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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione. L'obiettivo sei tu 9 PRIMA PARTE - ZUCCHERI, GRASSI E SALE 1. Qualcosa è cambiato... Il mondo sta ingrassando 21 2. Come si annulla la saggezza del corpo 26 3. Zuccheri, grassi e sale ci spingono a mangiare più zuccheri, grassi e sale 32 4. Il business del cibo: come si creano stimolanti ad alta gratificazione 39 5. Spingere verso l'alto il punto d'assestamento 42 6. Zuccheri, grassi e sale sono autorinforzanti 50 7. Neuroni in fibrillazione 57 8. Programmati per concentrarci sullo stimolo predominante 64 9. I cibi gratificanti diventano stimoli bollenti 69 10. I segnali attivano i circuiti cerebrali che guidano il comportamento 74 11. Sono le emozioni a rendere il cibo indimenticabile 79 12. I cibi gratificanti riprogrammano il cervello 83 13. Il comportamento alimentare diventa un'abitudine 86 SECONDA PARTE - L'INDUSTRIA ALIMENTARE 14. Una visita da Chili's 93 15. Cinnabon: a lezione di irresistibilità 100 16. Ma questo è intrattenimento! 105 17. L'era del Monster Thickburger 110 18. No satisfaction 124 19. Diamogli ciò che vogliono 127 20. Quello che i consumatori non sanno 131 21. La scala dell'irresistibilità 134 22. Niente è quel che sembra 142 23. Ottimizzare! 148 24. La scienza del vendere 153 25. Mucche marroni e mucche viola 162 TERZA PARTE - ED ECCO L'IPERFAGIA CONDIZIONATA 26. L'iperfagia diventa pericolosa 167 27. Cosa ci insegnano alcuni farmaci per dimagrire 173 28. Perché non riusciamo a dire semplicemente di no 176 29. Come si finisce in trappola 187 30. Sarà iperfagia condizionata? 190 31. Alle radici dell'iperfagia condizionata 197 32. Geni o ambiente? 200 33. Segnali d'allarme nei bambini 204 34. La cultura del mangiar troppo 208 QUARTA PARTE - TEORIA DEL TRATTAMENTO 35. Allettamenti per il cervello 217 36. Abbandonare le vecchie abitudini 221 37. Le regole che aiutano a sganciarsi 228 38. L'apprendimento emotivo 235 QUINTA PARTE - RIABILITAZIONE ALIMENTARE 39. Il quadro terapeutico 245 40. L'alimentazione pianificata 249 41. Lasciarsi alle spalle il passato 259 42. Mangiare è un fatto personale 270 43. Evitare le trappole: ossessione e ricaduta 275 44. Il cambiamento percettivo critico 279 SESTA PARTE - LA FINE DELL'IPERFAGIA 45. «Il nostro successo è il problema» 283 46. Come l'industria alimentare scoprì il codice 286 47. Il contrattacco 289 Un'ultima parola 295 Note 299 Elenco degli intervistati 365 Ringraziamenti 373 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Ho imparato a riconoscere il disordine da iperfagia condizionata nei ristoranti di mezzo mondo. Non è difficile, perché le persone condizionate a mangiar troppo presentano dei comportamenti peculiari. Aggrediscono il cibo con particolare enfasi. Alzano la forchetta con il boccone pronto prima ancora di aver deglutito quello precedente, e allungano il braccio attraverso il tavolo per infilzare una patatina fritta o un pezzetto di torta dal piatto altrui. Alcuni cibi sembrano esercitare su di loro una forza d'attrazione quasi magica, e raramente nel loro piatto avanza qualcosa. Ogni volta che osservo questi comportamenti impulsivi immagino che nella testa di quelle persone si stia svolgendo una battaglia fra «voglio» e «non dovrei», fra «sono io che comando» e «non riesco a controllarmi». Una battaglia importantissima per la nostra salute. | << | < | > | >> |Pagina 26Le persone ingrassano perché mangiano più delle persone magre. So che può sembrare un'ovvietà, ma per anni attorno a questo