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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione Russ Kick 7 "Guerra al terrorismo", l'ultima menzogna della propaganda William Blum 10 La grande truffa della "guerra alla droga" Michael Levine 25 AIDS, il caso non è chiuso Kary Mullis 59 Purtroppo, un diamante è per sempre Janine Roberts 68 Il Martin Luther King censurato dalla Tv Jeff Cohen e Norman Solomon 85 Suicidi al Prozac Richard DeGrandpre 88 L'esilio di un giornalista Greg Palast 118 Le atrocità dei media nella guerra in Kosovo Michael Parenti 132 La favola della "guerra buona". La storia segreta della Seconda Guerra Mondiale Michael Zezima 143 Due pesi e due misure. Riconoscere il terrorismo dello stato di Israele Paolo Barnard 158 "Una verità così terribile". I campi di prigionia degli "Alleati" James Bacque 173 Guerre per il dominio globale. Progetto per un nuovo secolo americano Michel Chossudovsky 190 I crimini di Cristofo Colombo e il mito della "civiltà occidentale" Howard Zinn 211 Chi gioca sporco nella finanza mondiale Lucy Komisar 230 La scuola dei torturatori A cura di School of Americas Watch 241 Le armi proibite della CIA A cura del Progetto Sunshine 254 Il mito del DNA Barry Commoner 268 Le vere ragioni dei conflitti in Africa Alberto Sciortino 284 Tutto quello che non dovreste sapere sul Cristianesimo Laura Malucelli 304 Il sorriso che inganna. La frode del fluoro Robert Sterling 316 Per un mondo libero da OGM A cura di un gruppo di scienziati indipendenti (ISP) 331 Medicina assassina G. Nul, C. Dean, M. Feldman, D. Rasio, D. Smith 341 Il collasso del Quarto Potere Noam Chomsky 370 Se esportiamo la democrazia, a noi quanta ne rimane? Ritt Goldstein e Nancy Talanian 381 Il Network delle notizie segrete Greg Bishop 399 La farsa degli aiuti umanitari in Afghanistan Russ Kick 407 La CIA e l'atomo John Kelly 410 Jimmy Carter e i diritti umani Jeff Cohen e Norman Solomon 427 Stragi italiane impunite Gabriella Canova 430 L'affare del canale di Panama Ovidio Diaz-Espino 440 La rivolta di Kwangju Nick Mamatas 464 A proposito di Disinformation® 475 Biografie degli autori 476 |
| << | < | > | >> |Pagina 7INTRODUZIONE
Russ Kick
"Abuse Your Illusions"' è la terza antologia che ho curato per Disinformation in altrettanti anni. Quando iniziai a lavorare sul primo volume ("You Are Being Lied To") nel 2000, tutti mi dicevano sornioni: "Scommetto che non resterai mai a corto di materiale, riuscirai a crearne sempre di antologie così", e altre cose del genere. Come sospettavo, avevano ragione: il problema, come sempre, non è se riuscirò ad avere abbastanza materiale per riempire un libro di questo tipo, ma come farò a compiere una selezione in mezzo al gran numero di possibili argomenti, collaboratori, articoli, ecc. È sbalorditiva anche solo la semplice mole di informazioni nascoste, fatti occultati, distorsioni, bugie, falsi miti e concezioni sbagliate che ci si riversa addosso. Ogni giorno leggo sempre più materiale che indebolisce il consenso generale, coglie con efficacia enormi menzogne, cerca di tirare fuori tutto il marcio che viene passato sotto silenzio e mostra le cose nella maniera in cui potrebbero essere. Le mie stesse convinzioni sono messe in dubbio regolarmente, qualche volta di ora in ora. Ci sono giorni in cui mi chiedo se, come suggerisce il titolo del secondo volume, letteralmente tutto ciò che so sia falso. Stare al passo con gli inganni che ci vengono propinati è una sfida crescente: è come scavare una buca mentre un bulldozer continua a ricacciarti il marcio all'interno. E la situazione peggiora costantemente. L'attuale Amministrazione va matta per la segretezza e la repressione più di qualsiasi altra a memoria d'uomo, e questo la dice lunga su come vanno le cose. Ogni presidente fa quel che può per aumentare la posta, stringendo sempre di più i freni e custodendo più segreti del suo predecessore. Di questi tempi, i siti Web governativi stanno tranquillamente rimuovendo o cambiando migliaia di pagine. Il Procuratore Generale Usa ha ordinato agli enti governativi di respingere con maggiore frequenza le richieste di accesso ai documenti pubblici, garantite dal Freedom of Information Act. Sempre più informazioni vengono considerate "non sottoposte a segreto di stato, ma delicate" e, quindi, riservate. Alcuni tipi