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| << | < | > | >> |IndicePreludio 11 PRIMA PARTE Primo round 15 1. Motivazione 17 2. Un'idea semplice 29 PRIMO INTERLUDIO Un'antica anticipazione della singolarità 33 SECONDA PARTE La tempesta cibernetica 37 3. Il denaro visto con gli occhi di un informatico 39 4. La costruzione ad hoc della dignità di massa 47 5. «Server Sirena» 63 6. Lo spettro dell'investimento perfetto 69 7. I Server Sirena pionieri 79 SECONDO INTERLUDIO (UNA PARODIA) Se la vita è una licenza d'uso, vendi limonate 89 TERZA PARTE Gli sviluppi di questo secolo, da due punti di vista diversi 93 8. Dal basso: eventi di disoccupazione di massa 95 9. Dall'alto. Usare male i big data per rendersi ridicoli 117 TERZO INTERLUDIO La modernità diventa futuro 135 QUARTA PARTE Mercati, paesaggi energetici e narcisismo 153 10. Mercati e paesaggi energetici 155 11. Narcisismo 167 QUARTO INTERLUDIO Solo i babbani si pongono limiti 171 QUINTA PARTE La gara a chi è più meta 179 12. La storia perduta 181 13. Coercizione con il pilota automatico: effetti di rete specializzati 185 14. Oscurare l'elemento umano 191 15. La storia ritrovata 197 QUINTO INTERLUDIO Il vecchio saggio lassù tra le nuvole 209 SESTA PARTE Democrazia 217 16. Protestare non basta 219 17. Fondare i diritti sull'influenza sociale perché i diritti sopravvivano 227 SESTO INTERLUDIO Il protettore tascabile in tunica arancione 233 SETTIMA PARTE Ted Nelson 241 18. L'idea migliore è la prima 243 OTTAVA PARTE Le immagini dello scandalo (ovvero: aspetti pratici di una possibile alternativa umanistica) 255 19. Il progetto 257 20. Inventarsi qualcosa di meglio degli argini ad hoc 263 21. Qualche principio base 269 22. Chi farà cosa? 277 23. Le grandi imprese 289 24. Come guadagneremo e spenderemo? 293 25. Rischio 301 26. Identità finanziaria 307 27. Inclusione 315 28. L'interfaccia con la realtà 319 29. Spaventoso 329 30. Un tentativo di mitigare i rischi spaventosi 341 SETTIMO INTERLUDIO I limiti sono per i comuni mortali 349 NONA PARTE Transizione 357 31. La transizione 359 32. La leadership 365 OTTAVO INTERLUDIO Il destino dei libri 377 Conclusioni. Che cosa dobbiamo ricordare? 387 Ringraziamenti 395 Parole chiave e prima occorrenza nel testo 397 Note 399 Indice dei nomi 405 |
| << | < | > | >> |Pagina 11PreludioCiao, eroe Una cosa particolare di questo libro è che tu, il lettore, e io, l'autore, siamo i protagonisti. La semplice azione di leggerlo fa di te l'eroe della storia che racconterò. Forse hai comprato, o rubato, una copia fisica del libro, hai pagato per leggerlo sul tuo tablet o hai piratato una copia digitale da un sito di sharing. Qualunque sia stato il prequel, eccoti qui, a vivere esattamente le stesse circostanze descritte nel libro. Se hai pagato per leggere, grazie! Questo libro è il risultato del modo in cui vivo la mia vita, e spero che ciò rappresenti un valore per te. La speranza del libro è che un giorno avremo più modi per arricchirci come effetto secondario del vivere vite creative e intellígentí, cercando di fare cose che possano essere utili agli altri. Se hai pagato per leggere è avvenuta una transazione unidirezionale in cui tu hai trasferito denaro a qualcun altro. Se hai avuto il libro gratis c'è stata una transazione, ma il valore scambíato non verrà registrato in un libro contabile, quanto piuttosto in sistemi informali di reputazione, karma o altre forme di baratto. Ciò non significa che non sia successo nulla. Magari riceverai complimenti in un social network per quello che dici del libro. Questo tipo di attività potrebbe portare benefici sia a te che a me. Ma benefici di un tipo inaffidabile e deperibile. Il clamore dovuto all'attenzione online si trasforma in denaro solo per una minoranza simbolica, tra le persone comuni, ma c'è una nuova ristrettissima classe di persone che se ne avvantaggia sempre. Coloro che tengono i nuovi libri mastri, i giganteschi servizi informatici che ti modellano, ti spiano e prevedono le tue azioni, trasformano le tue attività quotidiane nelle più grandi fortune della storia. Vere fortune, fatte di denaro. Questo libro propone una terza alternativa: le reti digitali dovrebbero promuovere una transazione bidirezionale, in cui tu ricevi benefici reali, sotto forma di denaro, come me. Voglio che grazie alle reti digitali si possa registrare più valore per le persone, e non meno. Man mano che con l'uso delle reti digitali rendiamo il nostro mondo più efficiente, l'economia dovrebbe espandersi, non contrarsi. Ecco un esempio concreto della sfida che abbiamo di fronte. All'apice del suo potere, l'azienda fotografica Kodak impiegava più di 140mila persone e valeva 28 miliardi di dollari. Inventarono persino la prima macchina fotografica digitale. Ma oggi Kodak è fallita, e il nuovo protagonista della fotografia digitale è diventato Instagram. Quando Instagram è stato venduto a Facebook per un miliardo di dollari, nel 2012, impiegava solo tredici persone. Dove sono spariti tutti quei posti di lavoro? E che cosa è successo alla ricchezza creata da tutti quegli impieghi della classe media? Questo libro è stato scritto per rispondere a símili domande, che diventeranno sempre più comuni, poiché le reti digitali stanno svuotando tutti i settori produttivi, dai media alla medicina alla manifattura. Instagram non vale un miliardo di dollari perché quei tredici lavoratori sono straordinari. Il suo valore nasce invece dai milioni di utenti che contribuiscono al network senza essere pagati. Per generare un valore significativo, le reti sociali hanno bisogno che moltissimi individui vi partecipino. Ma, quando ciò accade, solo un ristretto gruppo di persone viene pagato. Il risultato è di centralizzare la ricchezza e limitare la crescita economica nel suo complesso. Invece di espandere l'economia creando più valore quantificabile, l'ascesa delle reti digitali sta arricchendo una minoranza relativa, spostando il valore creato dai molti al di fuori della contabilità. Per «reti digitali» non intendo solo Internet e il Web, ma anche i network gestiti da gruppi quali le istituzioni finanziarie e le agenzie di intelligence. In tutti questi casi, si assiste a un fenomeno per cui potere e denaro si concentrano attorno a chi gestisce i computer più centrali della rete, mentre tutti gli altri sono sfavoriti. Questo è ormai lo schema che ci aspettiamo, ma non è l'unico modo in cui possono andare le cose. L'alternativa presentata in questo libro non è un'idea utopica. Non è difficile immaginare i fastidi e la confusione che porterebbe con sé. Tuttavia, sosterrò che monetizzando in quantità maggiore l'apporto delle persone comuni, che in fin dei conti sono la fonte primaria e non retribuita dei dati che rendono preziose le reti, il futuro sarà migliore. Così facendo, il potere e l'influenza saranno distribuiti in modo più onesto, e forse, all'interno dell'economia dell'informazione, emergerà persino una classe media stabile: un obiettivo altrimenti irraggiungibile. | << | < | > | >> |Pagina 18Reagisci o taciPer anni mi sono lamentato di come la tecnologia digitale si interfaccia con le persone. Amo la tecnologia e amo doppiamente le persone; è la connessione che è scombussolata. Naturalmente, spesso mi si chiede: «Tu che cosa faresti?». Quando si tratta di una domanda personale, come «dovrei abbandonare Facebook?», rispondere è facile. Devi decidere da solo. Non voglio diventare il guru di nessuno. A livello economico, però, vorrei fornire una risposta. Incensando fenomeni digitali sovrumani che forse nemmeno esistono, le persone non stanno soltanto abbassando inutilmente il loro livello culturale, intellettuale e spirituale. Ci sono anche dei costi materiali. Le persone stanno diventando gradualmente più povere di quanto potrebbero essere. Stiamo dando vita a una situazione in cui nel lungo periodo una tecnologia migliore implicherà solo più disoccupazione o un colpo di coda socialista. Al contrario, dovremmo tendere verso un futuro in cui più persone stiano meglio senza perdere la libertà, anche se la tecnologia migliorerà molto, moltissimo. I design digitali più diffusi non trattano le persone come se fossero «speciali». Le persone sono percepite come piccoli elementi di una più grande macchina dell'informazione, mentre in realtà sono le uniche fonti e destinatarie dell'informazione, o persino del significato della macchina stessa. Il mio obiettivo è delineare un futuro alternativo, in cui le persone siano considerate speciali e trattate di conseguenza. Come? Pagando le persone da cui si raccoglie informazione, se si scopre che quell'informazione ha un valore. Se osservandoti si acquisiscono dati che rendono più facile far sembrare un robot un parlante naturale, o che permettono a una campagna politica di concentrare í messaggi su un target specifico di elettori, allora dovresti ricevere un compenso per l'utilizzo di quei dati, che hanno creato valore. Dopotutto, senza di te non esisterebbero. Questo è un punto di partenza