punto è regnata una certa confusione, e ancora oggi c'è chi mette in dubbio il nesso fra il consumo di cibo e l'aumento di peso. Finalmente però ci sono prove inconfutabili del fatto che l'ingrassamento si deve anzitutto al mangiar troppo. La confusione può nascere, in parte, dal fatto che se chiediamo alle persone di prender nota di tutto ciò che mangiano, spesso le differenze fra magri e grassi sembrano di lieve entità. Osservazione che ha generato infinite teorie sul ruolo primario che il metabolismo, la composizione della dieta o la genetica giocherebbero nell'aumento del peso corporeo. Solo dopo un certo tempo abbiamo capito che in realtà la spiegazione è molto più semplice: la maggior parte della gente è molto superficiale nel prender nota di ciò che mangia, e le persone sovrappeso lo fanno particolarmente male. Siccome buona parte delle nostre attività alimentari avviene in una zona lontana dalla nostra attenzione consapevole, tendiamo a sottostimare la quantità di cibo che abbiamo effettivamente ingerito. Sharon Pearcey e John de Castro, neuroscienziati comportamentali, hanno monitorato l'assunzione di cibo in un gruppo di persone che nei sei mesi precedenti alla ricerca avevano registrato un aumento di peso di più del 5 per cento e in un altro gruppo che, nello stesso lasso di tempo, non aveva registrato fluttuazioni di peso significative. Ai partecipanti fu fornito un diario e fu chiesto loro di registrare accuratamente ogni singolo boccone di cibo e ogni singolo sorso di liquido ingerito, precisando anche dove, quando e con chi l'avevano assunto. Inoltre dovevano annotare se e quanto avevano avuto fame e sete, e se e quanto si erano sentiti depressi o ansiosi, prima e dopo ogni episodio alimentare. Come ulteriore controllo dell'accuratezza dei rilevamenti ogni partecipante aveva a disposizione una macchina fotografica con cui immortalare il cibo prima e dopo averlo mangiato; ora e data dello scatto comparivano su ogni foto. La ricerca confermò l'ipotesi secondo cui la gente tende a sottostimare, e di parecchio, le quantità di cibo assunte, fenomeno rilevato in entrambi i gruppi. Ma al tempo stesso mostrò una differenza fra i due gruppi, ugualmente ovvia e drammatica: le persone che nei sei mesi precedenti erano ingrassate avevano ingerito in media quasi 400 calorie giornaliere in più rispetto al gruppo di confronto. Andando avanti di questo passo, si poteva stimare che avrebbero continuato a ingrassare a una media di un chilo ogni tre settimane circa. Un'altra équipe di scienziati ha monitorato l'aumento di peso di un gruppo di bambini per dieci anni a partire dalla prima infanzia. Ne è emerso che il peso dei genitori e la quantità di energie bruciate dai bambini stessi contavano meno rispetto all'assunzione di calorie. I bambini che mangiavano di più finivano con il pesare di più. Anche se un'intensa attività fisica può aiutare a tenere sotto controllo il peso, la maggior parte delle ricerche dimostra che il livello di attività fisica non è necessariamente correlato all'ingrassamento. E, cosa più strana, pare che nemmeno eventuali difetti nel metabolismo lo spieghino in maniera soddisfacente: in realtà, la maggior parte degli studi ha dimostrato che le persone obese (ufficialmente definite come quelle che hanno un indice corpo-massa uguale o superiore a 30) o sovrappeso (indice corpo-massa uguale o superiore a 25) bruciano più di quelle magre.
È la quantità di cibo che mangiamo a determinare il nostro peso. A volte la
spiegazione più ovvia si rivela essere quella giusta.
