Copertina
Autore Milan Kundera
Titolo Lo scherzo
EdizioneAdelphi, Milano, 1993 [1986], gli Adelphi 21 , Isbn 978-88-459-0903-0
OriginaleZert [1967]
TraduttoreGiuseppe Dierna [Antonio Barbato]
LettoreRenato di Stefano, 1993
Classe narrativa ceca
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Pagina 11

Così, dopo molti anni, mi ritrovai a casa. Stavo sulla piazza principale (dove ero passato innumerevoli volte da bambino, da ragazzo e da giovane) senza provare alcuna emozione; al contrario, pensavo che quella piazza così piatta, coi suoi tetti sovrastati dalla torre del municipio (simile a un soldato con un elmo antico), sembrava un grande cortile di caserma, e che il passato militare di quella città morava, un tempo baluardo contro le scorrerie dei turchi e magiari, aveva impresso sul suo volto i segni di una irrimediabile volgarità.

Per molti anni nulla mi aveva richiamato nella mia città natale; mi dicevo di esserle divenuto indifferente e mi sembrava naturale: non vivendoci ormai da quindici anni, non mi sono rimasti che un paio di conoscenti o amici (e questi preferisco evitarli), mia madre vi è sepolta in una tomba estranea della quale non mi curo. Ma mi ingannavo: quella che chiamavo indifferenza era in realtà rancore; i suoi motivi mi sfuggivano, perché nella mia città natale mi erano accadute cose belle e cose brutte, come in ogni altra città, ma quel rancore c'era; me ne ero accorto proprio in relazione a questo viaggio [...]

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Pagina 90

[...] ma questo cambiamento di posizione era soltanto razionale, frutto di una scelta, e non poteva eliminare il mio pianto interiore sul «destino perduto». Lucie aveva miracolosamente calmato quel pianto interiore. Mi era bastato sentirmela accanto con tutto il caldo cerchio della sua vita, nella quale non giocavano alcun ruolo il problema del cosmopolitismo e dell'internazionalismo, la vigilanza e la circospezione, le dispute sul concetto di dittatura del proletariato, la politica con la sua strategia e la sua tattica.

Era su queste preoccupazioni (così tipiche di quell'epoca che la loro terminologia diventerà ben presto incomprensibile) che io ero naufragato e tuttavia proprio ad esse mi ero aggrappato. Davanti alle varie commissioni potevo addurre decine di motivi per i quali ero diventato comunista, ma quello che nel movimento soprattutto mi aveva affascinato, anzi ammaliato, era il "volante della storia" vicino al quale (realmente o in apparenza) mi ero trovato. A quel tempo, infatti, noi decidevamo davvero dei destini delle persone e delle cose; e in particolare nelle università: allora c'erano pochi comunisti nel corpo docente, per cui nei primi anni le università erano state rette quasi soltanto dagli studenti comunisti, che da soli decidevano della composizione del corpo docente, della riforma dell'insegnamento e dei programmi. L'ebbrezza che vivevamo è generalmente chiamata ebbrezza del potere, ma (con un po' di buona volontà) potrei trovare parole meno severe: eravamo stregati dalla storia; ci ubriacavamo dell'idea di essere saltati in groppa alla storia e di sentirla sotto di noi; certo, in realtà tutto ciò si era poi rivelato per la maggior parte una brutta sete di potere, ma (così come tutte le vicende umane sono ambigue) c'era in questo allo stesso tempo (e forse soprattutto in noi giovincelli) l'illusione del tutto idealistica che proprio noi stavamo inaugurando quell'epoca dell'umanità in cui l'uomo (ogni uomo) non sarebbe stato né fuori della storia, né sotto il suo tallone, ma l'avrebbe diretta e creata.

Ero convinto che fuori di quel cerchio, lontano dal volante della storia (che io avevo toccato con ebbrezza) non esisteva vita ma soltanto il vegetare, la noia, l'esilio, la Siberia. E adesso all'improvviso (dopo sei mesi di Siberia) vedevo una possibilità di vita del tutto nuova e inaspettata: mi si era aperto davanti, sotto l'ala della storia in pieno volo, il campo dimenticato del quotidiano nascosto, e su quel campo c'era una donna povera, misera eppure degna di amore: Lucie.

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Pagina 108

A quel tempo non riuscivo a provare per lui altro che odio, e l'odio getta una luce troppo violenta, nella quale si perde la plasticità degli oggetti. Nel comandante non vedevo altro che un topo di fogna vendicativo e perfido, oggi invece lo vedo soprattutto come un giovane che recitava una parte. Non è colpa dei giovani se recitano; sono incompleti, ma vengono gettati in un mondo già completo e devono agire come se fossero completi anche loro. Si affrettano perciò a usare le forme, i modelli e gli esempi che trovano piacevoli, quelli che sono di moda, quelli che stanno loro bene - e recitano.

Anche il nostro comandante era così incompleto, ed era stato messo all'improvviso davanti alla nostra truppa, del tutto incapace di capirla; ma sapeva come cavarsela, perché tutto quello che aveva letto e sentito gli aveva offerto una mascheta già pronta per situazioni analoghe: l'eroe dal sangue freddo dei romanzetti da quattro soldi, il giovane dai nervi d'acciaio che sgomina la banda di delinquenti, nessun appello ai sentimenti, solo una fredda calma, la battuta secca e a effetto, la fiducia in sé e la fede nella forza dei propri muscoli. Maggiore era la sua consapevolezza del proprio aspetto infantile, maggiore il fanatismo con cui si dava alla parte del superuomo di ferro, maggiore l'enfasi con cui la recitava davanti a noi.