di dati statistici non vengono più raccolti. Il denaro per stampare documenti governativi scarseggia. Le biblioteche ricevono sempre meno sovvenzioni. E poi c'è la minaccia esercitata dai gruppi di pressione. Non vi va giù che qualcuno abbia rivelato un fatto imbarazzante o espresso un'opinione scomoda? Minacciatelo con boicottaggi, cause, cattiva pubblicità, persecuzione penale (specialmente in Europa) e magari accennate anche a forme più dure di punizione. Alla rabbia è tutto dovuto. Lo fanno semplicemente tutti, miei cari: destra, sinistra, musulmani, ebrei, veterani, femministe e così via. Evidentemente molte persone non hanno ancora imparato che la reazione adeguata a un discorso che non piace o con cui non si è d'accordo consiste nel fare una contro-proposta propria, non nel tentare di ridurre al silenzio l'interlocutore. Internet ha contribuito in maniera straordinaria alla liberazione dell'informazione, ma allo stesso tempo nella rete viene immessa indiscriminatamente una così grande quantità di informazioni che siamo stati costretti ad affinare le nostre capacità critiche. Chi ha prodotto il materiale che stiamo leggendo? Quali sona le fonti utilizzate? Quanto viene affermato ha una sua coerenza interna? Queste sono tutte buone domande da porsi di fronte a qualsiasi tipo di materiale, ma allo stesso tempo non dobbiamo spingerci troppo oltre nell'altra direzione, non prestando fede a nulla di quanto viene proposto in rete. In quella che sembra essere una violenta reazione contro il flusso informativo presente online, alcune persone vorrebbero farvi credere che nulla di quanto si trova in rete può in alcun modo essere vero. Alcune di queste persone sono semplicemente sprezzanti, forti della loro arroganza, ma altre hanno uno scopo ben preciso. E diffidate dei recensori di Amazon che scrivono: "Non sprecate soldi per questo libro". Tradotto significa: "Questo libro contiene fatti e opinioni che sono fonte di turbamento per me, quindi non voglio che voi lo leggiate". E a proposito di libri, fanno anch'essi parte dell'eccesso informativo dilagante. Il numero di libri validi che contengono importanti rivelazioni cresce letteralmente in maniera esponenziale, ogni giorno. Ma chi ha tempo di leggerli tutti? Un resoconto dettagliato di 500 pagine su una qualche impresa, agenzia governativa o personalità politica è fantastico, ma si è fortunati se si riesce a finirne uno (figurarsi dozzine su dozzine...) in un lasso di tempo ragionevole. La stessa cosa vale per un libro di 600 pagine che mette drammaticamente in dubbio le nostre convinzioni assodate riguardo un determinato evento storico, e anche per un eventuale tomo di 300 pagine sulla più recente teoria scientifica o innovazione tecnologica. Allora perché contribuiamo anche noi al sovraccarico informativo, alla pila di libri che si accumulano incessantemente sul comodino? (per non parlare di quella lista di bookmark sul vostro browser lunga un metro...). La risposta è: perché speriamo di raccogliere un certo numero di testi migliori in mezzo a quel vasto materiale e di radunarli in un solo libro. È solo una piccola porzione di tutte le ottime cose che si trovano là fuori, ma almeno è un inizio. Allo stesso tempo, le antologie offrono un antidoto alle costanti restrizioni sulla libera circolazione delle informazioni. Praticamente ogni articolo che compare tra queste due copertine si occupa di un argomento scottante, e alcuni di questi sono addirittura radioattivi. A quanto pare, la De Beers ha completamente occultato il film di Janine Roberts che tratta gli aspetti oscuri e nascosti del commercio dei diamanti. La Doubleday le offrì un contratto per un libro su questo argomento, la pagò persino in anticipo, e poi si rifiutò di pubblicarlo. Quando il Sunshine Project rilasciò un comunicato stampa relativo ai documenti governativi desecretati, con i quali si prova che gli Usa stanno sviluppando armi biologiche illegali, ognuno dei principali organi informativi del paese chiamò il co-fondatore Edward Hammond per saperne di più sull'argomento. Ma nessuno di loro ha mai pubblicato nemmeno un servizio; solo due fonti informative alternative diedero copertura delle rivelazioni, e cioè Pacific Radio e Village Voice (l'ultima con un articolo online del vostro affezionatissimo sottoscritto). Hammond mi disse che