Autore John Lanchester
Titolo Il muro
EdizioneSellerio, Palermo, 2020, Il contesto 110 , pag. 292, cop.fle., dim. 13,5x21x1,5 cm , Isbn 978-88-389-4079-8
OriginaleThe Wall
TraduttoreFederica Aceto
LettoreGiovanna Bacci, 2021
Classe narrativa inglese












 

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Indice


       Il muro


  I.   Il Muro             11

  II.  Gli Altri          129

  III. Il mare            189



 

 

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Sul Muro fa freddo. È la prima cosa che ti dicono tutti, ed è anche la prima che noti quando ti ci mandano; è la cosa a cui pensi, tutto il tempo, quando ci sei sopra, ed è quella che ricordi quando non sei più lì. Sul Muro fa freddo.

Cerchi delle metafore. Freddo come l'ardesia, come un diamante, come la luna. Freddo come l'elemosina; questa è buona. Ma ben presto ti rendi conto che il freddo è tutt'altro che una metafora. Non somiglia a nient'altro. È un mero stato fisico. Perlomeno quel genere di freddo. Il freddo è il freddo è il freddo.

E quindi è questa la prima cosa che ti colpisce. Un freddo che non somiglia a nessun altro freddo. È un freddo strettamente legato al posto, un attributo fisico permanente del luogo: quel freddo è una delle sue proprietà fondamentali, gli è connaturato. E ti colpisce come un'unica entità, la prima volta che vai al Muro, il tuo primo giorno di servizio. Sai che dovrai rimanerci per due anni. Sai che in pratica è lo stesso ovunque, almeno dal punto di vista geografico, ma sai anche che alla fine tutto dipende da come sono i tuoi compagni. Sai che non puoi farci niente. È un pensiero spaventoso, ma in un certo senso è anche vagamente liberatorio. Non hai scelta: il Muro in genere ti dice che non hai scelta.

Fai un breve addestramento, niente di che. Sei settimane. Perlopiù si tratta di imparare a maneggiare l'arma, pulirla, prendersene cura e usarla. In quest'ordine. Un po' di allenamento fisico, ma niente di che; un sacco di esercitazioni per abituarsi a vegliare nel cuore della notte, al sonno disturbato di continuo, a improvvisi attacchi di panico, a repentini contrordini, a test di disciplina notturni. Questa cosa te la inculcano in tutti i modi: la disciplina ha sempre la meglio sul coraggio. In un combattimento vince chi obbedisce agli ordini. Non è come nei film. Non serve essere valorosi, bisogna obbedire e basta. E più o meno questo è quanto. Il resto dell'addestramento avviene direttamente sul Muro. Te lo impartiscono i Difensori che sono lì da prima di te. E a tua volta tu lo impartirai ai Difensori che verranno dopo. In pratica, ecco cosa sei in grado di fare quando arrivi: alzarti nel cuore della notte e prenderti cura della tua arma.

Di solito si arriva dopo il tramonto. Non so perché, ma l'usanza è questa. E quando arrivi hai già una lunga giornata alle spalle: a piedi, autobus, treno, un secondo treno, camion. Alla fine è il camion che ti porta a destinazione. Tu e il tuo zaino rimanete impalati al freddo, nel buio pesto. Davanti a te c'è il Muro, un bestione di cemento lungo e basso che si snoda perdendosi in lontananza. Sebbene il Muro sia perfettamente perpendicolare, quando ti ci trovi sotto hai l'impressione che penda verso di te. Che possa crollare e travolgerti da un momento all'altro. Come se ti si volesse appoggiare addosso.

