Copertina
Autore Daniel Kehlmann
Titolo Il tempo di Mahler
EdizioneVoland, Roma, 2012, intrecci 91 , pag. 112, cop.fle., dim. 12x16,5x0,8 cm , Isbn 978-88-6243-122-4
OriginaleMahlers Zeit
EdizioneSuhrkamp, Frankfurt am Main, 2001
TraduttoreElisabetta Dal Bello
LettoreCristina Lupo, 2013
Classe narrativa tedesca
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Pagina 7

I


In quella notte, David Mahler fece la scoperta più importante della sua vita.

Un uomo con un soprabito grigio, un cappello e una valigetta ventiquattrore gli venne incontro. Qualcosa in lui aveva un che di familiare e minaccioso al tempo stesso. Si avvicinò a gran velocità, col cappello un po' sghembo, il soprabito svolazzante e la valigetta che gli dondolava in mano. Poi non era più un uomo ma una donna con una borsa enorme, quindi una bambina con dei braccetti magri e alucce da insetto che le tremolavano dietro alle spalle... David avrebbe voluto scappare ma si sentiva come impietrito, come se le gambe non gli obbedissero, come se non avesse più gambe o addirittura un corpo. Voleva prendere fiato e urlare ma non aveva voce. Mancava l'aria, e la figura ormai era molto vicina. All'improvviso quella si dissolse; i suoi contorni si trasformarono diventando un tutt'uno con l'orizzonte verdastro, scomparvero. E infine scomparve pure l'orizzonte, rimase soltanto una paura astratta e immotivata. Per un tratto di tempo che non gli sembrò né lungo né corto, ma come un presente stranamente allargato, David non seppe nient'altro. Era solo; solo con la sua paura.

E tuttavia cercò di tenere a mente il sogno. Inutile: ci riuscì per un attimo, poi non seppe più di che si voleva ricordare e, con un movimento del corpo, tutto fluttuò s'increspò e svanì. Andato. Aprì gli occhi.

La luce disegnava linee biancastre e arcuate sul soffitto della stanza, una accanto all'altra. Lui le guardò, quelle sembrarono muoversi e trasformarsi in onde. Quando passò un'auto, mandarono per un attimo un bagliore giallo. Poi udì un rumore accanto a sé. Ma non girò la testa e non distolse gli occhi dal soffitto, sul quale già fluiva una corrente silenziosa di luminosità. Avvertì il chiarirsi di un concetto.

Una struttura di numeri, luccicante. Che cresceva e formava nuove superfici cristalline, un sistema di bellezza vitrea, lui stava a guardare e capiva. Sapeva di non doversi muovere. Tutto il resto poteva pure spostarsi - il mondo fuori e anche la stanza e persino il suo letto, che sembrava pian piano andare alla deriva in quello spazio. Lui però non doveva muoversi.

I battiti del suo cuore accelerarono. Il letto all'improvviso ruotò su sé stesso. Un suono singolare, acuto e terso, riempì l'aria per alcuni secondi. David smise di respirare. Sul soffitto la luce scorse più veloce. Si sentiva girare la testa. Poi non ce la fece più: si mise a sedere, scostò la coperta e si alzò dal letto.

Andò verso la finestra, quella arretrò; lui accelerò il passo e la raggiunse. Proprio lì per strada c'era un lampione. Che però non funzionava; non dava luce, mancava qualcosa: la boccia in vetro satinato, da in cima, giaceva in frantumi sull'asfalto. Passò un uomo, i vetri scricchiolarono sotto le sue scarpe. David si appoggiò alla lastra della finestra, era fredda. Lui si girò, nel letto era disteso uno che respirava regolarmente a occhi chiusi e che gli sembrava di conoscere. Di conoscere addirittura molto bene. Era lui stesso.

David si ritrasse con un sussulto. E aprì gli occhi.

Era disteso a letto, nella stanza buia e vuota. Scostò cautamente la coperta, si alzò e andò alla finestra. Appannò il vetro con l'alito, ci passò una mano sopra e abbassò lo sguardo sul lampione stradale rotto. Un'auto passò rombando. Lui si girò. La stanza giaceva innocua davanti a lui. Ma il lampione era rotto. La sera prima era stato ancora intatto.

Tornò a letto - avvertì il tappeto morbido sotto i suoi piedi scalzi - e si sdraiò di nuovo. Rimase steso in silenzio e chiuse gli occhi. Sul comodino accanto a lui ticchettava il suo orologio da polso.

