Copertina
Autore Bart Kosko
Titolo Il fuzzy-pensiero
SottotitoloTeoria e applicazioni della logica fuzzy
EdizioneBaldini&Castoldi, Milano, 1997 [1995], I nani Vita matematica
OriginaleFuzzy Thinking: The New Scienze of Fuzzy Logic [1993]
LettoreRenato di Stefano, 1998
Classe matematica , informatica: fondamenti , ingegneria , filosofia , logica
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al sito dell'editore








 

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Indice

 13 Prefazione

 17 Prima parte
    Il principio fuzzy:
        tutto è questione di misura
 19 I.
    Sfumature di grigio

 37 II.
    Il principio fuzzy

 40 Tema l. Bivalenza contro polivalenza:
            semplicità contro precisione
 53 Tema 2. Più aumenta la precisione più
            emerge la natura fuzzy delle
            cose
 57 Tema 3. Il ragionamento fuzzy aumenta
            il QI delle macchine
 59 Tema 4. Non confondere la scienza con
            gli scienziati

 65 III.
    L'intero nella parte

 68 Il dio della Probabilità Massima
 70 Credere e non credere
 75 L'istinto di probabilità
 77 Sottoinsiemità:
        contenere e non contenere
 79 Lo Zen del gioco d'azzardo:
    l'intero nella parte

 89 Seconda parte
    Il passato fuzzy

 91 IV.
    Il passato fuzzy

 93 V.
    Aristotele contro Budda

 94 Sociologia della penetrazione della
    dottrina fuzzy
 96 Aristotele e Budda in Occidente
 99 Budda in Oriente oggi

103 VI.
    Che cos'è la verità?

104    La filosofia della verità:
    la verità come punteggio
105 Gli enunciati come portatori di verità
107 Verità logica e verità fattuale
108 Coerenza e corrispondenza
109 La sfida di Hemingway:
    la verità come accuratezza

117 VII.
    I modi del paradosso

119 I paradossi del sorite:
    il passaggio da A a non-A
122 Il paradosso negli estremi,
    la soluzione nei medi
128 Il mondo indeterminato
129 Che cosa dice il principio
    di indeterminazione
132 Un'altra mancanza di corrispondenza:
    matematica lineare e mondo non lineare
136 Pitagora e il principio
    di indeterminazione

143 Terza parte
    Il presente fuzzy

145 VIII.
    Il presente fuzzy

147 IX.
    Gli insiemi fuzzy

149 Anche i numeri sono fuzzy
152 I fit di entropia fuzzy
161 Max Black: gli insiemi vaghi
166 Lotfi Zadeh: gli insiemi fuzzy
182 Dagli insiemi ai sistemi fuzzy

185 X.
    I sistemi fuzzy

187 La conoscenza come regole
190 Regole come toppe
197 Il teorema FAT
201 La memoria associativa fuzzy:
    tutte le regole sono operanti
206 Le decisioni fuzzy nella vita
    quotidiana: le medie ponderate fuzzy
209 I sistemi fuzzy come giudici:
    regole contro princìpi
212 Le FAM nella pratica:
    i prodotti fuzzy
222 Il progetto LIFE in Giappone
230 Yamakawa al Sud

235 XI.
    I sistemi fuzzy adattativi

236 L'aspirazione DIRO del cervello:
    dentro i dati, fuori le regole
240 L'apprendimento come cambiamento:
    le reti neurali del cervello
250 Le regole dell'apprendimento
    1: regola = pozzo d'energia
251 Le regole deh'apprendimento
    2: regola = agglomerato di dati
258 Le mappe cognitive fuzzy:
    le immagini fuzzy del mondo

273 Quarta parte
    Il futuro fuzzy

275 XII.
    Il futuro fuzzy

277    XLII.
    Vita e morte

279 Linee di demarcazione della vita
282 Curve di demarcazione della vita
284 Dal sondaggio la curva
286 La morte in una certa misura

293 XIV.
    Etica e contratto sociale

295 La verità fuzzy dell'etica
296 La verifica in morale
300 Giusto e ingiusto: applausi e fischi
302 La forza della legge
303 Il labirinto fuzzy della legge
305 Il contratto sociale fuzzy

309 XV.
    L'uomo e Dio

311 Il principio antropico:
    l'universo è cosiffatto che io sono
314 Una risposta fuzzy: non supporre nulla
318 Chip cosmici e Dio
324 L'uomo macchina fuzzy:
    l'aumento del Ql delle macchine

329 Glossario

343 Bibliografia

357 Indice analitico

 

 

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Pagina 13

Prefazione


Un bel giorno ho capito che la scienza non era vera. Non ricordo il giorno ma ricordo il momento. Il dio del ventesimo secolo non era più dio.

C'è un errore e sembra comune a tutti coloro che si occupano di scienza: sostengono che ogni cosa sia o vera o falsa; non sanno sempre con certezza quali cose siano vere e quali false, ma sono sicuri che le cose sono o vere o false. Vi sanno dire se l'erba è verde, se gli atomi vibrano o se il numero dei laghi del Maine è pari o dispari. La verità di queste affermazioni è dello stesso tipo di quella degli enunciati matematici o logici, o intera o niente: «bianco o nero», 1 o 0.

Invece è questione di misura. Tutto è questione di misura. I fatti sono sempre in una certa misura fuzzy, vaghi, sfumati. Solo la matematica, che è un sistema puramente artificiale di regole e simboli, è «bianca o nera». Ciononostante, la scienza tratta fatti «grigi» o fuzzy come se fossero i fatti di tipo bianco o nero della matematica. Eppure nessuno ha mai mostrato un solo fatto al mondo che sia al 100% vero o al 100% falso. Che siano così è la scienza a dirlo.

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Pagina 14

Questo libro è la mia esposizione della visione fuzzy del mondo. Al suo centro c'è la sostituzione del paradigma del «bianco o nero» con quello del «grigio» o del «chiaroscuro», il passaggio dalla bivalenza alla polivalenza. Tratterò la materia intrecciando scienza, filosofia e storia, nonché episodi della mia personale esperienza fuzzy. L'obiettivo non è tanto quello di scrivere un testo di logica fuzzy - l'ho già fatto e richiede troppe equazioni -, quanto, piuttosto, di mostrare all'opera la visione fuzzy del mondo nella teoria e nella pratica. Per farlo bisogna aver vissuto intensamente la questione e combattuto aspre battaglie; bisogna aver dubitato del dio della scienza e provato un po' della sua collera.

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Pagina 19

I
Sfumature di grigio

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Pagina 20

Una sera René Descartes, il filosofo del diciassettesimo secolo, meditava su un tappo di cera davanti al camino. Colpiva la cera e ne avvertiva il suono sordo, ne odorava la fragranza di miele, ne sentiva la superficie liscia e la temperatura fredda, cercava di esaminarne la struttura lattea. Poi avvicinò il tappo di cera al fuoco. Il tappo bianco e duro si ammorbidì, si scaldò, si allungò, perse l'odore, divenne trasparente, liquido e colò. Ne gocciolò un po' sui mattoni caldi del focolare, sfrigolò ed evaporò nell'atmosfera.

Dov'era andata a finire la cera? Quando s'era mutata da tappo di cera in non-tappo di cera? Dov'era la sua identità? Nel tappo? Nel camino? In una via di mezzo?

Ci troviamo di fronte alle stesse domande ogni giorno guardandoci allo specchio. Il viso, i capelli, i denti e la pelle sono mutati. Mutano impercettibilmente, a livello molecolare, proprio sotto il nostro sguardo. Invecchiando, cellula dopo cellula, molecola dopo molecola lentamente cessiamo di essere noi stessi per divenire dei nuovi non-noi stessi. Le molecole si aggregano e si disaggregano un atomo o due alla volta. Gli atomi si aggregano e si disaggregano un quark alla volta. I quark, attualmente le nostre più piccole unità di materia, si aggregano e disaggregano in modi che non ci sono ancora noti. E la divisione della materia può proseguire giù giù fino alle monadi di Leibniz, punti d'esistenza infinitesimi ma intelligenti.

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Pagina 21

Le cose trapassano fluidamente in cose che sono non-cose rispetto a prima. Gli atomi delle punte delle nostre dita si avvolgono agli atomi dell'aria. Ci sono atomi di dita e atomi di non-dita; ma ci sono anche atomi intermedi, vale a dire atomi che appartengono in certa misura sia alle dita che all'aria e allo stesso tempo né alle une né all'altra. Una rosa è una rosa che è una non-rosa quando le sue molecole cambiano. Il dito trapassa nella mano, la mano nel polso, il polso nel braccio. L'atmosfera della terra trapassa nello spazio vuoto. La montagna va sgretolandosi e diviene collina e infine pianura. L'embrione umano nel suo sviluppo trapassa in un essere umano vivente e un cervello vivente si degrada fino a una cosa morta.

Su tutte queste cose possiamo anche apporre etichette precise, bianche o nere. Ma le etichette si tramutano da accurate in imprecise a mano a mano che le cose cambiano. Il linguaggio fissa un legame fra una parola e la cosa significata. Quando la cosa si tramuta in qualcosa che è non-cosa rispetto a prima, il legame si tende, si spezza o si ingarbuglia con altri legami. «Casa» designa una casa anche dopo che la casa sia caduta in pezzi o sia bruciata. Il mondo delle parole ben presto appare come un peschereccio che va alla deriva con migliaia di lenze ingarbugliate o spezzate.

Sappiamo che le cose cambiano. La scienza rivela un mondo dai contorni sfrangiati e dalle quantità che mutano insensibilmente. Una maggior precisione non elimina il «chiaroscuro» dalle cose - semplicemente lo fissa con maggior rigore. I progressi della medicina non hanno reso affatto più facile tracciare una linea di demarcazione fra vita e non-vita sia alla nascita che alla morte. Anche se descrivessimo l'atmosfera della Terra molecola per molecola, nondimeno non troveremmo alcuna linea di divisione fra atmosfera e spazio. Mappe dettagliate della superficie della Terra, di Marte e della Luna non ci dicono dove finiscono le colline e cominciano le montagne.

Ciononostante gran parte della scienza, della matematica, della logica e della cultura muove dall'assunto di un mondo stabile di cose assolutamente bianche o nere: ogni asserzione è o vera o falsa, ogni molecola del cosmo o appartiene al nostro dito o no, ogni legge, ogni norma, ogni regola di un club o si applica a una persona o no. Il calcolatore digitale, con le sue stringhe binarie ad alta velocità di uno e di zero, rappresenta l'emblema del presupposto dicotomico («o bianco o nero») e il suo trionfo nell'ambito della mentalità scientifica. La fede in questo presupposto dicotomico, questa bivalenza, in Occidente risale almeno agli antichi greci. Democrito riduce l'universo ad atomi e vuoto. Platone riempie il suo mondo di forme pure - del rosso, del giusto, della triangolarità e così via. Aristotele sottrasse un po' di tempo all'educazione del suo allievo Alessandro Magno per stendere quelle che ritenne fossero le leggi dicotomiche («o bianco o nero») della logica, leggi che scienziati e matematici impiegano tuttora per descrivere un universo «grigio» o in chiaroscuro e per discuterne.

