Copertina
Autore Christof Koch
Titolo La ricerca della coscienza
SottotitoloUna prospettiva neurobiologica
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2007 , pag. XXXIII+506, ill., cop.fle., dim. 15x23x3,3 cm , Isbn 978-88-02-07703-1
OriginaleThe Quest for Consciousness: A neurobiological Approach [2004]
CuratoreSilvio Ferraresi
PrefazioneFrancis Crick
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe scienze cognitive , mente-corpo
PrimaPagina


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Indice

  XIII   Nota all'edizione italiana
 XXIII   Prefazione di Francis Crick
 XXVII   Premessa
XXXIII   Nota bibliografica

  3 1.   Introduzione allo studio della coscienza

  3 1.1  Che cosa è necessario spiegare?
  7 1.2  Un ventaglio di risposte
 16 1.3  La mia è una strategia pragmatica ed empirica
 23 1.4  I correlati neuronali della coscienza
 26 1.5  Ricapitolazione

 29 2.   I neuroni: gli atomi della percezione

 30 2.1  La struttura della corteccia cerebrale
 34 2.2  Rappresentazione esplicita, organizzazione colonnare
         e nodi essenziali
 46 2.3  Frequenze di scarica, oscillazioni e sincronizzazione neurale
 62 2.4  Ricapitolazione

 65 3.   I primi passi nella visione

 65 3.1  La retina è una struttura stratificata
 68 3.2  La visione dei colori utilizza tre tipi di coni
 70 3.3  Un buco nell'occhio: la macchia cieca
 72 3.4  Il campo recettivo: un concetto essenziale nella visione
 75 3.5  Dall'occhio escono molteplici vie in parallelo
 82 3.6  Il collicolo superiore: un altro cervello visivo
 82 3.7  Movimenti oculari: le saccadi visive sono ubiquitarie
 86 3.8  Ricapitolazione

 89 4.   La corteccia visiva primaria:
         un modello di area della neocorteccia

 89 4.1  La visione nella scimmia: un modello della visione umana
 91 4.2  La neocorteccia è una struttura stratificata e laminare
 94 4.3  Una marea di tipi cellulari corticali
 99 4.4  V1: la via di accesso principale della visione
109 4.5  Ricapitolazione

111 5.   Quali sono i correlati neurali della coscienza?

112 5.1  Fattori abilitanti necessari per la coscienza
118 5.2  Le emozioni e la modulazione della coscienza
120 5.3  Anestesia e coscienza
123 5.4  Una strategia generale per circoscrivere l'NCC
128 5.5  Specificità neuronale e NCC
132 5.6  Ricapitolazione

135 6.   I correlati neurali della coscienza non sono
         nella corteccia visiva primaria

136 6.1  Senza V1 non è possibile la visione
136 6.2  Anche se non lo potete vedere, V1 vi si adatta continuamente
139 6.3  Non sogniamo con V1
140 6.4  Stimolare direttamente V1
142 6.5  I neuroni di V1 della scimmia non seguono la percezione
146 6.6  Ricapitolazione

149 7.   L'architettura della corteccia cerebrale

149 7.1  Per capire la funzione, cercate di comprendere la struttura
151 7.2  La corteccia contiene una struttura gerarchica
157 7.3  Talamo e corteccia: uno stretto abbraccio
159 7.4  Connessioni istruttive e connessioni modulatrici
162 7.5  Via dorsale e via ventrale come principio guida
164 7.6  La corteccia prefrontale: la sede del controllo esecutivo
166 7.7  Ricapitolazione

169 8.   Oltre la corteccia visiva primaria

170 8.1  Altre aree topografiche: V2, V3, V3A e V4
174 8.2  La percezione dei colori e il giro fusiforme
176 8.3  L'area corticale MT è specializzata nella elaborazione
         del movimento
184 8.4  La corteccia parietale posteriore:
         azione e posizione spaziale
188 8.5  La corteccia temporale inferiore e il riconoscimento
         degli oggetti
191 8.6  Ricapitolazione

195 9.   Attenzione e coscienza

197 9.1  La cecità al cambiamento, ovvero come i maghi ci ingannano
200 9.2  Prestare attenzione a una regione, a un carattere
         o a un oggetto
207 9.3  La coscienza richiede l'attenzione?
213 9.4  Il problema del «binding» (legame)
217 9.5  Ricapitolazione

221 10.  I fondamenti neuronali dell'attenzione

222 10.1 Spiegazioni meccanicistiche dell'attenzione
227 10.2 Gli influssi dell'attenzione si manifestano
         in tutta la gerarchia visiva
231 10.3 Eminegligenza spaziale:
         pazienti non ciechi e che pure non vedono
234 10.4 Ricapitolazione

237 11.  Forme di memoria e coscienza

238 11.1 Una distinzione fondamentale
239 11.2 Una tassonomia della memoria a lungo termine
249 11.3 La memoria a breve termine
255 11.4 La memoria volatile o iconica
258 11.5 Ricapitolazione

261 12.  Quello che possiamo fare senza essere coscienti:
         lo zombie interiore

263 12.1 Agenti zombie e vita quotidiana
268 12.2 La visione-per-la-percezione è differente dalla
         visione-per-l'azione
271 12.3 Il nostro zombie agisce più rapidamente di quanto vediamo
273 12.4 Gli zombie percepiscono gli odori?
274 12.5 Ricapitolazione

277 13.  Agnosia, visione cieca, epilessia e sonnambulismo:
         evidenze cliniche a favore degli zombie

277 13.1 L'agnosia visiva
280 13.2 La visione cieca
284 13.3 Convulsioni epilettiche complesse e focali
286 13.4 Il sonnambulismo
288 13.5 Gli agenti zombie e l'NCC
290 13.6 Un test di Turing per la coscienza?
291 13.7 Ricapitolazione

293 14.  Alcune congetture sulle funzioni della coscienza

295 14.1 La coscienza come riassunto esecutivo
298 14.2 La coscienza e l'addestramento degli agenti sensomotori
300 14.3 Perché il cervello non è costituito solo
         da un ammasso di agenti zombie
301 14.4 I sentimenti sono importanti?
303 14.5 Significato e neuroni
306 14.6 I qualia sono simboli
310 14.7 Quali implicazioni per la sede del NCC?
313 14.8 Ricapitolazione

315 15.  Il tempo e la coscienza

316 15.1 Quanto è rapida la visione?
318 15.2 Il carattere tutto-o-nulla della percezione
324 15.3 Il mascheramento elimina uno stimolo dalla coscienza
331 15.4 Integrazione e stimolazione cerebrale diretta
334 15.5 La percezione è discreta o continua?
339 15.6 Ricapitolazione

341 16.  Stati alternati della mente sulle orme della coscienza

343 16.1 La rivalità binoculare: quando i due occhi sono in disaccordo
346 16.2 Dove avviene la soppressione percettiva?
351 16.3 Le orme della coscienza conducono alla corteccia
         temporale inferiore
355 16.4 Questioni aperte ed esperimenti futuri
361 16.5 Ricapitolazione

363 17.  Cervello diviso, coscienza divisa

364 17.1 Sulla difficoltà di trovare qualcosa quando non sappiamo
         cosa cercare
366 17.2 I due emisferi cerebrali non contribuiscono
         alle stesse funzioni
367 17.3 Due menti coscienti in un solo corpo
371 17.4 Ricapitolazione

373 18.  Congetture ulteriori sui pensieri, e l'omuncolo non cosciente

373 18.1 La teoria di livello-intermedio della coscienza
377 18.2 L'omuncolo non cosciente
379 18.3 La natura dei qualia
382 18.4 Ricapitolazione

385 19.  Una cornice di riferimento della coscienza

386 19.1 Dieci assunti operativi per capire il problema mente-corpo
394 19.2 Relazione con le ricerche di altri neuroscienziati
397 19.3 Quali le prossime mosse?
399 19.4 Ricapitolazione

401 Bibliografia

475 Indice analitico

 

 

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Pagina XIII

Nota all'edizione italiana


Il suo rigore scientifico. Per questa ragione abbiamo scelto di proporre ai lettori italiani The Quest for Consciousness. Questo incipit sembrerebbe implicare che i libri scientifici sulla coscienza già pubblicati – come quelli autorevoli di Edelman, di Changeux, di Damasio e più recentemente di Libet – siano meno rigorosi o meno scientifici.

No, non è questo il punto. Infatti, tutti gli autori appena citati hanno formulato le loro teorie neurobiologiche della coscienza in forma di libro con un altrettanto rigoroso retroterra scientifico alle spalle. Piuttosto, la questione è che in questo libro di Koch (ma, possiamo dire, anche di Francis Crick ) è espresso per la prima volta in modo sistematico un metodo per fondare una scienza della coscienza. Non viene, cioè, proposta una teoria particolare della coscienza né un singolo aspetto della coscienza, come fa, per esempio, Libet spiegando la sua influente concezione sul libero arbitrio nel cervello.

Questo metodo esordisce da una definizione minima di coscienza – che i filosofi chiamano quale – e a cui gli autori intendono far corrispondere un altrettanto minimo correlato neurale. Θ un procedimento «minimalista» appunto, ma che proprio per questa ragione evita salti logici surrettizi, passaggi arditi non supportati da dimostrazioni, magiche «emergenze» di proprietà superiori della mente.

Certamente ha giocato un ruolo il fatto che sia Crick sia Koch sono dei fisici prestati alla biologia, la disciplina scientifica con la storia più lunga alle spalle, la scienza più attenta alla formalizzazione matematica, e che per questa ragione è più allergica a passaggi logici indimostrati.

Crick si ritrova volutamente per la seconda volta davanti a un territorio quasi ignoto. La prima volta gli era accaduto affrontando il «mistero» della vita e dell'ereditarietà, un'avventura coronata dalla nascita della biologia molecolare, la quale aveva cancellato ogni residuo vitalismo dalla biologia. La seconda volta, questa, Crick affronta quello che da molti è considerato l'ultimo grande mistero nelle scienze della vita, quello della coscienza.


Una seconda giovinezza

In una fase della vita in cui la maggior parte di noi «appende le scarpe al chiodo» Francis Crick iniziava la sua seconda carriera di scienziato. Lasciata la Cambridge inglese – e la biologia molecolare, che egli aveva contribuito a fondare – Crick aveva deciso di studiare il cervello. E le condizioni ottimali per farlo gliele offriva il Salk Institute, un prestigioso centro di ricerca universitario a La Jolla, nei sobborghi di San Diego in California. Era il 1976.