un giornalista del New York Times lo aveva intervistato per 45 minuti, eccitatissimo all'idea di scrivere il pezzo, ma i responsabili del Times bocciarono il servizio. Ebbene sì, anche nell'era del sovraccarico informativo, alcuni fatti vengono alla luce con immense difficoltà. E in mezzo a quel mare di notizie che riescono a emergere, come si fa a sapere da dove cominciare? Mi permetto umilmente di suggerire che questo libro può essere un buon punto di partenza. Se mai qualcuno di questi articoli dovesse solleticare la vostra curiosità, sappiate che potrete trovare ulteriori fonti di informazioni nelle note, nelle biografie dei collaboratori e nei loro siti Web, oltre che, naturalmente, negli stessi articoli. | << | < | > | >> |Pagina 88SUICIDI AL PROZAC
Richard DeGrandpre
[...] Nel 1986, studi con sperimentazioni cliniche volti a comparare il Prozac con altri antidepressivi dimostrarono un rapporto di 12,5 suicidi per 1.000 consumatori di Prozac, rispetto ai soli 3,8 suicidi per 1.000 pazienti sotto cura di un vecchio antidepressivo privo di SSRI, e ai 2,5 suicidi per 1.000 pazienti sotto l'effetto di un placebo. Un documento riservato della Lilly recante la data del 29 marzo 1985 quantifica in termini simili il problema: La percentuale [di suicidi] con l'assunzione di fluoxetina [Prozac] è quindi matematicamente 5,6 volte più alta che sotto l'effetto dell'altro medicamento attivo, l'imipramina... Il rapporto fra gli effetti benefici e i rischi d'assunzione di fluoxetina non depone a favore dei benefici. È perciò della massima importanza specificare se esista un determinato tipo di pazienti che risponde meglio alla fluoxetina rispetto all'imipramina, in modo da ovviare all'alta incidenza di suicidio. Molto presto, dopo l'introduzione del Prozac sul mercato, nel 1988, cominciarono a essere pubblicati rapporti che confermavano che il mostro che Lilly aveva creato in laboratorio era stato ora sguinzagliato liberamente fra il pubblico senza il minimo avvertimento. Nel 1990, tre anni prima che Bill Forsyth assassinasse la moglie e si uccidesse, sull' American Journal of Psychiatry comparve un articolo riguardante l'"Emergere di forti preoccupazioni per il pericolo di suicidio durante una cura di fluoxetina [Prozac)". Due psichiatri di Harvard, Martin Teicher e Jonathan Cole, e l'infermiera Carol Gold riferirono di casi in cui pazienti cominciavano a manifestare serie tendenze suicide subito dopo aver iniziato una cura di Prozac. L'articolo concludeva: Siamo stati particolarmente colpiti quando abbiamo assistito all'emergere in questi pazienti di intensi, ossessivi e violenti pensieri suicidi... Nessun paziente soffriva di tendenze suicide prima di iniziare la cura di fluoxetina. Al contrario, tutti si dimostravano fiduciosi e ottimisti... I loro pensieri suicidi si possono definire ossessivi in quanto erano ricorrenti, persistenti e tormentosi... La violenza espressa da tali pensieri è parimenti degna di nota. Due pazienti ebbero per la prima volta fantasie suicide in cui si uccidevano con una pistola (caso 4 e 5), e una paziente (caso 6) giunse realmente a puntarsi una pistola alla testa. Un altro paziente (caso 3) dovette essere fisicamente trattenuto e immobilizzato per impedirgli un'automutilazione. Il paziente 2, che non aveva mai avuto precedentemente pensieri suicidi, cominciò a fantasticare di suicidarsi attraverso l'inalazione di gas o in un incidente stradale. All'articolo degli psichiatri di Harvard risposero diversi medici specialisti che descrissero casi simili. I risultati delle osservazioni di Teicher e colleghi vennero accolti con grande interesse, data la fama di cui godevano i medici. Jonathan Cole, uno degli autori dello studio, vantava una carriera che risaliva agli anni '50 ed era stato definito dalla Pfizer, il creatore dell'SSRI Zoloft, come un "pioniere" nel campo della psico-farmacologia. Richiamando il rapporto Teicher/Harvard durante il processo Forsyth, David Healy spiegò alla corte che Jonathan Cole "è un uomo che conosce il meccanismo dell'insorgere di pensieri suicidi, e tuttavia ha sostenuto con i suoi colleghi di aver assistito in questo caso a qualcosa di diverso. Non stiamo parlando di osservatori sprovveduti, che possono essere tratti in inganno dalla comune comparsa di pensieri suicidi nei malati di depressione". Nel