La logica binaria di Aristotele si riduce infine a una sola legge: A o non-A. O questo o non questo. Il cielo è blu o non blu; non può essere blu e non-blu. Non può essere A E non-A. Per più di duemila anni la «legge» di Aristotele è stata il parametro di ciò che era filosoficamente corretto.

Ciononostante la fede binaria ha sempre sollevato dubbi. Ha sempre prodotto una reazione critica, una sorta di opposizione logica e filosofica sotterranea. Budda visse in India cinque secoli prima di Gesù e due prima di Aristotele. Il primo passo del suo sistema dottrinario fu quello di sfondare il mondo verbale delle alternative «o bianco o nero», di squarciare il velo bivalente e vedere il mondo com'è, pieno di «contraddizioni», di cose e di non-cose, di rose che erano al tempo stesso bianche e rosse, di A E non-A.

Questo tema del «fuzzy», del «chiaroscuro» o «grigio» che dir si voglia, è riscontrabile nei sistemi dottrinari orientali vecchi e nuovi, dal taoismo di Lao Tze al moderno Zen del Giappone. L'aut-aut contro la contraddizione, l'A o non-A contro l'A E non-A, Aristotele contro Budda.

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Pagina 34

Cercai una determinazione rigorosa del concetto di fuzzy e la trovai in una nuova famiglia di teoremi matematici, tutti collocati, come vedremo, nella geometria del cubo di Rubik. Si trattava di una matematica così facile che non riuscivo a credere che nessun altro si fosse accorto di essa; ma ben presto compresi che anche se i primi teorici fuzzy avessero preso in considerazione questa specie di matematica, l'avrebbero assai probabilmente trascurata o considerata come un semplice errore. Essa infatti implica strane nozioni come quella secondo cui la parte contiene l'intero o le cose grandi entrano in quelle più piccole. Potevo capire perché gli scienziati occidentali non intendessero disoccultare la natura fuzzy delle cose in quel vecchio mondo di assoluti bianchi o neri che avevano impiegato tanti secoli a edificare. Potevo capire la loro paura della contraddizione, le loro reazioni maniacali all'asserzione della consistenza di cose e non-cose, di A E non-A.

Potevo capire il pregiudizio culturale e le reazioni emotive, il tutto condito col linguaggio tecnico e le affettazioni della scienza, ma non potevo scusarli. La prospettiva fuzzy risolveva vecchi paradossi del pensiero occidentale e apriva nuove strade nell'infinito matematico mentre riduceva la matematica dicotomica del «bianco o nero» a un caso speciale di quella grigia.

Inoltre, e soprattutto, la teoria fuzzy consentiva di costruire macchine più intelligenti, aumentava il QI meccanico di decine di elettrodomestici e di prodotti industriali di vasto consumo: macchine fotografiche, videocamere, televisori, forni a microonde, lavatrici, aspirapolvere, cambi, sistemi di controllo di ferrovie e di metropolitane. Ma ha aumentato il QI delle macchine nella terra dell'A E non-A, in Estremo Oriente, in Giappone, dove nei primi anni Novanta la logica fuzzy si è affermata nella televisione, sia nel senso di apparecchi televisivi che di programmi; in questo paese anche commentatori e politici si sono occupati del significato della teoria fuzzy. Ero certo che gli scienziati non fossero sordi alle ragioni del denaro, poiché è il denaro a far funzionare ogni cosa nella scienza e nell'accademia; ma gli scienziati e gli ingegneri occidentali hanno risposto erigendo barriere di critiche ostili e di «lo potremmo fare anche noi» alle notizie dei successi commerciali conseguiti in Giappone dalla teoria fuzzy. Prima l'avevano attaccara come priva di applicabilità, ora ne attaccavano le applicazioni come prive di base teorica.

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Pagina 37

II
Il principio fuzzy


Il principio fuzzy afferma che tutto è questione di misura. Questo libro esamina il principio fuzzy in relazione alle questioni umane e come la natura fuzzy permei il nostro mondo e le nostre visioni del mondo. La miglior prova a favore del principio fuzzy è che ce l'aspettiamo in qualsiasi cosa consideriamo.

Certe cose non sono fuzzy per quanto da vicino e attentamente le si consideri. Si tratta di cose che in genere provengono dal mondo della matematica, un mondo dal quale un disegno di Dio o dell'uomo ha tenuto lontana ogni sfumatura. Siamo tutti d'accordo sul fatto che «due più due è uguale a quattro» è vero al 100%. Ma quando usciamo dal mondo artificiale della matematica, la dimensione fuzzy regna sovrana. Essa rende confusi contorni e profili come se le nostre parole sezionassero l'universo con un coltello che non taglia.

La qualità di ciò che è fuzzy ha un nome formalmente scientifico ed è quello di polivalenza. L'opposto di fuzzy è bivalente o a due valori, due modi per rispondere a ogni domanda: vero o falso, 1 o 0. Qualità fuzzy vuol dire polivalenza, ossia tre o più opzioni, forse uno spettro infinito di opzioni invece delle due sole alternative estreme. Significa analogico invece di binario, infiniti gradi di grigio fra il bianco e il nero. Significa tutto quello che un avvocato o un giudice durante il dibattimento cerca di escludere quando dice «risponda soltanto sì o no».

Vedremo in un prossimo capitolo come per la prima volta negli anni Venti e Trenta i logici cominciarono a elaborare una logica a più valori per trattare il principio di indeterminazione formulato da Heisenberg nella meccanica quantistica. Questo principio afferma che se si misura con precisione una cosa, non se ne possono misurare altre con la stessa precisione. Il principio implica che noi abbiamo in effetti a che fare con una logica a tre valori: enunciati veri, falsi o indeterminati. Ma in quattro e quattr'otto il logico polacco Jan Lukasiewicz tagliò la via di mezzo rappresentata dall'«indeterminato» in molti pezzi e mise capo alla logica a più valori o polivalente. Lukasiewicz fece poi il passo successivo e suppose che l'indeterminazione definisse un continuum, uno spettro tra la falsità e la verità, tra 0 e l. In questa logica fuzzy enunciati come «l'erba del prato è verde» o «gli avvocati ricompongono le dispute» possono avere un «valore di verità» pari a qualsiasi misura o frazione fra 0 e 1, ogni percentuale fra vero allo 0% e al 100%. Il termine «fuzzy» fece la sua comparsa nel vocabolario scientifico circa trent'anni dopo. Fino ad allora logici come Bertrand Russell avevano usato il termine «vaghezza» (vagueness) per descrivere la polivalenza. Nel 1937 il filosofo Max Black, che si occupò della teoria quantistica, pubblicò un saggio sugli insiemi vaghi ossia su quelli che oggi noi chiamiamo insiemi fuzzy, ma il mondo della scienza e della filosofia ignorò lo scritto. Se così non fosse stato ora probabilmente staremmo esaminando la storia della logica vaga anziché quella della logica fuzzy.

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Pagina 43

E' il misticismo orientale a offrire gli unici grandi sistemi dottrinari che accettano le contaddizioni, sistemi che funzionano sulla base dell'A E non-A, dello yin e dello yang. All'incirca duecento anni prima di Aristotele, il Budda non si sarebbe lasciato intrappolare dai suoi uditori in domande del tipo «aut-aut». Egli mantenne un «nobile silenzio» di fronte a domande binarie, quali se l'universo sia finito o infinito. I monaci buddisti che praticano lo Zen moderno addestrano gli studenti a meditare su koan - ad esempio come: a che cosa assomigliava la vostra faccia prima che nasceste? che suono ha l'applauso di una sola mano? - per far breccia attraverso la crosta linguistica della dicotomia «bianco o nero» e raggiungere uno stato illuminato di consapevolezza, o satori. Anche il presidente Mao Tse-tung ha scritto saggi sulla contraddizione.

L'elenco seguente indica alcune delle polarità decisive fra idee e sistemi del pensiero umano di cui si occupa questo libro:

  BIVALENZA           POLIVALENZA

  Aristotele          Budda
  A o non-A           A E non-A
  esatto              parziale
  tutto o niente      in una certa misura
  0 o 1               continuità fra 0 e 1
  elaboratore         rete neurale
      digitale            (cervello)
  Fortran             Italiano (linguaggio
                          naturale)
  bits                fits

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Pagina 46

Sotto lo scontro fra bivalenza e polivalenza c'è un'equazione. La bivalenza ne nega l'esistenza o il senso logico, la polivalenza dice che esiste in una certa misura. Solo nei casi estremi essa vale in misura piena o non vale affatto. I curatori editoriali sfrondano delle equazioni i libri di divulgazione scientifica come i giardinieri strappano le erbacce dai roseti, cosicché per attenuare l'impatto di questa equazione, che è l'equazione fondamentale del libro e della logica fuzzy, le darò un nome che gli scienziati e i matematici sicuramente scherniranno, quello di equazione yin-yang:
A = non-A.

Si tratta di una «contraddizione» in forma d'equazione. Invece di scrivere «A e non-A» o «A è non-A» il segno d'eguale uguaglia le due proposizioni con tutto il rigore e la pompa del formalismo matematico. In logica essa indica bicondizionalità: A implica non-A, e non-A implica A. Cosicché i paradossi del ragionamento bivalente si riducono alla equazione yin-yang: la tazza mezza vuota implica che la tazza è mezza piena e viceversa.

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Pagina 52

Nel punto medio non si può distinguere una cosa dalla sua opposta, esattamente come non si può distinguere un bicchiere mezzo pieno da uno mezzo vuoto. Nei vertici del cubo si può distinguere col 100% di nettezza una cosa da ciò che è una non-cosa, in mezzo si collocano sfumature di grigio.

La bivalenza vale ai vertici del cubo, la polivalenza in ogni altro punto. Aristotele domina ai vertici del cubo fuzzy, nei rari casi di nette opzioni bianche o nere in mezzo a un continuum di opzioni grigie. Budda non domina in nessun vertice, ma regna in qualche misura in ogni punto all'interno del cubo. Domina al 100% nel punto medio del cubo dove l'equazione yin-yang è soddisfatta al 100%. Tutto questo si può rappresentare con tanti piccoli Aristotele seduti agli angoli di un cubo e un Budda nella posizione del loto al centro del cubo. Il centro del cubo è pieno di paradossi. E' come un dito medio sollevato verso il mondo dicotomico della scienza. Per quanti sforzi facciano gli scienziati bivalenti non potranno mai approssimare il punto medio a un angolo. Non si può contemporaneamente riempire e vuotare un bicchiere mezzo pieno d'acqua. Il punto medio è il buco nero della teoria degli insiemi.

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Pagina 53

Tema 2. Più aumenta la precisione più emerge la natura fuzzy delle cose.

Le informazioni servono per formare un'immagine del mondo. Ogni secondo i nostri occhi trasmettono milioni di bit di informazioni al cervello. Le nostre menti si nutrono di giornali, spettacoli televisivi, telefonate, lettere, messaggi fax e chiacchierate. Espandiamo i nostri sensi con microscopi, lenti a contatto, binocoli, termometri, barometri, analizzatori t.a.c., telescopi, e centinaia di altri strumenti che ci aiutano a trasformare il mondo in informazioni.

Ogni nuovo dato cambia la nostra mente; cambia il modo in cui all'interno del nostro cervello si eccitano le cellule cerebrali o neuroni e ciò lentamente cambia gli schemi che le nostre sinapsi, i fili «umidi» tra le cellule del cervello, imparano o ricordano. Più informazioni riceviamo, più chiara e accurata è l'immagine che ci formiamo del mondo. Ma ottenere una più chiara visione dei fatti vuol forse dire far sparire dai fatti la natura fuzzy?