talmente semplice da sembrarmi credibile, e spero di convincere anche te, lettore, che sia così. L'idea che l'informazione per l'umanità debba essere gratuita è idealistica, ed è comprensibile che sia popolare, ma se nessuno si impoverisse l'informazione non avrebbe bisogno di essere gratuita. Con il software e le reti che diventano sempre più importanti, possiamo decidere se avviarci verso un sistema in cui l'informazione è gratuita mentre quasi tutti vivono in uno stato di insicurezza, oppure verso uno in cui l'informazione si paga ma la classe media è più forte che mai. Il primo sembra un caso più ideale, in astratto, ma il secondo è un percorso più realistico verso una democrazia e una dignità durature. Un numero formidabile di persone offre una quantità formidabile di valore attraverso i network. Ma nella distribuzione della ricchezza la parte del leone la fa chi aggrega e gestisce queste informazioni, e non chi fornisce la «materia prima». Potrebbero emergere un nuovo tipo di classe media e un'economia dell'informazione più genuina e capace di espandersi, se rompessimo con l'idea dell'informazione free e creassimo un sistema universale di micropagamenti. Potremmo riuscire a rafforzare la libertà e l'autodeterminazione degli individui persino se le macchine migliorassero ancora molto. Questo libro parla di economia del futuro, ma ín realtà si occupa di come possiamo restare umani mentre le nostre macchine diventano così sofisticate da essere percepite come autonome. È un'opera di fantascienza non narrativa, o forse di ciò che potremmo chiamare attivismo speculativo. Sosterrò che il modo particolare in cui stiamo riorganizzando íl mondo attorno alle reti digitali non è sostenibile, ma che esiste almeno un'alternativa più sostenibile. | << | < | > | >> |Pagina 25Il problema non è la tecnologia, ma il modo in cui pensiamo la tecnologiaCome argomenterò, fino all'inizio del secolo non avevamo bisogno di preoccuparci che il progresso tecnologico svalutasse le persone, perché anche se le nuove tecnologie distruggevano vecchi posti di lavoro ne creavano sempre di nuovi. Ma negli ultimi tempi il principio dominante della new economy, l'economia dell'informazione, è stato nascondere il valore dell'informazione, prima di ogni altra cosa. Si è deciso di non pagare la maggior parte delle persone che ricoprono ruoli che acquistano valore in relazione alle tecnologie più recenti. Le persone comuni «condividono», mentre le élite delle reti generano fortune senza precedenti. Se queste élite siano servizi rivolti ai consumatori come Google o attività meno visibili come le imprese che operano transazioni finanziarie ad alta frequenza è perlopiù una questione semantica. In entrambi i casi l'ambiente in cui l'informazione si trasforma in denaro è dato dai computer più grandi e meglio connessi. Nel frattempo basta dare alla folla qualche ninnolo per diffondere illusioni e false speranze su come l'emergente economia dell'informazione stia portando benefici alla maggioranza di coloro che forniscono le informazioni che la sostengono. Se l'era dell'informazione si fondasse su una contabilizzazione completa e onesta, gran parte dell'informazione sarebbe valutata in termini economici. Ma se invece l'informazione «grezza», che non è ancora stata intercettata da chi gestisce i computer centrali, non viene valutata, allora siamo di fronte a una gigantesca privazione di diritti. L'ascesa dell'economia dell'informazione resuscita gli antichi spettri di migliaia di racconti fantascientifici e incubi marxisti e li potenzia in proporzioni apocalittiche. Le persone comuni non saranno valorizzate, mentre quelle vicine ai computer principali verranno enormemente remunerate. Rendere gratuita l'informazione è sostenibile solo finché categorie limitate di persone sono private dei loro diritti. Per quanto mi faccia male dirlo, potremo anche sopravvivere, se distruggeremo solo la classe media composta da musicisti, giornalisti e fotografi. Ciò che non è sostenibile è la distruzione delle classi medie che lavorano nei trasporti, nella manifattura, nel settore energetico, nell'educazione e nella sanità, oltre che come impiegati. E una tale distruzione accadrà, a meno che le idee dominanti sull'economia dell'informazione non facciano dei passi avanti. I tecnologi digitali stanno tracciando il solco della nostra vita futura, di come faremo affari, di come faremo ogni cosa, e lo tracciano guidati da scenari utopistici folli. Vogliamo così tanto vivere esperienze online gratuite che siamo felici di non essere pagati per le informazioni che produciamo. Questo implica che più l'informazione sarà dominante nell'economia, meno valore avremo. | << | < | > | >> |Pagina 292. Un'idea sempliceSputar fuori l'idea Abbiamo la possibilità di continuare a mandare a rotoli il mondo e la capacità di migliorarlo: come ci comporteremo? In questo libro sostengo che le scelte che compiamo in merito all'architettura delle reti digitali potrebbero influenzare l'equilibrio tra le due ondate opposte delle invenzioni e delle calamità. Le tecnologie digitali cambiano il modo in cui il potere (o un avatar del potere, come il denaro o una carica politica) viene conquistato, perduto, distribuito e difeso nelle vicende umane. Negli ultimi anni la finanza, rafforzata dalle reti digitali, ha amplificato la corruzione e le illusioni, e Internet ha distrutto più posti di lavoro di quanti ne abbia creati. Quindi partiamo da una semplice domanda: in che modo dobbiamo progettare le reti digitali per renderle utili, invece che dannose, nell'affrontare le grandi sfide dell'umanità? Il punto di partenza per una risposta potrebbe essere così riassunto: «Informazione digitale non significa altro che persone sotto mentite spoglie». [...] Nel mondo della dignità digitale, ogni individuo sarà il proprietario di qualsiasi dato misurabile prodotto dai suoi status o comportamenti. Trattare l'informazione al pari di una maschera dietro la quale si celano persone reali significherà trattare i dati digitali come qualcosa che può essere valutato in maniera coerente, e non come qualcosa di inconsistente e non valutabile. Se quello che una persona fa o dice contribuisce anche solo in minima parte a un database che, per esempio, permetta il funzionamento di un algoritmo di traduzione, di un software per predire l'andamento dei mercati o di svolgere un qualsiasi compito, a quella persona sarà dovuto un micropagamento proporzionale e al livello del contributo e al valore risultante. Sommandosi tra loro, questi micropagamenti daranno vita a un nuovo contratto sociale, in cui le persone siano motivate a contribuire all'economia dell'informazione in modo ancora più significativo. Sarebbe un modo per prendere sul serio il capitalismo, più di quanto non si sia fatto finora. Un'economia di mercato non dovrebbe riguardare soltanto gli «affari», ma chiunque crei valore. Potrei sostenere quest'argomentazione anche nel linguaggio del baratto e della condivisione. Sfruttare il cloud computing per rendere il baratto più efficiente, completo e giusto porterebbe a progettare reti simili a quella che ho proposto. Il tipico ritratto manicheo dei mondi digitali è «nuovo contro vecchio». Il crowdsourcing è «nuovo», per esempio, mentre i salari e le pensioni sono «vecchi». Questo libro propone di spingere il «nuovo» fino alle sue estreme conseguenze. Senza timori. | << | < | > | >> |Pagina 474. La costruzione ad hoc della dignità di massaLe classi medie sono naturali? L'avvento della finanza nel corso degli ultimi quattro secoli circa ha coinciso con l'introduzione di tecnologie che per la prima volta hanno consentito una vita comoda e sana a milioni di persone, e con la crescita miracolosa e imperfetta delle classi medie. Nel contesto di questa trasformazione è naturale chiedersi perché un numero maggiore di persone non possa beneficiare al più presto della modernità. Se la tecnologia fa passi da gigante e c'è così tanta ricchezza in circolazione, perché esiste ancora la povertà? Tecnologie migliori ispirano inevitabilmente la richiesta di maggiori benefici rispetto a quelli disponibili in un dato momento storico. Ci aspettiamo che la medicina moderna sia infallibile e che gli aerei moderni non precipitino mai. Eppure, soltanto un secolo fa, sarebbe stata impensabile anche solo la possibilità di desiderare simili traguardi. La finanza moderna associa i benefici prodotti ad altrettante frustrazioni. Se si immagina la finanza come un grande flusso di capitali che scorre in tutto il mondo, se ne vedranno le accelerazioni di corrente, i vortici e i mulinelli, come per qualsiasi abbondante massa liquida. Alcuni vortici turbinano verso l'alto, altri verso il basso. Spesso nella storia i poveri sono diventati sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi; Karl Marx spese la maggior parte delle proprie energie a osservare questa tendenza, ma non c'era bisogno del microscopio per accorgersene. I tentativi di arginare il flusso e di