Alla fine degli anni Settanta, Crick si presenta ufficialmente nella nuova veste di neuroscienziato, con un articolo commissionatogli dalla rivista Scientific American. Qui, egli riassume lo stato dell'arte della neurobiologia teorica, un campo del sapere che, in realtà, ancora non esisteva sotto questa dicitura. In quel suo scritto, egli rimarcava la discrepanza tra la marea di dati sperimentali accumulati dalle neuroscienze nei decenni precedenti e l'assenza di una vera teoria del cervello. In particolare, egli sosteneva che avremmo avuto una buona teoria solo se avessimo spiegato, per cominciare, la percezione visiva. Crick, però, non si riferiva alla sola neurofisiologia della visione, bensì a un'entità più sottile: alla sfera soggettiva della percezione, alla sensazione che si prova quando si percepisce qualcosa. Egli non pronuncia la parola coscienza, ma è chiaro che quella è la sua meta.

Prima di lui, quasi nessun neuroscienziato aveva considerato la coscienza un oggetto di indagine scientifica. E in effetti – come scrive il filosofo della mente Michele Di Francesco – la coscienza è un oggetto bizzarro: intrinsecamente soggettivo, privato, che non può essere collocato in un punto dello spazio, e che non è inserito in relazioni causali di cui comprendiamo la natura. Pertanto, pensare anche solo di porla al centro di un agenda scientifica significava avventurarsi in un territorio vergine: non esistevano mappe e nemmeno coordinate entro cui muoversi. Solo Crick e pochi altri, come il premio Nobel Gerald Edelman , avevano le carte in regola per «sdoganarla», per legittimarla come oggetto di studio empirico.

Stabilito che la percezione cosciente era tra le priorità, in quel celebre articolo Crick spiegava anche l'impostazione da seguire per decifrarla. Per capire i livelli superiori (la mente e la coscienza) – egli aggiungeva – bisognava partire dai livelli inferiori, dalle unità più semplici del cervello, e senza derogare dal metodo scientifico classico, che procede per ipotesi, esperimenti, e conferme o falsificazioni. Semplice: si doveva ribattere la strada della biologia molecolare, che aveva cancellato ogni residuo vitalismo dalla biologia. Questa offriva l'esempio a cui ispirarsi per cancellare il «vitalismo» della coscienza, l' epifenomenismo come lo chiamano i filosofi della mente. Non esisteva a priori alcuna ragione per cui la coscienza dovesse essere più misteriosa della vita. E se quest'ultima era stata «ridotta» ai nucleotidi e alle regole del codice genetico, a che cosa potevamo ridurre la coscienza?


Una questione spinosa

Dove cercare dunque gli «atomi» della coscienza? Fermo restando che il livello della riduzione è sempre aleatorio e soggettivo, Crick sceglie le spine dendritiche. Queste strutture sono microscopiche estroflessioni dei dendriti, le ramificazioni del neurone dove arrivano gli impulsi nervosi dagli altri neuroni.

Crick avanza a proposito di queste strutture due ipotesi, che pubblicherà nel 1982 su Trends in Neurosciences (TINS). La prima è che le spine si contraggono quando uno stimolo raggiunge il neurone, e che dunque esse non sono le entità statiche a cui si pensava da un secolo, dalla loro scoperta. La seconda è che la loro motilità dipende da una delle proteine che fa contrarre i muscoli, l'actina. In effetti, le spine cambiano forma in poche frazioni di secondo, una dinamica, questa, che faceva di loro un plausibile substrato della memoria a breve termine. E poiché più avanti, nel 1990, nel loro primo articolo Crick e Koch sostengono che la coscienza è un processo quasi immediato, che si svolge in un intervallo compreso tra i 50 e i 250 millisecondi – proprio l'intervallo della memoria ultrabreve (iconica) impiegato dalle spine dendritiche per trasformarsi – quest'ultime potevano essere davvero i mattoni cerebrali della coscienza.


Nascita di un sodalizio

All'inizio degli anni Ottanta, Tomaso Poggio e un suo giovane dottorando, Christof Koch studiano le spine dendritiche al Max Planck Institut fόr Biologische Kybernetik, di Tubinga in Germania. In quegli anni, al Max Planck si svolgevano ricerche di assoluta eccellenza nel campo della percezione visiva, e Crick inizia con questo Istituto una collaborazione scientifica, fatta di visite e di scambi epistolari. Per esempio, in una lettera, datata 6 ottobre 1981, egli manifesta il suo interesse circa le proprietà elettriche delle spine, e anticipa la sua ipotesi: «le spine devono in qualche modo "protendersi verso l'assone"».

Studiare le proprietà elettriche e le dimensioni delle spine non era un puro esercizio quantitativo, una catalogazione da entomologo. Koch e Poggio ipotizzavano infatti che i loro valori specifici (elettrici e morfometrici) fossero il meccanismo fondante la memoria ultrabreve, il potenziamento a lungo termine nell'ippocampo o l'apprendimento nel cervelletto.

In quella missiva a Poggio, Crick aggiunge anche una frase, che si rivelerà importante per la storia di questo sodalizio scientifico, dove riconosce al giovane Koch la capacità di ricavare i dati utili a integrare le sue ipotesi. Nel 1982 si erano perciò ormai delineate le coordinate entro cui Crick si sarebbe mosso per studiare i fondamenti neurobiologici della coscienza: le sensazioni soggettive della percezione visiva sarebbero state il grande tema, e le spine dendritiche le parti elementari del cervello da cui partire. Ma in quel contesto europeo Crick aveva anche trovato la persona giusta insieme a cui esplorare quel territorio. Si trattava di Christof Koch.


Il diavolo è nei dettagli

Nel 1981, a Tubinga Koch stava, come detto, svolgendo le sue ricerche per il dottorato. L'argomento della sua tesi era l' elaborazione d'informazione negli alberi dendritici delle cellule gangliari della retina. Leggendo il titolo fra le righe è chiaro come fossero già in nuce gli elementi che lo porteranno, insieme a Crick, a formulare la sua teoria della coscienza. Innanzitutto, la percezione visiva. E poi il principio metodologico che, per comprendere i livelli superiori della mente – come la percezione cosciente – è necessario partire dagli elementi più microscopici dotati di una funzione (le spine dendritiche). Il terzo, e non meno importante elemento è il ricorso sistematico alla simulazione al computer per verificare le ipotesi neurobiologiche. Era l'avanguardia di una disciplina ancora embrionale, la computazione neurale (Neural Computation, la sua rivista ufficiale nasce nel 1989), il cui obiettivo è comprendere il contenuto di informazione del sistema nervoso a molti livelli strutturali, a partire da quello biofisico (le origini dell'impulso nervoso) per salire al livello delle reti neurali e, infine, dei sistemi neurali.

Per rendere l'idea del grado di dettaglio con cui Crick e Koch hanno iniziato a studiare il cervello, entrerò un po' più nel merito di quelle ricerche. Ebbene, fino ai primi anni Ottanta il comportamento del neurone era stato drasticamente semplificato, riducendo questa cellula a un elemento binario, a una sorta di interruttore, con l'unica capacità di commutarsi da acceso a spento, di trasmettere oppure no un impulso nervoso. Emblematico circa la riscoperta della complessità del neurone è il caso della computazione dendritica. Tradizionalmente, le unità computazionali del cervello erano considerati proprio i neuroni, ma riscoprendo la loro complessità si era anche compreso che numerosi altri meccanismi lineari e non lineari dell'albero dendritico fungono da «mattoni» computazionali, i quali, combinati, sono essenziali nella computazione operata dal neurone. Koch dimostrava, proprio in quegli anni di Tubinga, che in base alla sede (quindi alla morfologia) e al tipo di segnale (eccitatorio o inibitorio) che lo raggiunge, l'albero dendritico esegue operazioni analoghe alla funzione booleana AND-NOT. E scopre che queste operazioni logiche si possono collegare alle nozioni meno formali di computazione usate dai fisiologi, per esempio per concepire un modello di neurone gangliare della retina che manifesta una selettività direzionale verso uno stimolo in movimento, il fenomeno, cioè, per cui la retina riconosce un oggetto che si muove in un verso, ma non nel verso opposto. Questo comportamento selettivo dei neuroni visivi era la prima dimostrazione che alla periferia del cervello, dove mente e mondo si incontrano, si forma un primo barlume di significato. Koch aveva così posto le basi per un alfabeto della mente. Da oltreoceano, Crick era sintonizzato su quanto accadeva nei laboratori di Tubinga, e la collaborazione che si stava profilando con Koch si sarebbe imperniata su questo circolo virtuoso fatto di ipotesi, dati biofisici e modelli neurocomputazionali.


Scontro fra titani

Identificare – come ha fatto Koch – un particolare tipo di neurone in base a un insieme di caratteristiche significative e attribuirgli una specifica funzione, e viceversa attribuire una specifica funzione a un tipo determinato di neurone (ma il discorso vale per ogni struttura biologica) è una posizione definita tipologismo. E il tipologismo nei casi più estremi può sfociare nell' essenzialismo, vale a dire la teoria che sostiene l'esistenza di essenze, ovvero la natura immutabile e atemporale di particolari oggetti materiali. In biologia, l'essenzialismo è stato contrapposto al pensiero popolazionista, e il contrasto è stato formulato nel modo più chiaro dal biologo evoluzionista Ernst Mayr , che scrive: «Gli assunti del pensiero popolazionista sono diametricamente opposti a quelli dei tipologi... gli individui o qualsiasi tipo di entità organica, formano popolazioni di cui possiamo determinare la media aritmetica, e le medie sono solo astrazioni statistiche; solo gli individui di cui le popolazioni sono composte hanno realtà. La conclusione finale del popolazionista e del tipologo sono opposte: per il tipologo il tipo è reale e la variazione un'illusione, mentre per il popolazionista il tipo (la media) è un'astrazione e solo la variazione è reale: due modi di considerare la natura che più differenti non potrebbero essere».

Ma il tipologismo e la costruzione di una teoria dal basso (bottom-up) sono l'unico modo di concepire una teoria neurobiologica della coscienza? O è possibile una concezione opposta, che sia insieme popolazionista e dall'alto (top-down)? La risposta è affermativa. Tale teoria l'ha proposta una decina di anni fa Gerald Edelman insieme all'italiano Giulio Tononi , all'epoca suo collaboratore al Neurosciences Institute di La Jolla, poco distante dal Salk Institute di Crick.