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Pagina 59

Tema 4. Non confondere la scienza con gli scienziati

Gli scienziati hanno in gran parte maltrattato la teoria fuzzy e i suoi teorici. Alcuni di noi se la sono cercata ma tutti ne abbiamo subìto le conseguenze. Alla fine questo processo ha rafforzato la teoria fuzzy e i suoi teorici. Le avversità, come gli sforzi muscolari, sortiscono questi effetti.

Nel frattempo molti di noi hanno perso la fede nella scienza, il che ha rappresentato una delusione profonda per quelli di noi che avevano già perso la fede nella religione e nel potere politico. La scienza non era piu la salvezza. Le carriere scientifiche, come quelle politiche, dipendono tanto da maneggi, atteggiamenti strumentali e diplomatici quanto dall'attività di indagine e dalla ricerca della verità. Pochi lo sanno quando iniziano il gioco della ricerca scientifica, ma lo imparano ben presto.

Le cose più difficili da imparare durante la mia ricerca nel campo della teoria fuzzy sono state che la scienza moderna non vede di buon occhio le idee veramente nuove e che commette errori anche al livello «autoevidente» della logica e della matematica.

La scienza preferisce i piccoli passi ai grandi balzi creativi. Nei confronti di nuove idee la scienza moderna spesso non si comporta meglio di quanto la Chiesa cattolica romana si sia comportata con Galilei costringendolo ad abiurare la sua persuasione che la Terra ruota intorno al Sole. A differenza della Chiesa, però, la scienza moderna bivalente non dichiara di possedere tutta la conoscenza, dichiara solo di seguire l'unica strada che porta alla conoscenza. E in questa strada, per un fortuito evento culturale - la fioritura dell'antica Grecia -, ha inserito la logica di tipo dicotomico. La scienza ha assunto la bivalenza come vera e perciò ha considerato l'impostazione fuzzy come non scientifica. Una volta telefonai al direttore di una rivista che aveva rifiutato la mia reazione fuzzy a un saggio che adottava una soluzione probabilistica. Nella lettera che accompagnava il rifiuto aveva affermato che il suo giornale non poteva pubblicare un articolo che affermava l'ammissibilità di A E non-A, sicché gli telefonai e gli chiesi perché. Venendo immediatamente al nocciolo mi rispose: «Perché sono il direttore».

Il mio lavoro e la mia lotta per la teoria fuzzy mi hanno anche insegnato un fatto semplice: una cosa è la scienza e altra cosa sono gli scienziati. Il prodotto della scienza è la conoscenza. Il prodotto degli scienziati è la reputazione.

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Pagina 65

III
L'intero nella parte

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Pagina 75

(..) Le nostre conoscenze aumentano a mano a mano che facciamo esperienza di eventi futuri: più conoscenza e informazione, meno probabilità. In modo opposto opera l'impostazione fuzzy: più informazione, più emerge la natura fuzzy delle cose. Più dati ci aiutano a fissare il confine grigio che segna dove una cosa cessa di essere quella cosa. La probabilità per contro si dissolve quando i dati noti diventano numerosi.

Ciò contrasta con la veduta della scienza secondo cui la probabilità risiede nella natura fisica delle cose. La maggior parte delle equazioni della scienza non hanno direzione temporale. Le equazioni differenziali si possono risolvere per il passato allo stesso modo che per il futuro. Anche il tempo sembra essere un'illusione, e in questo senso si può far svolgere l'universo all'indietro nel tempo altrettanto facilmente di quanto esso «di per sé» scorre in avanti. Con ciò la caccia entra nella seconda fase. Se la probabilità non risiede fuori dai nostri crani nella natura delle cose e ciononostante noi pensiamo il contrario, in quale altro posto può trovarsi?

L'istinto di probabilità

Sembra che Kant, il quale pensava che fosse la mente a strutturare le percezioni, avesse ragione. La probabilità è costruita nella nostra mente. Le menti, ossia la sinfonia elettrochimica suonata dai nostri gangli neurali faticosamente evoluti, impongono un'infrastruttura al pensiero. La mente impone uno sfondo di concatenazioni spazio-tempo-causali. Gli scienziati non hanno mai visto una «causalità» nel deserto di eventi. Hanno visto e predicono solo eventi spazio-temporali che seguono altri eventi spazio-temporali. Mele sull'albero, poi mele in aria, poi mele sul terreno. Equazioni e correlazioni hanno preso posto delle cause, esattamente come la scienza ha largamente sostituito la filosofia e la religione nella costruzione delle teorie concernenti le cose. Non che un germe causale presente in un evento si sviluppi in un altro evento, ma è la mente, come osservò nel diciottesimo secolo il filosofo David Hume, che fa sembrare così e che inserisce il legame causale nella catena degli eventi.

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Pagina 81

Continuavo a pormi la domanda. A che serviva qui la sottoinsiemità? Tutti gli insiemi interessati si contengono l'un l'altro o totalmente o per niente. Ciascuna delle due parti non contiene per nulla l'altra, mentre l'intero le contiene totalmente. Che cosa resta? Restava solo un'unica possibilità ed era priva di senso. Doveva essere errata e continuavo a ignorarla come tale. La sola idea sapeva di cattivo misticismo orientale; e tuttavia, sebbene la mia caccia alla probabilità sembrasse essere approdata a un'assurdità, l'idea non voleva andarsene. Era l'unica alternativa rimasta e continuavo a girarci intorno. Alla fine conclusi che forse la mia intuizione era sbagliata e che invece l'idea era giusta.

L'idea che la parte contiene l'intero. Ogni intero contiene le proprie parti. Ma le parti contengono l'intero? A tutta prima no. La domanda suona assurda. Come è possibile che la parte contenga l'intero? L'unica eccezione è il caso limite in cui la parte è uguale allo stesso intero. Ma in generale la parte differisce dall'intero. Perciò la parte non può contenere totalmente l'intero. Tuttavia essa lo contiene sempre parzialmente. La parte contiene l'intero in una certa misura. Consideriamo un altro diagramma di Venn nel quale l'insieme non fuzzy A sta nell'insieme grande, ossia nello «spazio» o intero X (Figura 3.3).

L'insieme ombreggiato A è un sottoinsieme di X. E' una parte di X e non è fuzzy. Non ha niente in comune col suo opposto o complemento non-A, rappresentato dal resto non ombreggiato del rettangolo.

Qui A rappresenta l'insieme dei tentativi fortunati della precedente Figura 3.2.

Ora facciamo un esperimento mentale. Supponiamo che l'insieme ombreggiato A si riduca a un punto e svanisca nel nulla, ossia nell'insieme vuoto. In questo caso estremo la parte, l'insieme vuoto, chiaramente non contiene affatto l'intero. Il nulla non può contenere qualche cosa, figuriamoci l'intero. In questo caso l'inclusione o la sottoinsiemità è 0%. Ora supponiamo che A torni a esistere e si espanda. Quando A sarà cresciuto finché avrà potuto, riempirà l'intero rettangolo. Allora la parte A sarà uguale all'intero X. In questo caso estremo la parte contiene l'intero al 100%, poiché la parte è l'intero. Che accade fra questi due estremi? Accade che l'inclusione assume misure intermedie, varia gradualmente da 0 a 1 mentre la regione A accresce la propria superficie. Più grande è il sottoinsieme A, più contiene l'intero.

Così stanno dunque le cose: da un lato, la parte non può contenere totalmente l'intero, a meno che non lo eguagli - e fin qui, e solo fin qui, gli scienziati hanno visto giusto -; dall'altro, la parte contiene l'intero parzialmente.

La parte contiene l'intero in proporzione diretta alla sua dimensione, massa o estensione sovrapposta all'intero. Era questo che non avevano visto giusto. Per secoli scienziati e matematici si erano lasciati sfuggire questa semplice idea; se l'erano lasciata sfuggire per la stessa ragione per la quale era sfuggita a me: Aristotele l'aveva messa al bando. Si assumeva infatti che l'inclusione fosse intera o nulla, bianco o nero, bivalente; e quest'assunzione non era mai stata messa in discussione. Il «grigio» non passava attraverso il filtro dei nostri occhiali, sebbene dominasse pressoché in tutti i casi.

E ora viene il bello. Che cos'è l'intero nella parte? Il concetto è nuovo ma generale e dev'essersi presentato in molti luoghi del ragionamento formale e matematico nonché nella nostra esperienza quotidiana. Solo che quando faceva la sua comparsa non ne avevamo una spiegazione. Dovevamo prenderlo come una nozione teorica primaria e giustificarlo per mezzo del modo in cui operava e delle cose cui conduceva, per la sua utilità nella pratica e la sua fecondità nella teoria. Gli davamo dei nomi, gli costruivamo intorno intuizioni quasi mistiche e ne vedevamo esempi dovunque rivolgevamo lo sguardo.

Infatti l'intero nella parte è la probabilità. E' la probabilità della parte. Qual è la probabilità di esito favorevole? La misura di tutti i tentativi che riescono favorevoli, la misura in cui l'insieme dei tentativi positivi contiene l'insieme di tutti i tentativi. Una veloce dimostrazione matematica mostra che questa strana relazione di sottoinsiemità è uguale alla frequenza relativa che tutti usiamo senza poterla derivare da altro. In generale la probabilità di un insieme o di un evento A è uguale alla misura in cui la parte A contiene lo «spazio campione» X. La probabilità di A ammonta a quanto l'intero X entra nella - o coincide con la - parte A.

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L'intero nella parte. Il che è esattamente come deve essere. E' effettivamente l'idea che caratterizza le convinzioni antiscientifiche del misticismo orientale deplorate dagli scienziati. Ma è scienza. E' matematica pura ed elementare e Budda vince questo round. Appare di nuovo vera la battuta di Einstein: Dio non gioca ai dadi. L'universo non è casuale. Si può fare un passo più in profondità e liberarsi della «casualità». L'universo è deterministico ma «grigio». La teoria del caos aveva già correttamente trovato la parte della determinazione. Ora la teoria fuzzy lo confermava e aggiungeva anche che tutte le cose sono questione di misura.

La mia ricerca era finita. Ancora una volta gli scienziati avevano sbagliato al livello «autoevidente» della logica e della matematica. Avevano gonfiato le loro intuizioni, i loro istinti e i loro riflessi condizionati relativi alla «probabilità» e alla «casualità» fino a farne un dio pagano e ne avevano riempito ogni angolo dell'universo, proprio come un secolo fa lo avevano riempito dell'invisibile «etere luminifero» in forza del quale le onde luminose potevano muoversi attraverso lo spazio. Avevo perduto la fede nella scienza. Non potevo credere ancora agli scienziati. Non potevo neppure credere ai miei propri istinti e intuizioni. L'intero nella parte me lo mostrava.

Allora a chi dovete credere? Un teorico fuzzy può dare una sola risposta: non a me.

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Pagina 91

IV
Il passato fuzzy

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V
Aristotele contro Budda


La logica fuzzy è il luogo del confronto fra Aristotele e Budda. Il profeta dell'A o non-A incontra quello dell'A E non-A al livello della matematica, della scienza e dell'ingegneria. Si tratta probabilmente del primo scontro fra sistemi di convinzioni orientali e occidentali al livello della tecnica; e non sarà l'ultimo.