L'aria è piena di umidità anche quando non è realmente umido, sebbene in realtà lo sia spesso per via della pioggia o degli spruzzi delle onde che schizzano oltre il bordo. A ridosso del Muro non c'è quasi mai vento, ma qualche volta si. Al buio e con l'umidità il Muro appare nero. L'unico sentiero da seguire, l'unico segnale o indizio riguardo a cosa fare o dove andare è una rampa di gradini di cemento: infatti è sempre vicino ai gradini che ti lasciano. In cima, nel corpo di guardia, c'è una piccola luce, ma tu ancora non capisci cos'è che stai guardando. Di solito invece ti soffermi a pensare che il Muro in realtà è più alto di quanto credessi. Naturalmente tu già l'avevi visto, dal vivo e in fotografia; e forse addirittura nei tuoi sogni. (Questa è una delle cose che impari quando sei sul Muro: molto prima di doverci andare per forza, un sacco di gente se lo sogna di notte). Ma quando ti trovi ai piedi del Muro e guardi in alto con la consapevolezza che dovrai rimanere li per due anni e che la cosa migliore che ti possa capitare nel corso di questi due anni è scendere vivo da quel Muro e non dovertici mai più nemmeno avvicinare per il resto della tua vita, ecco allora che ti appare diverso. Ti appare molto alto, molto ripido e molto scuro. (Lo è). I gradini scoperti, di cemento, ti sembrano scoscesi e scivolosi. (Lo sono). Ti dà l'idea di essere un posto freddo, aspro, inclemente, disperato. (Lo è). Ti senti in trappola. (Lo sei). Non vedi l'ora che tutto finisca, non vedi l'ora di essere da qualche altra parte, daresti tutto quello che hai per non essere 1ì. Anche se non sei religioso, ti metti a pregare, ad alta voce o piano poco importa, tanto non cambia niente, perché alla fine quello che dici è: ti prego ti prego ti prego fammi scendere dal Muro; e invece rimani. Cominci a salire i gradini. È così che inizia la tua vita sul Muro.

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Dopo colazione andavamo nella sala ufficiali per un briefing da parte del Capitano. Le scrivanie e le sedie malconce e trascurate davano a quella stanza l'aspetto di un'aula scolastica. Alle spalle del Capitano c'erano due mappe, la prima era una dettagliata proiezione in 3D del nostro settore di Muro e l'altra una riproduzione in scala più piccola dei cinquanta chilometri di costa tutto attorno a noi. Ebbi poi modo di constatare che nei briefing non ci venivano mai comunicate notizie di rilievo, a parte le temperature e le previsioni meteo, informazioni peraltro molto importanti. Ogni tanto ci dicevano che era stata avvistata una flottiglia di Altri e attaccata dal cielo, nell'eventualità che qualcuno fosse sopravvissuto e si stesse dirigendo verso di noi. Qualche volta i resoconti erano di natura più generale: raccolti andati a male, nazioni che crollavano, coordinamenti tra paesi ricchi, o altri eventuali particolari recenti che riguardavano il nuovo mondo che noi occupavamo in seguito al Cambiamento. A volte giungevano notizie di attacchi in cui gli Altri si erano serviti di tattiche nuove o imprevedibili, oppure avevano dato sfoggio di un dispiego sorprendente di forze. Se gli Altri riuscivano a passare, noi ne eravamo messi al corrente. In questi casi la sala piombava nel silenzio. Ci veniva detto quando, dove, quanti erano.

Il mio primo giorno nessuna notizia del genere. Ce ne stavamo lì seduti nervosi, strusciando i piedi per terra, quando a un certo punto entrò il Capitano. Ci alzammo tutti: non ci mettemmo sull'attenti, ma ci alzammo. Il Capitano ci teneva a una disciplina ferrea; di solito negli altri avamposti questo aspetto era trascurato. A un suo cenno del capo tornammo a sederci e nella stanza regnò il silenzio.

«Oggi niente di speciale da riportare» annunciò. «Nessun avvistamento di Altri dal cielo né dal mare. Nessuna notizia di rilievo dal mondo circostante. Adesso la temperatura è di due gradi, la massima prevista in giornata è di cinque, ma la temperatura percepita sarà attorno allo zero per via del vento. Buone notizie: abbiamo un nuovo Difensore con noi e quindi siamo con gli effettivi al completo. Kavanagh, in piedi».

