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| << | < | > | >> |IndiceGeni sconosciuti e ladri famosi 3 1000, Fifth Avenue, New York City 9 Harris Tower, Atlanta, Georgia 24 Colle del Capitano 36 La divina 47 All'improvviso un condottiero 61 La biga contro Giolitti 77 Morgan il Pirata 86 Ufficiale e direttore 103 Roma Termini 112 Boulevard des Italiens 117 La "Mano nera" 120 Il fotografo nella stalla 128 Il fantasma dei Riccardi 132 Da Raffaello Sanzio a Rocco Buttiglione 137 L'occasione perduta 143 La luna attesa 151 Bibliografia 157 |
| << | < | > | >> |Pagina 3L'8 febbraio 1902, in cima a una collinetta chiamata Colle del Capitano, vicino a Monteleone di Spoleto, il contadino Isidoro Vannozzi scoprì per caso una tomba dove trovò una biga, due scheletri e alcune suppellettili funebri. Aveva finito i soldi per completare la casa, così pensò di scendere a Norcia per offrire quella ferraglia a un commerciante di sua conoscenza. L'affare si concluse sulla base di 950 lire, proprio la somma che occorreva al contadino per comprare le tegole per il tetto. La biga fu trasportata a Roma, dove venne custodita per qualche tempo in una farmacia del rione Esquilino, in attesa di essere venduta a qualche ricco collezionista. In quel periodo, nella capitale, soggiornava il ricchissimo banchiere americano JP Morgan, considerato uno degli uomini più potenti del mondo. Era anche un raffinato intenditore di opere d'arte e un ricercatore di tesori preziosi. Quando vide la biga per la prima volta, se ne innamorò alla follia. Comincia con questo folle innamoramento la storia rocambolesca e avvincente della biga di Monteleone, un reperto di straordinaria bellezza e di inestimabile valore, opera di un genio sconosciuto. Era un carro da cerimonia di produzione etrusca e di ispirazione greca, costruito da un maestro della Sabina (o forse, addirittura, da un artigiano ionico), nel VI secolo a. C. Il banchiere americano comprò la biga, la trasferì prima a Parigi nei sotterranei del Crédit Lyonnais, poi a Le Havre, infine la trasportò fino a New York. JP Morgan era uno dei più munifici finanziatori del Metropolitan Museum of Art, il famoso Met, al quale aveva già donato alcune preziose opere d'arte. Nell'autunno 1904 un giornale americano pubblicò la clamorosa notizia che l'unico carro etrusco esistente al mondo era esposto, protetto da una gabbia di cristallo, in una delle sale del museo. Fu un trionfo per il il Metropolitan, per il suo direttore, che era l'italiano Luigi Palma di Cesnola, per JP Morgan, per la città di New York. In Italia scoppiò il finimondo. Il capo del governo, Giovanni Giolitti, venne attaccato dai socialisti, che gli stavano facendo la fronda per le mancate riforme annunciate. Gli rimproveravano l'inadeguatezza delle strutture dello Stato nell'impedire il saccheggio delle opere d'arte, i trafugamenti verso i musei americani, i furti continui commissionati dai ricchi collezionisti d'oltre Oceano. Una interrogazione in Parlamento fece vacillare la poltrona del ministero dell'Istruzione pubblica occupata da Vittorio Emanuele Orlando. Non c'erano dubbi: la biga era stata rubata all'Italia da un americano che l'aveva comprata da un furbo mercante a Roma. A nessuno venne in mente di richiedere la biga rapita, e anche quando il governo fu costretto ad aprire una inchiesta, l'iniziativa finì subito nel cassetto. Da allora, della biga di Monteleone, in Italia non si parlò più. Dopo cento anni, le nostre autorità hanno deciso di chiederne la restituzione. Il sindaco di Monteleone, con l'appoggio della presidenza della regione Umbria, ha dato mandato all'avvocato americano – ma di origine monteleonese – Tito Mazzetta, con studio ad Atlanta, Georgia, di portare in giudizio il Metropolitan Museum davanti al tribunale federale di New York. La biga fu trasportata in America illegalmente, in dispregio delle leggi che tutelavano la conservazione dei beni artistici. La battaglia legale è iniziata nell'ottobre 2004, con una lettera di Mazzetta diretta al direttore del museo, Philippe de Montebello. Da trent'anni alla guida del Metropolitan, de Montebello ama la biga e la considera uno dei pezzi più preziosi del