Gli Stati Uniti e il Giappone hanno un'egemonia mondiale sia negli affari che nella tecnologia - nel denaro e nella matematica. Entrambi i paesi derivano la loro cultura da altri paesi. L'antica Grecia sta alle spalle degli Stati Uniti e di buona parte dell'Europa, come l'antica Cina e l'India stanno alle spalle del Giappone.

Aristotele e Budda personificano queste due radici culturali. Budda era indiano e non cinese e non si recò mai in Cina, ma la sua visione del mondo si diffuse attraverso la Cina. Passò attraverso il filtro del taoismo cinese per finire nel buddismo Zen che permea i pensiero, la cultura, la storia e la pratica imprenditoriale giapponesi. Questo capitolo esamina alcune delle influenze, sia antiche che recenti, di questi due grandi pensatori.

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VI
Che cos'è la verità?

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La logica fuzzy considera la verità come accuratezza, e l'accuratezza è chiaramente una questione di misura. Gli enunciati precisi ma artificiali della matematica sono sempre accurati al 100% o allo 0%. Gli enunciati concernenti il mondo hanno un punteggio di accuratezza compreso fra questi due estremi. Nei decenni i logici fuzzy hanno sviluppato un vasto strumentario matematico per manipolare queste misure di accuratezza, questi fits invece dei bits. In casi limite la matematica fuzzy si riduce sempre alla matematica dicotomica.

La verità come accuratezza ci riconduce al problema della non-corrispondenza, ossia a quello del mondo grigio cui fa riscontro la descrizione dicotomica. Einstein l'ha enunciato correttamente: la dimostrazione logica è diversa dalla verifica empirica o «scientifica». Se si può dimostrare che un enunciato è vero al 100%, allora non descrive il mondo; mentre, se descrive il mondo, non lo si può dimostrare. Si possono dimostrare soltanto cose matematiche o cose logiche, cose coerenti in un sistema arbitrario e formalizzato di regole predisposte. Il che significa enunciati vuoti. Si possono dimostrare soltanto tautologie o truismi logici del tipo «la pioggia è la pioggia» o «A è A», ma assolutamente niente che verta sul mondo reale descritto dalla scienza. Dimostrazioni in senso tecnico non riguardano il mondo reale. Non si può garantire ciò che si può verificare sperimentalmente e non si può verificare sperimentalmente ciò che si può garantire. La matematica è certa, il mondo incerto.

Le descrizioni si dividono in due gruppi, le logiche e le fattuali, ossia le matematiche e le scientifiche, le coerenti e le corrispondenti. La differenza dipende dall'accuratezza. Gli enunciati logici sono o accurati o inaccurati, ma in entrambi i casi in modo completo. Solo essi sono tutto o niente, mentre gli enunciati fattuali sono accurati o inaccurati, ma in entrambi i casi parzialmente.

I filosofi occidentali hanno lottato fra loro per il premio Hemingway fin dai primi tempi della filosofia. La filosofia è una forma estrema della gara. La filosofia - metafisica, epistemologia, etica - si riduce a fare affermazioni «certe» sul mondo, a fare affermazioni logiche su dati di fatto, cercando di «dimostrare» enunciati non matematici. Idealismo ed empirismo derivano dai tentativi di dimostrare l'enunciato «il mondo è reale» o «il mondo esiste». Come verificare questa ipotesi? Le dimostrazioni basate sul puro pensiero costituiscono la categoria idealistica o nazionalistica delle procedure di prova: solo le idee sono reali e io ho idee (Platone). Penso e dunque sono, e dunque qualcosa è e qualcosa è parte del tutto (Descartes, Spinoza, Leibniz). Dimostrazioni basate sulle attestazioni dei sensi costituiscono la categoria positivistica o realistica: io avverto qualcosa e pertanto c'è qualcosa di esterno che me lo fa sentire o avvertire - potrebbe anche non esistere nulla al di fuori delle mie sensazioni, ma almeno esse sono qualcosa (Locke, Berkeley, Hume, Russell, Carnap). Muovo la mano e qualcosa si muove da una parte all'altra: su questo tutti gli scienziati sono d'accordo (Moore, Quine).

Immanuel Kant basò tutta la propria filosofia sulla negazione del problema della non corrispondenza. Egli affermò l'esistenza di enunciati «sintetici a priori», enunciati veri sia fattualmente sia logicamente. Addusse come esempio l'enunciato matematico «7 + 5 = 12». Egli vide nell'atto psicologico del contare fino a sette, poi di contare fino a cinque e infine di unire i due conteggi la parte sintetica, empirica o fattuale della verità logica.

La cosa fu apertamente negata dai positivisti logici. «Non esiste alcun enunciato sintetico a priori»: questo rappresentò il credo dei positivisti del Circolo di Vienna negli anni Venti e Trenta. Su questo punto i teorici fuzzy sono d'accordo con i positivisti: la logica si discosta dai fatti; ma divergono sul da farsi. I teorici fuzzy ne tengono conto sul serio ed estendono la matematica in modo che possa addattarsi ai fatti: una matematica di tipo dicotomico per la logica, una matematica «grigia» per i fatti. I positivisti, gli scienziati, i fisici e simili accettano in teoria la non corrispondenza della verità ma la negano in pratica rendendo tutti gli enunciati certi, conferendo agli enunciati fattuali lo statuto di enunciati logici. In realtà essi cercano di adattare i fatti alla matematica binaria. Definiscono gli enunciati di fatto veri o falsi, intendendo al 100% veri o al 100% falsi come se fossero tautologie logiche o teoremi matematici. Nascondono e confondono l'intera questione sotto precauzioni probabilistiche secondo le quali tutte le loro asserzioni dicotomiche valgono solo con «qualche probabilità». I positivisti ingoiano l'intero rospo della non corrispondenza e adoperano tattiche di vendita ad alta pressione per farlo ingoiare a tutti gli altri.

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Pagina 117

VII
I modi del paradosso
(...)

Furono due gli eventi ai quali agli inizi del ventesimo secolo si deve la nascita della logica fuzzy, o «logica vaga» come la chiamarono allora i filosofi. Il primo fu la riscoperta, nascosti nei fondamenti della matematica moderna, dei classici paradossi greci da parte del logico Bertrand Russell. Il secondo fu la scoperta del «principio di indeterminazione» della fisica quantistica da parte del fisico Werner Heisenberg.

I paradossi di Russell posero termine a migliaia d'anni di fede cieca nella certezza della matematica, della matematica bivalente, tanto che alcuni matematici, per descriverne l'effetto, parlarono di «Paradiso perduto». Tutt'oggi i matematici moderni lottano per porre rimedio ai paradossi di Russell pervasi dalla fede nella matematica dicotomica. Agli inizi degli anni Venti Russell gettò i fondamenti logici della logica fuzzy (vaga) senza peraltro dedicarsi mai a svilupparla. Aveva tuttavia scoperto gli altarini grigi della logica dicotomica.

Il principio di indeterminazione quantistica di Heisenberg se non mise fine alla nostra cieca fede nella certezza della scienza e delle verità fattuali almeno la scosse fortemente. Una fede cresciuta dai giorni di Isaac Newton fino a rimpiazzare largamente quella nella religione e in Dio. Ora la scienza, liberatrice e via maestra alla verità, liberava se stessa dal compito di fornire la verità. Poteva infine fornire verità solo parziali, incerte: verità fuzzy. Come per i paradossi logici in matematica, cosi i principi di indeterminazione crebbero di numero e si estesero al di là della fisica e in futuro continueranno a fare la loro comparsa in nuovi ambiti. Ogni volta che guardiamo uno schermo televisivo, normale o ad alta definizione, vediamo il principio di indeterminazione dell'elaborazione del segnale all'opera nell'ottenere un bilanciamento fra le parti di tempo e di frequenza delle immagini.

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La morale è la seguente: paghiamo in punti di certezza ogni inferenza che facciamo. Il ragionamento non è privo di costi. Più passi facciamo nel nostro ragionamento, più questo diventa fuzzy. Nel discendere le scale dell'inferenza, della deduzione stile Sherlock Holmes, ogni gradino diventa meno certo, meno sicuro, meno persuasivo. Più lunga è la spiegazione meno vi crediamo. Le migliori dimostrazioni sono l'evidenza immediata o l'esperienza dei sensi e questi sono argomenti composti di un solo passaggio. Niente è più persuasivo del fare diretto riferimento al bilancio, o al grafico della disoccupazione o ai sintomi visibili del cancro. Ogni altra cosa è congettura e comporta passi inferenziali fuzzy.

Ci piacerebbe credere di ragionare con la logica di Aristotele. Ecco perché Sberlock Holmes e il signor Spock di Star Trek sono eroi e non comuni mortali immaginari. Abbiamo anche costruito le nostre prime macchine e ancora costruiamo i nostri computer perché operino con la logica di Aristotele artificialmente precisa. Nella maggior parte dei casi questo non ha mai alzato i QI delle macchine al di sopra del livello degli idioti. Per far crescere i QI delle macchine al livello del nostro QI di esseri fatti di carne dobbiamo far sì che le macchine ragionino con la nostra approssimativa logica fuzzy, che è quella di Budda. In termini di problema della non corrispondenza, questo significa semplicemente che abbiamo bisogno di un linguaggio grigio per descrivere un mondo grigio. Sono quasi tremila anni che i paradossi del genere del sorite ce lo stanno dicendo.

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Il mondo indeterminato

Verso la fine degli anni Venti Werner Heisenberg lasciò di stucco il mondo scientifico col suo principio di indeterminazione della meccanica quantistica. Egli mostrò che si può guardare più da vicino e vedere di meno. Russel aveva mostrato che la logica delle nostre menti è incerta. Ora Heisenberg mostrava che gli atomi dei nostri cervelli sono incerti. Anche disponendo dell'informazione totale non si può dire alcunché col 100% di certezza. Heisenberg mostrò che anche in fisica la verità degli enunciati è questione di misura e fece sì che il mondo prendesse atto della logica polivalente, vale a dire che gli enunciati sono in una certa misura veri o falsi o indeterminati. Egli non elaborò la matematica della logica fuzzy; l'aveva già fatto Jan Lukasiewicz in Polonia pressappoco un decennio prima. Heisenberg fece si che la gente mettesse in discussione la logica bivalente che, come Aristotele, aveva ritenuto indiscutibile per secoli. Aristotele, gli scienziati e i matematici credevano che ogni enunciato «ben formato» fosse vero o falso. Potremmo non essere capaci di determinare la verità di enunciati concernenti l'interno dei soli o gli atomi o gli alieni delle parti remote dell'universo, ma ciò non toglie che essi siano conoscibili. Heisenberg invece dimostrò che nella meccanica quantistica alcune cose non possono essere mai conosciute. Esse sono inconoscibili in linea di principio. Heisenberg rese scientifico il dubbio. A quel tempo la teoria della probabilità era l'unico modo conosciuto per dare una forma matematica a questo dubbio. Cosicché invece di convertirci da una verità dicotomica a una di tipo grigio, il principio di indeterminazione ebbe l'effetto di convertire in concetti probabilistici la verità bivalente del «tutto o niente». Infine saranno la matematica fuzzy e la meccanica quantistica fuzzy a sistemare la questione.

