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| << | < | > | >> |Pagina 1Era diventato il loro motto, e Jonesy proprio non si ricordava chi di loro avesse cominciato a dirlo per primo. Render pan per focaccia è una stronzata era stata una sua creazione. 'Fanculo, Freddy e un'altra serie di oscenità ben più colorite erano un parto di Beaver. Henry era stato quello che aveva imposto Tutto andrà come vorrà, il genere di cazzata zen che piaceva a lui, fin da quando erano bambini. Ma che dire di Smag? Chi aveva avuto quella pensata? Poco importava. Ciò che contava era che avevano creduto alla prima metà della sigla quando erano un quartetto e a tutta quand'erano in cinque, e poi alla seconda metà quando erano ridiventati quattro. Fu allora che i tempi divennero più cupi. Le giornate 'fanculo, Freddy si fecero più frequenti. Se ne rendevano conto senza sapere il perché. Sapevano che qualcosa non tornava - o perlomeno che c'era qualcosa di diverso - ma non capivano esattamente che cosa. Sapevano di essere intrappolati, ma non in che modo. E tutto questo molto prima delle luci nel cielo. Prima di McCarthy e Becky Shue. Smag: talvolta è solo un modo di dire. E talvolta non credi in nulla al di fuori dell'oscurità. E allora come procedi? | << | < | > | >> |Pagina 156«Iuto!» Allunga la mano per riprendere il cestino, che Beaver gli restituisce. L'handicappato lo stringe al petto, poi sorride ai ragazzi. È un sorriso meraviglioso, pensa Henry, sorridendo a sua volta.Anche Jonesy sorride. «Duddits, qual è il cane?» Il ragazzino lo guarda sorridendo, ma con una certa perplessità. «Il cane», ripete Henry. «Qual è il cane?» Adesso il ragazzino, sempre più perplesso, guarda Henry. «Qual è Scooby, Duddits?» chiede Beaver, e il volto del ragazzino si rischiara. Punta l'indice su una figura. «Ubi! Ubi Du! Ui cane!» Tutti scoppiano a ridere, poi si sente il fischio di Pete. Hanno percorso tre quarti del viale quando Jonesy esclama: «Aspettate! Aspettate!» Corre a una delle finestre dell'ufficio e scruta all'interno, portandosi le mani alle tempie per ridurre il riflesso del vetro, ed Henry, di colpo, ricorda la ragione per cui sono venuti qui. La figa di Tina Jean Vattelapesca. Sembra una cosa avvenuta mille anni fa. Dopo dieci secondi, Jonesy grida: «Henry! Beav! Venite qui! Lasciate li il ragazzino!» Beaver raggiunge Jonesy di corsa. Henry dice al ragazzino: «Aspetta qui, Duddits. Proprio qui, con il tuo cestino, okay?» Duddits lo guarda, gli occhi verdi rilucenti, il cestino stretto al petto. Poi annuisce, ed Henry corre alla finestra. Si accalcano contro il vetro e Beaver protesta che qualcuno gli ha pestato i piedi. Un minuto o due dopo, stupito di non trovarli sul marciapiedi, Pete li raggiunge e caccia la testa tra le spalle di Henry e Jonesy. Ecco qui quattro ragazzi contro una finestra sporca, e un quinto che aspetta in un viale pieno di erbacce, con il cestino della merenda premuto contro il petto, e guarda il cielo bianco, dove il sole sta cercando di fare capolino. Oltre il vetro sporco c'è una stanza vuota. Sulla parete davanti alla finestra è appeso un tabellone, sul quale sono affissi una carta del New England settentrionale e una Polaroid con l'immagine di una donna che si solleva la gonna. Ma si vedono solo delle mutandine bianche, e niente figa. E poi non è una ragazza delle superiori. È vecchia. Ha a dir poco trent'anni. «Santo Cielo», dice Pete lanciando a Jonesy un'occhiata disgustata. «E siamo venuti fin qui per questa roba?»
Jonesy sembra sulla difensiva, poi sorride e punta il
pollice dietro di sé: «No», risponde. «Siamo venuti per
lui.»
Henry venne strappato ai ricordi da una straordinaria e inattesa percezione: era terrorizzato, e lo era stato da un bel po'. Una cosa nuova era in agguato ai margini della sua consapevolezza, soffocata dal vivido ricordo dell'incontro con Duddits. E adesso era balzata in avanti con un grido terrorizzato, reclamando l'attenzione. Henry si fermò slittando e agitò le braccia per non cadere di nuovo nella neve, poi rimase lì, ansante, gli occhi sbarrati. E adesso che cosa c'era? Era a quattro chilometri dall'Hole in the Wall, era quasi arrivato, e che diavolo capitava adesso? C'è una nube, pensò. Una specie di nube, ecco. Non so cosa sia, ma la sento... non ho mai avuto una percezione così netta in vita mia. Da adulto, quantomeno. Devo scappare da questa strada. Scappare dal film. In quella nube c'è un film. Del genere che piace a Jonesy. Quelli che fanno paura. «Che stupidaggine», borbottò, sapendo che non lo era affatto. Senti il ronzio di un motore in avvicinamento. Proveniva dalla direzione della baita, era il motore di un gatto delle nevi, probabilmente l'Arctic Cat di Beaver... ma era anche una nuvola rossonera dentro la quale si stava svolgendo un film, una terribile energia nera che correva verso di lui.
Per un istante Henry si senti paralizzato da centinaia
di orrori infantili, cose sotto il letto e cose nelle bare,
vermi formicolanti sotto sassi capovolti e la gelatina
pelosa che era quanto restava di un topo da tempo stecchito,
emerso quando suo padre aveva spostato la stufa per
controllare una presa. E orrori che non erano affatto
infantili: suo padre, smarrito nella sua stessa camera da
letto e ululante di paura; Barry Newman, che scappava dallo
studio di Henry con l'aria terrorizzata perché gli era stato
chiesto di contemplare qualcosa che non voleva, o non
poteva, ammettere; ritrovarsi sveglio alle quattro del
mattino con un bicchiere di scotch in mano, il mondo inerte
e spento intorno a lui, la mente inerte e spenta in lui...
o baby, mancano mille anni allo spuntare dell'alba e le
ninnenanne ormai tacciono da tempo. Ecco che cosa c'era
nella nube rossonera che si avventava verso di lui come il
cavallo bianco dell'Apocalisse, questo e molte altre cose.
Tutte le cose infide che aveva paventato ora venivano verso
di lui, non su un cavallo bianco ma su un vecchio gatto
delle nevi con la carrozzeria arrugginita. Non era la
morte, ma era peggio della morte. Era Mr Gray.
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