museo. All'intimazione dell'avvocato italo-americano, ha risposto: "Dovete passare sul mio cadavere!". La difesa di Philippe de Montebello è giustificata da un progetto ambizioso e costoso. Nella primavera 2007, il Metropolitan inaugurerà le nuove sale costruite su 8 mila metri quadrati per ospitare le opere d'arte romane, etrusche e greche. Ci sono voluti dieci anni di lavoro e 155 milioni di dollari. In occasione dell'inaugurazione dei padiglioni, è stata organizzata una festa che sarà grandiosa e lussuosa, il party del secolo, al quale saranno invitati tutti quelli che contano, nello stato di New York e a Washington D.C. Per i susoi ospiti di riguardo, il direttore del Met ha preparato una sorpresa particolare, una vera chicca che farà dell'inaugurazione dei padiglioni un evento unico e irripetibile. Al centro della mostra dei reperti romani etruschi e greci, ci sarà "lei", la biga italiana – "the golden chariot"; il "carro d'oro", come lo chiamano gli americani – che non ha uguali al mondo, e che ritorna nei saloni del museo nuova di zecca, dopo sette anni di misterioso esilio nel sotterranei. Il primo round è finito con la vittoria del Metropolitan. Ma la battaglia continua. Il comune di Monteleone e la regione Umbria non mollano la presa; l'avvocato Tito Mazzetta da Atlanta fa sapere che ci sono ancora buone speranze di riportare la biga in Italia. Però avverte: "Per la riuscita dell'operazione, è indispensabile l'intervento del governo italiano attraverso i ministeri competenti". Il sindaco di Monteleone e il presidente della regione Umbria avevano scritto accorate lettere al ministro Giuliano Urbani dei Beni culturali e a Franco Frattini, responsabile degli Esteri. Le risposte arrivarono dopo qualche settimana. Scoraggianti: "A proposito della biga di Monteleone, nulla risulta agli atti". La biga di Monteleone è stata dimenticata per un secolo intero. Giovanni Giolitti, quasi a scusarsi per il trafugamento del reperto, disse che la colpa di questo disinteresse era da addebitarsi al crollo del campanile di San Marco, a Venezia. Quando il campanile crollò, il 14 luglio 1902, era appena iniziato il duello politico tra la maggioranza di governo e l'opposizione. La biga diventò l'elemento sul quale i socialisti puntavano per scardinare il potere del presidente, accusato di indifferenza di fronte allo "svaligiamento" dei tesori d'arte del paese perpetrato da ricchi collezionisti americani. La sciagura di Venezia distolse l'interesse dell'opinione pubblica dal rapimento del carro etrusco. Poi, più nessuno se ne ricordò. Soltanto negli anni Sessanta, alcuni cittadini di Monteleone ebbero l'idea di organizzare dei viaggi a New York, per controllare se effettivamente la "loro" biga era ancora al suo posto, ammirata da migliaia di visitatori, come segnalavano le cronache dei giornali americani. Davanti alla gabbia di cristallo, guardavano la biga e cominciavano a piangere. Un po' era la commozione, molta era la rabbia. Non si rassegnavano a credere che quell'oggetto così bello che arrivava dalla loro terra, potesse considerarsi definitivamente perduto. Tornati a casa, raccontavano agli amici e alle autorità del paese la loro avventura al Metropolitan Museum. Nascevano comitati e movimenti; la voglia di riportare la biga a casa c'era e cresceva ogni giorno di più. Quando le varie iniziative partivano per Roma, si perdevano per strada. Chi se la sentiva, allora, di denunciare la direzione del grande Metropolitan? E chi soprattutto si sarebbe azzardato a dare dei ladri a quei signori tanto importanti di New York? Senza la confortante protezione delle autorità di Roma, Monteleone si sentiva come David di fronte a Golia. Per oltre quarant'anni, la storia è andata avanti così. Gli stessi errori del tempo di Giolitti, le stesse manchevolezze, la stessa insensibilità, la stessa improntitudine. Intanto altri ladri arraffavano altri reperti archeologici, altri quadri, sculture, mobili, gioielli, arazzi, opere d'arte di ogni tipo e di ogni dimensione. Sono migliaia nel mondo i tesori rubati in Italia e venduti all'estero, attraverso il mercato clandestino, per essere collocati nelle collezioni private, nelle case d'asta e nei