Mi alzai. Mi guardai intorno e tutti e quattordici i membri della mia squadra guardarono me.

«Kavanagh ha appena cominciato i suoi due anni qui con noi. Due anni, cioè, se lui e voi sarete fortunati e se tutti faremo il nostro lavoro. Ricordate: nel corso delle prime settimane lui è ancora in addestramento. E ricordate anche che questa non è un'esercitazione. Potremmo essere attaccati oggi stesso e lui e voi dovrete essere pronti. Ok, questo è quanto. Ci vediamo durante i miei giri di ronda».

Ci alzammo di nuovo e ci avviammo verso la porta. Il Sergente mi si avvicinò e indicò una donna dai capelli rossi e dall'aria scontrosa che stava seduta in prima fila; masticava una gomma e per tutta la durata del briefing si era pulita le unghie con un coltellino. Poi indicò l'uomo dalla folta barba che le era seduto accanto, e infine un essere amorfo con il passamontagna seduto dietro di me, dal sesso non identificato.

«Mettetelo in mezzo a voi» disse. «Postazioni dall'otto al quattordici. Hifa al fucile grande. Passerò da voi tra mezz'ora».

Uscimmo sui bastioni che conducevano al Muro. Il Sergente ci guardò e poi impartì l'ordine, il comando considerato un tempo il più spaventoso che si potesse ricevere nell'esercito, la frase più terrificante che ti potesse capitare di ascoltare, perché annunciava un combattimento ravvicinato. Il senso di quelle parole era: c'è una buona probabilità che oggi ucciderete qualcuno, o che sarete uccisi. Nel nuovo mondo, invece, era una frase che i Difensori sentivano all'inizio di ogni singolo turno. Quello che il Sergente disse fu:

«Fissate le baionette».

E così cominciò.

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Le mattine sul Muro, l'alba, il crepuscolo e la notte erano momenti per la poesia. Cielocementoacquavento. I pomeriggi erano per la prosa. Diecimila chilometri di Muro. Un Difensore ogni duecento metri: cinquantamila Difensori in servizio in qualunque momento del giorno. Altri cinquantamila nell'altra squadra di turno, quindi centomila in servizio in tutto, ogni santo giorno. E inoltre si tratta di due settimane di servizio e due settimane di pausa. La metà dei Difensori non è sul Muro, ma in congedo o in addestramento oppure in attesa delle due settimane di servizio. Quindi duecentomila Difensori attivi in qualunque momento. Si aggiunga il personale ausiliario e di sostegno, ufficiali e amministratori, si aggiunga la Guardia Costiera, l'aeronautica e la marina militare, la gente in malattia, eccetera, e parliamo di oltre trecentomila persone impegnate nella difesa del Muro. E per questo che tutti devono andare al Muro, senza eccezioni. Questa è la regola.

Tranne i Figliatori. È un paradosso. Dal momento che il Muro ha bisogno di così tante persone, c'è anche bisogno di gente che metta al mondo dei figli, di modo che ci sia un numero sufficiente di persone a sorvegliare il Muro. Attualmente la cosa si regge su un equilibrio precario, e c'è chi parla di prolungare la durata dei mandati fino a due anni e mezzo o tre, per controbilanciare la diminuzione della popolazione. Il fatto è che la gente non vuole Figliare perché il mondo è un posto davvero orribile. E quindi come incentivo, se ti riproduci, puoi lasciare il Muro. Si Figlia per poter lasciare il Muro. C'è chi dice che questo non è giusto nei confronti dei bambini, i quali vengono al mondo solo per prestare servizio sul Muro a tempo debito. Però magari non sarà così. Magari, quando arriverà il loro turno, tutti gli Altri saranno morti e non avremo più bisogno del Muro. Chi può dirlo? E comunque i bambini stessi, una volta adulti, potranno sempre Figliare a loro volta e scampare al Muro in questo modo. Prolungando anche la vita della nostra specie, come effetto collaterale. Figlia e vattene, questo è lo slogan.