rimpiazzare completamente la finanza con la politica tramite mezzi come le rivoluzioni marxiste hanno ottenuto risultati molto più drammatici delle peggiori disfunzioni del capitale. E così il rebus della povertà in un mondo dominato dalla finanza rimane una sfida irrisolta. Marx voleva qualcosa che la maggior parte delle persone, me incluso, non vuole: un gruppo ristretto di persone, un comitato, capace di garantire che ognuno possieda ciò di cui ha bisogno. Lasciamo perdere gli ideali marxisti e concentriamoci invece sul mercato, chiedendoci se la nascita delle classi medie sia una sua conseguenza naturale. Marx sosteneva che la finanza fosse una tecnologia intrinsecamente senza speranza e che il mercato sarebbe sempre degenerato in un sistema plutocratico. Un economista keynesiano accetterebbe questa previsione, ma aggiungerebbe che tale degenerazione può essere dilazionata all'infinito grazie a interventi mirati dello stato. Sebbene alcune teorie dicano íl contrario, penso che finora la borghesia sia sopravvissuta grazie a questo tipo d'intervento. Le grandi ricchezze sono durevoli per loro stessa natura e vengono trasmesse di generazione in generazione, proprio come l'estrema povertà, ma l'appartenenza alla classe media non ha dimostrato grande stabilità se non grazie a qualche piccolo aiuto. Tutti gli esempi conosciuti di classi medie stabili nel lungo periodo si sono appoggiati a interventi keynesiani e a meccanismi come le reti di sicurezza sociale per ammortizzare gli effetti del mercato. È però possibile che un giorno le reti digitali forniscano un'alternativa migliore di questi interventi e meccanismi. Per capire perché, dobbiamo riflettere sui fondamenti dei sistemi umani. | << | < | > | >> |Pagina 102Spalmare la città su una collinaLe classi medie che hanno già perso i propri argini e la propria dignità economica in favore dei Server Sirena sono a volte chiamate «classi creative». La categoria include musicisti, giornalisti e fotografi. Accanto a queste figure c'erano parecchi collaboratori: musicisti di studio o editor, per esempio, che potevano considerarsi «buoni impieghi» (nel senso di sicuri e con grandi vantaggi). Quelli che sono cresciuti nell'era digitale potrebbero faticare a comprendere la perdita di opportunità di cui parlo. C'è tutta una tiritera di note ragioni per cui dovremmo accettare il misero destino delle classi creative. Ne ho discusso nel mio libro precedente. Ma pur essendo un dibattito importante, è molto più urgente determinare se il crollo delle carriere della classe creativa sia stato un'anomalia oppure una premonizione di quanto accadrà a moltissimi altri lavori della classe media nel corso di questo secolo. Secondo uno schema sempre più comune, molti detentori di posizioni accademiche collegate agli studi su Internet hanno accettato, o addirittura festeggiato, la caduta degli argini per le classi creative. La cosa mi colpisce e mi sembra paradossale, un rifiuto di accettare la realtà. L'istruzione superiore potrebbe essere napsterizzata e vaporizzata nel giro di pochi anni. Nel mondo della nuova ricchezza in rete, íl debito studentesco è diventato l'ennesima fonte di distruzione delle classi medie. Perché ci preoccupiamo ancora dell'istruzione superiore nell'era delle reti? Ci sono Wikipedia e mille altri strumenti. Si può studiare e imparare senza bisogno di pagare l'università: serve solo un pizzico di autodisciplina. Si pagano le rette universitarie per avere un'autodisciplina un po' più strutturata, una certificazione delle competenze e un po' di anni di vitto e alloggio pagati da mamma e papà in un luogo con un bel cortile e molta birra. Inoltre, permette di farsi degli amici importanti. È prestigioso entrare in una università d'élite, che la si finisca o no. Questi vantaggi si possono ottenere in maniera sempre più economica. I saperi non sono più chiusi a chiave in una segreta. Chiunque abbia una connessione Internet può accedere a tutte le informazioni dispensate dalle università. Senza dubbio, prima o poi, nasceranno siti di social coercion o giochi online per insegnare la disciplina dell'autodidattica. E per quanto riguarda la laurea, il pezzo di carta, le statistiche sulla Rete dovrebbero riuscire a farla a pezzi entro pochi anni. Che cosa te ne fai della media dei voti quando puoi ricavare un dossier dettagliato della persona che vuoi assumere? Quanto al sostegno dei genitori, ormai in quest'epoca di economia napsterizzata i laureati tendono comunque a restare in casa con i genitori parecchio tempo dopo la fine degli studi. Perché spendere una montagna di soldi per mantenere quattro anni i figli al college quando con lo stesso denaro lí si può far alloggiare per il doppio del tempo in un posto più economico? E quanto alla birra: purtroppo Internet non ha reso le sbronze gratis, ma non è detto che un giorno non lo faccia. Quindi non sarebbe meglio liberarsi dell'educazione superiore? La Silicon Valley ha un rapporto di odio-amore con le università. Significa qualcosa avere un dottorato al Mit. Amiamo quei luoghi! Ci sono professori leggendari e ci facciamo la guerra per assumere i loro studenti. Ma rigettare una laurea tradizionale e dimostrarsi inequivocabilmente preparati in altri modi è considerato il massimo. La lista di personaggi alla guida di grandi compagnie senza aver finito il college si allunga giorno dopo giorno: Bill Gates, Steve Jobs, Steve Wozniak, Mark Zuckerberg sono i primi che mi vengono in mente. Peter Thiel, finanziatore di Facebook e cofondatore di PayPal, ha lanciato una fondazione per pagare gli studenti migliori affinché abbandonino la scuola, dato che il lancio di startup hi-tech non può essere ritardato da un pezzo di carta. Mea culpa. Io non ho mai preso una vera laurea (anche se ne ho ricevute alcune ad honorem). Nel mio caso ha influito la povertà, come per molte altre persone. È però anche vero che l'idea di sottopormi alle procedure stabilite da altri per riceverne in cambio un'approvazione astratta mi è sempre parsa arretrata e irrilevante, e perciò inaccettabile. Devo ammettere che sono debitore alle istituzioni che ho evitato, perché, sebbene non fossi un loro studente, mi hanno introdotto presso i miei ispiratori e mentori. Senza il Mit o il Caltech immagino che personaggi quali Marvin Minsky e Richard Feynman avrebbero lavorato sepolti in qualche bunker di Los Alamos o nei Bell Labs del tempo, luoghi in cui probabilmente sarebbero stati meno disposti a tollerare ragazzi strambi che sfrecciano per i corridoi senza autorizzazione. Chiunque nel mondo dell'alta tecnologia apprezza le università. Eppure siamo felicissimi di forzare e spianare gli argini che le sostengono, proprio come abbiamo fatto con la musica, il giornalismo e la fotografia. Questa volta il risultato sarà diverso? | << | < | > | >> |Pagina 144Siamo in grado di gestire il nostro potere?Thomas Malthus ha inserito la paura della fine del mondo in un contesto naturalistico anziché nelle tradizionali apocalissi di origine soprannaturale. Quello che temeva, visto dalla prospettiva del XVIII secolo, era un futuro in cui la società non sarebbe stata in grado di assorbire i doni dei progressi dovuti al successo del genere umano, portandolo così alla catastrofe.In un tipico scenario malthusiano, l'agricoltura, la sanità pubblica e l'industrializzazione causano un'esplosione demografica insostenibile, che provoca una carestia devastante. Le nostre conquiste tecnologiche ci blandiscono anche mentre ci conducono alla distruzione. Da Malthus in poi, le riedizioni della «bomba demografica» (come la definì Paul Erlich negli anni sessanta) sono state innumerevoli. Un documentario intitolato Sopravvivere al progresso, tratto dal libro Breve storia del progresso, definiva il tema in questo modo: «Stiamo raggiungendo il punto in cui il progresso tecnologico minaccia l'esistenza stessa del genere umano». L'idea di un possibile destino simile a quello di Icaro non ci abbandona mai. Oggi il cambiamento climatico globale è l'esempio più importante; un altro è la possibilità che armi di distruzioni di massa finiscano nelle mani di un gruppo terroristico. O si potrebbe citare la diffusione dei virus nell'epoca del trasporto aereo, la prospettiva di incidenti nucleari una volta finite le scorte di petrolio, e così via. Alcuni rispettati tecnologi hanno addirittura paventato che i discendenti dei nostri computer possano giungere a mangiare gli esseri umani già nel corso di questo secolo. Spesso gli scenari malthusiani non sono solo terribili, ma anche intrisi di una feroce ironia. Al giorno d'oggi, le popolazioni più istruite e industrializzate sono di fronte a una bomba antidemografica: una spirale di spopolamento. Non nascono abbastanza bambini per conservare la popolazione e riequilibrare la massiccia presenza di anziani. Ho già descritto l'esempio del Giappone, ma la Corea, l'Italia e molti altri paesi soffrono dello stesso problema. Sono le aree «meno moderne» del mondo ad alimentare l'esplosione