musei. Ci sono voluti molti anni, di accertamenti e di indagini sul posto, prima che i carabinieri del Nucleo del patrimonio artistico scoprissero dove erano finite le opere arrivate clandestinamente dall'Italia. Sono intervenuti i magistrati italiani, che hanno istruito processi difficili, come quello in corso contro Marion True, per 20 anni direttrice del Getty Museum di Los Angeles. Con la giustizia italiana ha collaborato anche l'Fbi nei casi in cui i mercanti erano affiliati a Cosa Nostra. E anche alcuni autorevoli quotidiani americani, primi fra tutti il "New York Times", il "Los Angeles Times" e il "Wall Street Journal", hanno preso posizione, schierandosi contro i musei ladroni. Era decisamente diversa l'atmosfera al tempo in cui il carro di Monteleone fu trafugato in America. A Roma, il governo non sollecitò un'indagine per accertare almeno l'identità dei venditori del reperto a JP Morgan. A New York, i giornali esultarono all'arrivo della biga al Metropolitan Museum. Nessuno, magistrato o giornalista, ebbe l'idea di andare a frugare tra le pieghe di una vicenda così straordinariamente intrigante. Perché il trafugamento della biga di Monteleone è una storia piena di misteri, e affollata di personaggi loschi e affascinanti, eroi e miserabili. Dal momento in cui la biga fu dissotterrata dalla sua tomba fino all'ingresso nel museo di New York, entrarono in scena avventurieri di ogni specie, ladri di mestiere, trafficanti d'arte, contrabbandieri, miliardari raffinati ma con pochi scrupoli, politici corrotti, giudici sonnolenti. E poi: falsari famosi, criminali comuni, direttori di musei disposti ai più bassi compromessi, carabinieri e poliziotti celebri, ministri incapaci, anarchici italiani, perfino assassini di re. Una galleria degna di "una storia di Sherlock Holmes o di John Le Carrè", come ha scritto un autorevole quotidiano americano. La biga rapita meritava una inchiesta attenta e scrupolosa. Sono passati 105 anni dal giorno della sua scoperta, e ne sono trascorsi 2600 dalla sua costruzione. Eppure, conserva ancora oggi tanti misteri e sollecita molti interrogativi. Questo libro, scritto con lo stile di una inchiesta giornalistica, vuole scoprire i misteri e si sforza di rispondere agli interrogativi. L'indagine è stata lunga, e anche molto laboriosa. I testimoni diretti del furto e del trafugamento non esistono più, e non hanno lasciato traccia scritta di quanto avevano visto e sentito. I documenti ufficiali sono pochi, esiste soltanto il testo dell'interrogazione parlamentare rivolta dall'onorevole Felice Barnabei al ministro dell'Istruzione pubblica nel febbraio 1904, e si possono leggere le lettere scoraggianti di due ministri all'epoca dell'ultimo governo Berlusconi. Tutto il resto – una storia lunga un secolo, e la vita di un carro che correva per le strade della Sabina almeno 300 anni prima delle guerresche imprese di Alessandro Magno – è stato ricostruito sulla base di documenti inediti scovati un po' ovunque, in Italia, in Francia e negli Stati Uniti. Sono state necessarie anche le testimonianze degli eredi dei protagonisti veri della storia, nipoti e pronipoti, che ormai sono sparsi in giro per il mondo. Il quadro della documentazione è stato completato dalle visite ad archivi non aperti al pubblico. Così è stato possibile ricostruire il sorprendente itinerario della biga, da Norcia a Roma, poi fino a Parigi e infine a New York. Così come sono stati svelati i lati segreti di personaggi importanti di questa storia: il banchiere JP Morgan detto Morgan il pirata; il primo direttore del Metropolitan Museum, l'italiano Luigi Palma di Cesnola, ex generale di cavalleria premiato dal presidente Abramo Lincoln; gli emeriti falsari Riccardi, i cugini Amedeo e Teodoro, che fabbricavano statue romane e bighe etrusche che vendevano per vere ai musei di Londra e di New York; Philippe de Montebello, direttore da trent'anni del Metropolitan Museum, personaggio ammirato dalla upper class newyorkese e liberal convinto, ma disposto a negare l'evidenza sul furto della biga. Lui, stimato e prediletto anche dalla colta società italiana, è l'unico a poter cantare vittoria. Ha vinto la battaglia per