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L'altra squadra venne da noi e bevemmo insieme. Sul Muro l'alcol era vietato, ma quello non era il vero Muro. Qualcuno mise su della musica, qualcuno cominciò a ballare. Ci fu un karaoke, la gente cantava a turno, e a un certo punto toccò a una persona della loro squadra, una donna; aveva una voce talmente pazzesca che smettemmo di fare a turno e per un po' rimanemmo ad ascoltarla cantare classici soul. Poi bevemmo ancora un po'. E dopo ancora un altro po'. Come ho già detto: una vacanza. L'altra squadra doveva tornare nella sua caserma, ma a un certo punto scoprimmo che i loro camionisti si erano messi a chiacchierare con i nostri, avevano aperto qualche lattina, e poi qualche altra lattina, e così via, e si erano sbronzati come tutti quanti gli altri, tanto che alla fine non c'era nessuno abbastanza sobrio da poter guidare i camion. Quindi decisero di passare la notte nella nostra caserma: usammo i letti in più, divani, sedie, perfino tavoli da biliardo. Solo un Difensore ubriaco può pensare che un tavolo da biliardo possa essere un giaciglio accettabile.

La mattina dopo dovevamo tornare alle nostre vere postazioni. Questo significava cinque ore sul camion, cenere nella bocca, grasso sulla faccia, e addosso l'odore di chi è stato riesumato da poco. L'altra squadra era messa addirittura peggio: dovevano tornare nel Galles del Nord. Hifa, che avevo visto l'ultima volta impegnata a ballare con la donna dalla voce eccezionale, indossava un berretto di lana, lo stesso che portava nella sua fase sessualmente indefinita quando l'avevo conosciuta; i suoi lineamenti minuti sotto quel copricapo erano contratti per i postumi della sbornia. Se io stesso non fossi stato ancora mezzo sbronzo avrei trovato la cosa divertente. La mia giornata era cominciata con una ricerca sempre più convulsa dei miei occhiali, ricerca durata una quindicina di minuti quando finalmente mi ero accorto di averli già sul naso. Prima del nostro viaggio dell'orrore, nella sala riunioni ci toccò sorbirci una lezione. O meglio un «discorsetto» da parte di un membro dell'élite, un politico o funzionario di governo, un giovanotto basso e lucido con una zazzera bionda e un completo altrettanto lucido. Entrò nella sala sovrailluminata e andò a piazzarsi sul podio. Quando entrano degli ufficiali noi di norma ci alziamo in piedi, ma lui non era un ufficiale, e quindi restammo seduti. Sembrò un po' sorpreso di vederci ridotti in quello stato. Sessanta Difensori scarmigliati e sconvolti dai postumi della sbornia, poco interessati e poco interessanti: di certo non un uditorio facile.

«Complimenti!» ci disse con tono allegro. Cominciano sempre con gli elogi. «La migliore forza di difesa nazionale del mondo, impegnata nel miglior programma di addestramento del mondo!».

Entrambe le informazioni mi risultavano nuove, ma vabbè.

«Ho sentito i rapporti dei vostri ufficiali comandanti. Un'impresa eccezionale!»

Mi girai a guardare Hifa seduta accanto a me. A una distanza così ravvicinata notai che dondolava leggermente. Non aveva gli occhi chiusi, ma neanche completamente aperti. Le diedi un colpetto con il gomito, ma fu un grosso sbaglio, perché lei si girò verso di me e buttò di colpo fuori l'aria. Non solo sentii la puzza di alcol, ma capii benissimo cosa aveva bevuto: rum speziato. Aveva gli occhi iniettati di sangue, ma questo non le impedì di alzarli al cielo a commento delle parole del politico.

«Possiamo tranquillamente dire che questo paese non è mai stato difeso meglio. E questo grazie a donne e uomini come voi. Direi che meritate proprio un bell'applauso!».