luglio del 1992 apparve un altro articolo in proposito, questa volta sull'Archives of General Psychiatry. Come il rapporto di Harvard, l'articolo contava fra i suoi autori due illustri studiosi, William Wirshinq e Theodore Van Putten, quest'ultimo è considerato uno dei maggiori esperti di acatisia. Nell'articolo si evidenziava il fatto che, prima dell'assunzione di Prozac, nessuno dei pazienti presi in esame "aveva una storia di marcate tendenze suicide; tutti descrissero il proprio malessere [durante la cura con il Prozac] come un nuovo e intenso stato somatico-emozionale; tutti riferirono di un forte e urgente bisogno di muoversi che corrispondeva in intensità all'ansia provata; tutti percepivano, al culmine della proprio stato di agitazione, pensieri suicidi; e tutti provarono un alleviamento della propria eccitazione, della propria inquietudine, del proprio bisogno impellente di tenersi in movimento e dei propri desideri suicidi dopo l'interruzione della cura con il Prozac". La scoperta che questi disturbi si manifestano subito dopo l'assunzione di un farmaco, che agisce selettivamente sulla serotonina e scompaiono con la sospensione della cura, rappresenta una prova determinante. David Healy giunse alla conclusione che il problema fosse spesso il farmaco e non il malessere in sé. Anthony Rothschild e Carol Locke, anch'essi studiosi della Harvard Medical School e del McLean Hospital, riportarono tre casi simili sul Journal of Clinical Psychiatry nel dicembre 1991. Secondo il rapporto dei medici, i tre pazienti "furono sottoposti a una cura di fluoxetina [Prozac] dopo aver commesso gravi tentativi di suicidio durante l'assunzione dello stesso farmaco". | << | < | > | >> |Pagina 211I CRIMINI DI CRISTOFORO COLOMBOe il mito della "Civiltà occidentale"
Howard Zinn
[...] Le celebrazioni di Colombo sono annunciate come celebrazioni non solo dei suoi successi marittimi, ma del "progresso", del suo arrivo nelle Bahamas come l'inizio di quei 500 anni di tanto lodata "civiltà occidentale". Ma quei concetti hanno bisogno di essere riesaminati. Quando a Gandhi fu chiesto cosa pensasse della civiltà occidentale, rispose: "sarebbe una buona idea". Il punto non è voler negare i benefici del "progresso" e della "civiltà" - come i progressi tecnologici, la conoscenza, la scienza, l'educazione e gli standard di vita. Ma c'è una domanda che va assolutamente posta: il progresso va bene, ma quanto costa in vite umane? Accetteremmo una giustificazione russa al dominio di Stalin, incluso l'enorme tributo pagato in sofferenze umane, col pretesto che fece della Russia una grande potenza industriale? Ricordo che alla high school, durante le lezioni di storia americana, quando arrivammo a trattare il periodo successivo alla guerra civile (grossomodo gli anni tra quella guerra e la prima guerra mondiale), quel momento storico ci venne presentato come l'Età dell'Oro, il periodo della grande rivoluzione industriale, quando gli Stati Uniti divennero un gigante dell'economia. Ricordo quanto fossimo emozionati nell'apprendere della sensazionale crescita delle industrie dell'acciaio e del petrolio, della costruzione delle grandi fortune, della nascita delle linee ferroviarie che avrebbero attraversato il paese. Non ci venne detto dell'enorme prezzo in vite umane di questo grande progresso industriale: di come l'enorme produzione di cotone derivasse dal lavoro degli schiavi neri; di come l'industria tessile venne messa in piedi con il lavoro di ragazze giovani, che entravano in fabbrica a dodici anni e morivano a 25; di come le ferrovie furono costruite da immigrati irlandesi e cinesi che venivano letteralmente fatti lavorare fino alla morte, nel caldo torrido dell'estate e nel freddo invernale; di come gli operai, immigranti e non, dovettero scendere in strada per scioperare, per poi venire picchiati dalla polizia e incarcerati dalla Guardia Nazionale, prima di poter finalmente ottenere le otto ore lavorative al giorno; di come i bambini delle classi operaie, nei quartieri più degradati delle città, dovettero bere acqua inquinata, e di come morirono prematuramente per malnutrizione e malattie. Tutto questo, nel nome del "progresso". E sì, certo, ci sono enormi benefici derivati dall'industrializzazione, dalla scienza, dalla tecnologia, dalla medicina. Ma finora, nei 500 anni di civiltà