Ed ecco che la rivide. Prese forma. Una struttura di pura matematica. Per la prima volta in vita sua, dopo tanto lavoro, non doveva fare niente. La cosa andava da sé. Numeri che non erano ancora del tutto numeri, concetti che avrebbero assunto un significato soltanto in seguito, forme che non avevano ancora fatto il loro ingresso nel mondo. E il ticchettio dell'orologio segnava il ritmo, generando un'impalcatura su cui le formule scorrevano, si disponevano in file, si ordinavano. David udì il suo respiro trasformarsi in un ansare, ma continuò a tenere gli occhi chiusi e non si mosse. L'orologio ticchettava. E questo ticchettio, questo intervallo di silenzio sempre uguale tra un suono sempre uguale, smise di essere soltanto un accompagnamento e si intrecciò ai suoi pensieri, li permeò, apparve all'improvviso - comprensibile. Per strada un motore andò su di giri, inserita la marcia sbagliata. E in quel momento, in un punto nascosto e non mai visitato della sua mente esplose una certezza, emanante onde calde e scintillanti in cerchi sempre più ampi, che si espanse e lo percorse tutto.

Per un certo tempo rimase steso come morto. L'orologio ticchettava, ma a parte questo c'era silenzio. Aprì gli occhi.

Sopra di lui pendeva il soffitto della stanza, una superficie di oscurità levigata. I mobili formavano grigie silhouette. Il quadrato dell'armadio, i contorni della scrivania, il profilo frastagliato della poltrona lì davanti. Avrebbe voluto girarsi su un fianco, ma non ne aveva la forza. "Finalmente" disse piano e la sua stessa voce gli suonò strana. "Finalmente!"

Poi subentrò una difficoltà. Tentò di inspirare ma non ci riuscì; qualcosa gli opprimeva i polmoni, gli toglieva il respiro; il cuore batteva all'impazzata. Allungò la mano, cercò tastoni sul comodino la bomboletta col nitrospray, rovesciò degli oggetti, fece cadere qualcosa senza capire cosa e la bomboletta non si trovava, non si... se la sentì in mano. Se la portò alla bocca, strinse l'imboccatura tra le labbra, inspirò il gusto amaro.

Aspettò. L'orologio ticchettò dieci, quindici... venti volte. David si sentì meglio. Inspirò con cautela, poi espirò e inspirò di nuovo. La bomboletta gli scivolò di mano e scomparve da qualche parte nel letto. Il suo polso adesso era più lento, anche il tremito era cessato. Si girò su un fianco.

Resistette alla tentazione di riandare col pensiero a quella struttura. Lo avrebbe fatto domani e dopodomani e poi per sempre, ogni giorno, ormai la cosa gli apparteneva. Avvertì l'avvicinarsi del sonno: un sonno profondo, piacevole, non minaccioso. Dietro al ticchettio dell'orologio e ai rumori di un motore all'esterno spuntò gradualmente, come un sommesso ronzio, il silenzio.

David sorrise.

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Pagina 23

IV


"E allora?" disse Marcel. "Un incidente o la morte di un barbone sono cose che succedono tutti i giorni. Che vuoi dire con questo? Adesso sei convinto di essere un grand'uomo, eh?"

David posò la sua tazza. "L'avrebbe potuto scoprire chiunque."

"Ma tu sei il primo?"

"Credo di sì."

David si guardò attorno. Erano alla mensa. Alcuni studenti sedevano ai tavoli, sfogliavano libri, riempivano l'ambiente con un basso mormorio. Gli sembrava che la gente continuasse a girarsi verso di lui, lo osservasse, lo guardasse con interesse. Ma no, non era possibile! C'era odore di caffè e di detersivo. Marcel sedeva con la schiena rivolta verso la finestra e teneva in mano una sigaretta; il fumo saliva, si increspava, formava tenui vortici. La luce incorniciava la sua persona, faceva del suo viso un ovale scuro.

"Questa mattina," disse David "ho spedito i miei appunti a Valentinov."

"A chi?"

"Al premio Nobel."

"Non lo conosco."

"Credo" disse David "che dovrei andare da lui di persona."

"Vuoi anche il premio Nobel?"

"Questa faccenda è molto più importante."

"L'hai già detto un paio di volte. Ma forse sarebbe meglio se tu aspettassi un po', e poi..."

"L'ha detto anche Katja."

"Katja?" Marcel sghignazzò. "Come vanno le cose tra di voi? Siete riusciti finalmente a?..."

"Oddio!" esclamò David. "Lascia perdere queste fesserie! Devo spiegartelo sì o no? Si tratta del secondo principio della termodinamica. La legge del tempo. Il disordine in un sistema chiuso può soltanto rimanere costante o crescere. Ciò significa che una scrivania non si mette mai in ordine da sé, bensì si disordina. Che un gas, di suo, si dilata soltanto e non si concentra mai. Che l'universo si deve espandere e raffreddare. Che non si può fabbricare nessun moto perpetuo, mai. Tutti i processi dell'universo sono ciclici — questo invece no. Il secondo principio della termodinamica indica la direzione di tutti i decorsi del mondo. Non è altro che il tempo."

