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| << | < | > | >> |Pagina 11 [ inizio libro ]«Grandi imprese si compiono quando uomini e montagne si incontrano.» William Blake La cresta ghiacciata, con le sue delicate formazioni profondamente scolpite nella parete del Machapuchare come dozzine di giganteschi veli da sposa in una paradisiaca cerimonia nuziale, svettava sopra la sua testa pulsante nell'abbagliante luce solare del tardo pomeriggio. Sotto le suole munite di ramponi, le dita che riuscivano a stento a far presa sul muro di ghiaccio verticale, si spalancava l'abisso del Ghiacciaio Sud dell'Annapurna. Una dozzina di chilometri alle sue spalle, indolenzite dal peso dello zaino, l'inconfondibile picco dell'Annapurna si innalzava da terra come un enorme polpo. Tagliare appoggi e appigli con una piccozza a seimila metri di quota non ti dava certo il tempo di rilassarti sulla corda e goderti il panorama. Il paesaggio non contava nulla quando c'era una cima da raggiungere. Soprattutto quando si trattava di una cima ufficialmente proibita. Gli alpinisti occidentali la chiamavano Picco Coda di Pesce, per sottolineare quanto quella serpeggiante, tortuosa montagna potesse eludere la presa di un uomo. Dietro suggerimento di un inglese sentimentale che aveva assunto i costumi indigeni e tentato senza successo di raggiungere la vetta nel 1957, il governo nepalese aveva stabilito che il Machapuchare, due volte più grande del Cervino, dovesse restare per sempre puro e inviolato. Di conseguenza, adesso era impossibile ottenere l'autorizzazione di scalare una delle più belle e impegnative vette che circondano la riserva naturale dell'Annapurna, il cosiddetto Santuario.
La maggior parte degli alpinisti aveva rinunciato ad
andarci per timore delle conseguenze.
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