demografica. Le minacce di riscaldamento globale, terrorismo e tutto il resto sono alquanto reali, ma non sono né sorprendenti né innaturali. È del tutto normale che, man mano che gli esseri umani acquisiscono maggiore capacità di determinare il proprio destino, emergano nuovi modi per suicidarsi in massa. Prendiamo per analogia una persona che sta imparando a guidare: chiunque cominci a guidare un'auto può uccidersi in ogni momento, e in effetti a molti accade. Eppure la maggior parte di noi si prende deliberatamente il rischio e la responsabilità di mettersi al volante. Non solo: nella maggior parte dei casi ci divertiamo e ci piace la sensazione di controllo e potere che la guida trasmette. Allo stesso modo, su scala globale, è inevitabile che la nostra sopravvivenza sarà sempre più nelle nostre mani, con il progredire della tecnologia. Sebbene il riscaldamento globale sia un rischio concreto e spaventoso, rappresenta anche una sorta di rito di passaggio per la nostra specie. È uno dei tanti che dovremo superare con astuzia e perizia, e forse, in certe occasioni, grazie all'autoillusione ipnotica dell'ottimismo. Non è una cosa facile da dire, e quindi non la si dice spesso. Non possiamo usare le nostre abilità per rendere il mondo un posto migliore senza creare anche nuovi strumenti in grado di distruggerlo. L'abilità è abilità. Ciò non vuol dire che aumentare le nostre competenze sia di per sé un autogol! È decisamente meglio avere più voce in capitolo nel nostro destino, anche se questo significa che dovremo fidarci di noi stessi. Crescere è una cosa positiva. Si guadagna più di quanto si perda. È naturale credere che prima che i tecnologi si mettessero di mezzo il genere umano vivesse in modo sicuro e confortevole. Noi tecnologi sappiamo che non è così. L'unica ragione per pensare che un mondo meno trasformato dall'uomo fosse più sicuro è che la mortalità infantile e altre tragedie erano viste come catastrofi «naturali». I conti con la morte venivano saldati così in anticipo che i pericoli previsti da Malthus non arrivavano mai a concretizzarsi. L'avere innalzato il genere umano dallo stato di catastrofe costante è il primo e principale risultato della crescita delle capacità tecnologiche. Certo, i benefici della tecnologia si accompagnano sempre a intralci ed effetti collaterali: ogni nuovo farmaco è anche un veleno, e ogni nuova fonte di cibo è una possibile carestia in arrivo. Gli esseri umani hanno dimostrato di saper usare antiche innovazioni agricole, energetiche e edilizie per deforestare intere regioni e distruggere l'ambiente. Jared Diamond e altri autori hanno documentato questa ripetuta tendenza delle società umane ad autodistruggersi. Sin dagli albori dell'umanità siamo costretti a inventarci ogni volta una via d'uscita dai problemi creati dalle nostre ultime invenzioni. È la nostra identità. La risposta al cambiamento climatico non può essere quella di fermarsi o invertire la direzione degli eventi. La Terra non è un sistema lineare, un videoclip che possiamo scorrere avanti o indietro. Una volta che avremo capito come sopravvivere al riscaldamento globale, la Terra non sarà lo stesso luogo che conoscevamo. Sarà un luogo più artificiale e più gestito. Ma non è certo una novità: è solo un altro stadio dell'avventura cominciata quando Eva morse la mela, che in fondo può essere considerata la mela di Newton (per non parlare di quella di Turing ).
Ma nessuno vuole sentirsi dire tutto questo. È difficile reggere il peso
delle responsabilità che la nostra specie si dovrà assumere per sopravvivere. La
partita è cominciata molto tempo fa, e non possiamo esimerci dal giocarla.
Il primo scrittore hi-tech Può essere un po' demoralizzante rendersi conto di come l'attuale dibattito su sistemi economici, tecnologia e natura umana sia già stato affrontato due secoli fa. La ballata di John Henry fu una delle canzoni più famose del XIX secolo. John, personaggio apocrifo, è un operaio ferroviario che racconta di aver gareggiato contro una macchina per costruire binari e di aver vinto, morendo però di fatica. La produttività gli fu fatale. II tardo XIX secolo era già dominato dalle paure sulla possibile obsolescenza dell'umanità. I luddisti originali furono gli operai tessili del primo XIX secolo, preoccupati che i telai portassero via il loro lavoro. Proprio come aveva predetto Aristotele! La loro non è una bella storia. Si radunarono in folle inferocite e furono puniti con la pena di morte. In termini materiali, la vita degli operai era migliore di quella dei contadini, perciò i luddisti se la passavano meglio dei loro antenati. Eppure la loro fortuna era paurosamente fragile. La potenziale perdita di controllo sul futuro della propria vita fece scattare in loro un'angoscia, un po' come quando abbiamo più paura di stare chiusi in un aereo che di guidare un'automobile, anche se di solito l'auto è più pericolosa. Diventare parte di una macchina diretta da qualcun altro fu terrificante. È un'angoscia che ancora non abbiamo superato. Durante la Grande depressione degli anni trenta uno dei cliché della stampa popolare era che i robot avrebbero rubato qualunque lavoro agli esseri umani. Circolavano storie su automi che uccidevano i propri creatori, o robot che battevano i campioni del mondo di boxe. Oggi queste paranoie vengono riesumate per tranquillizzare le persone: «Vedete, ai vecchi tempi si preoccupavano che la tecnologia avrebbe reso inutili gli esseri umani, ma non è accaduto. Oggi queste paure sono semplicemente stupide». La mia risposta è: «Sono totalmente d'accordo, le paure erano insensate allora e lo sono oggi, quanto alla realtà effettiva. Le persone sono e saranno sempre necessarie. La domanda è se ciò sarà messo a bilancio, e dunque se le persone saranno valorizzate adeguatamente. Se prevarrà anche solo l'illusione che le persone stanno diventando obsolete, in realtà saremo di fronte a una frode contabile di massa. Oggi stiamo avviando quella frode. Fermiamoci». Ma nel XIX secolo le persone non identificavano il mondo con l'informazione, e i robot che immaginavano erano aggeggi di latta che rubavano all'uomo lavori da tute blu. La paura dei robot ha incubato due grandi filoni culturali che ancora oggi caratterizzano il dibattito sulle tecnologie: la «sinistra» e la fantascienza. Una delle radici della sinistra si sviluppa nei primi scritti di Karl Marx , che già negli anni quaranta dell'Ottocento era ossessionato dal dilemma dei luddisti. Marx è stato uno dei primi a scrivere di tecnologia. Me ne sono improvvisamente accorto qualche anno fa, mentre guidavo nella Silicon Valley e alla radio una startup digitale spiegava come avrebbe conquistato il mondo. Erano le solite chiacchiere su come l'innovazione può abbattere i tradizionali confini del mercato, sulla globalizzazione del talento tecnologico e così via. Stavo per spegnere la radio annoiato, bofonchiando che non ne potevo più dei soliti discorsi, quand'ecco che il presentatore dichiara: «Vi abbiamo offerto alcuni brani di Das Kapital, in occasione dell'anniversario della pubblicazione». Senza rendermene conto stavo ascoltando una radio di sinistra: la Kpfa. Non sono un marxista. Amo la concorrenza e il mercato, e l'ultima cosa che vorrei è vivere in un paese comunista. Mia moglie è nata e cresciuta a Minsk, in Bielorussia, e io so le miserie che il comunismo è costato alla gente. Ma se selezionate i brani giusti, Marx è una lettura incredibilmente attuale. Ogni tecnologo riflessivo che si rispetti ha avuto una fase in cui è stato attraversato dai dubbi sui possibili scenari luddisti. Il danno che il progresso tecnologico porta alle carriere delle persone non è distribuito in maniera uniforme. Prima o poi quasi chiunque può essere tentato per un momento di diventare luddista, anche se poi accade solo alle persone meno fortunate. Il cambiamento tecnologico è iniquo, perlomeno nel breve termine. Possiamo sopportare questa ingiustizia? La ragione per cui la maggior parte dei tecnologi può dormire sonni tranquilli è che in fin dei conti i benefici del progresso sembrano portare vantaggi a tutti abbastanza rapidamente da evitare l'esplosione o l'implosione della società umana. Ogni nuova tecnologia crea nuovi posti di lavoro, pur cancellandone altri. I discendenti dei luddisti ci accompagnano ogni giorno e lavorano come broker, personal trainer o programmatori. Oggi però i loro figli adulti vivono ancora in famiglia: forse il ciclo si è interrotto? Né la formazione né il prestigio proteggono le persone dalla possibilità di finire preda del destino annunciato dai luddisti. Farmacisti robot e software «artificialmente intelligenti» dedicati alle ricerche giuridiche che un tempo erano svolte dagli avvocati hanno già dimostrato entrambi la loro efficienza economica, e siamo solo all'inizio. L'unica posizione al riparo da ogni rischio è quella di proprietario di uno dei principali nodi della rete. Ma non può essere l'unico ruolo rimasto per gli esseri umani.