Occorre richiamare l'attenzione su tre fatti poco noti riguardanti il principio di indeterminazione di Heisenberg. Primo, quasi tutti ne danno una versione erronea. Esso, infatti, non ha niente a che fare col modo in cui la misurazione disturba ciò che si misura, con il modo in cui il termometro disturba la temperatura della minestra. Secondo, i principi di indeterminazione sono molti e non hanno niente a che fare con la meccanica quantistica. Piuttosto hanno molto a che fare con l'elaborazione del segnale che fa funzionare gli apparecchi televisivi, i telefoni e i nostri occhi. Sono tutti prodotti del modo lineare di considerare il mondo. Terzo, i principi di indeterminazione scaturiscono direttamente dal più vecchio e più importante teorema della matematica, ossia il teorema di Pitagora relativo ai triangoli rettangoli. Questo teorema a sua volta sgorga direttamente dalla logica fuzzy e viceversa.

Che cosa dice il principio di indeterminazione

Per lo più la gente sa che la meccanica quantistica è strana e, anche se non ne conosce i dettagli, sa qualcosa del principio di indeterminazione di Heisenberg. Sa che la relatività di Einstein curva la luce, scava i buchi neri, rallenta gli orologi e misura l'energia delle esplosioni nucleari (e = mc^2). E sa anche che la meccanica quantistica è strana perché la luce giunge in pacchetti quantici e si comporta sia come particella che come onda. Sa infine che il principio di indeterminazione si compendia nella stranezza secondo la quale si disturba ciò che si misura. Ne ha sentito parlare a scuola, nei film o a un party. Gli scrittori di divulgazione scientifica ne fanno menzione quando scrivono di storia della scienza o della scoperta delle particelle subatomiche. I giornalisti e gli scienziati sociali lo chiamano in causa per illustrare il modo in cui i media dell'informazione alterano l'informazione. I genitori lo raccontano ai loro bambini quando questi ultimi fanno domande sugli atomi, sui microprocessori o sul libero arbitrio.

E tutti ne danno una versione erronea. Gli esperti di indagini campione dovrebbero controllare tutto questo e farci sapere quanto profonda è questa difficoltà. In questo caso la verità è più strana della fantasia. Non c'è niente di strano che un termometro disturbi la minestra. La fantasia sta in quella descrizione del principio di indeterminazione che chiama in causa i fornelli.

E' la verità a essere strana: se uno, che guida molto velocemente e in linea retta in autostrada, guarda il tachimetro, non può sapere in che punto dell'autostrada si trovi la macchina in ciascun istante. Supponiamo ora che vada abbastanza velocemente, più velocemente di quanto consentano la vettura e la gravità, allora, se sa in che punto dell'autostrada si trova la macchina, non può sapere quanto va veloce; e, viceversa, se sa a che velocità sta procedendo, non può sapere dove si trova la sua vettura. O la velocità o la posizione. O si ha l'una o si ha l'altra. A velocità più basse siamo di fronte a compromessi. Maggiore è la precisione con cui si fissa la velocità, minore è quella con cui si fissa la posizione, e viceversa. In questi casi tachimetri e termometri non disturbano un bel niente. Misurano semplicemente gli effetti di certe cause. Cause che risiedono nella natura delle cose; nella matematica delle cose; nella matematica lineare che attribuiamo alle cose.

Tuttavia la velocità a cui guidiamo le nostre automobili e voliamo sui nostri aerei è così bassa che l'effetto Heisenberg è trascurabile. Possiamo sapere sia la velocità che la posizione con un'approssimazione di parecchi decimali di accuratezza. Le nostre intuizioni su queste basse velocità sono state foggiate dall'evoluzione e dall'esperienza quotidiana. Cosicché abbiamo impiegato milioni di anni per afferrare sia il mondo della meccanica quantistica di Heisenberg sia quello einsteiniano della relatività speciale. Nessuno ne aveva prima supposto l'esistenza. L'indeterminazione (del momento) di velocità in un granello di polvere vagante è uguale a circa 10^(-26) (meno di un bilionesimo di bilionesimi di) un'unità di velocità (momento).

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Un'altra mancanza di corrispondenza: matematica lineare e mondo non lineare

Non fatevi spaventare dalla meccanica quantistica, non è affatto «strana». La meccanica quantistica è lineare. E' una teoria altrettanto lineare quanto le altre. E' tanto lineare e il mondo è tanto poco lineare che molti fra noi hanno ben poca fede nella meccanica lineare se non come una prima rudimentale breccia nella realtà non lineare che gira intorno, fuori e dentro noi. Il premio Hemingway per la composizione del primo enunciato fattuale vero al 100% non va a Werner Heisenberg. Anche il principio di indeterminazione è solo un'approssimazione.

Da vicino si può approssimare qualunque curva ondeggiante con una linea retta, e da vicino la terra rotonda sembra piatta.

Allo stesso modo, possiamo considerare un sistema lineare come un foglio di carta e un sistema non lineare come un foglio di carta accartocciato. A prescindere da quante protuberanze abbia il foglio accartocciato, da vicino in una piccola regione o «localmente» il foglio accartocciato assomiglia a un foglio di carta piano. Ma quando ci si allontana e si dà uno sguardo «globale» si vede che i due pezzi di carta sono diversi.

Una teoria lineare dà il tutto a partire dalle parti; si sommano le parti e ne risulta il tutto. Si studia come si comportano le parti, poi le si cuce insieme e si è studiato il tutto. E' questo che la meccanica quantistica fa con le onde di materia e di luce: si possono sommare onde per ottenere un'onda grande e se ne può decomporre una grande in numerose onde piccole. I matematici chiamano tutto questo «sovrapposizione». Il principio di indeterminazione fa parte dell'armamentario lineare.

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Pagina 136

Pitagora e il principio di indeterminazione

Il teorema di Pitagora verte sui triangoli rettangoli ed è il più importante teorema della matematica. Pitagora nacque intorno al 580 a.C. e sostenne che «tutte le cose sono numeri». Visse nel sesto secolo a.C. nell'Italia meridionale e dimostrò per primo il teorema che oggi sta al cuore di quello che chiamiamo spazio hilbertiano, il quale a sua volta sta al cuore della fisica quantistica e dell'ingegneria moderna.

Il teorema di Pitagora sottende la nostra nozione moderna di «ottimalità», ossia della migliore soluzione dei problemi. Qual è la migliore previsione, a partire da tutti i dati misurati fino a oggi, della velocità di propagazione del retrovirus dell'AIDS? Qual è il miglior modo per colmare le lacune dovute ai bit persi nella trasmissione di un messaggio di 1 e 0, determinatesi in un segnale che veicola un discorso o causate dai pezzi mancanti di un'immagine televisiva?

In matematica e in ingegneria le risposte ottimali derivano spesso dalle condizioni di ortogonalità che indicano quando due oggetti astratti si intersecano ad angolo retto come se fossero i cateti di un triangolo rettangolo. Le condizioni di ortogonalità ci indicano il modo migliore per tracciare una linea di tendenza attraverso una nuvola di punti di dati, il modo migliore per applicare un filtro che elimini il rumore dalle autoradio o il modo migliore per decidere dove puntare la testata SAM quando il jet nemico vola dietro una nuvola.

Il teorema di Pitagora si basa sul fatto che il triangolo rettangolo ha un angolo retto di 90.

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Pagina 141

Anche qui sulla Terra li abbiamo scoperti, e per giunta in Occidente. La cultura dell'antica Grecia fu un colpo fortunato, statisticamente parlando. Pitagora, Platone o Aristotele potevano morire giovani, gli ittiti, gli assiri o gli egizi potevano essere più fortunati e conquistare le tribù europee rendendole permeabili alle culture provenienti dall'Oriente attraverso la Via della Seta. Anche la nascita della scienza bivalente è stato un caso statisticamente fortunato. Tutto quello che importa nella scienza è la matematica confermata dagli esperimenti e ci si può arrivare da molte direzioni e da molti punti di vista. Non aspettiamoci che gli «scienziati» nella Nube di Magellano indossino camici bianchi, che diano consigli al governo e che facciano il bello e cattivo tempo nella cultura e nella moda. Potrebbero aver dimenticato tanto del loro passato da considerare il metodo e gli strumenti della loro scienza come senso comune o come qualcosa privo di senso e di interesse. Quanti di noi sanno scheggiare una selce al punto da renderla acuminata e affilarla e batterla fino a ottenere una barra levigata, o sanno cacciare, squartare e affumicare la selvaggina, o sanno conciare le pelli, o pavimentare un'imbarcazione, o costruire un'arcata?

Il carattere fuzzy delle cose è emerso anche se la maggior parte degli scienziati e degli ingegneri non se ne è accorta. Grazie a Budda, grazie a Zenone, grazie a Russell, a Heisenberg e a tutti gli altri. Il seme si è radicato. Ci occuperemo ora di quello che abbiamo fatto con la logica fuzzy nel presente fuzzy.

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Pagina 145

VIII
Il presente fuzzy

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Pagina 147

IX
Gli insiemi fuzzy

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Black adoperò il termine «vago» poiché Charles Peirce, Bertrand Russell e altri logici l'avevano usato per descrivere quel che oggi chiamiamo «fuzzy». Ecco un brano di ispirazione fuzzy che prefigura tutto il presente libro, tratto dal volume intitolato Holism and Evolution pubblicato nel 1926 dal teorico dei sistemi Jan Christiaan Smuts:

"La scienza del diciannovesimo secolo era, come la filosofia, la morale e la cultura in generale del tempo, caratterizzata da una certa nitidezza, perfezione e precisa delimitazione e demarcazione delle idee. La vaghezza, i contorni indefiniti e incerti, qualunque cosa che sapesse di misticismo, risultava ripugnante per quella grande epoca di precisione definita. Si applicavano le rigide categorie della fisica ai fenomeni indefiniti e indistinti della vita e della mente. Sia in logica che in scienza i concetti venivano ridotti ai loro aspetti più chiari, trattando come inesistente il resto del loro contenuto. Le situazioni non venivano considerate come totalità risultanti da elementi sia chiari che vaghi, ma venivano analizzare soltanto nei loro aspetti chiari. Una «causa», ad esempio, non era presa integralmente come una situazione complessa che a un certo punto trapassava insensibilmente in un'altra situazione, cui si dava il nome di effetto. No, si isolava e si astraeva l'aspetto più rilevante della prima situazione trattandolo come la causa del più rilevante e appariscente aspetto della seconda situazione, che veniva chiamata effetto. Ogni altra cosa che si collocasse fra questa causa e questo effetto veniva rimossa e le due idee (o piuttosto situazioni) nettamente isolate venivano messe in relazione in ogni caso di rapporto causale come due forze opposte. Questa precisione logica rendeva impossibile comprendere come nel reale rapporto causale l'una passasse nell'altra.