Per circa un secolo gli scienziati hanno pensato che gli esseri umani avessero un meccanismo biologico che bilanciava le calorie introdotte nell'organismo (energia assorbita) e quelle bruciate (energia spesa). Un processo dinamico che, in teoria, doveva permetterci di mantenere relativamente stabile il quantitativo di grasso corporeo e limitare le fluttuazioni di peso. Questa sorta di saggezza del corpo veniva fatta dipendere da un sistema di feedback detto omeostasi. Come accade per la temperatura o per la pressione sanguigna, che il corpo cerca di mantenere entro un range di fluttuazione piuttosto ristretto, si pensava che anche i livelli energetici fossero regolati da un processo omeostatico che manteneva stabili le riserve dell'organismo. Facendo combaciare rigorosamente introduzione di cibo e consumo energetico, tale strategia biologica ci avrebbe permesso di consumare centinaia di migliaia di calorie all'anno senza né perdere né acquistare peso. Si tratta di un sistema altamente sofisticato, ma che può essere spiegato in poche parole: molte parti del corpo comunicano fra loro. Il cervello è il centro di comando di un'elaborata rete di comunicazioni che svolge una funzione essenziale nel regolare il bilancio energetico. Ne fanno parte, oltre al cervello, il sistema nervoso centrale e periferico, l'apparato gastrointestinale, il sistema ormonale, i tessuti grassi e così via. L'ipotalamo, ubicato nel cervello, riceve i segnali provenienti da tutte queste fonti, mette insieme le informazioni e decide cosa bisogna fare per mantenere stabile il peso. Il sistema omeostatico, però, per quanto importante, non sembra così risoluto come pensavano gli scienziati. Se davvero sapessimo tenere in equilibrio in modo efficace la bilancia energetica, non potremmo ingrassare più di tanto. Il nostro corpo compenserebbe automaticamente gli squilibri, vuoi bruciando più calorie, vuoi togliendoci l'appetito. Cosa che, ovviamente, non accade. Nell'ultimo decennio gli scienziati hanno cercato di spiegare questo fallimento del sistema omeostatico cercando un qualche difetto nel suo funzionamento. Ma i risultati delle loro ricerche sono stati deludenti. Anche se effettivamente sono stati identificati alcuni difetti chimici o genetici, queste tare sembrano essere poco frequenti e scarsamente rilevanti per spiegare le più comuni forme di obesità. | << | < | > | >> |Pagina 93Anni di ricerche mi hanno insegnato che zuccheri, grassi e sale modificano il cervello. Ho compreso i parallelismi esistenti fra cibi iper-appetibili e droghe, e i collegamenti fra stimolazione sensoriale, segnali e memoria. Ho incontrato persone come Claudia e Maria, e ho visto che a volte il solo pensiero di un certo cibo basta a far perdere il controllo a una persona.
Ma non ero preparato alle scoperte che ho fatto in merito
all'irresistibilità, al Monster Thickburger e ai Baked!
Cheetos Flamin' Hot, all'autoindulgenza e alle mucche
viola. Senza necessariamente conoscere gli elementi
scientifici alla base delle sue scelte, l'industria alimentare
ha capito cosa vende e cosa no.
Una sera ero seduto al Chili's Grill & Bar dell'O'Hare Airport di Chicago in attesa di un volo che sarebbe arrivato a notte fonda. A un tavolino poco lontano una coppia di quarantenni, concentratissima, stava mangiando. La donna era sovrappeso: più di ottanta chili su uno scheletro che sarà stato alto un metro e sessantadue. I Southwestern Eggrolls che aveva ordinato sul menu erano catalogati come antipasti, ma il gigantesco piatto che aveva davanti quasi spariva sotto un incredibile mucchio di cibo. La pietanza era descritta come «pollo affumicato, fagioli neri, mais, formaggio al peperoncino, peperoni rossi e spinaci, il tutto avvolto in una croccante tortilla di farina di grano», e veniva servita con una cremosa salsa all'avocado. A dispetto del nome somigliava più a un burrito che a un «egg roll», cioè a un involtino primavera: un'allegra confusione multietnica tipicamente americana. Osservai la donna attaccare il cibo con vigore e rapidità. Reggeva il gigantesco involtino con una mano, lo intingeva nella salsa e se lo portava alla bocca, usando la forchetta che teneva nell'altra mano per tirar su altra salsa. Di tanto in tanto si allungava per rubacchiare le patatine dal piatto del suo compagno. Mangiava con metodo, sgombrando sistematicamente il piatto, con ben poche pause dedicate alla conversazione o a qualsiasi altra cosa. Alla fine, quando si fermò, nel piatto restava solo qualche frammento di lattuga.
Se avesse saputo che la stavo osservando, sicuramente
avrebbe mangiato in modo diverso. Se le avessi chiesto
di descrivere ciò che aveva appena finito di consumare,
probabilmente l'avrebbe sottostimato in misura sostanziale. E con ogni
probabilità si sarebbe stupita nell'apprendere quali ingredienti contenesse la
pietanza che aveva divorato.