"Non capisco" disse Marcel. E offrì a David il suo pacchetto di sigarette.

"No grazie, devo smettere. Ascoltami bene: un corpo caldo, lasciato a sé stesso, si raffredda. Se tu lo vuoi riscaldare, devi apportargli energia. È sempre così. L'ordine costa energia, il disordine viene da sé; e nel sistema come totalità cresce sempre il disordine. Questo dice il principio. Diceva."

"E adesso non più?"

"Probabilmente. In certe condizioni, con certe radiazioni e l'applicazione di quattro formule... si può avere un'inversione."

"Quindi nel tuo laboratorio un corpo caldo lo diverrebbe ancora di più, le scrivanie si riordinerebbero, le macchine funzionerebbero per sempre e..."

"...sempre meglio."

"Sarebbe la fine del mondo."

"Quanto meno un cambiamento notevole."

Marcel strinse gli occhi fissando David. "Continua!"

"C'è bisogno di un paio di elementi. Parecchia energia, ma basterebbe un piccolo reattore. Una specie di ciclotrone. Le mie quattro formule. Gli effetti all'inizio sarebbero molto limitati. Come hai detto tu: a un unico laboratorio. Ma la cosa poi si espanderebbe. Completamente da sola. A gran velocità. Il tempo si... difficile da descrivere... si sfumerebbe. A dire il vero riesco a spiegarmi solo per via matematica." Fissò Marcel con occhi che sembravano non avere colore; Marcel evitò involontariamente il suo sguardo. "Scardinare il secondo principio. Sai immaginarti che significa?" Da qualche parte un bicchiere finì per terra e si frantumò, il suono parve a David strano, distorto.

"Senza offesa," disse Marcel "ma tu stai dicendo un mucchio di sciocchezze. Sì, mi ricordo, già a scuola dicevano che eri un genio, e so anche che a quattordici anni hai inventato quel tuo maledetto transistor..."

"Condensatore."

"...vabbè, condensatore, e che tu una volta nel deserto tunisino mi hai detto a prima vista quante stelle c'erano, il vecchio trucco... ma questo mi pare davvero eccessivo! Persino per te."

David sorrise e guardò dentro alla sua tazza. Il liquido nero, le strie brune del latte versato ancora intatte e poi, tremula, l'immagine riflessa del suo viso. Allungò con prudenza la mano verso la tazza e bevve.

"Bene" disse Marcel. "Ti auguro buona fortuna! Di queste cose non ci capisco niente, io sono soltanto un idiota che siede nel suo ufficio all'amministrazione comunale." Fece un movimento brusco con la mano, un po' di cenere si staccò dalla sua sigaretta e cadde sul tavolo, un mucchietto nero tra le loro tazze di caffè. "Ma fa' attenzione a chi ne parli! Fa' molta attenzione!"

Spinse indietro la sua sedia e spense la sigaretta. Poi si piegò in avanti, poggiò entrambe le mani sul tavolo e abbassò la testa. "Sei senz'altro a conoscenza del fatto che in ogni università del mondo, anche in questa, esiste un armadio con gli scritti di qualche pazzo che vuole confutare la teoria della relatività o scoprire la grande teoria unitaria..."

"La teoria della grande unificazione."

"Ma per quel che mi riguardal... La teoria dell'unificazione delle forze o di chissà che cosa! La conosci?"

"Sì," disse David "naturalmente. E meglio di te."

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Pagina 46

VII


E cos'è il tempo se non un inseguimento? Quella regola che prescrive il progressivo declino nostro e di qualsiasi altro essere; che afferma che l'universo esaurisce le proprie energie e che ogni sole fluisce nel freddo fino a spegnersi. Allora non ci sarà più nessun irraggiamento, nessuna luce, e alla fine ci sarà soltanto un freddo glaciale, per sempre. Ci sarà ancora lo spazio, ma vuoto di tutto e pertanto un non-spazio. Non ci sarà più alcun cambiamento; e il tempo, una volta compiuta la sua grande opera di distruzione, si rinchiuderà.

La pioggia per esempio che batte sui vetri, là dietro alla testa di Grauwald. (David glielo fece notare, ma il professore non si girò nemmeno). Le gocce: punti trasparenti che si allargano in cerchi, s'intersecano, un gioco puramente geometrico. Ma ecco che intervengono la gravità, il vento e le forze della natura onnipresente, implacabile, omicida. E le gocce si scompongono, assumono per qualche attimo contorni casuali e piacevolmente assurdi per poi sciogliersi; creano una pellicola di liquido uniforme sul vetro che pure scorre, ma molto più lentamente. Succede di continuo: ogni sistema precipita verso il proprio annullamento, quello che è diviso diventa uno, e quello che ha confini deve perderli. I numeri si muovono attraverso un intelletto infinitamente lontano; e così si verifica il mondo.