Per comprendere le implicazioni della teoria della coscienza di Edelman-Tononi conviene fare un passo indietro, e accennare alla teoria generale del cervello, il darwinismo neurale, proposta in precedenza da Edelman nel 1987 nel libro omonimo. Questa teoria sostiene come suo punto di forza che non esistono istruzioni, né regole precise nella costruzione e nel funzionamento, pur ottimali, del cervello, la cui dinamica sarebbe un autentico elogio dell'imperfezione, e del caso. Quest'ultima concezione è profondamente radicata nel pensiero biologico, e a essa sono estranei concetti «istruzionisti», quali teoria dell'informazione o computazione. Infatti «istruzione e selezione sono due modi antitetici di spiegare la natura delle cose», come scrive Tononi nella prefazione all'edizione italiana di Neural Darwinism. Era una teoria forte, radicale, che sovvertiva alla radice qualsiasi analogia fra la logica del cervello e quella del computer. Elogiare il caso e la variabilità significava indirettamente svilire le ricerche di Koch sui mattoni computazionali del cervello.

Il darwinismo neurale si imperniava anche sul concetto di rientro, ovvero il flusso di segnali in parallelo che – per esempio nell'atto della percezione visiva – correlano in tempo reale differenti aree della corteccia (anche motorie) in una sorta di loop incessante. Il rientro implica un'attività olistica della corteccia, e dunque un'interpretazione dall'alto del funzionamento del cervello. Le differenze «filosofiche» tra questo modello e quello di Crick-Koch erano davvero sostanziali.

Ma la risposta di Crick non si fece attendere. Da enfant terrible qual era, egli invia nel 1989 una viewpoint – una recensione allargata – alla rivista TINS, intitolata Neural Edelmanism. Dopo una lunga argomentazione, in cui smonta il preteso darwinismo di Edelman, Crick conclude affermando che «nonostante alcuni buoni aspetti, il libro [Neural Darwinism] non mi ha convinto che sia utile la nuova teoria del cervello di Edelman».

Edificando la loro teoria biologica della coscienza entro questa cornice selezionista, Edelman e Tononi contestano perciò l'idea che una particolare sede anatomica o proprietà biochimica renda alcuni neuroni privilegiati al punto da originare la coscienza, che a loro modo di vedere è un processo e non un' entità. E in quanto processo, essa scaturirà in modo rientrante da numerose aree percettive e motorie del cervello attive simultaneamente. Per trovare i correlati neurali della coscienza, essi si ispirano al flusso di coscienza proposto da William James alla fine dell'Ottocento, di cui evidenziano due proprietà: l' integrazione (ciascuna scena cosciente è unitaria) e l'estrema differenziazione (in un breve arco di tempo possiamo sperimentare un numero enorme di stati di coscienza differenti). Essi forniscono poi gli strumenti matematici per misurare sia l'integrazione (la cosiddetta aggregazione funzionale) sia la differenziazione (la cosiddetta complessità neurale) che sono applicabili ai processi neurali reali. Edelman-Tononi sostengono che il correlato neurale della coscienza sia il cosiddetto nucleo dinamico, un grande aggregato di gruppi neuronali molto più interattivi fra loro di quanto non lo siano con il resto del cervello, che insieme costituiscono in una scala temporale di millisecondi un processo neurale unificato di elevata complessità. Il nucleo dinamico deliberatamente non si riferisce a insiemi unici, esclusivi di aree cerebrali e può cambiare composizione nel tempo. Evita, perciò, l'errore categoriale (come direbbero i popolazionisti) di assumere che determinate proprietà intrinseche locali dei neuroni abbiano, in modo misterioso, una correlazione privilegiata con la coscienza.

Esisteva dunque una grande distanza tra le due teorie della coscienza, una distanza che nel tempo si sarebbe tuttavia ridotta. Nella teoria di Crick-Koch si sono, per esempio, innestati alcuni elementi – come il ragionamento in termini di popolazioni di neuroni e la selezione tra gruppi di neuroni in competizione – propri del darvinismo neurale. Ma, dal canto suo, la teoria di Edelman-Tononi ha accolto alcune istanze «rivali», come il fatto che non tutte le aree della corteccia cerebrale sono coinvolte nella coscienza, come le aree dedicate a compiti automatici, quali un gesto motorio o il linguaggio.

Questo avvicinamento fra le due posizioni – dal basso quella di Crick-Koch, dall'alto quella di Edelman-Tononi – potrebbe preludere, perché no, a una teoria più generale che permetterebbe insieme di vedere «la foresta e anche gli alberi».


Ci auguriamo di aver reso l'idea perché, pur in un ricco ventaglio di proposte editoriali, Alla ricerca della coscienza occupa uno spazio assolutamente originale. Innanzitutto – ripetiamo – per la sua tradizione autorevole, ovvero la scienza classica, fondata su ipotesi, modelli e conferme sperimentali. Una scienza che però è anche riduzionista. Di quel riduzionismo che – riducendo e frammentando i sistemi viventi – non sa spiegare la natura ultima delle cose, una spiegazione che solo in apparenza offrono alcune scorciatoie olistiche o talune orecchiabili «teorie del tutto». Ma è sul riduzionismo, sinonimo anche di faticoso lavoro sperimentale, che le scienze (soprattutto quelle biologiche) sono state fondate, e continuano a progredire. Un'autentica scienza della coscienza si poteva fondare solo in questo modo.

Silvio Ferraresi

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Pagina XXVII

Premessa


                                       Dobbiamo conoscere! Conosceremo!

            Epitaffio sulla tomba di David Hilbert, matematico tedesco.



Mi ero già preso un'aspirina, eppure il mal di denti continuava a non darmi tregua. Disteso sul letto, non riuscivo a prendere sonno: tutta colpa del molare inferiore che pulsava! Mentre cercavo di distrarmi dalla sensazione dolorosa, mi domandavo: perché mi fa così male? Sapevo che un'infiammazione della polpa del dente inviava, salendo, un'attività elettrica a uno dei rami del nervo trigemino, che termina nel tronco cerebrale. Dopo aver attraversato ulteriori stadi di elaborazione, il dolore era, alla fine, generato dall'attività di cellule nervose situate nelle parti profonde del prosencefalo. Eppure, nulla di tutto questo mi spiegava perché provavo qualcosa! Com'era possibile che il sodio, il potassio, il calcio e gli altri ioni che sguazzano nel mio cervello fossero la causa di questa terribile sensazione? Questa ordinaria manifestazione dell'antico problema mente-corpo, risalente nel mio caso all'estate del 1988, occupa da allora i miei pensieri.

Il dilemma mente-corpo si può esprimere in poche parole con la domanda «Come può un sistema fisico, qual è il cervello, provare l'esperienza di qualcosa?» Facciamo un esempio. Se un sensore termico accoppiato a un computer diventa molto caldo, l'elaboratore può accendere una luce rossa di allarme. Ma nessuno si sognerebbe di sostenere che il flusso di elettroni verso la porta del transistor che chiude l'interruttore della luce è la causa di una cattiva giornata per la macchina. Allora, in che modo l'attività neurale origina la sensazione di dolore bruciante? Esiste forse nel cervello qualcosa di magico? E riguarda che cosa: la sua architettura, il tipo di neuroni coinvolti, oppure gli schemi di attività elettrochimica a esso associati?

La faccenda si fa ancora più misteriosa quando mi rendo conto che buona parte, di ciò che accade nella mia testa, per non dire tutto è inaccessibile all'introspezione. Anzi, molte mie azioni quotidiane – allacciarmi le scarpe, guidare, correre, arrampicarmi, una semplice conversazione – lavorano con il pilota automatico, mentre la mia mente è impegnata in faccende più importanti. In che modo questi comportamenti differiscono neurologicamente dai comportamenti che dànno origine alle sensazioni coscienti?

In questo libro andrò alla ricerca delle risposte, e lo farò entro una cornice concettuale profondamente neuroscientifica. Indicherò qui un programma di ricerca, il cui obiettivo finale è scoprire i correlati neurali della coscienza – conosciuti anche come NCC – ovvero l'insieme più piccolo di meccanismi e di eventi cerebrali sufficienti per una specifica sensazione cosciente: di una sensazione elementare come il colore rosso. Definire e individuare l'NCC è una sfida scientifica fondamentale del nostro tempo.

Per arrivare al cuore del problema, devo essere quanto più vicino al luogo in cui accadono le cose, negli spazi interstiziali tra l'esperienza fenomenica e la corporea materia cerebrale. Queste regioni sono state esplorate al meglio nella percezione visiva, e perciò questo libro si focalizzerà sulla facoltà della visione, anche se non esclusivamente. Descriverò a fondo i dati anatomici, neurofisiologici, psicologici e clinici rilevanti, che tesserò in un grande arazzo. Sarà la nuova cornice entro cui riflettere sui fondamenti neurali della coscienza.

Il libro è inteso per chiunque provi curiosità verso un dibattito antico, e che ha ricatturato l'immaginazione dei filosofi, degli scienziati, degli ingegneri, dei medici, e delle persone che amano riflettere sui problemi. Che cos'è la coscienza? Come si inserisce nell'ordine naturale delle cose? A che cosa serve? Θ esclusiva dell'uomo? Perché molte nostre azioni la aggirano? Le risposte a queste domande determineranno una nuova immagine del senso della natura umana. Questa immagine, che sta ancora lentamente emergendo, contraddice molte di quelle a cui ci siamo appassionati. Chissà dove ci porterà l'indagine! Come scrisse Lord Dunsany, «l'uomo è una piccola cosa, e la notte è grande e carica di meraviglie».

Le concezioni espresse in queste pagine sono il frutto di un'intensa collaborazione con Francis Crick, che lavora al Salk Institute di La Jolla in California, pochi chilometri a nord di San Diego. Ci incontrammo la prima volta nel 1981, a Tubinga in Germania. Francis stava discutendo con Tomaso Poggio sulla funzione delle spine dendritiche. In seguito, gli avremmo fatto visita. Accadde quando traslocai al Massachusetts Institute of Technology, a Cambridge, e concepii con Shimon Ullman alcuni modi per spiegare l'attenzione visiva sulla base di reti neurali artificiali. Fu uno scambio di idee intenso e stimolante, che durò l'intero fine settimana. La nostra frequentazione si intensificò dopo che diventai professore al California Institute of Technology di Pasadena, a due ore d'auto da La Jolla.