Marx ha descritto anche il sottile problema dell'«alienazione»: la
sensazione che proviamo quando ciò che facciamo non ci appartiene più, perché in
una fabbrica hi-tech siamo parte di uno schema controllato da qualcun altro.
Oggi ci preoccupiamo parecchio della realtà e dell'autenticità delle nostre vite
online. Gli «amici» sono veri amici? Queste preoccupazioni sono l'eco di Marx
che ci giunge quasi due secoli dopo, mentre informazione e produzione stanno
diventando la stessa cosa.
Il significato della lotta Il romanzo di fantascienza di H.G. Wells , La macchina del tempo, pubblicato nel 1895, descrive un futuro in cui l'umanità si è divisa in due specie: gli Eloi e i Morlock. Ognuna di esse sopravvive sulle rovine di una civiltà al collasso, intrappolata nell'incubo di Marx. Quello che un tempo era il divario tra ricchi e poveri si è trasformato in una divisione in due specie, entrambe svilite fino all'estremo. Gli Eloi, discendenti dei poveri, sono docili, mentre i Morlock, discendenti dei ricchi, sono decadenti e degradati. I Morlock potrebbero essere i discendenti degli attuali proprietari di social network o fondi speculativi, mentre gli antenati degli Eloi oggi crederebbero di essere molto fortunati a poter usare dei siti gratuiti per trovare facilmente un divano su cui dormire. Quello che intriga della visione di Wells è che gli individui di entrambe le nuove specie sono creature inferiori, prive di dignità (i Morlock mangiano gli Eloi, certamente l'ultimo stadio a cui possiamo arrivare nel rinnegare empatia e dignità). Quando la fantascienza dipinge scenari così tetri, come nelle opere di Wells, di Philip K. Dick o William Gibson , di solito è perché gli esseri umani sono trasformati in creature assurde dal progresso tecnologico. Quando invece la fantascienza dipinge un futuro luminoso è perché gli eroi rimangono umani lottando contro l'obsolescenza dell'umanità.
La lotta può essere contro gli alieni
(La guerra dei mondi),
contro il male
(Guerre stellari)
o contro un'intelligenza artificiale
(2001: odissea nello spazio, Matrix, Terminator, Battlestar Galattica
e molti altri). In ogni caso, la fantascienza è fondamentalmente retrò nel
ricreare il contesto delle prime fasi dell'evoluzione umana, quando fu forgiato
il carattere dell'umanità, in un ambiente in cui il significato era inseparabile
dalla sopravvivenza.
Ottimismo pratico La versione luminosa della fantascienza ha il dono di aiutarci a comprendere quale potrebbe essere il significato delle cose quando gli esseri umani si emancipano grazie alle loro invenzioni. L'ottimismo fantascientifico suggerisce che non abbiamo alcun bisogno di creare finti scontri con le nostre stesse invenzioni per metterci alla prova. Nel futuro immaginario di StarTrek i nuovi gadget si traducono in un mondo non soltanto più tecnologico e dipendente dagli strumenti, ma più etico, divertente, avventuroso, sexy e denso di significato. Certo, è anche un mondo più kitsch, più ridicolo sotto molti aspetti, ma che importa? Una sciocca serie tv è riuscita a evidenziare un elemento sostanziale e lodevole della cultura tecnologica meglio di tanti punti di riferimento ben più famosi. È un peccato che non ci siano esempi più recenti da citare. Un aspetto importante di Star Trek e di tutta la fantascienza ottimista ed eroica è che un essere umano riconoscibile come tale è al centro di tutte le avventure. Al centro del ponte circolare ipertecnologico della Enterprise ci sono il capitano Kirk o Picard, insomma delle persone. È quasi incredibile che negli anni sessanta - quando Star Trek andò in onda per la prima volta - alcuni veri ottimisti tecnologici siano stati in grado di inventare meraviglie come le missioni lunari senza conoscere i computer e i materiali odierni. Stupefacente. C'è una connessione diretta tra ottimismo e risultati ottenuti che mi sembra chiaramente americana, anche se forse è solo perché sono americano. La nostra cultura popolare è intrisa di messaggi in cui l'ottimismo è l'ingrediente magico del successo: il destino manifesto, i corsi motivazionali, «se lo costruisci, lui tornerà» nell' Uomo dei sogni, o le medaglie del mago di Oz.
L'ottimismo gioca un ruolo speciale quando è coinvolto un tecnologo. È
strano come a volte i tecnologi razionali abbraccino l'ottimismo alla stregua
di un afrodisiaco intellettuale. È una versione secolarizzata della scommessa
di Pascal.
Pascal
Non ho richiamato la scommessa di Pascal per parlare di Dio, ma perché penso che la sua logica sia simile ad alcuni giochi mentali dei tecnologi. La logica che accomuna le scommesse di Kirk e Pascal non è perfetta: il prezzo di una credenza non è noto a priori. Per esempio, c'è chi pensa che abbiamo pagato un prezzo troppo alto per la fede in Dio. E poi potremmo fare la medesima scommessa per una serie interminabile di convinzioni, pur essendo impossibile credere in ognuna di esse. Come scegliere? Nel bene e nel male noi tecnologi abbiamo deciso di accettare la scommessa di Kirk. Crediamo che tutto il lavoro che facciamo condurrà a un futuro migliore. Siamo convinti che gli effetti collaterali negativi non saranno così gravi da rendere l'intero progetto un errore. Continuiamo sempre a spingerci avanti, senza sapere esattamente dove stiamo andando. Il nostro modo di immaginare il futuro è kitsch e forse un po' sciocco, proprio come Star Trek, eppure penso sia la scelta migliore. Comunque la si pensi su Pascal, quella di Kirk è una scommessa vincente, e per dimostrarlo basta guardare alle alternative, cosa che farò nelle prossime pagine. | << | < | > | >> |Pagina 214Che cos'è l'esperienza?Se vogliamo capire cosa sia questa «esperienza» dobbiamo rispondere alla domanda: «Che cosa comporterebbe la sua assenza dal mondo?». Come cambierebbero le cose se nell'universo non esistesse l'esperienza personale? Possiamo fornire una serie di risposte. La prima è che non cambierebbe nulla, perché la coscienza è sempre stata solo un'illusione. (Tuttavia, mi permetto di far notare che se la coscienza fosse un'illusione sarebbe l'unica cosa non riducibile a un algoritmo.) Un'altra possibile risposta è che l'intero universo scomparirebbe, dato che ha bisogno della coscienza. È un'idea nata tra i seguaci dei primi lavori del fisico John Archibald Wheeler , un tempo convinto che la coscienza tenesse in vita le cose svolgendo il ruolo dell'osservatore nelle interazioni su scala quantistica. Un'altra risposta potrebbe essere che una versione dell'universo priva di coscienza sarebbe simile ma non identica, perché le persone diventerebbero più apatiche. È l'approccio di alcuni scienziati cognitivi, per i quali la coscienza svolge una funzione pratica specifica, ma limitata, nel nostro cervello. E poi c'è un'ultima risposta: se non esistesse la coscienza delle cose, la traiettoria di tutte le particelle rimarrebbe invariata. Ogni misurazione nell'universo darebbe risultati identici. Ma non esisterebbe il «macroscopico», né gli oggetti di tutti i giorni: non ci sarebbero case, né mele, né cervelli che possano percepirli. Non ci sarebbero nemmeno parole o pensieri, anche se gli elettroni e i legami chimici che li avrebbero composti nel cervello rimarrebbero esattamente gli stessi. Soltanto le particelle che compongono le cose esisterebbero, e nella stessa posizione in cui si trovano in presenza della coscienza, ma non esisterebbero le cose. In altre parole, la coscienza fornisce un'ontologia alle particelle. Senza coscienza, l'universo potrebbe essere descritto semplicemente come un insieme di particelle. O, per chi preferisce il paradigma computazionale, sarebbe solo un insieme di bit senza struttura dati. Non significherebbe nulla, perché non si potrebbe fare esperienza di nulla. La discussione potrebbe farsi anche più complicata: tra i diversi livelli di descrizione del mondo materiale, infatti, le informazioni circolano con una larghezza di banda limitata, quindi è possibile che qualcuno identifichi dinamiche di livello macroscopico che le interazioni tra particelle non riuscirebbero a descrivere. Ma più il processo è macroscopico, più è soggetto a interpretazioni divergenti da parte degli osservatori. In un sistema quantistico minimo è possibile eseguire solo un certo numero di misurazioni, quindi anche se si può discuterne l'interpretazione è più arduo discuterne la fenomenologia. In un sistema più vasto non è così. Quali