A quella donna, forse, interesserebbe sapere come il mio informatore interno all'industria alimentare, quello che chiamava zuccheri, grassi e sale i tre punti cardinali, descrive il suo «antipasto». Con la cottura in friggitrice l'acqua contenuta nella tortilla passa dal 40 al 5 per cento circa, sostituita dai grassi. «La tortilla è in grado di assorbire moltissimi grassi», mi spiega. «Ma alla fine assume esattamente l'aspetto che un involtino primavera dovrebbe avere, tutto dorato e croccante.» Il mio consulente prosegue nella lettura degli ingredienti e intanto commenta: «Carne bianca di pollo, agglomeranti, aroma di affumicato. Alla gente piace l'affumicato – è il cavernicolo che c'è in noi». «Ah, c'è anché'qualcosa di verde qui dentro», aggiunge, notando gli spinaci. «Questi servono a convincere la gente che sta mangiando una cosa sana.» «Formaggio Shredded Monterey Jack... Dell'accresciuto consumo pro capite di formaggio non si parla mai.» I peperoncini, prosegue, «servono a dare un gusto speziato, ma non tanto forte da cancellare ogni altro sapore». Il pollo, dice, è stato tritato a formare un piccolo polpettone, cui sono stati aggiunti gli agglutinanti, che rendono tutte quelle calorie più facili da deglutire. Anche altri ingredienti apportatori d'umidità, come l'estratto di lievito autolisato, il sodio fosfato e il concentrato di proteine della soia, servono ad ammorbidire il cibo. Vedo che il sale compare otto volte e i dolcificanti cinque, sotto forma di sciroppo di mais, melassa, miele, zucchero di canna e zucchero bianco. «È un cibo altamente processato?», domando. «Altroché. Tutti gli ingredienti sono stati trattati affinché noi potessimo spazzolarli nel minor tempo possibile... li hanno tritati e resi iper-appetibili... Aspetto seducente, alta gratificazione del palato, elevata densità calorica. Batte uno a zero qualsiasi cosa richieda una maggior masticazione.» Eliminando la necessità di masticare, le moderne tecniche di processamento alimentare ci consentono di mangiare più in fretta. «Quando mangi questa roba butti giù 500, 600, 800, 900 calorie senza accorgertene», dice il mio consulente. «Letteralmente senza saperlo.» Il cibo molto raffinato si scioglie semplicemente in bocca. | << | < | > | >> |Pagina 245I problemi di sovrappeso che affliggono molti di noi dimostrano, almeno in parte, che siamo stati molto mal consigliati. Ogni giorno vengono concepite e pubblicizzate nuove diete che in teoria dovrebbero aiutare a cambiare comportamenti, processi di pensiero, emozioni o combinazioni di alimenti da mettere in tavola. Tutti programmi che, se pure aiutano a scrollarsi di dosso qualche chilo di troppo, non sono in grado di far restare snelli a lungo. Il problema è che non si è mai compreso fino in fondo come e perché si perde il controllo del proprio modo di mangiare, e di come si possono utilizzare le conoscenze in merito a proprio vantaggio. Perché è la natura stessa del problema – la concentrazione sul cibo come fonte di gratificazione – a suggerire la soluzione. È ora di cominciare a pensare a una riabilitazione alimentare. L'aggiustamento delle aspettative che riponiamo nel cibo ci impone di entrare in una prospettiva del tutto nuova. Io stesso ho cambiato prospettiva mentre lavoravo a questo libro. Mi è capitato di descrivere un pasto che avevo appena consumato in un ristorante di San Francisco a una persona giustamente ritenuta uno dei più importanti istruttori alimentari degli USA. Ero convinto che la mia cena avesse avuto grossomodo le dimensioni giuste, ed ero contento di essere riuscito a sottrarmi al dessert. Ma quando le ebbi descritto con precisione ciò che avevo mangiato, un antipasto e un piatto unico, la mia interlocutrice fu drastica: «Hai mangiato esattamente il doppio di ciò di cui avevi bisogno», mi disse. Ero sbalordito. Ma in quel momento mi resi conto di aver perso la cognizione di ciò che mi serviva per essere sazio. Da allora in poi ho lavorato duro per ritrovare quello stato d'animo, e ho imparato a ricavare gratificazione da quantitativi più piccoli dei cibi che mi piacciono. Poi, con il tempo, la cosa mi è diventata sempre più facile. In realtà, il fatto stesso di aver ritrovato il controllo su me stesso era già abbastanza gratificante. Adesso non ho più bisogno di trarre una parte tanto consistente della mia soddisfazione da zuccheri, grassi e sale.