Cominciò a battere le mani. Immagino che l'idea fosse che ci unissimo anche noi all'applauso - evvai! quanto siamo bravi! - ma aveva interpretato davvero male gli umori dei presenti. Rimanemmo lì seduti ad aspettare di capire il senso di tutto quanto, ammesso che un senso ce l'avesse. Era improbabile che quell'uomo si fosse già trovato altre volte in situazioni del genere. Era un baby-politico, un giovanissimo membro dell'élite. Aveva ancora bisogno delle rotelle per non cadere dalla bicicletta. Forse era la mancanza di sonno, e magari ero ancora un po' sbronzo, ma per qualche istante mi ritrovai a fantasticare: una sorta di sogno guidato in cui immaginavo membri dell'élite appena nati che uscivano da crisalidi, con già addosso i loro completi lucidi, le loro cravatte pre-annodate, le loro prime frasi fatte già a fior di labbra; poi qualcuno gli toglieva di dosso i resti del bozzolo e li spingeva verso un podio da dove avrebbero fatto il loro primo discorso, blaterato le loro prime ovvietà, perdendo la verginità della menzogna. Immaginavo che fossero costretti a fare tutto questo prima di poter mangiare, o bere, o ricevere qualunque genere di conforto, per essere sicuri che imparassero a fare quelle cose prima di qualunque altra, per essere sicuri che gli venisse naturale. Ci dicono che sul Muro ci vanno tutti, senza eccezioni. Però, quando vidi quel politico, mi resi conto per la prima volta che questo non poteva essere vero. Quell'uomo, chiaramente, sul Muro non ci era mai stato. Non era mai stato un Difensore. Si capiva a naso. Ogni tanto qualcuno diceva che i ricchi manomettevano i microchip identificativi e mandavano sul Muro gli Aiutanti al posto loro. Si sentiva parlare di esenzioni mediche, esenzioni universitarie. Nessuno mai ammetteva di non essere stato sul Muro, ma tutti avevamo il sospetto che tra i ricchi e i potenti ci fosse chi se l'era scampato.

Smise di applaudire. Si capiva che aveva capito che le cose si stavano mettendo male per lui, si capiva anche che sapeva di non dover dare a intendere di saperlo. I suoi modi cambiarono, si fecero di colpo più bruschi. Lasciò trapelare un po' di quella presunzione che gli derivava dal potere.

«Purtroppo essere un Difensore non è solo ricevere elogi e complimenti. Per quanto siano meritati! E comunque ci sono giunte nuove informazioni. Informazioni che avranno delle ripercussioni dirette sui vostri» - fu interessante il modo in cui pronunciò la parola successiva, perché si percepì qualcosa di freddo e oscuro in lui, solo per quella frazione di secondo, una piccola finestra su quello che pensava realmente su di noi, e la distanza tra la sua vita e la nostra - «doveri». I nostri doveri. Sì, d'accordo, i nostri doveri, le nostre lunghe notti al freddo e al buio, dodici ore di fila tra la noia mortale e la paura di restarci secchi. Per come la vedeva lui era proprio a questo che servivamo. Quella era la nostra utilità, il nostro scopo.

«Come tutti ben sapete, il Cambiamento non è stato un singolo evento isolato. Ne parliamo in questi termini perché qui da noi c'è stata una particolare mutazione del livello del mare e delle condizioni climatiche; tutto questo nell'arco di alcuni anni, certo, ma all'epoca, e anche oggi, l'impressione è che ci sia stato un incidente, in un momento ben preciso con un prima e un dopo. C'era il mondo dei nostri genitori, e adesso c'è il nostro mondo».

Fu una mossa furba, la sua. Anagraficamente era vicino a noi, abbastanza da sapere quanto fosse delicato e universale questo sentimento riguardo la frattura tra noi e la generazione precedente. L'energia nella stanza cambiò. Magari quell'uomo incarnava tutte le cose brutte che pensavamo di lui, ma diceva anche delle verità.