Ma era forse la prima volta che incontravo un attore adolescente di quel genere? Quando mi avevano interrogato nella segreteria a causa della cartolina, avevo poco più di vent'anni e i miei inquisitori al massimo uno o due di più. Anche loro erano soprattutto dei ragazzini che coprivano i loro visi non ancora completi con una maschera che sembrava loro più illustre, la maschera del rivoluzionario ascetico e inflessibile. E Markéta? Non aveva forse deciso anche lei di recitare la parte della salvatrice, intravista addirittura solo in un filmetto di terz'ordine? E Zemánek, invaso di punto in bianco dal pathos sentimentale del moralismo? Non recitava anche lui una parte? E io? Non recitavo forse anch'io, e addirittura parti diverse? E non passavo maldestramente dall'una all'altra, fino a quando non ero stato bloccato a metà corsa?

La giovinezza è terribile: è un palcoscenico dove dei bambini si muovono su alti coturni e nei costumi più diversi, pronunciando parole imparate a memoria e capite solo a metà, ma alle quali si abbandonano fanaticamente. E la storia è terribile perchè diventa molto spesso campo da gioco per persono immature, campo da gioco per un Nerone fanciullo, per un Napoleone fanciullo, campo da gioco per fanatiche folle di bambini le cui passioni imitate e le cui parti ingenue si trasformano di colpo in una realtà catastroficamente reale.

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Pagina 217

Lei sorrise, toccò il mio bicchierino e poi disse: «Ho sempre desiderato una persona semplice e sincera. Non sofisticata. Chiara».

Mandammo giù un sorso e io dissi: «Persone simili scarseggiano».

«Ce ne sono» disse Helena. «Lei è una di queste».

«Non direi» dissi.

«E invece sì».

Mi stupii nuovamente dell'incredibile capacità umana di trasformare la realtà nell'immagine dei propri desideri o dei propri ideali, ma non esitai e accettai l'interpretazione della mia persona fatta da Helena.

«Chissà. Forse» dissi. «Semplice e chiaro. Ma che vuol dire semplice e chiaro? Vuol dire solo essere come si è, non vergognarsi di volere ciò che si vuole e di desiderare ciò che si desidera. Le persone sono schiave dei regolamenti. Qualcuno gli ha detto che devono essere così e così, e loro si sforzano di esserlo e fino alla morte non sanno chi sono stati o chi sono. E in fin dei conti non sono niente e nessuno, si comportano in maniera ambigua, non chiara, confusa. Bisogna avere soprattutto il coraggio di essere se stessi. Glielo dico fin d'ora, Helena, lei mi piace e la desidero, benché sia una donna sposata. Non posso dirlo in nessun altro modo e non posso non dirlo».

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Pagina 314

Più la signorina Brozová mi piaceva, più mi accorgevo di quanto appartenesse al mondo della sua generazione per la quale io e quelli della mia generazione siamo confusi in un'unica massa indistinta, tutti deformati dallo stesso gergo incomprensibile, dallo stesso modo di pensare iperpoliticizzato, dalle stesse angosce (che si manifestano come vigliaccheria o paura), dalle stesse esperienze strane di un'epoca nera e per loro ormai lontana.

In quell'istante capii che la somiglianza tra me e Zemánek non si fondava solo sul fatto che Zemánek avesse mutato le proprie idee e si fosse in tal modo avvicinato a me; la nostra somiglianza era più profonda e toccava i nostri destini nella loro interezza: lo sguardo della signorina Brozová e dei suoi coetanei ci rendeva simili anche lá dove eravamo stati ferocemente uno contro l'altro. Sentii all'improvviso che se fossi stato costretto (e mi sarei opposto!) a raccontare davanti alla signorina Brozová la storia della mia espulsione dal partito, tutto ciò le sarebbe sembrato lontano e troppo letterario (eh sì, un tema tante volte descritto in tanti cattivi romanzi!), e in quella storia le saremmo stati ugualmente antipatici io e Zemánek, il mio modo di pensare e il suo, la sua posizione e la mia (entrambe ugualmente mostruose). Vedevo come sulla nostra disputa, che io sentivo continuamente presente e viva, si stessero chiudendo le acque concilianti del tempo, che come si sa è capace di cancellare le differenze fra intere epoche, tanto più, quindi, fra due poveri individui. Ma io mi opponevo con le unghie e coi denti all'idea di accettare la proposta di riconciliazione offertami dal tempo stesso; non vivo certo nell'eternità, sono ancorato ai semplici trentasette anni della mia vita e non voglio sganciarmene (come si era invece sganciato Zemánek quando si era adattato così rapidamente alla mentalità di quei giovani), no, non voglio sottrarmi al mio destino, non voglio sganciarmi dai miei trentasette anni anche se rappresentano una porzione di tempo a tal punto insignificante e transitoria, che già la si dimentica, che già la si è dimenticata.

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Pagina 358

Rimanemmo così intorno a lui una decina di minuti, poi ricomparve il secondo violino, ci fece un cenno, aiutammo Jaroslav ad alzarsi e, sorreggendolo, lo accompagnammo lentamente, attraverso il tumulto chiassoso degli adolescenti ubriachi, sulla strada, dove con le luci accese aspettava la vettura bianca dell'autoambulanza.

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