L'interesse di Francis per le basi biologiche della coscienza, che, a suo dire, risaliva all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, si è incontrato con il mio incontenibile entusiasmo per l'attenzione e la consapevolezza visiva, considerate entro una cornice computazionale tradotta poi in circuiti neurobiologici. Insieme, le nostre ipotesi hanno preso forma concreta con la riscoperta, verso la fine degli anni Ottanta, di impulsi nervosi (spikes) oscillatori e sincronizzati nella corteccia visiva del gatto. Con Francis abbiamo pubblicato il nostro primo articolo nel 1990. Si intitolava Towards a Neurobiological Theory of Consciousness. Mentre nuovi dati venivano alla luce e il nostro punto di vista si evolveva fino a includere molteplici aspetti della coscienza, le nostre pubblicazioni hanno seguito un ritmo costante. Negli ultimi cinque anni, ho trascorso ogni mese dai due ai tre giorni a casa sua. Per ragioni personali, egli ha scelto di non figurare come coautore del libro. Ciò nonostante, volendo rimarcare la comune paternità delle idee guida che vi sono contenute, scriverò frequentemente «noi», che vuol dire «Francis e io». Lo so che è una situazione un po' anomala. Ma la nostra è una collaborazione anomala!

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1. Introduzione allo studio della coscienza


            La coscienza è ciò rende veramente ostico il problema mente-corpo...
     Senza la coscienza il problema mente-corpo sarebbe molto meno interessante.
                            Con la coscienza sembra senza speranza di soluzione.

                                      Che cosa si prova a essere un pipistrello?

                                                                    Thomas Nagel



Nel romanzo incompiuto di Thomas Mann Confessioni del Cavaliere d'Industria Felix Krull il professor Kuckuck commenta al marchese de Venosta i tre stadi fondamentali e misteriosi della creazione. Prima di tutto c'è la creazione di qualcosa dal nulla, nello specifico l'universo. Il secondo atto della genesi è quello che ha generato la vita dalla materia inorganica, morta. Il terzo atto misterioso è la nascita della coscienza e degli esseri coscienti, capaci di riflettere su se stessi a partire dalla materia organica. Gli esseri umani e almeno alcuni animali non si limitano a rilevare la luce, a muovere gli occhi e a compiere altre azioni, ma hanno anche «sensazioni» associate a questi eventi. Questo straordinario aspetto del mondo rivendica una spiegazione. La coscienza rimane uno dei grandi enigmi che la visione scientifica del mondo si trova ad affrontare.


1.1 Che cosa bisogna spiegare?

Nel corso della storia documentata l'umanità si è da sempre domandata come vediamo, come percepiamo gli odori, come riflettiamo su noi stessi e come ricordiamo. In che modo traggono origine queste sensazioni? Riducendola alla sua essenza, la domanda al cuore del problema mente-corpo diventa: qual è la relazione tra la mente cosciente e le interazioni elettrochimiche nel corpo che la originano? In che modo il gusto salato e la consistenza croccante delle patatine, l'inconfondibile odore del cane bagnato di pioggia, o anche la sensazione che provoca rimanere appeso a un minuscolo appiglio di roccia un paio di metri sopra l'ultimo appoggio sicuro per il piede, emergono da reti di neuroni? Queste qualità sensoriali, questi mattoni dell'esperienza cosciente sono tradizionalmente definiti qualia. Θ proprio questo l'enigma: come può un sistema fisico avere dei qualia?

E poi, perché un particolare quale è proprio com'è e non è differente? Perché il rosso appare rosso, distinto dalla sensazione del vedere il blu? Questi non sono simboli astratti, arbitrari, ma rappresentano qualcosa che ha un significato per l'organismo. I filosofi parlano della capacità della mente di rappresentare o di essere rivolto alle cose. Il modo in cui il significato nasce dall'attività elettrica nelle immense reti neurali che costituiscono il cervello rimane un profondo mistero. La struttura di queste reti, le loro connessioni, svolgono certamente un ruolo, ma in quale modo?

E in che modo gli esseri umani, e gli animali, possono avere esperienze? Perché noi, specie umana, non possiamo vivere e procreare e allevare i figli senza coscienza? Visto soggettivamente, tutto questo sembrerebbe non essere vivi affatto, di attraversare come sonnambuli la vita. E allora perché, evolutivamente parlando, esiste la coscienza? Quale valore di sopravvivenza è annesso alla vita mentale soggettiva?

Nella tradizione haitiana, uno zombie è un individuo morto che, attraverso il potere magico di uno stregone, deve eseguire le volontà di una persona che ne ha il controllo. In filosofia, uno zombie è un essere immaginario che si comporta e agisce proprio come una persona normale, ma che è assolutamente privo di una vita cosciente, di sensazioni e di sentimenti. Uno zombie particolarmente subdolo arriverà pure a mentire, affermando di provare l'esperienza di qualcosa, quando in realtà ciò non è vero.

La difficoltà di immaginare la vita senza esperienze coscienti ci fa capire quanto sia importante la coscienza per la vita. Seguendo la celebre riflessione di Cartesio – che egli concepì per fondare la sua stessa esistenza – posso sincerarmi con certezza che «io sono cosciente». Non sempre: non in un sonno senza sogni, né sotto anestesia, ma spesso: quando leggo, parlo, mi arrampico, penso, discuto, o anche solo quando, seduto, ammiro la bellezza del mondo.

Il mistero si infittisce quando ci rendiamo conto che buona parte di quanto avviene nel cervello aggira la coscienza. Esperimenti di elettrofisiologia dimostrano che succede che un'attività tempestosa di schiere di neuroni non generi un percetto cosciente né un ricordo. In un'azione riflessa, voi scuoterete all'istantante con energia il piede se rilevate un insetto che ci cammina su, anche se capirete solo più tardi cosa sta accadendo. Oppure il vostro corpo reagisce alla vista di qualcosa di spaventoso — di un ragno o di una pistola — prima che sia registrata coscientemente: i vostri palmi diventano sudati, il polso e la pressione sanguigna aumentano, e l'adrenalina viene liberata. Tutto questo succede prima di sapere che siete spaventati, o perché lo siete. E così, molti comportamenti sensomotori relativamente complessi sono rapidi e non coscienti. In effetti, il significato dell'allenamento è insegnare al vostro corpo a eseguire rapidamente una serie complessa di movimenti – rispondere a un servizio, schivare un pugno o legare i lacci delle scarpe – senza rifletterci su. L'elaborazione non cosciente si estende ai livelli più elevati della mente. Sigmund Freud sosteneva che le esperienze dell'infanzia – specie quelle di natura traumatica - determinano profondamente il comportamento dell'adulto in un modo non accessibile alla coscienza. Buona parte delle decisioni di livello elevato e della creatività si verificano senza il pensiero cosciente. Approfondiremo meglio l'argomento nel capitolo.

Dunque buona parte di ciò che costituisce il flusso e il riflusso della vita quotidiana avviene al di fuori della coscienza. Alcune dimostrazioni più chiare sono di natura clinica. Considerate lo strano caso del paziente neurologico D.F. Costei è incapace di vedere le forme o di riconoscere figure di oggetti comuni, eppure sa afferrare una palla. Anche se non distingue l'orientamento di una sottile fessura, come quella della buca da lettere (è orizzontale?), D.F. vi imbuca con destrezza una lettera (figura 13.2). Studiando questi pazienti, i neuropsicologi hanno inferito l'esistenza di agenti zombie nel cervello che aggirano la consapevolezza, vale a dire che non implicano la coscienza (ricordate che nella nota 2 di questo capitolo ho stabilito un'equivalenza tra consapevolezza (awareness) e coscienza (consciousness)). Questi agenti si occupano di compiti stereotipati, come spostare gli occhi o posizionare la mano. E operano di solito piuttosto rapidamente senza avere accesso alla memoria esplicita. Riprenderò questi temi nei capitoli 12 e 13.

Come mai, allora, il cervello non è solo una grande raccolta di agenti zombie specializzati? La vita potrebbe essere pure noiosa, ma poiché tali agenti lavorano indefessi e rapidamente, perché c'è proprio bisogno della coscienza? Qual è la sua funzione? Nel capitolo 14 sosterrò che la coscienza dà accesso a un modo di elaborazione di uso generale (general purpose) e deliberato di pianificare e considerare la direzione futura di un'azione. Senza la coscienza, le cose per noi andrebbero peggio.

La coscienza è una questione intensamente privata. Una sensazione non può essere trasmessa direttamente a qualcun altro, ma viene di solito circoscritta nei termini di altre esperienze. Provate a spiegare la vostra esperienza del vedere il colore rosso. Finirete per fare riferimento ad altri percetti, del tipo «rosso come un tramonto» o «rosso come una bandiera cinese» (un compito praticamente impossibile quando si comunica con chi è cieco dalla nascita). Θ possibile parlare in modo sensato delle relazioni tra esperienze differenti ma non di una qualsiasi singola esperienza. Anche questo dovremo spiegarlo.

Ecco, dunque lo statuto della nostra ricerca: capire come e perché le basi neurali di una specifica sensazione cosciente sono associate con quella sensazione piuttosto che con un'altra, o con uno stato completamente non cosciente; perché le sensazioni sono strutturate proprio in questo modo, come acquistano significato, e perché sono private; e, infine, come e perché così tanti comportamenti avvengono senza la coscienza.


1.2 Un ventaglio di risposte

Filosofi e scienziati si sono interrogati sul problema mente-corpo nella sua forma attuale sin dalla pubblicazione del Traité de l'homme di Cartesio, a metà del XVII secolo. Tuttavia, fino agli scorsi anni Ottanta, la grande maggioranza degli studi nelle scienze del cervello non faceva riferimento alla coscienza. Ma da due decenni, filosofi, psicologi, scienziati cognitivi, clinici, neuroscienziati e persino ingegneri hanno pubblicato decine di monografie e di libri mirati a «scoprire», a «spiegare» o a «riconsiderare» la coscienza. Questa letteratura è in gran parte speculativa o manca di un dettagliato programma scientifico inteso a scoprire in modo sistematico le basi neuronali della coscienza; pertanto non contribuiscono alle teorie discusse in questo libro.

Prima di introdurre l'impostazione seguita con Francis Crick – a cui mi ha legato un lungo sodalizio professionale – per affrontare questi problemi, farò una panoramica sul paesaggio filosofico. Vi familiarizzerete con alcune possibili categorie di risposte che l'uomo è venuto considerando nel tempo. Si tratta, è chiaro, solo di descrizioni sommarie, di caricature.