trattenere la biga che potrà esporre in occasione della festa di inaugurazione delle nuove sale del museo. Invece, abbiamo perso noi, un po' tutti, perché in cento anni la classe politica italiana, quella di Giolitti e quella di oggi, non è riuscita a riportare in Italia un oggetto d'arte che ci appartiene, e anche perché non abbiamo avuto nemmeno la soddisfazione di ottenere una dichiarazione di rei confessi da coloro i quali quella biga trafugata detengono e mostrano con vanto al mondo intero. Mario La Ferla | << | < | > | >> |Pagina 47La divinaQualcuno la chiamò "la divina". Correva l'anno 1903. Alla fine di novembre la rivista "Scientific American" aveva pubblicato un lungo resoconto sull'arrivo a New York di una biga etrusca che risaliva al VI secolo a.C. E che, soprattutto, era un esemplare unico nel suo genere: di un altro carro come quello non c'era traccia nel mondo intero. Era considerato bello, unico e irripetibile. Il catalogo ufficiale del Metropolitan Museum lo presentava così: "In legno di noce, rivestito di lamine di bronzo dorato, lavorato a sbalzo e arricchito di applicazioni d'avorio. Una centina d'avorio gira intorno a tre pannelli. Di avorio e ceramica sono gli occhi dell'avvoltoio in cima al timone. Decorate di avorio anche le anse del giogo dei cavalli. Le due ruote, con nove raggi, hanno 67 centimetri di diametro. I pannelli sono rivestiti di disegni di stile arcaico greco". Fu amore a prima vista, tra la biga arrivata da lontano e i colti newyorkesi. I giornali facevano a gara per trovare gli aggettivi più adatti a magnificarla: splendida, incantevole, elegante, ammaliante, stupenda, emozionante, leggiadra, favolosa. Era nata una stella. Tanto è vero che un cronista mondano di New York la chiamò "divina", alla maniera delle prime dive del cinema muto. Per lei ingaggiavano aspre battaglie uomini politici a Roma e per lei il primo ministro Giovanni Giolitti rischiava una crisi di governo. I socialisti la adottarono come loro vessillo e un giornale conservatore di Roma scrisse un feroce articolo intitolato "Sul carro sventola bandiera rossa". Per la biga rapita l'Italia stava per mettere in discussione i rapporti con il governo degli Stati Uniti. Il deputato Felice BArnabei accusò Giolitti e i suoi ministri di non aver fatto niente per impedire che la biga fosse sottratta da trafugatori americani. I giornali di Roma e di Firenze parlavano di "svaligiamento" delle opere d'arte e dei reperti archeologici ad opera di stranieri che arricchivano i musei d'Oltreoceano. Su di lei avevano messo gli occhi, quando era ancora nascosta a Roma, collezionisti e miliardari americani, commercianti in vena di ricche speculazioni e ladri internazionali specializzati in furti di opere d'arte. Qualcuno perse la testa per lei. Se n'era invaghito follemente il banchiere JP Morgan, appena la vide a Parigi, o ancora prima, a Roma, secondo una versione dei fatti più credibile. L'incontro romano ebbe luogo nel retrobottega della misteriosa farmacia nel rione Esquilino. La biga era stata appena ricomposta, dopo che a Norcia l'avevano smontata per trasportarla a Roma su un carro trainato da buoi. Era ricoperta di un velo spesso di polvere millenaria, un po' sbilenca sulle due ruote ancora non in perfetto equilibrio. Ma la linea snella e l'aspetto così integro dopo 2500 anni di riposo sotterraneo colpirono così profondamente il banchiere americano che si dice fosse costretto a nascondere con un fazzoletto di seta lacrime di autentica commozione. Forse non pianse l'ex generale di cavalleria Palma di Cesnola. Però fu sedotto dallo splendore del carro tanto da vantarsi pubblicamente, lui, così schivo e riservato, di averlo comprato per donarlo al "suo" Metropolitan, smentendo di fatto la versione più accreditata dell'acquisto concluso da Morgan. Per i giornali di New York, di Boston e di Filadelfia, la biga diventò l'argomento del giorno. I direttori sollecitavano cronisti e studiosi a trovare notizie inedite sul carro, sulle sue origini, sul suo valore, sui possibili acquirenti, sui retroscena dell'arrivo in America. Perché la gente voleva sapere tutto su quella splendida fuoriserie di 2500 anni; se poi venivano a galla