La riabilitazione alimentare è la chiave per arrivare a
vedere gli stimoli connessi al cibo in modo del tutto nuovo. Non appena
decidiamo di cercare le nostre gratificazioni su strade che non prevedano
montagne di cibo iper-appetibile, possiamo cominciare a ristrutturare l'ambiente
che ci circonda e a rafforzare il nostro comportamento in modo da sostenere le
cose che abbiamo imparato e la nostra ricerca di nuove gratificazioni.
Alcuni princìpi essenziali rappresentano le fondamenta della riabilitazione alimentare. - L'iperfagia condizionata è una sfida biologica, non una debolezza del carattere. Non potremo guarire finché non la smetteremo di vedere nel mangiar troppo una mancanza di forza di volontà. - Curare l'iperfagia condizionata significa ammettere che si tratta di un problema cronico che dobbiamo gestire, perché non può essere guarito definitivamente. - Ogni volta che agiamo obbedendo al desiderio di zuccheri, grassi e sale, e ne ricaviamo una gratificazione, rendiamo più difficile agire diversamente la volta dopo. Una cura efficace spezza il circolo vizioso segnale-desiderio-gratificazione-abitudine che è al centro dell'iperfagia condizionata. - La perdita di controllo che caratterizza la malattia è aggravata dalle diete che ci fanno sentire deprivati. - Un nuovo apprendimento può attecchire soltanto se produce un senso di soddisfazione. Nessuno può sostenere a lungo un cambiamento di abitudini che lasci affamati, infelici, arrabbiati o pieni di risentimento. - Riprendere il controllo sul modo di mangiare richiede da parte nostra un approccio sfaccettato, con molti passi interdipendenti fra loro. Per vincere abbiamo bisogno di strategie che si rivolgano ai molteplici elementi comportamentali, cognitivi e nutrizionali dell'iperfagia condizionata. - Le ricadute sono inevitabili. La maggior parte di noi non guarisce mai completamente dall'iperfagia condizionata. Restiamo vulnerabili al richiamo delle vecchie abitudini, anche se con il tempo e con gratificazioni legate al successo esse perdono almeno in parte il loro potere. Con un po' di pratica possiamo imparare a usare a nostro vantaggio anche gli «scivoloni», utilizzandoli come strumenti per prendere atto dei punti che possono ancora farci inciampare e promemoria del fatto che ci sono sempre nuove lezioni da imparare. - Alla fine di questo percorso potremo davvero cominciare a vedere il cibo in modo nuovo, riconoscendo a esso il pregio di sostenerci e di difenderci dalla fame ma non l'autorità di comandare sulla nostra vita. | << | < | > | >> |Pagina 283Esattamente come gli iperfagici condizionati, anche l'industria alimentare deve realizzare un cambiamento percettivo critico. Una sincera ammissione del carattere dei suoi processi manifatturieri e di marketing è il punto più ragionevole da cui partire; e la cosa comincia già ad accadere. L'Europa, dove è in atto una critica più puntuale alle pratiche industriali, in questo è più avanti degli Stati Uniti. Non molto tempo fa sono andato a Londra per parlare con i massimi dirigenti di una delle più grandi multinazionali alimentari del mondo, che in quel momento era nel mirino della stampa per via del suo ruolo nell'aumento del numero degli obesi. Alcuni membri del parlamento stavano addirittura esplorando la possibilità di modificare leggi e regolamenti, per esempio cambiando le indicazioni di legge sulle etichette degli alimenti. Quelle persone mi avevano invitato, insieme ad alcuni colleghi europei con esperienze di governo in tema di regolamenti sugli alimenti, perché le aiutassi a riflettere sulle loro responsabilità. Mi era stato chiesto di tenere un intervento di circa dieci minuti. La mia piccola raccolta di slide in Powerpoint si apriva con l'immagine di un cerchio composto dai nomi di alcune malattie mortali; al centro c'era scritto «obesità». Dopo aver illustrato il ruolo giocato da questa nell'infarto, nell'ipertensione, nel colesterolo alto e nel diabete, lessi