indicatori economici sono essenziali? Non c'è consenso al riguardo. Il punto è che per descrivere l'universo percepito si cerca sempre di liberarsi dell'osservatore percipiente, e naturalmente è impossibile verificare che progetti di questo tipo giungano a compimento. È per questo che non penso che la ragione possa stabilire in via definitiva se le persone sono «speciali» o meno. Simili tesi richiamano i tentativi di Kant di usare la ragione per dimostrare o confutare l'esistenza di Dio. Che il dibattito sia su Dio o sulle persone, lo schema è più o meno lo stesso. Dunque non posso dimostrare che le persone siano speciali, e nessuno può provare il contrario, ma posso sostenere che presumere che siamo speciali sia una scommessa migliore, perché così facendo abbiamo poco da perdere e tutto da guadagnare. | << | < | > | >> |Pagina 231Un altro picco ancora da scoprireSiamo abituati ad avere Google e Facebook gratis, e avere una posizione contraria mi fa sembrare il Grinch che ruba í regali natalizi, un ruolo che nessuno vorrebbe assumere. Ma nel lungo periodo è meglio essere un soggetto economico intero che uno a metà, e per te e per i tuoi discendenti sarà meglio, molto meglio, essere un consumatore che guadagna piuttosto che foraggio per le manipolazioni delle reti digitali. Per favore, anche se pensate di aver letto abbastanza provate a continuare almeno un po': vedrete che i benefici di ciò che dico superano i costi. Si può pensare alla terza via che propongo, la via umanistica all'informatica, come a uno scenario «cyber-keynesiano» in cui il cloud computing viene spinto su un picco più alto del profilo energetico dell'economia digitale. Ripensate ai grafici dei paesaggi energetici, con i loro picchi e le loro vallate. Molte ipotesi centrali di questo libro si possono raffigurare in uno di questi paesaggi. Nell'immagine sotto ho chiamato (con molta approssimazione) uno degli assi «grado di democrazia», poiché è uno dei temi che più confondono il dibattito sulla monetizzazione delle informazioni. (Ma in altre figure l'asse delle Y potrebbe chiamarsi «accesso alla dignità materiale».) Ma comunque si definisca la democrazia, e qualunque importanza le si attribuisca, l'ipotesi chiave di questo libro è che restano da scoprire diversi picchi economici digitali, a più alta intensità ed energia. Ovviamente, se ciò è vero ci sono altrettante vallate, inesplorate e indescrivibili, che dobbiamo imparare a evitare. Le distorsioni cyber-panglossiane vanno per la maggiore nelle discussioni della Silicon Valley. Di questi tempi, l'idea stessa che l'informazione demonetizzata potrebbe non essere il massimo della libertà incontra forti resistenze. Affermando che con un'informazione a costo zero il «grado di democrazia» esprime solo la metà del suo potenziale sfido ogni convenzione. Questo mi ricorda alcuni ultraliberisti convinti che tasse più basse garantiranno sempre una società più ricca. Ma la matematica dà loro torto: i risultati che si ottengono da un sistema complesso pullulano di picchi e vallate. Nei circoli cyber-democratici l'idea che un'informazione più libera, ovvero più duplícabíle, porti necessariamente a un mondo più libero e aperto è un articolo di fede. Io sospetto che non sia così. Ho già evidenziato alcuni dei problemi. Un mondo più aperto in superficie diviene più chiuso in profondità. Non conosciamo le correlazioni su di noi calcolate da Google e Facebook, dalle compagnie assicurative o dagli enti finanziari; eppure, in un mondo interconnesso, sono i dati che più influiscono sulla nostra vita. Un mondo in cui sempre più cose vengono monetizzate, piuttosto che sempre di meno, condurrebbe a un'economia dell'informazione orientata alla classe media, in cui le informazioni non sono gratuite, ma abbordabili. Piuttosto che un'informazione inaccessibile, avremmo una situazione in cui i dati più essenziali saranno finalmente accessibili a tutti, per la prima volta nella storia. Saremmo proprietari delle informazioni grezze che possono influenzare la nostra vita. Non esiste il sistema perfetto, ma la mia ipotesi è che questo potrebbe garantire risultati più democratici rispetto all'illusione a buon mercato dell'informazione «gratuita». Non possiamo sperare nel progetto di una rete ideale che perfezioni la politica, né pensare di rimpiazzare la politica con un sistema commerciale perfetto. Finché le persone saranno libere di sperimentare il futuro, la politica e gli scambi economici avranno sempre dei difetti. Il massimo a cui possiamo ambire sono reti che inducano la politica e l'economia a bilanciare l'una i difetti dell'altra. | << | < | > | >> |Pagina 26921. Qualche principio baseL'origine L'idea fondante dell'informatica umanistica è che l'origine di un dato è preziosa. Le informazioni sono persone sotto mentite spoglie, e le persone dovrebbero essere remunerate per il valore a cui contribuiscono, se questo può essere inviato o immagazzinato su una rete digitale. La peculiarità principale dell'informatica umanistica è data quindi dai link bidirezionali, che già farebbero parte delle reti e degli ipertesti se a suo tempo le idee di Ted Nelson e altri pionieri avessero avuto la meglio. Con un sistema di link bidirezionali, il proprietario di una casa avrebbe saputo chi speculava sul suo mutuo, e un musicista chi copiava la sua musica. Ci sono mille modi per creare nuovi dati. Può essere l'effetto collaterale delle attività con cui ci si diverte online: i video che scegli di guardare potrebbero essere annunciati su un servizio di social network, per esempio. In altri casi, invece, si decide di generare deliberatamente dei dati, attraverso un blog o un tweet. Oppure si potrebbe collegare una webcam o un altro sensore e alimentare il Web con dati grezzi, o registrare un test del Dna o una tomografia. Qualsiasi tipo di informazione può entrare ín contatto con una rete semplicemente grazie alla nostra esistenza. In un'economia umanistica dell'informazione, quando da un dispositivo locale si caricano nuovi dati su un server o in un cloud computer, ne viene memorizzata la provenienza. Ciò significa legare ai dati una traccia della loro origine e proteggere questa registrazione da possibili frodi ed errori, grazie alla ridondanza tra dispositivi locali e server, così rendendo la falsificazione o la cancellazione della provenienza dei dati un'operazione non banale, quantomeno faticosa e rischiosa. In un'economia umanistica dell'informazione conoscere l'origine di un dato è un diritto fondamentale, così come l'universalizzazione dei diritti civili e dei diritti di proprietà è stata necessaria per affermare la democrazia e il capitalismo di mercato. Non c'è nulla da temere: tenere traccia dell'origine di ogni informazione non è troppo costoso, né minaccia l'efficienza di Internet. Anzi, renderà Internet ancora più veloce ed efficiente. La conservazione universale della provenienza dei dati, senza diritti commerciali parimenti universali, ci porterebbe a uno stato di polizia e di sorveglianza. Traccia della provenienza e diritti di sfruttamento commerciale universali possono invece condurci a un futuro equilibrato, in cui un'ampia classe media potrà prosperare grazie a una proporzionata influenza politica, e gli individui saranno in grado di inventare le proprie vite liberi dalle manipolazioni degli invisibili operatori dei Server Sirena. Non sarebbero divieti di dubbia efficacia a evitare coercizioni e violazioni della privacy: il costo per l'uso dei dati mitigherebbe i casi più estremi di sfruttamento. [...] Pensate agli ebook. L'acquisto di un ebook non è sostanziale come per un libro di carta, quindi sul mercato un consumatore di libri elettronici non è più un cittadino di prima classe. Quando si compra un libro fisico lo si può rivendere a proprio piacimento, oppure continuare a rileggerlo indipendentemente da dove si è deciso di comprare altri libri in seguito. Potrebbe diventare un pezzo da collezione e acquisire valore, permettendo di ricavare un profitto dall'acquisto iniziale. Ogni volta che si compra un vecchio libro c'è la possibilità di guadagnare enfatizzandone la provenienza. Si può farlo autografare dall'autore, per renderlo più significativo per voi e più prezioso per il mercato. Con un ebook, tuttavia, non si è cittadini di prima classe, sotto il profilo commerciale. Al contrario, non si acquistano che volubili diritti