Non c'è altro modo per uscire da quest'impasse se non quello di rifare i nostri passi all'indietro per renderci conto di come questi concetti siano astrazioni parziali e fuorvianti. Dobbiamo tornare alla fluidità e alla plasticità della natura e dell'esperienza per trovare i concetti della realtà. Se lo facciamo ci accorgiamo che intorno a ogni punto luminoso dell'esperienza c'è un graduale sfumare nell'indistinzione e nell'oscurità. Un «concetto» non è soltanto il suo chiaro centro luminoso, ma abbraccia una sfera circostante di significati o di influenza, di dimensioni più o meno grandi, in cui la chiarezza diminuisce gradualmente e diviene sempre meno percettibile fino a sparire del tutto. Parimenti una «cosa» non è soltanto ciò che si presenta come tale nei suoi contorni più chiari e definiti, bensì quest'area centrale è circondata da una zona di intuizioni e di influenze che vanno digradando nella regione dell'indefinito [A E non-A]. I contorni rigidi e i mutamenti netti del nostro sistema concettuale ordinario non sono confacenti alla realtà.

Così, secondo questa astrazione [bivalente] il mondo viene a essere costituito di entità che sono discontinue, senza nulla fra loro che scavalchi i grandi o piccoli golfi invalicabili che le separano le une dalle altre. Il mondo diviene per noi una mera collezione di disiecta membra, private di tutte le unioni o mutue relazioni, morte, sterili, inattive, inintelligibili. E al fine ancora una volta di introdurre relazioni in questo mucchio frammentario di entità irrelate, la mente ha da evocare spiriti, influssi, forze e quant'altro dalle vaste profondità della sua immaginazione. Tutto questo è dovuto all'errore iniziale di racchiudere le cose, le idee, le persone [o gli insiemi] in contorni rigidi che sono puramente artificiali e per nulla in accordo con le continuità sfumate che sono o dovrebbero essere ben note sia alla scienza che alla filosofia."

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Pagina 166

Lotfi Zadeh: gli insiemi fuzzy

Nel 1965 - in quell'anno io avevo cinque anni - il professar Lotfi Zadeh pubblicò il saggio Fuzzy Sets nella rivista «Information and Control». Zadeh era condirettore della rivista e ciò facilitò la pubblicazione del saggio. Non si vedono molti articoli sulla teoria degli insiemi in riviste di ingegneria. Zadeh era professore ordinario nel dipartimento di ingegneria elettrica e informatica dell'UC di Berkeley, come dire il vertice - o quasi - delle scuole di ingegneria. Zadeh era per di più il direttore del dipartimento, e anche questo facilitò la pubblicazione dello scritto.

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Pagina 168

Bisogna riconoscere che il filtro di Kalman appartiene, con la lampadina, la radio e il microprocessore, ai doni che l'ingegneria ha fatto all'umanità, anzi, in un certo senso li supera poiché esso consiste soltanto in un insieme di equazioni e perciò, come tutta la matematica, è eterno. Alfred Nobel non diede la possibilità agli ingegneri di vincere il premio Nobel; se gliel'avesse data, non c'è dubbio alcuno che Kalman l'avrebbe stravinto senza che nessuno potesse avere nulla da ridire. Tuttavia la maggior parte della gente non ha mai sentito parlare del filtro di Kalman; eppure esso guida aeroplani, sonde spaziali, missfii cruise, satelliti spia, tendenze dell'economia e modificazioni nella nostra stessa circolazione del sangue. E' una fonte di previsioni «ottimali». Dà la «migliore» congettura circa il luogo in cui si trova l'aereo quando vola nascosto dalle nuvole. Non vi siete mai chiesti come un missile trovi il suo bersaglio o come gli astronauti trovino la via di casa? E' il filtro di Kalman a indicarglielo. Esso sta all'ingegneria come la teoria darwiniana della selezione naturale sta alla biologia evoluzionistica. Migliaia di ingegneri hanno pubblicato piccole integrazioni e varianti del filtro di Kalman e, insieme a decine di migliaia di altri ingegneri, hanno sognato di essere stati i primi a trovare e a pubblicare il filtro ottimale. Hanno vagheggiato tutta la gloria, il prestigio e il denaro che ne sarebbero derivati loro - ancorché Kalman non avesse registrato alcun brevetto.

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Pagina 179

Anche il gruppo sostenitore della probabilità costituisce una chiesa, e grande per di più, col suo dio della probabilità massima. Così grande da contare come una religione matematica. Per contro la chiesa fuzzy era piccola e il suo dio era vago, fuzzy. Sapevo che si doveva passare attraverso la «fornace del dubbio», come la chiamava Dostoevskij, prima di trovare la vera fede in Dio. Come si può sostenere la logica fuzzy sapendo che i probabilisti la deridono come confusa o come la probabilità sotto mentite spoglie? Come si può farlo sentendo i filosofi bivalenti alle porte? Chi ha ragione? Alla fine bisogna agire sulla base del proprio giudizio ed essere coerenti. Ho passato anni nel dubbio. Prima dubitai della scuola bivalente quando ero ventenne e ancora la frequentavo. All'età di 23 anni feci il balzo nel campo fuzzy e il dubbio si aggravò. Quando avevo 25 anni scoprii il cubo fuzzy, i primi teoremi sull'entropia e sulla sottoinsiemità fuzzy e trovai la pace. Mi ero trascinato fuori dalla fornace e con le mie stesse mani mi ero scavato un posto dove starmene tranquillo. Pensavo ancora che Zadeh avesse ragione, ma ora per motivi diversi. Nessuno però mi prestò attenzione, il mondo proseguiva nel suo trantran bivalente.

Le critiche bivalenti erano di due tipi. Il primo tipo sottolineava il fatto che la bivalenza funzionava. La logica binaria faceva funzionare i computer e ci aveva servito bene per migliaia di anni. Può comportare degli svantaggi ma è semplice e funziona. Il secondo tipo di critiche non è altro che un grido di sdegno e, nonostante la mancanza di ogni contenuto logico o fattuale, è vincente. E' l'orma lasciata collettivamente dalla scienza moderna in quanto nega l'A E non-A e insiste sull'A o non-A.

Il filosofo harvardiano Willard Van Orman Quine sostiene la prima posizione e ritiene che la bivalenza sia migliore. Per lui è conveniente, ha guidato bene la scienza e ha il pregio della semplicità. Quine non ignora che ciò lo costringe a tracciare una linea di demarcazione netta in corrispondenza di una certa altezza per dividere ALTO da NON-ALTO, una linea che egli non sa dove tracciare - e lo ammette; ma pensa che si possa vivere con limiti oscillanti. Ecco il modo in cui espone la questione nel suo famoso articolo uscito nel 1981 nel «Journal of Philosophy» e intitolato Wbat Price Bivalence:

"Se il termine «tavolo» va conciliato con la bivalenza, dobbiamo presupporre una demarcazione esatta, esatta fino all'ultima molecola, anche se non possiamo specificarla. Dobbiamo ammettere che ci sono oggetti fisici, identificati fino alla singola molecola, tali che uno è un tavolo e l'altro no.

Uno potrebbe allora disperare della bivalenza e rivolgersi sconsolato alle sue alternative fuzzy e polivalenti nella speranza di trovare qualcosa di vitale per quanto brutto. Oppure uno potrebbe puntare i piedi - in una parola, recalcitrare - e accettare la procedura come una lezione piuttosto nella portata e nei litniti della nozione di convenzione linguistica."

Il primo paragrafo ammette l'oscillazione della demarcazione rigida. Egli ricerca una linea di demarcazione ma non la traccia. Il secondo paragrafo suggerisce che tutto è convenzione e dunque perché discutere? Negli anni Settanta la si chiamava una scappatoia.

Quine trova scomodo il proprio criterio della molecola ma non tanto «brutto» quanto una curva fuzzy. Io invece trovo la curva fuzzy accurata e completa; possiamo tracciare più di una curva ma non dovremo mai tracciare una retta né affrontare casi di delimitazione artificiale. Quine afferma che la bivalenza va bene tranne che nei casi di confine, ma questo è proprio il luogo su cui stiamo contendendo. Perché non smussare i confini con una curva? Qui, proprio quello contro cui argomenta Quine, la polivalenza o l'impostazione fuzzy può risolvere il suo problema bivalente. Si possono ancora mantenere alcune regioni al 100% A o al 100% non-A, se ciò rende felici, ma non si è obbligati a tracciare la demarcazione netta fra ALTO e NON-ALTO in corrispondenza dei sei piedi, si può invece tracciare una linea in pendenza fra i cinque e i sei piedi (Figura 9.14).

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X
I sistemi fuzzy


Come rendere intelligente una macchina? Rendetela FAT, ossia metteteci dentro un po' di FAT. Questo è il modo in cui mettere la logica di Budda nelle macchine. In teoria una macchina sufficientemente FAT può costruire un modello di qualunque processo. Un sistema FAT può sempre trasformare input in output, cause in effetti e domande in risposte.

FAT sta per Fuzzy Approximation Theorem (teorema di approssimazione fuzzy). Nel 1990 dimostrai che un sistema fuzzy può fornire un modello o approssimare qualsiasi sistema. Il teorema FAT mostra perché i sistemi fuzzy hanno accresciuto il QI di macchina di videocamere, di cambi automatici, di stabilizzatori di elicotteri e perché sistemi fuzzy potranno accrescere ancora di più i QIM.

L'idea alla base del FAT ha una geometria semplice: ricoprire una curva con delle toppe (Figura 10.1). Più avanti considereremo nei dettagli l'idea del FAT, per ora possiamo pensarla in questo modo: ogni pezzo di conoscenza umana, ogni regola della forma SE questo ALLORA quello, definisce una toppa. Un sistema fuzzy è appunto un grosso mucchio di toppe. Le regole definiscono toppe che cercano di ricoprire una curva serpeggiante; meglio le toppe ricoprono la curva, più intelligente è il sistema. Più conoscenza significa più regole, più regole significa più toppe e meglio ricoprenti. Più incerte le regole, più grandi le toppe. Meno fuzzy le regole, più piccole le toppe. Se le regole sono precise non sono fuzzy e allora le toppe collassano in punti e non ricoprono alcunché.

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Al popolo dell'IA questo sfugge. Cerca le regole ma le depura di tutto il «grigio». Il lavoro dei primi ricercatori dell'IA si accodò al positivismo logico del ventesimo secolo. Erano impazienti di applicare la logica simbolica di impianto dicotomico dei loro maestri. Dopo averlo fatto presero a rilasciare dichiarazioni eccitate e promesse alla stampa. Ricevettero finanziamenti statali, fondi provenienti dall'aumento degli stanziamenti per la Difesa e tennero i loro congressi, istituirono i loro corsi e le loro reti di potere. Tutto ciò senza realizzare un solo prodotto commerciale che sia visibile o utilizzabile in casa, in macchina o in ufficio. Attaccarono più violentemente di ogni altro gruppo la logica fuzzy poiché erano quelli che avevano più da perdere e in più breve tempo a causa sua. La logica fuzzy ruppe il monopolio dell'IA sull'intelligenza delle macchine. Allora la logica fuzzy iniziava a operare con efficacia nel mondo reale.