«Il Cambiamento: prima e dopo. Altrove, però, non è stato così. Il Cambiamento non è stato un evento, ma un processo, un processo che in alcuni posti, alcuni posti sfortunati, non si è fermato. Soprattutto in molte delle regioni più calde del pianeta il Cambiamento è ancora in atto, continua a rimodellare i paesaggi, continua ad avere un impatto sulla vita delle persone. All'inizio, uomini e donne scappavano da tutto questo, dalle conseguenze, tentando di rifarsi una vita, alla ricerca di un riparo, di un terreno più elevato, una sporgenza, una caverna, un pozzo, un'oasi, un posto dove trovare scampo per sé e per le loro famiglie. Ma» disse, cambiando di nuovo tono di voce e cominciando a parlare davvero come un membro dell'élite, un uomo abituato a dare ordini e cattive notizie, «il Cambiamento non si è fermato. I ripari di fortuna sono stati spazzati via, le acque si sono alzate fino a raggiungere i terreni più elevati, i campi coltivati sono stati bruciati dal sole, i raccolti sono andati a male, i corridoi montani si sono sgretolati, i pozzi seccati. L'idea di trovare scampo era un'illusione. E quindi adesso questi sfortunati devono scappare di nuovo, e hanno cominciato a farlo, in massa, e non stiamo parlando dei numeri dei primi periodi del Cambiamento. Ma di numeri enormi, minacciosi. Perciò questa è la prima cosa che sono venuto a dirvi. Gli Altri stanno per arrivare. Abbiamo goduto di anni di pace e di relativa calma, ma ormai tutto questo è finito. Avrete molto da fare. Le cose per le quali siete stati addestrati ora è probabile, molto più che nel passato, che vi troverete ad affrontarle sul serio».

Questa sì che era una vera novità. Mi sentii di colpo molto più sobrio. Hifa fissava quell'uomo, seduta dritta come un fuso. Lo fissavamo tutti. Qualunque cosa avessimo pensato di sentire dalle sue labbra, di sicuro non era quello che ci stava dicendo.

«Lo Stormo e i nostri amici all'estero l'hanno confermato. Gli Altri stanno arrivando. Questa è la prima informazione che vi do. Ma» sorrise, «il Muro esiste da anni e l'addestramento che ricevete qui, come ho già detto, è il migliore al mondo. Voi siete i migliori al mondo. Questo paese è il migliore al mondo. Abbiamo avuto la meglio, continuiamo ad avere la meglio, e avremo sempre la meglio. Questa è una certezza. Comunque» con tono triste adesso, contrito, dispiaciuto, «tra noi c'è chi non la vede allo stesso modo. C'è chi considera il nostro desiderio di sicurezza, di difesa, di pace» - allungò le braccia in un gesto che spesso le persone fanno parlando del Muro, come se il Muro somigliasse a due gigantesche braccia spalancate - «un desiderio egoistico. Un voler girare le spalle al mondo, dettato dall'egoismo e dal calcolo personale. Un voler rifiutare le nostre responsabilità. Un... be', è inutile proseguire. Non si può discutere con persone che vogliono vederti affogare, soccombere, spazzato via. Cosa c'è da discutere con questa gente qui? Niente di quello che gli direte gli farà cambiare idea. Eppure questa gente esiste, e secondo le informazioni che ci arrivano sappiamo che alcuni di loro, alcune di queste persone obnubilate stanno facendo qualcosa di incredibile. Non stanno dalla parte della gente normale e perbene di questo paese, la gente che voi Difensori difendete e proteggete, la gente per cui passate lunghi giorni e lunghe notti sul Muro, la gente la cui sicurezza è il senso e lo scopo di quello che fate. No, non stanno dalla loro parte». Cominciava a infervorarsi. Abbassò la voce e sussurrò in modo istrionico e udibilissimo: «Stanno passando dalla parte degli Altri!».

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