d'uso dal negozio di un'azienda. Non si può rivendere il libro, né fare alcunché per trasformare il proprio acquisto in un investimento. Lo spazio decisionale è minimo. Se si desidera utilizzare un dispositivo di lettura diverso, o connettersi a un cloud diverso, nella maggior parte dei casi si perderà l'accesso al libro che si è «comprato». Dunque non si trattava di un vero acquisto, ma della sottoscrizione di un contratto, anche se nessuno legge mai le clausole di questi accordi. | << | < | > | >> |Pagina 323Combattere frodi e imbrogliNella finanza le idee sperimentali ed esotiche non sono per forza truffaldine. Investire sul clima ha il suo perché. Nel mio libro precedente ho sostenuto la necessità di esplorare nuovi strumenti finanziari proprio per questa ragione. Ne abbiamo bisogno. Ma abbiamo ancora più bisogno di un'impostazione più onesta e sostenibile per l'economia in rete: un approccio che porti con sé il positivo effetto di reprimere gli imbrogli. Prendiamo il vecchio modo di combattere le truffe, cioè la regolamentazione. I critici della deregulation finanziaria negli Stati Uniti sottolineano che prima della Grande depressione c'era stata una sequenza decennale di distruttivi fallimenti di mercato. Le regolamentazioni introdotte in risposta alla depressione condussero a migliori condizioni di mercato, finché la deregolamentazione del tardo XX secolo non ci ha riportati al caos precedente. L'adozione di politiche per il ripristino delle vecchie regole sembra piuttosto incerta, ma è anche vero che per le leggi è sempre più difficile tenere il passo con la tecnologia. È improbabile che una legge con un nuovo linguaggio giuridico possa anticipare l'ingegno dei programmatori. Espellere i Server Sirena dall'architettura di rete, tuttavia, potrebbe avere gli stessi effetti delle care vecchie regole, ma in modo tale da limitare la nascita di schemi di rete ancora più ingegnosi. Se i proprietari di case con un mutuo da ripagare avessero avuto diritto a qualcosa di simile alle royalty mentre si speculava sui loro mutui, la bolla non si sarebbe gonfiata fino a scoppiare. Il costo del rischio sarebbe stato inserito nel mutuo sin dal principio, e ripagato dall'investitore responsabile del rischio stesso. I benefici sarebbero stati condivisi con chi creava valore: i proprietari che avevano promesso di ripagare il mutuo. La simmetria economica avrebbe evitato agli investitori i rischi causati dalla condotta di persone disinformate usando comunque il denaro altrui. Forse una contabilizzazione più completa e onesta da parte di chi è responsabile dei dati funzionerebbe quanto le regolamentazioni di un tempo, ma in una forma nuova e meno politica. Se le fonti di dati restassero sempre legate alle persone che i dati li hanno prodotti per prime, non solo quelle persone sarebbero remunerate, ma il valore dei dati non potrebbe essere moltiplicato in maniera fraudolenta. Un'economia in rete più onesta non è un'economia in cui non si prendono rischi, ma una in cui i rischi sono più ponderati, grazie alla partecipazione informata di chi crea valore al livello più basso. È un principio molto semplice, ma può portare lontano. Una frode è sempre l'illusione di creare qualcosa dal nulla, ma il nulla non esiste. In un'economia digitale ben costruita, la fonte dei dati, il «qualcosa», sarebbe sempre ricordato.
I Server Sirena fanno profitti mandando in cortocircuito l'intero progetto
della civiltà umana. Scommettono che il progresso della realtà non
terrà il passo con il regno soprannaturale ed extraumano del «qualcosa
dal nulla». Sono il contrario del mercato delle emissioni.
Nutrire la mente frenetica della persona in rete Dunque, uno dei potenziali benefici nel rigettare i Server Sirena è fare spazio a investimenti quali i crediti di carbonio. Ma nell'affrontare il cambiamento climatico c'è un'altra idea che potrebbe funzionare, basata sulle sensazioni che si provano in rete. Il networking è come un gioco. È così che si sente chi opera in fondi di derivati e in transazioni finanziarie ad alta frequenza: come in un videogioco. Anche la bolla immobiliare e la precedente bolla delle dot-com sono state vissute in maniera simile, almeno dagli investitori più piccoli, che sono anche i più coinvolti e hanno pagato il prezzo più alto. Interagendo in un network in tempo reale, la gente cade in una spirale di ossessioni. Con i social media il fenomeno potrebbe essere addirittura più intenso.
Perché gli schemi finanziari più idealistici funzionino bene, l'esperienza
che si prova nell'entrarvi deve raggiungere i livelli organici più profondi.
L'intrattenimento è ritmo, proprio come le reti cibernetiche.
Tutto sta nel tempismo Tutti i mercati si basano su circoli di feedback caratterizzati da specifici ritardi del tempo. L'intervallo tra la scelta fatta e il feedback ricevuto varia secondo il tipo di transazione. Il tempismo è molto importante per determinare l'utilità di un mercato per le persone. Gli intervalli di feedback brevi vengono spesso criticati, e tendenzialmente sono d'accordo con le critiche. Le transazioni ad alta frequenza non possono incorporare informazioni sul mondo reale perché non hanno il tempo di inserirle nel circolo di feedback. Questa è una critica diversa rispetto a quella più comune, che ne fa una questione di onestà. Onestà a parte, il problema dell' high-frequency trading è che si tratta di un controsenso. Allo stesso modo, seppure su una scala temporale molto più lenta, i critici deplorano i rapporti trimestrali che obbligano le corporation a lisciare il pelo agli azionisti quattro volte all'anno anche se operano in settori che richiedono una pianificazione di lungo termine. E i problemi più grandi che dobbiamo affrontare sono ancora più lenti: il cambiamento climatico avviene nel corso di decenni e secoli. Pertanto, se desideriamo una riconciliazione tra le forze del mercato e problemi come íl riscaldamento globale, dovranno entrare in gioco meccanismi che creino, nell'ambito informativo, feedback coinvolgenti e di breve termine per le attività che in una cornice di tempo più ampia contano davvero. | << | < | > | >> |Pagina 351Tentazioni soprannaturali nella cultura tecnologicaLa Silicon Valley non è certo la prima società sbocciata dalla ricerca della multiformità. L'attuale spettacolo degli ingegneri che professano di saper gestire la mortalità - e a volte sembra persino che credano a quello che dicono - non è nulla di nuovo. Ti sorprenderebbe sapere che un tempo il sacrificio di animali rivestiva un ruolo chiave nella primitiva competizione per essere il network «più meta»? La sfida per il controllo dell'elettricità fu combattuta da maestri drammaturghi come Nikola Tesla e Thomas Edison. Tesla ebbe una carriera folle e romantica. Raramente perse un'occasione per essere famoso e strambo. A una festa illuminò l'aria, a un'altra propagò frequenze acustiche programmate per far urinare involontariamente gli ospiti. Farlo oggi sarebbe radicale, ma al tempo era praticamente soprannaturale. In superficie Edison sembrava un uomo più ordinario, ma anche lui giocava un gioco simile. Oltre che un fenomeno fisico, l'elettricità è stata fin dal principio una favola popolare raccontata con toni da Grand Guignol. Verso l'inizio del XIX secolo, il medico Giovanni Aldini dava pubblicamente spettacolo usando gli elettrodi per provocare contrazioni e spasmi in cadaveri freschi. Si era costruito una carriera pubblica, un po' come Ray Kurzweil oggi, sostenendo di possedere conoscenze tecnologiche sofisticate, che avrebbero posto fine al vecchio ciclo della vita e della morte. Forse fu lui a ispirare il personaggio di Mary Shelley , il dottor Frankenstein. La temeraria corsa a portare le forze della vita e della morte nelle prese elettriche di ogni casa allettava ogni impulso teatrale. Così, Edison mise in scena uno spettacolo in cui folgorò un elefante. Apparentemente, ciò dimostrava la diabolicità del progetto di Tesla (la corrente alternata, AC), ma di certo Edison aveva capito che anche la sua proposta, cioè la corrente continua (DC), avrebbe potuto uccidere la bestia. A volte, quando metto in carica il telefono usando la presa di casa, penso a quell'elefante. L'elettricità funziona grazie alle leggi fondamentali e universali della natura, ma non esisterebbe, qui e in questa forma, se non grazie ai miti tenebrosi creati dai tecnologi.