E il tempo? A guardarlo, sembra farsi trasparente. Il tessuto si apre, si disfa, rimane solo il moto degli astri, il mutare delle cose, un ronzio, una sequenza di toni e forse ancora lo zoppichio di una lancetta sul quadrante di un orologio, o il passaggio di alberi e case dietro al finestrino di un treno, tra il ritmico sfarfallio della luce del sole...

Però, se (David si schiarì la voce, si accorse che i suoi pensieri andavano di nuovo alla deriva, e il viso di Grauwald, un viso bitorzoluto, inespressivo e scontroso, sembrò allontanarsi; ma adesso erano sul più bello; devi concentrarti, pensò, tu devi concentrarti!) - se però si può cambiare tutto questo; se esistono formule che, applicate, aprono una crepa nell'ineluttabilità... Succede di continuo; ogni indovino ubriaco che barcolla confuso tra le sue visioni è già un pericolo sufficiente per il mondo, uno scandalo. Ma lui non sa cosa sta facendo, non lo capisce, per sua fortuna. La Natura, che significa? Non significa né piante né boschi verdeggianti né colline cosparse di fiori né altro kitsch del genere. La Natura, vale a dire: Leggi. Una dittatura a cui nessuno può sottrarsi. David sentì le dita appallottolare un foglio di carta e lasciarlo cadere; ne prese un altro; aveva la bocca secca; deglutì, ma non servì a niente; si schiarì la voce, ma anche questo non fu di aiuto. Doveva concentrarsi! Tutto dipendeva dal fatto che Grauwald capisse le formule. Tutto. Gettò un'occhiata alle gocce di pioggia che colavano sui vetri della finestra.

Sì, aveva accettato la sfida.

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Pagina 52

Ora, uno stato di ordine maggiore è semplicemente quello la cui realizzazione per puro caso è meno probabile: un mazzo di carte mescolato con un certo ordine (per semi, per esempio, e per valori crescenti) è più improbabile di uno che non ce l'abbia - semplicemente perché, mescolando, una scala crescente non si produrrà da sola. (Ciò sarebbe naturalmente possibile, ma non accadrà mai, è troppo improbabile. "Il cosmo" dice Boris Valentinov in La struttura del mondo fisico "ubbidisce non solo alle leggi della natura, ma anche a quelle della statistica. E questo è il suo vero enigma.") Oppure prendiamo un'ampolla di vetro con una parete divisoria nel mezzo: a destra un gas, a sinistra il vuoto. Se si tira via la parete, il gas si diffonde subito in tutto l'interno del vetro. Potrebbe anche rimanere da una parte, o passare tutto dall'altra; entrambe le evenienze sarebbero, dal punto di vista della fisica, possibili - ma troppo improbabili (la probabilità che ciò avvenga corrisponde, con n molecole, a (1/2)^n, è più facile insomma che una scimmia battendo a macchina produca casualmente tutti i libri dell'umanità.) Ma cosa c'è tra i due stati, tra il gas concentrato in una metà e quello diffuso in tutto lo spazio?

Soltanto il tempo.

La cosa viene da sé, il primo stato produce il secondo, deve farlo, non può altrimenti. Quello deve esserci prima, l'altro poi, semplicemente perché così è più probabile. La crescita del disordine apre, dispiega il tempo. E ne determina la direzione. Perché questo non è solo cambiamento, è soprattutto cambiamento direzionato. Così, nessuna ora torna mai indietro perché ogni singola ora contiene un nuovo stato del mondo, e il disordine è più grande che non nell'infinità che lo ha preceduto. Così c'è sempre un inizio e una fine. Entropia: la morte, tradotta in fisica.

Ma non dimentichiamo: la legge dell'entropia è una legge statistica. Il gas potrebbe concentrarsi. Un secchio di acqua fredda potrebbe bollire all'improvviso. Le carte da gioco potrebbero riordinarsi, e la scimmia potrebbe scrivere la Summa Teologica. Quello che vi si oppone è la probabilità, e soltanto quella; ma i suoi imperativi sono davvero così insormontabili? Che poi, dove ha origine questa inclinazione servile della natura, questa adesione totale alla norma? Perché quest'obbedienza precipitosa che viene a mancare di rado e a sorpresa, come se ci fosse un drappello di esseri servitori che si immischiano, che provvedono, là dove è necessario, a imporre le regole, le preservano da scoperte, vigilano sul procedere del tempo e l'ineluttabilità della morte? In altre parole...

"Sì," disse Katja "d'accordo. È tutto molto interessante. Ma adesso basta!"

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