alcuni dati dai quali emergeva il terribile aumento del numero degli obesi e spiegai i punti deboli dell'idea secondo cui il nostro peso sarebbe destinato a oscillare attorno a un punto predeterminato. Continuai la mia presentazione riassumendo le informazioni contenute in questo libro. Mentre spiegavo che la gente tende a mangiare troppo se ha del cibo sempre a portata di mano, vidi che l'espressione di tutti quei manager cominciava a cambiare. Capivano perfettamente che mi stavo avvicinando al cuore del loro modello commerciale. Poi parlai delle qualità stimolanti degli zuccheri, dei grassi e del sale, soprattutto in combinazione fra loro, e illustrai come il cervello sia programmato per concentrarsi sullo stimolo più importante dell'ambiente. «Più i vostri prodotti diventeranno notevoli e multisensoriali, più risulteranno gratificanti e più se ne consumeranno», dissi bruscamente. Ricorrendo a un'analogia, descrissi poi il modo in cui la nicotina acquisisce il potere di scatenare il desiderio. Di per sé sarebbe una sostanza solo moderatamente rinforzante, ma la cosa cambia quando ci vengono costruiti sopra strati e strati di stimolazioni sensoriali: la vista della confezione, lo scricchiolio del pacchetto nuovo, la sensazione tattile di accendere la sigaretta e tenerla fra le dita, le caratteristiche sensoriali della prima boccata di fumo, tutte queste sono cose che ne gonfiano le proprietà rinforzanti. Aggiungeteci i momenti della giornata in cui avete l'abitudine di fumare e i luoghi in cui siete abituati a farlo, e fumare diventerà un comportamento condizionato. Tutti questi segnali, uniti alla rilevanza emotiva di cui l'industria del tabacco ha saturato le sigarette grazie a decenni di strategie pubblicitarie, intensificano l'attrazione esercitata dalla nicotina, che a questo punto è diventata altamente rinforzante. Tornando al cibo, spiegai che le tattiche dell'industria alimentare e le regole sociali gonfiano le proprietà rinforzanti di zuccheri, grassi e sale in modo sostanzialmente analogo - facendo appello ai sensi, impiegando il potere della pubblicità, rendendo il cibo disponibile sempre e comunque e diffondendo schemi culturali che autorizzano a mangiare a qualsiasi ora del giorno. Mettete insieme tutte queste cose, conclusi, «e avrete un prodotto altamente rinforzante capace di generare comportamenti indotti e condizionati». Per un momento nella stanza regnò un perfetto silenzio. Poi un dirigente prese la parola. «È evidente che il problema sta in tutto ciò che ha fatto di noi un'impresa di successo», disse. E a partire da quel momento, sia detto a loro credito, quelle persone cominciarono a ripensare alle loro strategie sull'etichettatura e sulle dimensioni delle porzioni. | << | < | > | >> |Pagina 290È perfettamente possibile vivere una vita lunga e sana senza assumere alcol, tabacco o droghe; per questo il trattamento di tali dipendenze può essere costruito attorno al principio dell'astinenza assoluta. Ma siccome non è possibile sopravvivere senza mangiare, per cambiare la nostra percezione dei cibi superstimolanti e imparare a tenercene alla larga servono altre strategie. L'obiettivo ultimo – non solo per quelli di noi che soffrono di iperfagia condizionata, ma anche per un'industria alimentare che voglia dirsi responsabile – è quello di trovare alimenti che sappiano darci gratificazione emotiva senza scatenare l'iperfagia.Alcune strategie efficaci per svezzare le persone dagli stimoli forti sono imperniate su gratificazioni sostitutive. Programmi come quelli degli Alcolisti anonimi, di Al-Anon, l'associazione dei famiglíari degli alcolisti, e dei Narcotici anonimi offrono l'amicizia e il sostegno di persone che vivono o hanno avuto lo stesso problema. Anche l'esercizio fisico può attenuare certi desideri in quanto a livello cerebrale provoca lo stesso tipo di gratificazione chimica fornito dal cibo. Ma il sostituto più idoneo di un cibo gratificante, il