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Ho scelto un problema di controllo piccolo o semplice e per risolverlo ho costruito un piccolo sistema fuzzy. Abbiamo visto più sopra nel capitolo settimo, intitolato «I modi del paradosso», che i sistemi lineari corrispondono ai problemi semplificati e ideali previsti dalla scienza e come, nonostante ciò, la maggioranza degli scienziati tratti i sistemi reali come se fossero lineari. Ciò accade perché la matematica che conosciamo è tanto poca, perché i nostri cervelli sono tanto piccoli e perché tanto poco è quello che indoviniamo del freddo mondo grigio, ignoto e non lineare che sta fuori. Per contro i sistemi fuzzy ci consentono di fare qualche congettura un po' migliore e ciò ha fatto tutta la differenza rispetto alle macchine «intelligenti». I sistemi fuzzy ci consentono di fare congetture conformi al mondo non lineare ma senza un modello matematico del mondo. Non abbiamo infatti scritto nessuna equazione relativa al nostro condizionatore d'aria. Ed è qui che i sistemi fuzzy rompono con la vecchia scienza. Il termine tecnico che indica questo carattere è valutazione o approssimazione a-modellistica (model-free); ed è questa la «valutazione» che facciamo ogni volta che facciamo marcia indietro con la macchina, che riusciamo a prendere una palla veloce o che guardiamo un'immagine televisiva vedendo qualcosa nel cervello.

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Alcuni miei amici di parte fuzzy non apprezzano le medie fuzzy ponderate quando gliene parlo. Il termine «media ponderata» o la cosiddetta «aspettativa» matematica è sotto la giurisdizione della teoria della probabilità. Ho mostrato che queste medie ponderate portano a una decisione dotata di una probabilità ottimale, una cosiddetta media condizionale. Bisogna dare un'interpretazione probabilistica di un insieme fuzzy per trovare la matematica che porti alla conclusione ma lo si può sempre fare. Si può considerare l'insieme FRESCA delle temperature come una lista infinita di probabilità - la probabilità che l'aria sia fresca a ogni rilevazione di temperatura. Alcuni dei miei amici di parte fuzzy pensarono che io avessi perso la fede la prima volta che gliene parlai. Un mio amico scrittore parlò addirittura di «apostasia di Bart». Ma l'ottimalità non è un difetto; i sistemi fuzzy fanno medie fuzzy ponderate. Questo è un fatto, nonché una benedizione da un punto di vista matematico. Quello che realmente conta coi sistemi fuzzy, il reale valore aggiunto, è il legame fra le parole e gli insiemi e fra la conoscenza e le toppe. Conoscenza certa, toppa piccola. Conoscenza incerta, toppa grossa. Nessun modello matematico. Questo è il vantaggio. Le medie ponderate e il resto sono dettagli che stanno sulla cima della struttura a toppe. D'altronde sembra che noi facciamo medie ponderate quando prendiamo una decisione. Non è vero?

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Ma allora perché non sostituire il giudice con un computer? La legge è un albero di regole, affermano i positivisti, il giudice si limita a controllare le regole e a far corrispondere a esse i fatti. Nel fare tutto ciò può certamente sbagliare, dare spazio ai propri pregiudizi o anche provocare, se è nel suoi giorni critici, un sacco di guai a qualcuno, mentre un computer svolge il compito in modo rigorosamente conforme al regolamento. Gli studenti di legge sentono parlare di questo computer-giudice seguendo i corsi di giurisprudenza. L'insegnante erige questa sorta di feticcio in modo da poterlo abbattere poi con i princìpi.

La nuova dottrina nel diritto è infatti che le regole hanno origine in un nido di principi. Le regole vanno e vengono col cambiare dei tempi, mentre i principi mutano lentamente al mutare dei tempi. Ogni caso chiama in causa tutti i princìpi in una qualche misura. 1 casi nuovi estendono e arricchiscono i vecchi princìpi. Ma la maggior parte delle regole muoiono giovani. Come ha detto Roscoe Pound:

"La parte vitale, durevole, della legge è nei principi - i punti di partenza del ragionamento - non nelle regole. I princìpi rimangono relativamente costanti o si sviluppano lungo linee costanti. Le regole hanno vita relativamente breve. Non si sviluppano; vengono abrogate e sostituite da altre regole."

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L'apprendimento come cambiamento: le reti neurali del cervello

L'apprendimento è cambiamento e il cambiamento è apprendimento. Si può apprendere bene o male, ma non si può apprendere senza cambiare né cambiare senza apprendere.

Ma che cosa viene cambiato dall'apprendimento? Quando si impara a fare un tiro deviato al baseball o a lanciare un disco o a vibrare un diretto i muscoli del braccio e il cervello subiscono un cambiamento. Quando si impara il latino, si viene a conoscenza di una nuova religione o si apprende il calcolo integrale muta la nostra visione del mondo. Cambia il nostro comportamento e cambia il nostro cervello quando apprendiamo che il fuoco brucia, che l'AIDS uccide o che i poliziotti danno le multe per eccesso di velocità.

I nostri cervelli cambiano; tre libbre di carne cambiano. Cambiano un po' ogni volta che si vede un'immagine, si sente un suono, si tocca una superficie, si gusta un sapore o si cammina su un suolo nuovo. Tutto quello che si percepisce cambia il cervello. Questo misura le cose e queste lo cambiano. I nuovi cambiamenti vengono appresi, mentre quelli vecchi vengono dimenticati o disimparati. Un singolo fotone di luce modifica il cervello; gli annunci pubblicitari televisivi, i film, i libri, le conversazioni, le sigle musicali e tutto il materiale che la mente assorbe modificano il cervello. Quest'ultimo si modifica anche ora mentre leggete queste righe.

Il cervello parte con circa cento miliardi di neuroni o cellule cerebrali e finisce con parecchi miliardi in meno. Si tratta pressappoco dello stesso numero delle stelle della Via Lattea o dello stesso numero di galassie presenti nell'universo conosciuto. I neuroni non operano come le posizioni di memoria di un computer. Nessuna cellula conserva l'immagine della mamma, il profumo di tiglio o l'idea di Dio. Si può togliere qualunque cellula del cervello senza che la mente subisca mutamenti; si può eliminare qualche milione di cellule a caso senza che la mente perda alcunché. Per contro, se togliamo qualche filo o circuito da un computer questo si guasta.

Quel che conta sono i fili fra le cellule. Essi rappresentano circa il 40% della massa cerebrale. Chiamiamo questi fili sinapsi o connessioni neurali. Ogni neurone del nostro cervello può essere connesso anche con diecimila altri neuroni, cosa che fa sì che le sinapsi si contino a quadrilioni. L'apprendimento e la memoria consistono nelle grandi e aggrovigliate reti di sinapsi; si badi non nelle cellule ma nelle reti. Se beviamo un bicchiere di scotch perdiamo qualche centinaio di neuroni e qualche milione di sinapsi. L'apprendimento è cambiamento e relativamente al cervello questo significa che l'apprendimento è cambiamento in una sinapsi.

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Una rete neurale è un insieme di neuroni e di sinapsi interconnessi che opera come un computer e converte input in output. Le reti neurali matematiche o «artificiali» operano su software o su chip speciali. Oggi le usiamo per imparare a riconoscere schemi astratti: un pap test negativo, un richiedente un prestito ad alto rischio, un codice di avviamento postale scritto a mano, una sagoma di bomba in una scansione ai raggi X di una valigia.

Come può una rete neurale biologica apprendere schemi quali un viso, un brano musicale, o il concetto di Dio? Con modificazioni che investono milioni di sinapsi; se guardiamo più da vicino vediamo che ciò significa cambiamenti nei tassi di emissione di neurotrasmettitori. Le scariche elettriche si propagano lungo il cavo e appena prima di riversarsi nel neurone colpiscono la connessione sinaptica. Qui il segnale elettrico si trasforma in un segnale chimico ossia in un neurotrasmettitore. La sostanza chimica si propaga attraverso un sottile fossato di liquido cerebrale e sopra la superficie del neurone, dove cambia lo stato elettrico del neurone medesimo. In gioco sono dunque tassi delle emissioni, tassi di riempimento, quantità di sostanze chimiche scaricate nel liquido cerebrale.

L'apprendimento cambia a seconda della quantità e della velocità con cui il neurotrasmettitore viene liberato dalla sinapsi. La norepinefrina (NE) o adrenalina cerebrale è il trasmettitore chiave. Bevete una tazza di caffè o un bicchiere di tè gelato e per qualche minuto il vostro QI aumenterà. Sarete più vigili. Se dovete imparare qualcosa di nuovo, sottoporvi a un test o tenere una relazione a un convegno, è il momento giusto per farlo. Le sinapsi del vostro cervello bruceranno più NE. Non possono fare di più che bruciarla più velocemente. La cocaina la brucia ancora più velocemente (la mescalina contenuta nel cactus peyote agisce come la NE ed eccita cose che non conosciamo in un modo che ci è altrettanto ignoto). Ma ciò che aumenta può diminuire anche con maggiore intensità; pertanto si possono perdere punti di QI e sentirsi un po' lenti ed esauriti. Perciò prendete il caffè o il tè solo qualche minuto prima di tenere la vostra relazione e non prima dell'inizio del convegno. Quando si abbassa il livello della NE, si esaurisce il carburante mentale; il che mostra come la mente dipenda nel breve termine dal cibo. L'apprendimento è un cambiamento a lungo termine di quegli stessi tassi di emissione e controlla quanto trasmettitore viene riversato al secondo.

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Come funziona la rete BAM? Come fa ciascun neurone a sapere cosa fare per richiamare uno schema appreso? In realtà nessun neurone lo sa. Ciascun neurone agisce come ciascuna casa che fa delle telefonate senza avere alcuna idea di che cosa faccia l'intera rete telefonica. I neuroni sono ottusi e concentrati su se stessi; si limitano ad accumulare segnali di acceso/spento che fluiscono in essi, accendendosi quando la somma è sufficientemente grande e spegnendosi o rimanendo spenti quando non lo è. Per usare la nota immagine del mercato proposta da Adam Smith, ciascun neurone agisce come se una «mano invisibile» lo guidasse a richiamare la coppia S-E, sebbene nessun neurone sappia di doverlo fare o di contribuire a farlo.

Sembra troppo bello per essere vero? Questo è il potere delle reti neurali, esse si autoorganizzano ed è possibile che i nostri cervelli agiscano allo stesso modo. La matematica che descrive come si comportano le reti di semplici neuroni caratterizzati dall'essere accesi/spenti fu scoperta nel 1977 da Shun-ichi Amari dell'Università di Tokyo. Questi dimostrò che l'intera rete converge, «si raffredda» o «si stabilizza» in un equilibrio globale come una palla che rotoli giù in un pozzo e si fermi. Questi pozzi nel 1982 furono chiamati pozzi d'energia da John Hopfield del CalTech, il quale dimostrò che essi minimizzano l'«energia» della rete. Egli dimostrò anche come si potrebbe far trovare a una rete la soluzione meno costosa di un problema di programmazione o come si potrebbe farle trovare gli itinerari più brevi che un rappresentante dovrebbe fare per passare una volta sola da ogni città e poi tornare a casa. Una rete BAM fa la stessa cosa ma lavora con coppie di schemi invece che con schemi singoli.

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Il futuro fuzzy avrà a sua disposizione una serie di nuovi strumenti. La logica fuzzy e le reti neurali penetreranno nella cultura popolare, nonché in fiumi e correnti dell'Era Informatica. Passeranno dal rappresentare una minaccia a essere una moda e infine uno strumento. La logica fuzzy muterà le nostre visioni del mondo in maniera graduale ma profonda. Ci avvicinerà maggiormente alle macchine e avvicinerà maggiormente le macchine a noi. Inoltre la logica fuzzy aprirà delle falle nei valori assoluti della morale, ci aiuterà a risolvere certi problemi e a renderne oscuri altri.