scandali politici o intrallazzi finanziari, tanto meglio. La biga era una star e da star veniva trattata: osservata, spiata, scrutata in ogni angolo e in ogni piega delle sue strutture. Tutti i giornali avrebbero voluto fare uno scoop sulla biga, anche a costo di coinvolgerla in uno scandalo. Così venivano trattate dalla stampa le dive del cinema e del teatro. Ammirate per la loro bellezza. finivano in prima pagina in casi di guai: scoperte a letto con un amante ingombrante o alla guida di una Isotta Fraschini in stato di allegra euforia alcolica. La biga era proprio perfetta? Chissà, poteva nascondere un passato pieno di episodi oscuri oppure aveva origini più umili di quelle vantate. La fonte principale di notizie era Charles Balliard, il restauratore al quale il Metropolitan affidò il delicato incarico di ricomporre il carro, dopo che era stato nuovamente fatto a pezzi durante il viaggio da Roma in America. Soltanto lui aveva accesso alla stanza segreta nei sotterranei del museo dove la biga era stata custodita subito dopo lo sbarco al porto di New York. Balliard teneva sulle spine i giornalisti, ai quali lesinava informazioni e particolari, per l'accordo che aveva con il direttore Palma di Cesnola e per una punta di vanità. Quando, finalmente, furono pubblicate dallo "Scientific American" le quattro fotografie in zincotipia che presentavano il prospetto, i due lati e la figura intera del carro – un vero e proprio scoop che annichilì i quotidiani più autorevoli d'America – ci fu la ressa di archeologi, studiosi, scienziati e appassionati d'arte, che invasero le riviste e ogni genere di pubblicazioni di saggi, articoli dotti, ricostruzioni storiche, discussioni sugli etruschi, inchieste sull'età del bronzo e quant'altro poteva avere una più o meno vaga relazione con la biga di Monteleone. I giornali aumentarono la tiratura e gli editori tentarono ogni carta per sfruttare l'argomento ancora caldo. Una rivista pubblicò a puntate una storia completa della biga, omettendo di spiegare che i fatti narrati erano completamente inventati. Era diventata protagonista di romanzi d'appendice. La gente leggeva queste storie con passione e gli affari degli editori andavano a gonfie vele. Anche gli storici e i critici d'arte si azzuffavano per la biga. Litigavano e polemizzavano, schierati in opposte fazioni, italiani contro italiani, e poi italiani contro tedeschi, francesi e americani. Gli italiani rivendicavano il diritto di poter disquisire in esclusiva sulla biga, perché era patrimonio italiano. Gli altri, in fondo, che c'entravano? Gli americani, poi, erano considerati per questo genere di cose fuori dal mondo. Questo atteggiamento, bollato come ultranazionalista da una parte della cultura italiana, non impedì che l'attenzione degli studiosi di tutto il mondo si concentrasse ancora per un secolo sul carro etrusco di Monteleone. Dal 1903 dotte e vivaci discussioni hanno animato una querelle internazionale, dando vita a una pubblicistica ricchissima che non è ancora riuscita a dissipare il velo di mistero che avvolge la storia della biga. Studiata in tutte le sue parti dopo essere stata smontata e ricomposta, esaminata ai raggi x, sottoposta a prove chimiche e fisiche, ridisegnata al computer da tecnici specializzati, la biga mantiene intatti i suoi millenari segreti. Da uno dei primi studi pubblicato nel 1908 da G.H. Chase fino al saggio di Otto F. Brendel scritto ottanta anni dopo, l'interesse degli storici è rimasto concentrato su tre interrogativi fondamentali. Primo: chi ha costruito la biga? Secondo: dove è stata costruita? Terzo: quale storia è rappresentata nei disegni che appaiono sui fianchi e sul prospetto del carro? Nel corso di un secolo, le risposte sono arrivate da ogni parte del mondo, tante e tutte discordanti; non è mai stato trovato un punto comune.
Sulle origini della biga, chi l'ha costruita e dove, il fronte è diviso in
due schieramenti. Alcuni la giudicano totalmente etrusca, mentre altri la
considerano assolutamente greca. Ci sono poi altri studiosi che
hanno scelto una via di mezzo. La biga è di origine etrusca ma di ispirazione
greca.
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