più delle volte, è un altro cibo gratificante, di un tipo che non induca l'iperfagia condizionata, ma che si possa comunque apprezzare. La scelta è prettamente individuale, legata a ciò che può alleviare i nostri sentimenti negativi e farci sentire bene senza il peso e le calorie di troppo dei cibi superstimolanti. Perché non ci faccia male, dobbiamo riuscire a comprare il cibo in quantità ragionevoli e a mangiarlo nelle ambientazioni appropriate. Anche far luce sui nostri automatismi può aiutare. La cura di molti disordini stimolo-risposta comporta un rimaneggiamento dell'agente provocatore. Alcuni approcci vanno a stanare il desiderio dai suoi nascondigli interiori e lo esternalizzano, lo applicano al corpo in modo che il paziente possa vederlo come un oggetto esterno che è in suo potere respingere. Nel disordine ossessivo-compulsivo, per esempio, i pazienti imparano a parlare con lo stimolo e a scacciarlo con le parole. Le persone che soffrono di anoressia imparano a vedere il loro male come una forza esterna: l'idea sarebbe quella di imparare a dire «è l'anoressia che mi sta facendo questo. Non sono "io" a non voler mangiare, è l'anoressia che mi dice di non farlo». La «campagna verità», la più massiccia campagna anti-tabacco mai rivolta ai giovani negli Stati Uniti, segue un approccio analogo promuovendo l'idea che la voglia di fumare non viene dall'io, bensì da un'industria manipolatrice che mira solo al profitto. In questo quadro le sigarette sono state ridefinite con successo come prodotti deliberatamente spacciati per diventare oggetti del desiderio. Tutte queste tecniche, già testate nel trattamento di condizioni patologiche legate alla dipendenza da altri stimoli, suggeriscono la possibilità di interventi clinici e strategici di successo anche nel caso dell'iperfagia condizionata. E dimostrano che anche le linee di intervento pubbliche possono avere un ruolo importante. Fra queste, quattro possibili strategie meritano particolare attenzione. Primo, i ristoranti dovrebbero stampare sul menu il valore calorico dei piatti che offrono per legge, se non sono disposti a farlo volontariamente. Oltre a dare ai consumatori informazioni importanti per prendere decisioni alimentari consapevoli, ciò incentiverebbe i ristoratori stessi a offrire più pietanze destinate alle persone che stanno cercando di mangiare solo il giusto (300 calorie a colazione; da 400 a 500 calorie per pranzo; da 500 a 700 calorie per cena). Tali pietanze dovrebbero essere ricche di sapore e rilevanti sotto ogni altro aspetto, e i ristoranti dovrebbero pubblicizzarle in modo almeno altrettanto aggressivo delle altre e più viziose offerte. Secondo, tutti gli alimenti prodotti industrialmente dovrebbero avere un'etichetta con riportate chiaramente le percentuali di zuccheri aggiunti, di carboidrati raffinati e di grassi che contengono. Terzo, ben finanziate campagne di sensibilizzazione dovrebbero affrontare il tema del «cibo grosso»: la gente ha bisogno di sentirsi dire, ripetutamente e da molte fonti, che vendere, servire e mangiare cibi ricoperti e ripieni di zuccheri, grassi e sale porta conseguenze dannose per la salute. Quattro, la pubblicità dei generi alimentari dovrebbe essere controllata ed eventualmente sbugiardata. Quando reclamizza alimenti superstimolanti che inducono comportamenti condizionati e non liberi, l'industria alimentare non sta offrendo un'informazione neutra: sta istigando a comportamenti dannosi per la salute.
È necessario sviluppare strategie e trovare soluzioni
per questo serio problema di salute pubblica, anche e soprattutto per i nostri
figli. Io sono pediatra, e per questo la cosa mi sta tanto più a cuore. Uno dei
più bei regali che possiamo fare alle future generazioni è proprio quello di
trovare un modo per impedire al circolo vizioso
segnale-desiderio-gratificazione-abitudine di prendere il sopravvento sulle
persone.
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