occidentale, di dominazione occidentale del resto del mondo, gran parte di questi benefici sono andati solo a una piccola parte della razza umana, poiché miliardi di persone nel Terzo Mondo devono ancora affrontare la morte per fame, la mancanza di una casa, le malattie, le morti premature dei propri figli. Le spedizioni di Colombo segnarono davvvero la transazione dalla barbarie alla civilizzazione? E che dire delle civiltà indiane che erano state costruite nel corso di millenni, prima che arrivasse Colombo? Las Casas e altri si meravigliarono di fronte allo spirito di condivisione e generosità che contraddistingueva le società indiane di fronte agli edifici della comunità in cui vivevano, di fronte alla loro sensibilità estetica, di fronte all'uguaglianza che regnava tra uomini e donne. I colonialisti inglesi in Nord America rimasero sbigottiti nel constatare la grande democrazia degli irochesi, cioè le tribù indiane che occupavano gran parte del territorio di New York e della Pennsylvania. Lo storico americano Gary Nash descrive così la cultura di questi popoli: "Nessuna legge o ordinanza, né sceriffi o poliziotti, giudici o giurie, né tantomeno tribunali o prigioni - cioè l'apparato dell'autorità nelle società europee - si potevano trovare nei terreni boscosi del nord-est prima dell'arrivo degli europei. Eppure i confini del comportamento accettabile erano fermamente definiti... Sebbene si vantassero della loro grande autonomia individuale, gli irochesi conservavano severamente il senso di ciò che è giusto e sbagliato...". Nel corso dell'espansione verso ovest, la nuova nazione, gli Stati Uniti, rubò la terra dei nativi, li uccise quando tentarono di opporre resistenza, distrusse le loro fonti di cibo e i loro ripari, li spinse verso porzioni di terra sempre più piccole, e avviò la sistematica distruzione della società indiana. All'epoca della Black Hawk War, negli anni '30 dell'Ottocento - una delle centinaia di guerre intraprese contro i nativi del Nord America - Lewis Cass, il governatore del territorio del Michigan, definì la sua confisca di centinaia di migliaia di ettari di terra agli indigeni come "il progresso della civiltà". Disse: "un popolo barbaro non può vivere a contatto con una comunità civile". Possiamo avere un'idea di quanto fossero "barbari" questi nativi quando, negli anni '80 dell'Ottocento, il Congresso preparò l'insieme di leggi per lo smantellamento del suolo pubblico (in cui vivevano ancora gli indiani) e la sua divisione in porzioni più piccole, private, attuando quella che alcune persone chiamano ancora oggi, con ammirazione, la "privatizzazione". Il Senatore Henry Dawes, autore di queste leggi, fece visita alla nazione cherokee, e descrisse ciò che vide: "... non c'era neppure una famiglia che non avesse una casa propria. Non c'era neppure un povero in quella nazione, e la nazione non possedeva neppure un dollaro... costruì da sé le sue scuole e i suoi ospedali. Eppure, l'imperfezione del sistema era apparente. Prendono la terra solo fin dove possono arrivare, perché la possiedono in comune... non ci sono imprese che possano rendere la propria casa migliore di quella dei vicini. Non c'è l'egoismo, che è alla base di ogni civiltà". | << | < | > | >> |Pagina 268IL MITO DEL DNA
Barry Commoner
Una volta la biologia era considerata una disciplina languida, largamente descrittiva, una scienza passiva che si è accontentata, per gran parte della sua storia, soltanto di osservare il mondo naturale, anziché cambiarlo. Ora non più. Oggi la biologia, armata del potere della genetica, ha sostituito la fisica nel ruolo di Scienza trainante del secolo e si erge pronta ad assumere poteri divini di creazione, evocando forme artificiali di vita piuttosto che elementi ancora sconosciuti e particelle subatomiche. I primi passi verso questa nuova Genesi sono stati estesamente reclamizzati attraverso la stampa. Non molto tempo fa gli scienziati scozzesi hanno sbalordito il mondo con Dolly, la pecora senza padre clonata direttamente dalle cellule di sua madre; queste tecniche ora vengono applicate, senza successo, a cellule umane. Recentemente è nata ANDi, una fotogenica scimmietta rhesus che porta il gene di una medusa luminescente. I maiali, ora, portano un gene per l'ormone della crescita bovino e mostrano un significativo aumento di