La Singularity University fa parte di una tradizione gloriosa. Molti
techies
non sono grandi showman, ma quando le due cose si combinano bisogna stare in
guardia.
Per la cronaca: perché prendo in giro la University Ovviamente, per ricco che sia il suo pedigree culturale, penso che chiamare «Singularity University» un ente di istruzione superiore sia ridicolo. Illustro la mia posizione: non metto in discussione il fatto che sia possibile realizzare qualsiasi particolare gioiellino tecnologico. Del resto, io stesso lavoro a elementi che i miei amici dell'università considerano precursori della Singolarità. Ho lavorato per esempio alla produzione di modelli predittivi di parti del cervello umano e a interfacce dirette tra i computer e il nostro sistema nervoso. La differenza sta nel fatto che per me queste sono cose da ricercatori, e io non sono che uno di loro. Non credo affatto che la tecnologia crei se stessa. Non è un processo autonomo. È qualcosa che facciamo noi esseri umani. Certo, si può sempre giocare a invertire figura e sfondo, come abbiamo visto nei capitoli precedenti parlando del calice dorato. La ragione per cui bisogna credere nell'intervento umano piuttosto che nel determinismo tecnologico è che in questo modo si ha un'economia in cui le persone seguono la propria strada e inventano le proprie vite. Strutturare una società sul non rimarcare il ruolo attivo degli esseri umani equivale in pratica a negare l'influenza, la dignità e l'autodeterminazione delle persone. Quindi non è possibile provare in modo assoluto che la Singolarità sia un'interpretazione sbagliata di alcuni eventi futuri. Ma abbracciare questo tipo di sensibilità significa celebrare i dati cattivi e la cattiva politica. Certo, se si crede davvero che persone e macchine siano uguali non si riconoscerà mai la fondatezza e la concretezza di una tale critica. Laddove un vero credente dell'università vedrebbe un fenomeno di Singolarità nel futuro, io vedrei un caos ingegneristico così pessimo e irresponsabile da uccidere un sacco di persone, come raccontato da Forster in La macchina si ferma. Cerchiamo di vedere le cose dal mio punto di vista e di non uccidere quelle persone, okay? | << | < | > | >> |Pagina 378Non si tratta di carta contro ebookNon è il fatto che un libro possa essere letto su un tablet elettronico invece che su carta a preoccuparmi, ma piuttosto i risvolti economici e politici - e il senso del tempo - che ne potrebbero derivare. Quello che gli ebook potrebbero farci perdere è il ruolo del libro nel flusso della vita e del pensiero umano. Non sappiamo ancora se per salvare/digitalizzare la cultura la distruggeremo. In ogni caso, trovo incredibile che gli editori tradizionali non capiscano il valore emotivo della carta. Cercano ancora di vendere un prodotto di consumo a prezzo unico come in un'età dell'oro, e quindi si lasciano sfuggire l'ovvia opportunità di business che hanno sotto il naso. Finché durerà l'era sirenica, avremo un mercato svuotato e una classe media indebolita. Per sopravvivere, l'industria editoriale deve differenziare un prodotto per la porzione superiore del mercato, per i ricchi.
Nell'industria musicale, il livello più alto prende la forma di attrezzature
per audiofili incredibilmente costose e edizioni limitate di vinili di altissima
qualità. Nel mercato dei libri ci dovrebbero essere edizioni limitatissime di
libri come questo, copiate a mano da monaci su carta fatta a mano con inchiostro
organico equo e solidale, e dovrebbero essere vendute solo in sale vip, e a
feste in cui non può entrare praticamente nessuno. Ascolta bene, editore,
proprio con queste parole stai pubblicando un consiglio che potrebbe valere una
fortuna, ma hai deciso di ignorare un modo per superare questi tempi duri.
Il libro come lo vorrebbe la Silicon Valley Come saranno i libri quando la Silicon Valley avrà trovato il modo di metterci mano? La vicenda non è conclusa, e se credessi nell'inevitabilità di un certo risultato, non mi prenderei la briga di cercare di influenzarlo. Ma posso cercare di catturare un'immagine di ciò che mi sembra possa accadere se tutto rimarrà come ora. Qualcosa abbiamo imparato, guardando quanto successo alla musica, ai video, alle news e alla fotografia. Ecco alcuni probabili sviluppi, anche se non inevitabili: - Gli autori non dovranno superare grosse barriere all'ingresso, eccetto scrivere il maledetto libro. Bisognerà solo scrivere il libro e uploadarlo. Questo è già realtà, ma diventerà ancora più reale. Elencare tutti i ghostwriter e i co-autori sarà più facile di quanto lo sia ora, e potrebbe trattarsi di persone che hanno collaborato in crowdsourcing o addirittura di software di intelligenza artificiale. Ci sarà anche un servizio che raccoglierà gli strilli di copertina: «Il libro che tutti stavamo aspettando». Il self-publishing potrebbe diventare un'esperienza ancora più agevole. Chi si definisce autore forse pagherà una quota o accetterà semplicemente di essere spiato più in profondità e bombardato di pubblicità con maggiore insistenza. - In poco tempo, il numero di autori pubblicati si avvicinerà al numero di lettori disposti a comprare un libro. Ciò che è successo nel settore musicale. [...] - I lettori saranno cittadini economici di seconda classe. (Ricordo il perché: quando si compra un libro di carta si prende possesso di qualcosa di rivendibile. Il valore dell'oggetto può crescere o diminuire. Quando un lettore «acquista» un ebook si tratta solo di un contratto di accesso. Il lettore non ha capitale, non ha nulla da rivendere o che possa aumentare di valore. Significa rifiutare l'idea stessa di economia di mercato. Se solo pochi soggetti privilegiati possono possedere capitali, mentre tutti gli altri sono in grado soltanto di comprare servizi, il mercato finirà per implodere dall'interno e trasformarsi in un non-mercato.) - I libri si fonderanno con app, videogiochi, mondi virtuali o altri formati digitali che acquisteranno importanza. All'inizio, rappresentando una novità, porteranno agli autori guadagni significativi, prima che i server più grandi li trasformino in beni di consumo indifferenziati. - Le vendite dei libri saranno distribuite in maniera ancora più asimmetrica rispetto ai mercati tradizionali. Ci saranno pochi supervincitori e un'enorme quantità di autori che pubblicano solo per vanità, e quasi nessuno nel mezzo. - Molti lettori leggeranno quello che gli algoritmi di crowdsourcing faranno apparire davanti a loro, e spesso non saranno consapevoli dell'identità dell'autore o del confine tra un libro e l'altro. - Molti libri saranno disponibili solo tramite un particolare dispositivo, per esempio il tablet di una certa azienda. - Moltissimi libri saranno generati da algoritmi o fabbricati in serie, poiché sarà talmente economico produrne in grandi quantità che anche un microscopico flusso in entrata sarà utile per raggiungere gli obiettivi aziendali. - Le informazioni disponibili in qualche parvenza di forma libro saranno più numerose che mai, ma avranno standard di qualità complessivamente più bassi. [...] - I lettori perderanno parecchio tempo in seccature legate a password dimenticate, carte di credito scadute e sottoscrizioni che li imprigioneranno per anni in una tecnologia o in un contratto telefonico sbagliati. Quando passeranno a una nuova compagnia perderanno le loro librerie, le loro annotazioni e persino i loro scritti. La neutralità della rete sarà celebrata in teoria, ma in pratica non esisterà. - I lettori più esperti di tecnologia prenderanno in giro i lettori che hanno difficoltà nel padroneggiare il nuovo sistema. Più sarai simile a un hacker, più ti sentirai avvantaggiato. - Nel complesso, la gente spenderà meno per leggere, il che sarà salutato come una bella novità per i consumatori, mentre i guadagni degli autori si abbasseranno ancora di più. Se questo schema si mantenesse nel solo ambito musicale, della scrittura e degli altri media, sarebbe soltanto un aspetto della transizione verso un mondo sempre più digitale in cui il software inghiotte tutto. Ma se fosse solo un precedente destinato a replicarsi anche per trasporti, manifattura, medicina, educazione e altri settori rilevanti, tutta l'economia si contrarrà, rendendo il capitalismo un po' meno sostenibile nel lungo periodo. Lo so, sto ripetendo una delle idee centrali di questo libro, ma comunque una cosa è certa:
- quando i libri saranno prevalentemente digitali, i proprietari dei server
di rete che indirizzano i lettori, gestiti da imprese della Silicon Valley,
saranno ancora più ricchi e potenti di prima.
Alcune di queste prospettive sono allettanti. La mia preferita è la
potenziale fusione sperimentale dei libri con app, giochi, musica, film, mondi
virtuali e altre forme di espressione che possono transitare sulla Rete.
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