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La coscienza è una proprietà emergente di determinati sistemi biologici

L'ipotesi di lavoro di questo libro è che la coscienza emerge da aspetti neuronali del cervello. Capire il fondamento materiale della coscienza non richiederà una fisica astrusa, ma una considerazione molto più profonda del funzionamento di reti estremamente interconnesse costituite da un gran numero di neuroni eterogenei. La capacità di coalizioni, o gruppi, di neuroni di imparare dalle interazioni con l'ambiente e dalle loro stesse attività interne è comunemente sottovalutata. I singoli neuroni sono, in sé, entità complesse, caratterizzate da morfologie peculiari e da migliaia di segnali entranti, gli input, e di segnali in uscita, gli output. Le loro interconnessioni, le sinapsi, sono macchine molecolari che nascono attrezzate con algoritmi di apprendimento che modificano la loro forza e la loro dinamica in archi temporali differenti. Gli esseri umani hanno scarsa esperienza con un'organizzazione di tale vastità. Per questa ragione i biologi stessi stentano ad assegnare il giusto peso alle proprietà e al potere del sistema nervoso.

Un'analogia plausibile si può fare con il dibattito divampato a cavallo tra Ottocento e Novecento sul vitalismo e sui meccanismi fondanti l'ereditarietà. Come può una semplice chimica archiviare tutta l'informazione per specificare un individuo unico? Come può la chimica spiegare come la divisione di un embrione di rana allo stadio di due cellule origina due girini? Ciò non richiede forse una forza vitalistica, o una nuova legge della fisica, come ipotizzò Erwin Schrφdinger ?

La grande difficoltà allora incontrata dai ricercatori era che essi non potevano immaginare la grande specificità intrinseca a singole molecole. Il concetto l'ha espresso eloquentemente William Bateson, uno dei grandi genetisti inglesi della prima parte del XX secolo. Nella sua recensione del 1916 a The Mechanisms of Mendelian Heredity, il libro fra i cui autori figura il premio Nobel Thomas Hunt Morgan, recita:

Le proprietà degli esseri viventi sono in qualche modo fissate a una base materiale, forse in qualche grado speciale alla cromatina del nucleo; eppure è inconcepibile che particelle di cromatina o di qualsiasi altra sostanza, per quanto complessa, possiedano questi poteri che devono essere assegnati ai nostri fattori o geni. La congettura che particelle di cromatina, indistinguibili l'una dall'altra e dunque quasi omogenee alla luce di qualsiasi test conosciuto, possano, mediante la loro natura materiale, conferire tutte le proprietà della vita supera i limiti del materialismo anche più convinto.

Ciò che, alla luce della tecnologia disponibile all'epoca, Bateson e altri come lui non sapevano era che la cromatina (vale a dire i cromosomi) è omogenea solo statisticamente. Essa è infatti composta di quantità circa equivalenti delle quattro basi nucleotidiche, e l'esatta sequenza lineare dei nucleotidi codifica i segreti dell'ereditarietà. I genetisti sottovalutavano la capacità di questi nucleotidi di depositare una quantità prodigiosa di informazione. Ma sottovalutavano anche l'incredibile specificità delle molecole proteiche, scaturita dall'azione della selezione naturale nell'arco dei miliardi di anni di evoluzione. Non dovremo ripetere gli stessi errori nella ricerca dei fondamenti della coscienza.

Ancora una volta, ritengo che la base fisica della coscienza sia una proprietà emergente da interazioni specifiche tra neuroni e i loro elementi. Anche se la coscienza è pienamente compatibile con le leggi della fisica, non è realistico prevedere né comprendere la coscienza da queste leggi.


1.3 La mia è una strategia pragmatica ed empirica

Volendo progredire su queste ardue questioni senza arenarci in scaramucce diversive, dovrò fare alcune congetture, ma senza dilungarmi in dettagli. Queste provvisorie ipotesi di lavoro potrebbero più in là benissimo essere da rivedere o addirittura da respingere. Max Delbrόck , un fisico convertitosi alla biologia molecolare, difendeva, a proposito degli esperimenti, il «Principio di inaccuratezza limitata». Egli raccomandava di provare le cose in maniera approssimativa e diretta per capire se avevano successo. Θ un principio che applico al regno delle teorie del cervello.

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La coscienza non è esclusiva dell'uomo

Θ plausibile che alcune specie animali – i mammiferi in particolare – posseggano alcuni, non necessariamente tutti, tratti della coscienza; che esse vedano, provino sensazioni uditive e olfattive, e sperimentino altrimenti il mondo. Naturalmente, ciascuna specie ha il suo esclusivo apparato sensoriale, accoppiato alla sua nicchia ecologica. Ma suppongo che questi animali abbiano dei sentimenti, degli stati soggettivi. Credere altrimenti sarebbe presuntuoso, e svanisce alla luce delle evidenze sperimentali, che parlano di continuità di comportamenti tra gli animali e gli esseri umani. Siamo tutti figli di Madre Natura.

Ciò è particolarmente vero nel caso delle scimmie, comprese le antropomorfe, il cui comportamento, sviluppo e struttura cerebrale sono notevolmente simili a quelli degli esseri umani (solo un esperto distingue un millimetro cubo di tessuto cerebrale di scimmia da un blocco corrispondente di tessuto cerebrale umano). In realtà, il modo migliore per studiare la consapevolezza dello stimolo si affida oggi alla correlazione delle risposte neuronali di scimmie addestrate al loro comportamento. Considerando questa somiglianza, esperimenti appropriati su primati non umani – eseguiti secondo criteri etici e umani – sono una potente risorsa per scoprire i meccanismi alla base della coscienza.

Naturalmente, gli esseri umani differiscono in modo fondamentale da tutti gli altri organismi per la loro capacità di parlare. Il linguaggio consente a homo sapiens di rappresentare e di disseminare arbitrariamente concetti complessi. Grazie al linguaggio sono possibili la scrittura, la democrazia rappresentativa, la relatività generale e il computer Macintosh, attività e invenzioni al di là delle capacità dei nostri amici animali. Il primato del linguaggio nella maggior parte degli aspetti della vita civilizzata ha originato la convinzione – per esempio tra i filosofi e tra i linguisti – che la coscienza sia impossibile senza il linguaggio e che, perciò, solo l'uomo possa provare sensazioni ed essere introspettivo. Anche se ciò potrebbe essere, in parte, vero riguardo alla coscienza di sé (come in «so che sto vedendo rosso»), tutte le evidenze raccolte dai pazienti con il cervello diviso, dai bambini autistici, dagli studi sull'evoluzione e dal comportamento animale, sono pienamente compatibili con la tesi che almeno i mammiferi sperimentano la vasta gamma di sensazioni della vita.

Attualmente non sappiamo in quale misura la percezione cosciente è comune a tutti gli animali. Probabilmente, la coscienza è correlata in qualche misura alla complessità del sistema nervoso dell'organismo. Calamari, api, moscerini della frutta e persino vermi nematodi sono all'altezza di comportamenti piuttosto raffinati. Forse anche loro possiedono un livello di consapevolezza; forse anch'essi provano dolore, sensazioni di piacere e vedono.

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1.4 I correlati neuronali della coscienza

Francis ed io siamo motivati a scoprire i correlati neurali della coscienza (NCC). Ogni volta che l'informazione è rappresentata negli NCC voi ne siete coscienti. L'obiettivo è scoprire l'insieme minimo di eventi e di meccanismi neuronali sufficienti, insieme, per uno specifico percetto cosciente (fig. 1.1) L'NCC implica l'attività elettrica, di scarica, dei neuroni nel prosencefalo. Come racconterò in dettaglio nel prossimo capitolo, intendo per attività di scarica le sequenze di impulsi, circa un decimo di volt di ampiezza e 0,5-1 millisecondi di durata, emesse dai neuroni una volta eccitati. Questi spikes o potenziali d'azione binari sono, si può dire, gli output, o risposte, principali dei neuroni del prosencefalo. Stimolare le cellule adeguate con una tecnologia ancora da inventare che replichi l'esatto pattern del loro potenziale d'azione, dei loro spike, dovrebbe innescare lo stesso percetto causato dalle immagini, dai suoni o dagli odori naturali. Come ho sottolineato poche pagine addietro, la coscienza dipende da quanto succede dentro la testa, e non per forza dal comportamento dell'organismo.

Il concetto di NCC è significativamente più sottile di quanto illustri la figura, e deve anche specificare in quale gamma di circostanze e di dati vale la correlazione tra eventi neuronali e percetto cosciente. La relazione è vera solo quando il soggetto è sveglio? E nel caso dei sogni e di tutta una serie di patologie? Ed è la stessa per tutti gli animali? Considereremo queste complicazioni nel capitolo 5.

Tale impiego del NCC implica che se io sono consapevole di un evento, l'NCC nella mia testa lo esprimerà direttamente. Deve esistere una corrispondenza esplicita tra un evento mentale e i suoi correlati neuronali. Lo possiamo esprimere anche così: qualsiasi cambiamento in uno stato del soggetto dovrà essere associato a un cambiamento in un uno stato neuronale. Ma attenzione! Non è detto che valga il contrario: due differenti stati neuronali del cervello possono essere indistinguibili a livello della mente.

Θ possibile che gli NCC non siano espressi nell'impulso di qualche neurone. Magari potrebbero esserlo nella concentrazione degli ioni calcio intracellulari, liberi nei dendriti postsinaptici delle loro cellule bersaglio. Oppure le cellule gliali – partner invisibili dei neuroni, che nutrono e conservano le cellule nervose e il loro ambiente cerebrale – potrebbero essere implicate direttamente (anche se ciò è improbabile). A ogni buon conto i correlati, qualunque sia la loro natura, devono corrispondere direttamente – e non indirettamente – alla percezione cosciente. Gli NCC sono infatti tutto ciò che serve per quella particolare esperienza.

Gli NCC potrebbero essere associati a un'attività speciale in uno o più insiemi di neuroni dotati di una particolare proprietà farmacologica, anatomica e biofisica, che deve superare una soglia e durare un tempo minimo.

Come sosterrò nel capitolo 14, è piuttosto improbabile che la coscienza sia un mero epifenomeno. Piuttosto, essa accresce la sopravvivenza del suo portatore. Significa che, in qualche maniera, l'NCC ha effetto su altri neuroni, il cui esito sarà un certo comportamento. Questa attività può anche alimentare di ritorno i neuroni NCC e stadi precedenti della gerarchia, complicando significativamente la questione.