peso, una maggiore efficienza nutrizionale e una minore quantità di grasso. La maggior parte delle piante di soia coltivate negli Stati Uniti è stata geneticamente modificata per sopravvivere all'applicazione di potenti diserbanti. Le piante di mais, ora, contengono un gene batterico che produce una proteina insetticida che le rende velenose per i parassiti. I nostri scienziati e imprenditori scientifici (due etichette sempre più interscambiabili) ci assicurano che queste prodezze della capacità tecnologica, benché straordinarie e complesse, nondimeno sono sicure e affidabili. Ci viene detto che tutto è sotto controllo. Per convenienza vengono ignorati, dimenticati o in alcuni casi semplicemente passati sotto silenzio, i campanelli d'allarme, i difetti e gli aborti spontanei. La maggior parte dei cloni non riesce ad arrivare al termine dello sviluppo prima della nascita o subito dopo e, persino i cloni apparentemente normali, soffrono di malformazioni al rene o al cervello. ANDi, perversamente, si ostina a non voler brillare come una medusa. I maiali geneticamente modificati hanno un'alta incidenza di ulcere gastriche, artrite, cardiomegalia, dermatiti e malattie renali. Nonostante le assicurazioni delle industrie biotecnologiche che l'unica alterazione della soia geneticamente modificata consiste nella presenza del gene alieno, è un dato di fatto che il sistema genetico di queste piante è stato alterato in modo non voluto, con conseguenze potenzialmente pericolose. L'elenco dei malfunzionamenti trova scarsa attenzione; le compagnie biotecnologiche non hanno l'abitudine di pubblicizzare gli studi che mettono in dubbio l'efficacia dei loro prodotti miracolosi, o che suggeriscono la presenza di un serpente nell'Eden del biotech. È probabile che questi insuccessi siano archiviati come gli inevitabili errori che caratterizzano il progresso scientifico. Ma dietro di essi è in agguato un fallimento più profondo. Tutte le meraviglie della scienza genetica si fondano sulla scoperta della doppia elica del DNA - compiuta nel 1953 da Francis Crick e James Watson - e discendono dalla premessa che questa struttura molecolare sia l'agente esclusivo dell'eredità in tutti i viventi: nel regno della genetica molecolare, il gene è il monarca assoluto. Nota ai biologi molecolari come il "dogma centrale", questa premessa assume che il genoma di un organismo - la sua completa dotazione di geni - dovrebbe dare conto pienamente dell'intero complesso delle sue caratteristiche ereditarie. Ma quella premessa, sfortunatamente, è falsa. Sottoposta a verifica tra il 1990 e il 2001, in una delle più grandi e più pubblicizzate imprese scientifiche del nostro tempo, il Progetto Genoma Umano, questa teoria è crollata sotto il peso dei fatti. Ci sono troppo pochi geni umani per dare conto della complessità dei nostri tratti ereditari o delle enormi differenze ereditarie esistenti, ad esempio, tra piante e persone. Sotto ogni ragionevole punto di vista, la scoperta (pubblicata nel febbraio dell'anno scorso) ha segnato la caduta del dogma centrale, e con essa sono caduti anche i fondamenti scientifici dell'ingegneria genetica e ogni supposta validità della pretesa, ampiamente reclamizzata dall'industria biotecnologica, che i suoi metodi per modificare geneticamente le colture siano "specifici, precisi, e prevedibili" e perciò sicuri. In breve, l'esito più eclatante del Progetto Genoma Umano, costato 3 miliardi di dollari è, a tutt'oggi, la confutazione dei suoi stessi fondamenti scientifici. Dal momento in cui quarantaquattro anni fa Crick lo propose per la prima volta, il dogma centrale è arrivato a dominare la ricerca biomedica. Semplice, elegante e concisa, questa formulazione cerca di ridurre l'eredità - una proprietà che solo gli esseri viventi possiedono - alle dimensioni molecolari: l'agente molecolare dell'eredità è il DNA, l'acido desossiribonucleico, una molecola molto lunga e lineare fittamente spiralizzata all'interno del nucleo di ogni cellula. Il DNA è fatto di quattro diversi tipi di nucleotidi, disposti in ogni gene in un particolare ordine lineare o sequenza. I segmenti di DNA contengono i geni che, attraverso una serie di processi molecolari, danno origine a tutti i nostri tratti ereditari. Guidato dalla teoria di Crick, il Progetto Genoma Umano fu avviato con l'intenzione