navi del mare non dispiegano per noi le loro vele rosa? Mi perdonerai, vero, se ho atteso questo giorno con due cuori, come medico che ti guariva e con un'altra parte di me. Con quanta trepidazione ho atteso questo giorno. Quanto è stato duro non accantonare la coscienza professionale. Tu ormai sei perfettamente a posto. Così perfettamente a posto da poterti lasciare andare al sentimento. Perché il mare non si tinge di rosa per noi?»

Lei levò al medico occhi pieni di gratitudine, poi volse lo sguardo al mare e attese.

Ma in quell'istante fu folgorata, suo malgrado, dall'assenza in lei d'ogni pensiero di verginità. Dall'infanzia ha davanti agli occhi la propria morte. Perciò non crede al tempo. Non crede allo svolgersi del tempo. E dunque neppure alla verginità.

«Con quanto trasporto osservavo il tuo corpo. Ma con quanta razionalità anche ne studiavo ogni centimetro. Per un medico, il tuo corpo è stato un laboratorio».

«Come?»

«Un così bel laboratorio... Non avessi avuto la vocazione del medico, la mia passione a quest'ora t'avrebbe uccisa».

E così questo medico le divenne antipatico. Si mise a far toeletta in modo da scansare il suo sguardo.

Un giovane romanziere ch'era nella stessa clinica le disse:

«Auguri a noi! Facciamoci dimettere lo stesso giorno».

Al cancello i due salirono sulla stessa auto e corsero per pinete.

Il romanziere fece come per posare un trepido braccio sulle sue piccole spalle. Lei s'abbandonò all'uomo come un oggetto debole e leggero che franasse.

I due si misero in viaggio.

«È l'alba rosa della vita. Quale meraviglia che nel mondo cadano assieme due mattini, il tuo mattino e il mio mattino. Due mattini diventano uno. Ecco, questo è bello. Scriverò un romanzo intitolato I due mattini».

Lei levò al romanziere occhi pieni di gioia.

«Guarda questo. È un tuo ritratto al tempo dell'ospedale. Anche se tu fossi morta e io fossi morto, tutti e due forse saremmo vissuti dentro questo romanzo. Ma ora siamo due mattini: bellezza trasparente di caratteri senza carattere. Come polline che olezza nei campi a primavera, tu fai fluttuare sul mondo una bellezza simile a un profumo, invisibile all'occhio. Il mio romanzo ha scoperto un'anima bella. Come potrò scriverne? Mettimi la tua anima sul palmo della mano. Come un grano di quarzo. Io ne farò un ritratto a parole».

«Come?»

«Un così bell'ingrediente... Non fossi stato uno scrittore, neppure la mia passione avrebbe potuto tenerti in vita fino a un lontano futuro».

E così questo romanziere le divenne antipatico. Si drizzò sulla sedia in modo da scansare il suo sguardo.

Ora è seduta in camera sua. Il cugino è morto tempo fa.

«Rosa, rosa».

Spia la sua pelle bianca che si fa pian piano trasparente e intanto sorride ripensando alla parola «rosa». Sorride pensando di assentire quando qualche uomo la desidererà.

(Shiroi hana)

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Pagina 144

LA MADRE



I
DIARIO DEL MARITO


Stasera ho preso moglie.

Tra le mie braccia è una donna morbida.

Anche mia madre era una donna.

Con le lacrime agli occhi ho detto alla mia sposa novella:

Diventa una buona madre!

Diventa una buona madre!

Perché io non ho conosciuto mia madre.


II
MALATTIA DEL MARITO


Un tepore che dovevano essere ormai arrivate le rondini. Dai giardini delle case vicine ricadevano come bianchi velieri i petali delle magnolie. Dietro le porte a vetri la moglie passava dell'alcol sul corpo del marito. Il marito era così magro che tra una costola e l'altra gli si fermava lo sporco del sudore notturno.

«Sai, hai un aspetto che si direbbe tu voglia fare un suicidio d'amore assieme alla tua malattia».

«Può darsi, visto che son malato di petto. Visto che ho qualcosa che mi divora tutt'attorno al cuore».

«Già, il virus è più vicino di me al tuo cuore. Da quando sei malato sei diventato egoista. Per me purtroppo ormai son chiuse le porte del tuo cuore. Sono sicura che se potessi camminare te ne andresti di casa e m'abbandoneresti».

«Sì, perché non mi va di fare un triplo suicidio. Un triplo suicidio di te, me, e i miei virus».