Scoprire l'NCC rappresenterebbe un passo importante sulla strada per capire definitivamente la coscienza. Identificare l'NCC consentirebbe ai neuroscienziati di manipolare il suo substrato cellulare mediante l'intervento farmacologico e la manipolazione genetica. Potrebbe essere possibile creare ad arte topi transgenici il cui NCC sia attivabile e disattivabile rapidamente e con sicurezza. Di quale comportamento sarebbero capaci tali roditori zombie? Da questa scoperta deriverebbero poi benefiche ricadute cliniche, come una migliore comprensione delle malattie mentali e il disegno di nuovi e potenti anestetici, con modesti effetti collaterali per giunta.

Alla fine, sarà necessaria una teoria che colmi il vuoto esplicativo, che spieghi perché l'attività in un certo insieme di neuroni è il fondamento (o forse identica) di una sensazione particolare. Questa teoria deve farci capire perché quell'attività significa qualcosa per l'organismo (perché, per esempio, fa male?) e perché i qualia provocano proprio quella sensazione (per esempio, perché il rosso appare in un modo, che è molto differente dal blu?)

Cammin facendo, dovremo risolvere il grande dibattito sulla questione dell'esatta relazione tra eventi neuronali ed eventi mentali. Il fisicalismo asserisce che i due sono identici: che l'NCC del percetto del viola è il percetto: non serve nient'altro! Se il primo è misurato dai microelettrodi, il secondo è sperimentato dal cervello. Un'analogia favorita riguarda la temperatura di un gas e l'energia cinetica media delle sue molecole. La temperatura è una variabile macroscopica registrata da un termometro; l'energia cinetica è invece una variabile microscopica che, per essere studiata, richiede un ben diverso corredo di strumenti. Eppure i due sono identici. Se pure superficialmente esse appaiano assai distinte, la temperatura è equivalente all'energia cinetica media delle molecole: più veloci sono le molecole, più elevata sarà la temperatura. Non ha senso parlare del rapido movimento molecolare che causa la temperatura, come se il primo fosse la causa e la seconda l'effetto: il primo è sufficiente e necessario alla seconda.

A questo punto, non sono certo se questo genere di identità forte vale per l'NCC e per il percetto associato. Sono davvero la stessa cosa vista da prospettive differenti? I caratteri degli stati cerebrali e degli stati fenomenici appaiono troppo differenti per ridurre completamente gli uni agli altri. Io credo che il loro rapporto sia più complesso di quanto immaginiamo. Per ora, la cosa migliore è tenere la mente aperta su questo argomento e concentrarsi sulla identificazione dei correlati cerebrali della coscienza.

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1.5 Ricapitolazione

La coscienza insiste su un punto nevralgico del problema mente-corpo. Agli studiosi del XXI secolo essa appare misteriosa non meno di quando, diversi millenni fa, l'uomo si pose le prime domande sulla mente. Ciò nonostante, gli scienziati si trovano, oggi, in una condizione più che mai privilegiata per studiare i fondamenti fisici della coscienza.

La mia strategia è una strategia di tipo diretto, che molti miei colleghi considerano ingenua o insensata. Io considero l'esperienza soggettiva come data, e presumo che l'attività cerebrale sia necessaria e sufficiente affinché le creature biologiche provino la sensazione di qualcosa. Non serve nient'altro. Io sono alla ricerca della base fisica degli stati fenomenici all'interno delle cellule cerebrali, della loro organizzazione e attività. Il mio obiettivo è identificare la natura specifica di quest'attività – i correlati neurali della coscienza – e determinare in che misura l'NCC differisce dall'attività che influenza il comportamento e che non coinvolge la coscienza.

Questo libro si concentra sulle forme sensoriali della coscienza, sulla visione in particolare. Più di altri aspetti della sensazione, la consapevolezza visiva è aperta all'indagine empirica. Le emozioni, il linguaggio e il senso del sé e del prossimo sono molto importanti nella nostra vita, ma sono aspetti della coscienza che lasceremo per fasi successive, dopo avere compreso meglio le loro basi neurali. Simile alla ricerca della comprensione della vita, scoprire e caratterizzare le operazioni molecolari, biofisiche e neurofisiologiche del NCC aiuterà probabilmente a risolvere il grande enigma, e cioè come eventi di particolari privilegiati sistemi possono essere la base fisica dei sentimenti, o coincidere con essi.

Sarebbe contrario alla continuità evolutiva credere che la coscienza sia esclusiva della specie umana. Io credo che la mente umana condivida alcune proprietà elementari con la mente animale, in particolare con i mammiferi, con le scimmie e con i topi per esempio. Ignoro insulsi dibattiti sull'esatta definizione di coscienza e sul fatto che il mio midollo spinale sia o meno cosciente, ma che semplicemente non me lo stia dicendo. Sono domande a cui risponderemo nel tempo, ma che oggi semplicemente ostacolano il progresso. Non vinceremo la guerra iniziando dalle battaglie più ardue.

Nel corso di questa impresa prolungata, empirica e a lungo termine prenderemo delle cantonate e faremo semplificazioni eccessive, ma ce ne accorgeremo col passare del tempo. Per ora, la scienza deve tenere testa alla sfida ed esplorare i fondamenti cerebrali della coscienza. Al pari della visione parzialmente nascosta della vetta innevata di una montagna durante la prima ascesa, il richiamo a comprendere il puzzle è irresistibile. Disse molti anni fa Lao Tsu: «un viaggio di mille chilometri inizia da un singolo passo».

Ora che il viaggio è iniziato, vorrei mettervi a conoscenza di alcuni concetti vitali che ci guideranno nella ricerca. In particolare, devo chiarire i concetti di rappresentazione neuronale implicita ed esplicita, di nodi essenziali e le diverse forme di attività nervosa.

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2. I neuroni: gli atomi della percezione


Questa mia teoria sembrava così ovvia ed elegante che me ne innamorai profondamente. E, come accade per una donna, è possibile innamorarsene solo se di lei conosci poche cose, e dunque non ne vedi i difetti. Questi diventeranno evidenti più tardi, ma solo dopo che l'amore è diventato così forte da averti incatenato a lei. Richard P. Feynman


Gli scienziati osservano il mondo in maniera assolutamente fredda e oggettiva. I fatti, tutti, sono registrati, il loro significato ponderato e, se riscontrati solidi, incorporati in uno degli edifici teorici che descrivono il cosmo e ciò che in esso è contenuto: la meccanica quantistica, la relatività generale o la selezione naturale, per fare degli esempi.

Questo clichè è lontano dalla realtà del lavoro dei ricercatori. La visione idealizzata precedente è a dir poco inadeguata nel caso delle neuroscienze, un'impresa giovane il cui oggetto di studio è, per caratteristiche, l'entità più complessa nell'universo conosciuto. Volendo ricavare un senso dalla marea di osservazioni dei laboratori di biologia e di psicologia di ogni angolo di mondo, i ricercatori devono avere una qualche idea preliminare di cosa cercare. Θ impossibile assorbire tutti i fatti esistenti sul cervello senza un «filtro» che separi il grano dal loglio. Semplicemente, i dati sono troppi, e molti di essi in contrasto, perché possa prevalere qualsiasi altra strategia. Gli scienziati devono sempre conservare una mente aperta verso tali preconcetti, riesaminandoli di continuo alla luce di nuove evidenze o idee illuminanti.

Il problema che affronta questo libro è che il cervello – un organo fisico – può originare sentimenti e percetti coscienti specifici. Ma come? In un determinato istante, buona parte dell'attività neurale non è correlata a stati soggettivi, eppure può ancora influenzare il comportamento. Qual è la differenza tra quest'attività e quella sufficiente per la coscienza?

I neuroni sono gli atomi della percezione, della memoria, del pensiero e dell'azione, e le rispettive connessioni sinaptiche influenzano e guidano l'aggregazione transitoria delle cellule nelle più grandi coalizioni all'origine della percezione. Qualsiasi teoria che spieghi i fondamenti neuronali della coscienza dovrà, perciò, descrivere interazioni specifiche tra cellule nervose, nella scala temporale dei millisecondi.

Consentitemi qui di seminare due idee. La prima è che, per l'NCC, sono essenziali rappresentazioni neurali esplicite. La seconda è che esistono molteplici forme di attività neurale. Adeguatamente coltivate, le due teorie saranno enormemente fruttuose per la nostra interpretazione del comportamento neuronale.

Questo capitolo richiederà alcuni sforzi concettuali. Tuttavia, una volta assorbito questo materiale, sarete in condizione di seguire agilmente buona parte delle teorie esposte del libro. Il capitolo inizia da un preambolo, dalla descrizione succinta della natura della corteccia. Dovrete acquisire familiarità perlomeno con alcune sue proprietà, poiché solo la materia cerebrale – quantomeno finora – dà origine alla coscienza.


2.1 La struttura della corteccia cerebrale

Anche se a un osservatore occasionale sembrerà un cavolo appena cotto, il cervello è estremamente differenziato. Caratteristiche generali delle sue operazioni sono la varietà e la specificità incredibili delle sue azioni. I sistemi sensoriali manipolano una varietà si può dire infinita di immagini, di scene e di suoni, e vi reagiscono dettagliatamente con grande accuratezza. Sono sistemi estremamente evoluti, di grande specificità, che imparano dall'esperienza un gran numero di cose.

Reagire rapidamente ha uno spiccato vantaggio selettivo. In questo caso, vale l'adagio «il meglio è nemico del buono», poiché è meglio ottenere un risultato rapido, ma occasionalmente imperfetto, che trovare più tardi la soluzione perfetta. L'organismo che prende tempo per concepire la soluzione ottimale potrebbe essere divorato da un competitore più rapido, che opera con un risultato approssimativo. Tale importanza spicca ancora di più, se consideriamo gli elementi lenti con cui opera il cervello, i quali «commutano» con una velocità milioni di volte inferiore a quella dei transistor. Un altro principio generale è quello di usare diversi metodi approssimativi in parallelo per raggiungere una conclusione, e non quello di seguire un solo metodo accurato.

La funzione principale della corteccia sensoriale è costruire e usare rivelatori di caratteri (feature detector) molto specifici, come quelli per l'orientamento, il movimento e i volti. Utilizzando microelettrodi, gli studi su animali rivelano zone corticali vicine separate i cui neuroni sono specializzati nell'esecuzione di questi compiti differenti. Per esempio, i neuroni di una regione occipito-temporale sono particolarmente sensibili al colore o alla tonalità degli stimoli; i neuroni dell'area MT rilevano il movimento; e quelli in una parte della corteccia parietale posteriore programmano i movimenti oculari. Infine, i neuroni della corteccia uditiva codificano il timbro. Osservazioni cliniche di pazienti neurologici rinforzano la teoria che particolari regioni della corteccia cerebrale eseguono funzioni specifiche. Se un adulto perde una di queste aree a causa di un ictus, di un proiettile o di traumi di altra natura, possono derivarne deficit molto specifici e peculiari.