di individuare ed enumerare tutti i geni del corpo umano, identificando l'intera sequenza dei tre miliardi di nucleotidi che compongono il nostro DNA. Nel 1990, James Watson definì il Progetto Genoma Umano come "l'ultima, definitiva descrizione della vita". E produrrà, egli affermava, quelle informazioni "che determinano se siamo una mosca, una carota, o un uomo". Walter Gilbert, uno dei primi sostenitori del progetto, osservò, con una frase divenuta famosa, che i tre miliardi di nucleotidi del DNA umano potrebbero facilmente essere contenuti in un compact disc. E, indicando un CD di questo tipo, chiunque potrebbe dire: "Ecco qua un essere umano; sono io!" Il presidente Bill Clinton ha definito il genoma umano come "la lingua nella quale Dio creò la vita". Come poteva la minuta dissezione del DNA umano in una sequenza di tre miliardi di nucleotidi divenire il supporto di così iperboliche pretese? La teoria di Crick cerca di dare una chiara, precisa, risposta a questa domanda, ipotizzando una catena di processi molecolari che conducono da un singolo gene a un particolare carattere ereditario. | << | < | > | >> |Pagina 370IL COLLASSO DEL QUARTO POTERECosa rende i media tradizionali così tradizionali
Noam Chomsky
Tratto da un discorso allo Z Media Institute, giugno 1997 Parte del motivo per il quale scrivo a proposito dei media è che provo interesse per tutto quello che è creazione della cultura e la parte più semplice da studiare, a questo riguardo, è il mondo dei media. Capita ogni giorno. Potete indagare voi stessi. Potete confrontare la versione offerta ieri con quella offerta oggi. Ci sono tante palesi dimostrazioni di come le cose vengano gestite e di cosa si sia scelto di enfatizzare. La mia impressione è che i media non siano molto diversi dalle dottrine o da, per esempio, i giornali d'opinione. C'è qualche costrizione in più, ma la differenza non è radicale. E interagiscono tra loro, ciò spiega come mai le persone passano dall'uno all'altro con tanta semplicità. Se volete capire i media, o qualsiasi altra istituzione, fatelo cominciando col porvi domande sulla struttura interna dell'istituzione. Come si situa rispetto a società più importanti? Com'è collegata ad altri organi di potere? Se siete fortunati, troverete il documento interno, proveniente dai dirigenti, che dice cosa vogliano che facciate. E non si intende la gestioni delle public relations, spiegano invece agli altri cosa pubblicare. Esistono documenti molto interessanti. Questi ultimi sono la più importante fonte di informazioni sulla vera satura dei media. Se volete studiare i media allo stesso modo in cui uno scienziato esamina una molecola complessa, allora date prima un'occhiata alla struttura e poi formulate delle ipotesi basate inizialmente sul prodotto che tale struttura può generare. Poi investigate il prodotto che quel media davvero genera per vedere se è conforme all'ipotesi. In effetti, tutto il lavoro di analisi dei media è solo l'ultima parte - nel tentativo di studiare con attenzione principalmente solo il prodotto di quel media e da lì se è conforme ai più ovvi presupposti sulla natura e la struttura del media. Ok, cosa si scopre? Per prima cosa che ci sono diversi media che fanno cose molto diverse. Per esempio: l'intrattenimento-hollywood, le soap opera, e così via o anche i più importanti quotidiani del paese (la stragrande maggioranza) che si rivolgono alla massa, non per informarla ma per distrarla. Oppure, vi sono altri campi nei quali operano i media. Si tratta, ad esempio, dei media d'élite, dei media agenda-setting, a volte denominati "media dell'ordine del giorno" in quanto sono gli unici che, possedendo immense risorse, dettano agli altri le modalità operative. Il New York Times, il Washington Post e pochi altri. I loro lettori sono dei privilegiati. Coloro che leggono il New York Times sono, solitamente, benestanti e appartegono alla cosiddetta casta politicizzata. Molti di questi lettori sono coinvolti attualmente nel processo decisionale e di controllo, principalmente come manager o in posizioni simili. Creano i costumi. Può trattarsi di dirigenti politici, affaristi (come amministratori di società o altre posizioni di rilievo), gestori della dottrina (come molti che lavorano nelle scuole e nelle università), o altri giornalisti coinvolti nella gestione