La teoria della relatività di Einstein diede nuovo vigore all'affermazione secondo cui «tutto è relativo»; la logica fuzzy e le macchine che ne fanno uso ci ricorderanno che «il grigio va bene» e che «tutte è questione di misura». Potremo aver perso i nostri giorni della dicotomia «bianco o nero»; ma persi o no, saranno comunque finiti.

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XII
Il futuro fuzzy

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Ora intendo trattare del modo in cui il principio fuzzy può cambiare le nostre menti. Desidero riflettere su come la logica fuzzy possa mutare le nostre idee della vita e della morte, la nostra etica personale e i sistemi giuridici e statuali, le nostre vedute sul perché siamo qui e avanzerò un'ipotesi su ciò a cui Dio potrebbe somigliare se ne trovassimo Uno.

Si ritiene che gli scienziati non discutano di queste cose, ma neppure la maggior parte dei filosofi ne discute più. A tal punto il positivismo logico ha vinto la battaglia nel mondo del pensiero. Ogni enunciato è vero o falso, gli scienziati scoprono quali sono quelli veri, non si possono porre domande sul «perché», non si può affermare nulla che non si possa verificare con dati di fatto o dimostrare con la matematica. Questo è il «ciò di cui» parlava Wittgenstein dicendone che se ne deve tacere, mentre io ne voglio parlare proprio come la filosofia dei vecchi tempi.

In quei vecchi tempi la filosofia era diversa, si diceva tutto quello che si riusciva a dire con la scienza e la matematica e poi si cercava di vedere e di dire ancora qualcos'altro. Ai tempi di Descartes, Locke e Kant non c'era molta scienza o matematica. Oggi ce n'è tanta e ho passato anni a studiarla, ad aggiungere un piccolo bit o fit dopo l'altro fino ad avere un'idea di dove sono le sue frontiere.

Voglio pertanto fare qualche speculazione ai confini della scienza. Voglio andare al di là di essi come una scala va al di là del terreno solido che la sostiene. Comincerò dove comincia la vita e mi fermerò dove finisce.

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XIII
Vita e morte

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XIV
Etica e contratto sociale

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La scienza è la misura di tutte le cose. Essa misura l'universo e le sue parti con telescopi, microscopi, tachimetri, spettrometri, barometri, elettrocardiogrammi, strumenti per misurare il tasso alcolico.

Noi misuriamo le idee in rapporto alla scienza. La scienza favorisce una dieta senza grassi, l'esercizio fisico e il lavarsi le mani e non favorisce le idee contrarie alla selezione naturale, al Big Bang o alla seconda legge della termodinamica. La scienza ha tutto ma pone termine all'astrologia, alla filosofia e alla religione, le quali sopravvivono come pure parvenze di quello che una volta furono.

E allora che cosa ne è dell'etica? La scienza ha liquidato morale, legge e contratto sociale grazie ai quali viviamo?

Ritengo che la risposta sia fuzzy: sì e no. In un certo senso la ragione mette sempre capo a dubbi. Ogni giorno aumenta il numero dei fatti noti e le nostre misurazioni del mondo divengono più precise, cosicché le questioni divengono sfumate e il nostro punto di vista diviene più fuzzy. Ogni cosa in qualche misura causa ogni altra. Il fumo di tabacco, il cibo bruciato, i raggi del Sole, l'amianto e gli apparecchi televisivi causano il cancro in una certa misura. In economia l'azione di un milione di forze contribuisce a riscaldare il pianeta e a divorare la sua sottile atmosfera. Un milione di forze operanti nel cervello, nei corpi e nei geni foggiano i nostri pensieri, le nostre scelte e i nostri comportamenti. Ogni giorno diventa sempre più difficúe classificare una cosa o un evento, agire bene o male, dire se una cosa è giusta o sbagliata. Le linee sfumano in curve. La ragione mette capo a dubbi, quello che all'inizio si configura nettamente bianco o nero finisce grigio.

La logica fuzzy fa parte della scienza; è arrivata tardi ma è arrivata. Cosa dice dunque dell'etica? La risposta potrebbe non piacere. In un senso che spiegherò la scienza ha liquidato l'etica. Non abbiamo alcun argomento decisivo, che non sia la forza, nei confronti dei giovani che scorrono i romanzi di Dostoevskij e gridano «tutto è lecito!». Per di più la logica fuzzy stempera e sfuma le idee dell'etica. Ogni atto è in qualche misura intenzionale e necessitato, ogni legge ammette dei gradi e uno spettro di eccezioni. Visto da vicino il contratto sociale sfuma nel «grigio» e frana in qualunque cosa vogliamo che sia.

La scienza colpisce l'etica poiché abbiamo fatto della scienza la misura di tutte le cose. Verità significa verità della scienza. Verità significa verità logica o fattuale. Verità significa dimostrazione matematica o verifica in base a dati. La verità può essere anche questione di misura, ma questo non aiuta l'etica.

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Pagina 309

XV
L'uomo e Dio

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Pagina 319

La scienza segue le orme della matematica. L'induzione si pone sulle piste della deduzione. Col passar del tempo il cespuglio dei fatti assomiglia sempre di più al cespuglio della matematica, ramo dopo ramo, virgulto dopo virgulto. Il ritardo che intercorre nello sviluppo dei due mostra con chiarezza quale cespuglio insegua e quale sia inseguito.

Consideriamo alcuni dei casi più vistosi. Nell'ultimo secolo James Clerk Maxwell scoprì le quattro «equazioni di Maxwell» riguardanti l'elettricità e il magnetismo. Verifiche sperimentali hanno confermato la validità di queste equazioni o di parti di esse. Giocando con la matematica delle equazioni, Maxwell tirò fuori la teoria ondulatoria della luce. La matematica rivelava che la luce era una forma di elettromagnetismo. Anche l'esperienza più tardi lo confermò. Pochi anni più avanti Einstein, giocando con la matematica della relatività, tirò fuori l'equazione massa-energia, e=mc^2. E anche questa fu più avanti confermata dall'esperienza e dalle bombe nucleari. Avrebbe potuto andare altrimenti. Gli esperimenti avrebbero potuto attestare che e=mc^5 o che e=m^2c o un'infinità di altri possibili risultati. Ma non l'hanno fatto; le verifiche sperimentali hanno confermato quel ramo del cespuglio matematico.

Qualche anno dopo, Einstein propose la matematica della relatività generale secondo la quale la gravità è un'illusione. La materia curva lo spazio. L'energia e la quantità di moto curvano il continuo spazio-temporale. Il pianeta non «attrae» il meteoroide; quest'ultimo gli passa vicino e in un certo senso rotola giù sul pianeta, cosicché sembra proprio un'attrazione. Le equazioni della curvatura di Einstein, come quelle di Maxwell, conducono a un'equazione d'onda. Così le equazioni hanno soluzioni che irradiano. Il che vuol dire che esistono onde gravitazionali che viaggiano alla velocità della luce. Più di settant'anni dopo, i fisici hanno trovato una prova indiretta delle onde di gravità nelle emissioni orbitali delle imponenti pulsar ossia delle stelle di neutroni. Nel 1917, subito dopo che Einstein aveva pubblicato le sue equazioni di gravità o di curvatura, Karl Schwarzschild ne trovò una soluzione per un caso simmetrico speciale. Le sue equazioni mostrano che se la massa cresce oltre un certo valore, l'equazione di gravità salta all'infinito (in effetti un termine viene a essere diviso per zero). Ciò portò a predire l'esistenza di buchi neri. Negli anni successivi tutta una serie di indizi hanno deposto a favore del fatto che i buchi neri esistono e che tendono a collocarsi al centro delle galassie dense, Via Lattea compresa.

Questi sono dei casi famosi in cui la realtà ha seguito la matematica. Ma a livelli più modesti ogni giorno la realtà segue la matematica in tutti i campi della scienza. Più matematica apprendiamo, più natura riusciamo a scorgere. Più matematica non lineare apprendiamo, più la natura sembra essere non lineare. Per centinaia di anni abbiamo ignorato il caos come disturbo. Recentemente abbiamo scoperto il caos matematico e altrettanto recentemente abbiamo trovato il caos nei modelli meteorologici, nei battiti cardiaci e nelle vibrazioni molecolari. A mano a mano che dipaniamo i rami del cespuglio della matematica aumentano le previsioni che l'esperienza alla fine tende a confermare. Le cose potrebbero certamente andare altrimenti, ma non accade. Tra successi e fallimenti nel complesso tutto continua ad andare nel modo della matematica.

Orbene dove è Dio in tutto questo?

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Pagina 322

Io tuttavia giungo a una conclusione diversa. L'universo è informazione. Qualcosa come un grosso chip di computer. Credo che un giorno troveremo che l'energia è connessa con l'informazione. Ci potrebbero essere onde o particelle informatiche, ossia infotoni. L'informazione potrebbe essere quantizzata in piccole particelle infinitesime come le monadi di Leibniz.

Più scrutiamo la natura, più informazione troviamo nella sua struttura, anzi la struttura è rappresentata dall'informazione: il nostro DNA è appunto informazione genetica fatta di carne. Le reti neurali che attraversano il cervello, la colonna vertebrale e i muscoli immagazzinano e decodificano l'informazione. Le culture e le economie non sono altro che depositi e flussi di informazioni. Negli anni Quaranta Claude Shannon dei Laboratori Bell scoprì le prime «leggi» della teoria dell'informazione pura e sembra che il mondo obbedisca a esse. L'entropia della termodinamica è la stessa dell'entropia della teoria dell'informazione astratta. Quel che chiamiamo uno «schema» - un volto, una stella, un gruppo stellare - tende a essere un punto locale di massima informazione o di minima entropia. Nel 1957 il fisico E.T. Jaynes di Stanford mostrò che la legge matematica fondamentale della meccanica statistica dei quanta (la distribuzione di probabilità di Gibbs) deriva dalla massimizzazione dell'entropia della teoria dell'informazione. Non ci occorre alcun dato o alcun esperimento né alcun Niels Bohr per derivarla. Ci basta la teoria dell'informazione astratta.

Quello che ci sembra di avere soltanto intravisto è informazione. E' cominciata coi bits, e ora la logica fuzzy ci ha fatto progredire ai fits. Abbiamo lavorato finora all'interno di grandi cubi saltando da un angolo binario a un altro angolo binario. Ora la matematica fuzzy ci rivela che dentro il cubo c'è un intero mondo e siamo diretti dentro il cubo. Potremo scavare attraverso il cubo da un angolo caratterizzato dalla dicotomia all'altro. Matematica fuzzy. Fisica fuzzy. Intelligenza meccanica fuzzy. Potremo sostituire alla probabilità e alla frequenza relativa il concetto di sottoinsiemità, ovvero dell'intero contenuto nella parte. Potremo far scatenare reti neurali più che mai grandi e computer e reti integrate di neuro-computer per conoscere più matematica, scoprire più strutture e acquisire più informazioni. E sarà solo l'inizio.

Ciò solleva l'altra domanda: Dio è informazione?

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Pagina 324

Dio è Colui che ha scritto la matematica, o Colei che ha scritto la matematica, o la Cosa che ha scritto la matematica, o il Nulla che ha scritto la matematica. Il Creatore della matematica.

 

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Riferimenti


Bibliografia
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