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2.4 Ricapitolazione

L'NCC comporta coalizioni temporanee di neuroni codificanti particolari eventi od oggetti e che competono con altre coalizioni. Una particolare associazione — influenzata dall'attenzione — emerge vincitrice per la forza della sua attività di scarica. La coalizione vincitrice, corrispondente al contenuto attuale di coscienza, elimina le associazioni in competizione per un certo tempo, fino a quando si stanca, si adatta oppure è sostituita da un nuovo input. E un nuovo vincitore emerge. Considerando che in ogni istante una o poche di tali coalizioni sono dominanti, possiamo parlare di elaborazione sequenziale senza implicare processi simili a orologio. Questo processo dinamico si può comparare alla politica di una democrazia, dove blocchi votanti e gruppi di interesse si formano e si disfano continuamente.

Francis e io abbiamo ipotizzato che gli NCC si fondino su rappresentazioni neuronali esplicite. Un carattere è reso esplicito se un piccolo gruppo di neuroni corticali vicini codifica direttamente questo carattere. La profondità di computazione intrinseca a una rappresentazione implicita è minore che in una esplicita. Elaborazione ulteriore è necessaria per trasformare una rappresentazione implicita in una esplicita. Esempi di rappresentazione esplicita sono l'orientamento dello stimolo in V1 o la codifica dei volti in IT. Una rappresentazione esplicita è una condizione necessaria, ma non sufficiente, del NCC.

Un nodo essenziale è una parte del cervello che, se distrutta, causa un deficit specifico per una classe di percetti: per esempio il volto, il movimento, il colore, o la percezione della paura. Noi ipotizziamo che la sede della rappresentazione esplicita di un attributo corrisponda al suo nodo essenziale.

Il substrato neurale di entrambi i concetti è l'organizzazione colonnare dell'informazione. La proprietà di campo recettivo comune alle cellule sottostanti a una zona di corteccia corrisponde in sostanza al nodo essenziale di quella proprietà e a una rappresentazione esplicita.

L'attività neurale può assumere diverse forme. Fondamentale a tutte è la propagazione rapida di informazione nel cervello mediante i potenziali d'azione. Il codice della frequenza di scarica presuppone che la variabile di interesse sia codificata dal puro numero di spike scatenati da un neurone in un intervallo significativo: in sostanza, dalla forza del suo grido. Le frequenze di scarica sono ampiamente usate nel sistema nervoso, in particolare dalla periferia, dove frequenze sostenute possono superare i 100 spike al secondo. Ancora oggetto di discussione è fino a che punto strategie di codifica aggiuntive, come la codifica attraverso le oscillazioni o la sincronizzazione, siano prevalenti.

Con Francis, avevamo proposto che la percezione cosciente sia basata su associazioni neuronali che scaricano in modo sincrono, che compaiono e scompaiono ritmicamente e che interagiscono entro poche centinaia di millisecondi. Anche se pochi dati sostengono la congettura, ci sono evidenze che l'attività di scarica oscillatoria intorno a 40 cicli al secondo, accoppiata con gli impulsi sincronizzati, sia necessaria per formare un percetto quando più input gareggiano per l'attenzione.

Ora, entro questa cornice, nei capitoli 3 e 4 accennerò alla struttura del sistema visivo dei mammiferi, e quando possibile, collegherò i suoi attributi neuronali e architettonici ad aspetti specifici della visione cosciente.

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15. Il tempo e la coscienza


«Che cos'è il tempo? – tornò a dire Hans Castorp continuando a torcere da un lato la punta del naso tanta da farla diventare completamente bianca e priva di sangue. – Me lo vuoi dire, dunque? Noi percepiamo lo spazio con i nostri organi, con quelli della vista e del tatto. Benissimo. Ma qual è il nostro organo del tempo? Me lo vorresti citare? Vedi, te ne stai lì fermo e muto. Ma come pretendiamo noi di misurare una cosa di cui in realtà non sappiamo nulla, di cui non conosciamo alcuna qualità? Badiamo a dire: il tempo passa. Bene, passi pure. Ma dovrebbe passare uniformemente, e dove sta scritto che esso lo faccia? Per quello che ne sappiamo noi non lo fa; noi ammettiamo questo fatto semplicemente per amore dell'ordine, le nostre misure non sono altro che convenzioni.»

La montagna incantata, Thomas Mann


Solo un cervello «defunto» è statico, in quiete. Un cervello vivo, invece, è un organo incredibilmente dinamico. I neuroni scaricano spontaneamente (un altro modo per dire che non è chiaro perché hanno scaricato in quel punto temporale) in assenza di qualsiasi input evidente. Anche l'EEG rivela questa natura dinamica, con incessanti episodi di attività più intensa che si sovrappongono a uno sfondo ampiamente fluttuante, che ancora sfugge ai neuroscienziati. Questo impetuoso ribollire di segnali chimici ed elettrici si manifesta anche a livello fenomenologico. Per introspezione, voi sapete quanto è difficile concentrare i pensieri a lungo su un argomento, qualunque esso sia. Il contenuto della vostra coscienza è sempre in movimento: sollevate lo sguardo dal computer e vedete gli alberi ondeggiare fuori dalla finestra, poi sentite i cani abbaiare, prima di ricordarvi all'improvviso, senza preavviso, la data di scadenza, la prossima settimana, del vostro progetto di ricerca. Dovete fare un sforzo concertato per concentrarvi su una sola cosa.

Consapevoli di ciò, vorrei affrontare la dinamica della coscienza. Un percetto non si verifica in un tempo istantaneo. I processi cerebrali che precedono l'NCC si sviluppano in un arco di tempo significativo. Quanto tempo ci vuole per percepire coscientemente uno stimolo? E come dipende esso dai processi di sfondo poc'anzi citati? L'NCC che è alla base scaturisce per gradi oppure all'improvviso? Che cosa succede se due immagini si seguono da presso l'una all'altra? Come può la seconda cancellare dalla vista la prima? E tutto questo che cosa rivela sulla natura del NCC? La percezione si evolve in modo continuo o invece per intervalli discreti, come i fotogrammi di un film? Sono temi che tratterò in questo capitolo.

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15.6 Ricapitolazione

Il cervello visivo è rapido: distingue figure di animali da figure non di animali in 150 millisecondi, e opera su questa informazione in meno di mezzo secondo. Per vedere coscientemente l'animale ci vuole più tempo, probabilmente almeno 250 millisecondi.

La percezione cosciente è probabilmente tutto o nulla. L'NCC di qualsiasi specifica posizione nasce, cioè, improvvisamente, superando una sorta di soglia.

Stimoli brevi non sono percepiti in evoluzione nel tempo. Quando due eventi brevi si susseguono, il cervello li mescola in un singolo percetto costante. Nel mascheramento retroattivo, un'immagine può interferire con un'immagine precedente, impedendoci di vederla. Lo possiamo più facilmente spiegare supponendo che un'attività critica in un nodo essenziale superi una soglia – e dunque diventi sufficiente per un percetto cosciente – solo con l'aiuto dal feedback proveniente dalle parti anteriori del cervello. Il tempo di elaborazione supplementare – circa 100 millisecondi – implica che la percezione è revisionista, sulle tracce della realtà.

Questi due indizi vitali riguardanti l'NCC, che la loro genesi richiede l' attività a feedback per superare una soglia, sono stati confermati dagli esperimenti di Libet sulla stimolazione cerebrale.

Ho discusso l'allettante possibilità che la percezione, e l'NCC, non si evolvano in modo continuo, come il mondo, bensì in modo discontinuo. Qualsiasi attributo percettivo è costante all'interno di un singolo periodo di elaborazione, di una singola istantanea. Ciò che voi sperimentate in un istante temporale è statico (il movimento è «dipinto» sulla istantanea) anche se lo stimolo sta cambiando. Alcuni dati ricavati dalla letteratura psicologica, da quella clinica, e dalle ricerche con l'EEG sposerebbero questa congettura. Aiuterebbero anche a dare la risposta ad alcune sconcertanti osservazioni riguardanti la nostra percezione dello scorrere del tempo.

Vorrei ora occuparmi degli esperimenti al cuore della nascente scienza della coscienza. Essi ci aiuteranno a individuare i neuroni del NCC relativo alla percezione degli oggetti nella corteccia temporale inferiore e nelle aree successive.

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18. Congetture ulteriori sui pensieri, e l'omuncolo non cosciente


Non so se a voi è mai capitato, ma io ho notato che, quando mi trovo di fronte a un problema che al momento appare incerto e confuso, una buona dormita mi porta spesso, al mattino, la soluzione desiderata. I signori che studiano queste faccende, dicono, mi pare, che è qualcosa che ha a che fare col subconscio, e probabilmente hanno ragione. Non avrei affermato, così alla leggera, di avere un subconscio, ma suppongo che sia lì, senza che io lo sappia, e senza dubbio si è dato un gran da fare, mentre il Wooster di carne e ossa si faceva le sue otto ore filate.

Perfetto Jeeves, P.G. Wodehouse


Siete o non siete coscienti dei vostri pensieri, dei vostri progetti e delle vostre intenzioni più recondite? La maggior parte di noi risponderebbe riflessivamente in modo affermativo. E assegnerebbe la coscienza al vertice della piramide di elaborazione, che ha il suo inizio dagli occhi, dalle orecchie, dal naso e da altri sensori, e che termina con l'«io cosciente», punto finale di ogni forma di percezione e di memoria. Qui, al culmine della gerarchia di elaborazione dell'informazione, è presente l'arbitro ultimo di tutte le funzioni esecutive e del controllo motorio.

Io credo che questa concezione sia sbagliata, che sia un'adorata chimera. In questo capitolo, quasi in conclusione del libro, mi concedo ancora una volta il lusso di fare congetture su una concezione a cui Francis ed io ci siamo appassionati, e cioè un'architettura cognitiva in cui l'NCC risiede tra una rappresentazione del mondo esterno di oggetti e di eventi fisici, e un mondo interiore, nascosto, di pensieri e di concetti. Questa concezione presenta alcune sorprendenti conseguenze.