«Mi va bene anche un triplo suicidio. Non voglio starti a guardare con le mani in mano mentre ti suicidi assieme alla tua malattia. Non importa se la malattia di tuo padre ha contagiato tua madre, la tua malattia non mi contagerà. Non sempre ai figli accadono le stesse cose che ai padri».

«Questo è vero. Finché non ci si ammala, non si sa se si prenderà la stessa malattia dei genitori. Però resta il fatto che a me è venuta la stessa malattia».

«Cosa importa? Sarebbe meglio che mi contagiassi. Almeno non mi terresti alla larga».

«Pensa alla bambina».

«La bambina, la bambina...»

«Non puoi capirmi. Tu che hai ancora tua madre non puoi capirmi».

«Questa è invidia. Tutta invidia. Se mi dici così mi vien voglia d'uccidere mia madre dalla rabbia... Voglio prendere il virus. Lo prenderò, sai. Lo prenderò».

La moglie con un urlo si buttò sulla bocca del marito. Questi la prese per il collo. Con la forza delle sole ossa immobilizzò la moglie che si dibatteva: «Lasciamelo prendere, lasciamelo prendere!» Si scoprì il bianco petto abbondante. Sopra i seni tondi il marito cadde vomitando sangue a fiotti.

«Non da..., non da..., non dar da bere questo latte alla bambina».


III
MALATTIA DELLA MOGLIE


«Mamma, mamma, mamma!»

«La mamma è qui. È viva».

«Mamma!»

Di nuovo la bambina si buttò contro la porta della camera e si mise a singhiozzare.

«Non farla entrare. Non farla entrare».

«Sei cattivo».

La moglie chiuse gli occhi come rassegnata e lasciò ricadere la testa sul cuscino.

«Come questa bambina, neanche me lasciavano entrare nella camera di mia madre. Piangevo fuori della porta».

«Lo stesso destino».

«Destino? Neanche tu dovessi morire, non voglio che sia pronunciata la parola destino. Non lo sopporto».

In un angolo della casa piange la bambina. La ronda notturna passa facendo risuonare i batacchi. S'udì una sbarra spezzare i ghiaccioli alle tubature sul retro.

«Tu non hai ricordi di tua madre, vero?»

«No».

«Avevi tre anni quando tua madre è mancata».

«Sì, tre anni».

«Anche la nostra bambina ha tre anni».

«E tuttavia, forse, col passar degli anni, quando meno me l'aspetto, il viso di mia madre verrà a galla nella mia memoria».

«Penso che se avessi visto allora il volto di tua madre morta, di certo non l'avresti più dimenticato».

«Non credo. Almeno di quando mi buttavo contro la porta m'è rimasto il ricordo. Invece se fossi stato libero d'andare da mia madre malata quando volevo, non ricorderei niente di lei».

La moglie ristette qualche istante cogli occhi chiusi. Poi disse:

«Che sfortuna esser nati in tempi senza fede, in tempi che non considerano l'esistenza ultraterrena».

«Non pensarci. Mai i morti sono stati così infelici come di questi tempi. Ma certo fra non molto anche per i morti verranno tempi buoni, tempi di saggezza».

«Certo».

Alla moglie venne in mente fin nei particolari la volta che col marito era stata in viaggio lontano. Poi ebbe una sequenza di belle allucinazioni, e come svegliandosi prese la mano al marito:

«Sai, io... — disse pacata, — penso d'essere stata fortunata a sposare te. Non ti porto il minimo rancore perché m'hai contagiata, credimi».

«Ti credo».

«E allora, quando la bambina sarà grande, per piacere, falla sposare».

«Lo farò».

«Prima di sposarmi sei stato molto combattuto. Al pensiero di prendere la stessa malattia dei tuoi, trasmetterla a tua moglie, e poi avere figli destinati ad ammalarsi. Eppure, con tutto ciò, sono stata felice in questo matrimonio. Questo è l'importante, no? Perciò, ti prego, non lasciare che la bambina si tormenti inutilmente al pensiero di far male a sposarsi. Fa' che si sposi con gioia. Questo è il mio testamento».


IV
DIARIO DEL MARITO


Stasera mia figlia non dorme.

L'abbraccio, ed è morbida.

Anche mia madre è stata bambina.

Con le lacrime agli occhi ho detto alla mia bambina:

Diventa una buona madre!

Diventa una buona madre!

Anch'io non ho conosciuto mia madre.

(Haha)

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