di come la gente pensa e percepisce i fatti. I media d'élite stabiliscono i limiti all'interno dei quali agiranno gli altri. Per alcuni anni ho monitorato l'Associated Press. Produce un costante flusso di notizie. A metà di ogni giornata c'era un'interruzione con un "Avviso ai redattori: l'edizione di domani del New York Times avrà la seguente prima pagina...". La questione cruciale in ciò è che se sei un redattore di un quotidiano di Dayton, nell'Ohio, e non hai fonti per stabilire le notizie principali, o nemmeno vuoi metterti a pensarci, questa interruzione ti ha già detto quali saranno. Queste sono storie per la quarta pagina, dove tratterete qualcosa di diverso rispetto alle questioni locali o di svago. Sono notizie che metterete là perché sono quelle che il New York Times indica come meritevoli di attenzione per il giorno dopo. Se sei un redattore di un giornale locale probabilmente agirai in questo modo, perché non hai molte altre fonti e risorse. Se esci dalla linea tracciata per produrre notizie che la stampa d'élite non apprezza, probabilmente ne pagherai molto presto le conseguenze. Quanto è successo, recentemente, al San Jose Mercury News (quando ha pubblicato la serie "Dark Alliance" di Gary Webb, una serie che narrava della complicità della CIA nel traffico di droga) ne è un drammatico esempio. Ci sono molti modi con i quali il potere ti può rimettere in carreggiata. Non durerai a lungo se proverai a uscire dal branco. Questa struttura lavora piuttosto bene ed è chiaro che rifletta la volontà del potere. I media che si rivolgono alla massa stanno essenzialmente tentando di distrarre le persone. "Lasciate che facciano altre cose, basta che non scoccino noi" (e per noi si intendono le persone che tirano le fila dello spettacolo). Lasciate che s'interessino di sport, ad esempio. Lasciate che impazziscano, appunto, per lo sport, per gli scandali sessuali, per le questioni personali dei personaggi pubblici e altre cose simili. Qualunque cosa purché non sia una cosa seria. Perché, ovviamente, le cose serie sono riservate ai grandi. "Ci prendiamo cura che così vada". Quali sono i media d'èlite, quelli che definiscono l'agenda-setting? Il New York Times e la CBS, ad esempio. Beh, innanzitutto questi sono le principali, e molto redditizie, multinazionali del settore. Per di più sono collegate o sono di proprietà, di multinazionali ancora più grandi, come la General Electric, la Westinghouse e così via. Sono ai vertici del potere privato, dell'economia, e la loro è una struttura tirannica. Le multinazionali sono essenzialmente tiranniche, gerarchiche, controllate dall'alto. Se non piace quello che stanno facendo, ce ne si può solo andare. Perché la maggioranza dei media fanno parte di questo sistema. E che dire della loro dispozizione istituzionale? Beh, è più o meno la stessa cosa. Interagiscono, si rapportano e hanno vincoli con i più importanti centri di potere: il Governo, altre multinazionali, le università. Fungendo essenzialmente come sistema di diffusione della dottrina, i media interagiscono strettamente con le università. Mettiamo che tu sia un cronista che debba scrivere una storia sul sud-est asiatico, sull'Africa o su qualcosa di simile; si suppone che andrai all'università più vicina alla ricerca di un esperto che ti dirà cosa scrivere, oppure presso una fondazioni come il Brookings Institute o l'American Enterprise Institute. Questi ti daranno una versione scelta dei fatti. In realtà sono molto simili ai media.
Le università, ad esempio, non sono istituzioni indipendenti. Certo,
disseminate all'interno vi sono persone indipendenti (e le scienze in
particolare non sarebbero potute sopravvivere altrimenti), ma questo è vero
anche per i media. E si potrebbe dire lo stesso anche per le multinazionali,
ma anche per gli stati fascisti. La differenza è questione di quanto sia diffusa
l'indipendenza. Tornando all'istituzione accademica, di per se stessa è
parassita. Essa dipende da fonti esterne per mantenersi, fonti che traggono le
risorse da privati, da grandi multinazionali che effettuano donazioni e dal
governo (che già è così strettamente legato alle società più potenti che
difficilmente si riesce a distinguere l'uno dall'altro). Nel mezzo di questo
sistema si trovano le università.
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