18.1 La teoria di livello-intermedio della coscienza

I qualia sono gli elementi che costituiscono l'esperienza cosciente. Essi sono ciò di cui io sono consapevole: la vista laggiù del fondovalle, il calore dei raggi del sole che avvolge la mia schiena, la tensione delle mie mani mentre afferro la roccia e l'alternarsi in me di paura e senso del brivido, che accomuna ogni climber appeso su pareti a strapiombo. Ognuna di esse è una sensazione soggettiva. Nella sezione 4.1, ho sostenuto che la loro funzione è quella di riassumere lo stato corrente delle cose nel mondo e di inviare in avanti, agli stadi di pianificazione, questo riassunto esecutivo.

Nulla di quanto ho appena detto implica che la coscienza abbia accesso a questo tempio interiore, alle regioni dove sono considerati corsi di azione differenti, dove le decisioni vengono prese e gli obiettivi a lungo termine valutati e aggiornati.

In effetti, una posizione di vecchia scuola in psicologia si basa sulla teoria in apparenza paradossale che voi non siete direttamente coscienti dei vostri pensieri, dove per «pensieri» intendo ogni manipolazione di dati e di pattern sensoriali, o più simbolici. Un esempio è la trasformazione necessaria per dire se due guanti su un tavolo sono identici oppure sono un paio destro-sinistro. La pretesa è allora che voi siete solo coscienti di una rappresentazione di pensieri in termini sensoriali, ma i pensieri in sé – in questo caso le operazioni che cercano di far corrispondere un guanto all'altro – rimangono oltre il confine della coscienza. Quel vasto, ininterrotto flusso di coscienza che è la vostra vita mentale è semplicemente il riflesso dei vostri pensieri, non sono i pensieri in sé.

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18.4 Ricapitolazione

In questo capitolo ho introdotto la teoria di livello intermedio della coscienza, proposta da Jackendoff. Essa postula che il mondo interiore di pensieri e di concetti sia nascosto per sempre alla coscienza, come lo è il mondo esterno, quello fisico, corpo incluso.

Una conseguenza di questa ipotesi è che molti aspetti dei processi cognitivi di livello elevato, come la presa di decisioni, la pianificazione e la creatività, travalicano i limiti della coscienza. Queste operazioni sono eseguite dall'omuncolo non cosciente, residente nella parte anteriore del prosencefalo, il quale riceve informazioni dalle regioni sensoriali situate nel cervello posteriore, e invia le sue risposte al sistema motorio.

Un'ulteriore conseguenza è che non siete direttamente coscienti dei vostri pensieri, ma solo di una loro ri-presentazione in termini di qualità sensoriali, in particolare l' imagery visivo e il linguaggio interiore.

Vorrei esprimere il concetto con un altro esempio. Una buona parte del tessuto nervoso si prende carico di un'elaborazione submentale, che trasforma gli input sensoriali in risposte motorie. Una certa frazione di neuroni che ha accesso a rappresentazioni esplicite del mondo esterno è sufficiente per percetti coscienti specifici. L'elaborazione sopramentale – pensieri e altre manipolazioni complesse di dati e pattern sensoriali o astratti – si verifica negli stadi superiori, l'habitat dell'omuncolo non cosciente. Il suo contenuto non è conoscibile direttamente dalla coscienza, che scaturisce all'interfaccia tra le rappresentazioni del mondo interno e del mondo esterno.

Gli stimoli reali, fisici danno di solito origine a qualia molto più intensi e complessi di quelli immaginari. La ragione è probabilmente nel fatto che le connessioni cortico-corticali a feedback dalla parte frontale della corteccia verso le regioni posteriori – importanti per l'elaborazione sensoriale – sono, in assenza di aiuto dall'input sensoriale, incapaci di reclutare la grande coalizione necessaria per esprimere appieno gli svariati aspetti di un oggetto o di un evento. Θ possibile che i qualia associati alla coalizione vincente nella parte frontale del cervello abbiano un carattere differente da quelli associati alla parte posteriore.

Il quadro che emerge da tutto questo è di notevole eleganza nella sua simmetria. Voi non potete mai conoscere direttamente il mondo esterno. Piuttosto, siete coscienti dei risultati di alcune computazioni eseguite dal vostro sistema nervoso su una o più rappresentazioni del mondo. Analogamente, non potete conoscere i vostri pensieri più reconditi, ma siete consapevoli solo delle rappresentazioni sensoriali associate a queste attività mentali. Se ciò è vero, profonde saranno le implicazioni per il progetto ormai millenario della filosofia occidentale, racchiuso nell'adagio Conosci te stesso.

Ciò che rimane è la realistica consapevolezza che il mondo soggettivo dei qualia – ciò che distingue voi e me dagli zombie, e che riempie la vita di colori, di musica, di odori, di sapori e di aromi – dipende dai sottili, tremolanti pattern di un insieme di neuroni, localizzati strategicamente tra questi due mondi: il mondo esterno e il mondo interiore.

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Pagina 385

19. Una cornice di riferimento della coscienza


Solo chi si arrischia ad andare troppo lontano può forse scoprire fino a che punto ci si può spingere.

T.S. Eliot


I precedenti diciassette capitoli si sono occupati con grande dettaglio dei fondamenti biologici e psicologici della coscienza. In quest'ultimo capitolo, tirerò le fila e le presenterò in modo unificato. L'obiettivo ultimo – di Francis e mio – è stato quello di stabilire una corrispondenza fra tutti i concetti in prossimità della coscienza e le proprietà di sinapsi, potenziali d'azione, neuroni, e delle loro coalizioni. Come da programma, ci siamo concentrati sui correlati neurali della coscienza, gli NCC. E come avevo spiegato nel capitolo 5, siamo meno interessati ai fattori permissivi necessari affinché si verifichi uno stato cosciente di quanto lo siamo a scoprire la catena di eventi neuronali che generano una sensazione specifica.

A prescindere dalle loro propensioni filosofiche o religiose, gli studiosi che riflettono in materia sono concordi sull'esistenza nel cervello di correlati materiali della coscienza, e che le loro proprietà si possano analizzare con il metodo scientifico. E molti, se non tutti, gli studiosi della mente sono d'accordo che scoprire l'NCC sarà proficuo per qualsiasi teoria finale della coscienza.

Esaminando lo stato delle neuroscienze nel 1979, in un articolo su Le Scienze Francis Crick espresse così la sua opinione: «ciò che manca in maniera consistente è un ampio corredo di idee entro cui interpretare i differenti approcci». Negli anni trascorsi da allora, abbiamo costruito insieme una cornice di riferimento, un framework, di questo tipo entro cui riflettere sulla mente cosciente.

Abbiamo deciso di compendiare la nostra impostazione in nove ipotesi di lavoro che esprimono in modo esplicito i nostri postulati, e le abbiamo pubblicate su un fascicolo di Nature Neuroscience del 2003. Sembra appropriato concludere il libro elencando e discutendo questo ampio insieme di idee collegate. La nostra cornice non è un insieme di proposizioni formulate in modo netto, quanto un possibile punto di vista per attaccare uno dei problemi scientifici più difficili. A differenza della fisica, la biologia ha pochi principi e leggi ferree. La selezione naturale produce una gerarchia di meccanismi, e perciò in biologia esistono poche regole prive di eccezioni. Una buona cornice è quella ragionevolmente plausibile – relativamente ai dati scientifici disponibili – e che si rivela in buona parte corretta, anche se è improbabile che lo sia in tutti i dettagli.


19.1 Dieci assunti operativi per capire il problema mente-corpo

Per cominare, alcuni dei miei assunti filosofici di fondo.


Assunti filosofici di fondo

Ho accuratamente evitato una rigida posizione ideologica sulla esatta natura della relazione tra gli oggettivi eventi cerebrali e i soggettivi eventi coscienti. Pur con oltre duemila anni di dispute accademiche alle spalle, a questo stadio non ne sappiamo ancora abbastanza per proporre qualsiasi solida affermazione.

La nostra strategia è stata quella di concentrarci sugli aspetti empiricamente più accessibili del problema mente-corpo, della consapevolezza percettiva o della coscienza. Ciò rende più trattabile il problema, poiché i meccanismi neuronali della percezione sono accessibili negli animali. Per ora, trascureremo i contributi alla consapevolezza percettiva delle emozioni, degli stati d'animo e del linguaggio.

Noi presupponiamo che qualsiasi stato fenomenologico – vedere un cane, provare dolore – dipenda da uno stato del cervello. I correlati neurali della coscienza sono l'insieme minimo di eventi neuronali sufficienti per uno specifico stato fenomenico cosciente (dato il contesto appropriato che permette le condizioni; si veda la sezione 5.1). Ogni percetto è accompagnato da qualche NCC.

Al cuore del problema mente-corpo risiedono i qualia, gli elementi della coscienza. Con Francis cerchiamo di spiegare come essi scaturiscono dall'azione del sistema nervoso.


Primo assunto: l'omuncolo non cosciente

Un modo conveniente di considerare il comportamento complessivo della corteccia cerebrale è che la parte frontale della corteccia stia guardando la corteccia posteriore. Intendo dire che le proiezioni in avanti, a lunga distanza, dalla parte posteriore sono connessioni forti (sezione 7.4), sufficienti per attivare i bersagli postsinaptici nello strato 4 dell'area frontale, l'area ricevente. Questa concezione è in accordo con il modo in cui la maggior parte delle persone pensa a se stessa: come a omuncoli, seduti dentro la nostra testa, che guardano il mondo al di fuori.

L'NCC coinvolge una coalizione di neuroni del prosencefalo (o forse alcune coalizioni; sezioni 2.1 e 11.3). L'NCC potrebbe non avere un accesso diretto a regioni del prosencefalo implicate nella presa di decisioni, nella pianificazione e in altri aspetti di processi cognitivi di livello elevato. La coscienza, cioè, potrebbe essere limitata ai livelli intermedi del cervello (sezione 18.1). In quel senso, il proverbiale omuncolo del lobo frontale è in gran parte non cosciente. Questa divisione del lavoro non porta a una regressione all'infinito, poiché i qualia non sono generati dall'omuncolo stesso (sezione 18.2).

Anche i pensieri non sono accessibili coscientemente (capitolo 18). Solo il loro riflesso sensoriale e la ri-rappresentazione nel linguaggio interiore e nell'immaginazione mentale sono conoscibili direttamente.


Secondo assunto: agenti zombie e coscienza

Molte, se non la maggior parte, delle azioni motorie di risposta a eventi esterni sono rapide, transienti, stereotipate e non coscienti. Esse sono mediate da zombie estremamente specializzati e addestrati, che non sono, in sé, associati alla consapevolezza cosciente. Le possiamo concepire come riflessi corticali, generalizzati (capitoli 12 e 13).

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